VITA DELLA CONGREGAZIONE

LA NUOVA PROVINCIA SCJ DEL MOZAMBICO

 

Ezio Toller, scj

Il 14 marzo 1998 il Superiore generale e il suo consiglio decidevano l'erezione canonica della regione del Mozambico a 23ma Provincia della Congregazione, e il 19 giugno seguente, festa del S. Cuore di Gesù, aveva luogo l'insediamento del direttivo provinciale.

Per una esposizione più ampia della storia di questa regione, molto travagliata e a volte anche drammatica, vedi "Dehoniana" 85 (1994/3, pp. 111-119). Qui ci limitiamo a riportare la terza parte della relazione pronunciata dal P. Ezio Toller il 19 giugno, nel contesto dell'inaugurazione della nuova provincia (N.d.r.).

I sacerdoti del S. Cuore (o Dehoniani) entrano in Mozambico il 27 marzo del 1947. Sono quattro missionari pieni di fede, di entusiasmo e di buona volontà, ma arrivano in un ambiente per loro sconosciuto. Si stabiliscono nella provincia centrale, chiamata Zambezia. Viene affidato loro un territorio di circa 50.000 Km2, con un milione e mezzo di abitanti.

Sono gli unici missionari in quella regione e c'è tutto da fare. La gente nella sua quasi totalità è pagana, eccettuata qualche comunità protestante e la presenza musulmana lungo la costa.

Senza perdersi di coraggio, essi incominciano a lavorare con semplicità, soprattutto con i bambini, dando loro la possibilità di una certa alfabetizzazione rudimentale e di un primo contatto con la dottrina cristiana attravero le semplici domande del catechismo.

Negli anni successivi arrivano altri missionari e quindi si apre tutta un'attività di costruzione di scuole e di centri missionari con le rispettive chiese, internati, piccoli ospedali, officine e piantagioni. La missione, a poco a poco, diventa il centro della regione e dell'attenzione della popolazione. Nell'arco di quindici anni sorgono così dodici nuove missioni, con tutto l'insieme di opere varie e con molte succursali di scuole e catechesi sparse nella "brousse".

Oltre questo aspetto sociale, c'è sempre la finalità di fondo, propria del missionario, mandato ad annunciare il Regno di Dio. Quasi all'inizio, si organizza una scuola specializzata per formare giovani catechisti. Questi catechisti, dopo un corso di due anni, si inseriscono nelle varie comunità dove svolgono la loro attività catechistica.

In un primo tempo erano giovani non sposati: in seguito si è vista l'opportunità di organizzare corsi per gente più matura e quindi è tutta la famiglia che va al centro per specializzarsi, sempre per un periodo di due anni. Le comunità cristiane aumentano e così tutto il movimento catecumenale. Il missionario si vede quasi sopraffatto da un'attività immensa.

Nel frattempo va maturando l'idea di preparare già all'autonomia questa chiesa che nasce, dandole la possibilità di un clero proprio. Nel 1960, i Dehoniani aprono un proprio seminario per aspiranti alla vita religiosa e, poco dopo, anche il Vescovo inaugura il seminario diocesano. È un bel gruppo di giovani che, nello studio e nel difficile cammino della formazione, si prepara alla vita religiosa e sacerdotale. Le speranze sono grandi.

Verso gli anni '70, lo spirito del Vaticano II apre a una nuova visione di Chiesa e di presenze missionarie. È un momento opportuno di riflessione, di conversione e di revisione dei propri metodi pastorali, dando inizio ad una "nuova" presenza e a "nuove" attività.

È la riscoperta della Chiesa come "popolo di Dio" e della comunità cristiana come "comunità-famiglia". In questa realtà ecclesiale si apre il campo a una svariata fioritura di ministeri laicali che danno slancio, giovinezza e autonomia alla comunità e alla Chiesa: "La Chiesa è nostra", dicono!

Però, accanto a questo cammino ecclesiale di grandi speranze, si sviluppa la guerriglia fra il Fronte di liberazione del Mozambico (il Frelimo) e il governo coloniale del Portogallo. La Chiesa viene a trovarsi in una posizione molto difficile: da una parte, il potere coloniale che vuole strumentalizzarla a suo favore; dall'altra, la solidarietà dei missionari con il popolo mozambicano che reclama i suoi diritti di identità, e quindi di indipendenza.

In questa situazione delicata, vari missionari dehoniani sono oggetto di sospetti da parte delle forze coloniali e minacciati di prigione e di espulsione.

Nel 1972, di fronte ad una eventuale uscita in blocco dal Mozambico, come segno di protesta contro un potere coloniale ingiusto, aiutati dalla presenza del Superiore Generale, i missionari dehoniani arrivano ad un consenso di permanenza accanto al popolo che soffre.

Ma la storia ha il suo cammino. Ed ecco il tanto sospirato giorno dell'indipendenza: 25 giugno 1975!

La gioia del popolo è indescrivibile. I missionari partecipano con l'entusiasmo e la soddisfazione del padre che vede i propri figli intraprendere con maturità il cammino della vita.

In questo momento storico, i missionari dehoniani (circa 50) sono nel pieno della loro attività: tutti i centri di missione con buona presenza di personale, comunità cristiane della "brousse" in una grande vivacità di vita ecclesiale, le case di formazione per la vita religiosa e sacerdotale ricolme di giovani, scuole di arti e mestieri ben attrezzate e in pieno sviluppo, il catechistato per la formazione dei catechisti ben strutturato. Tutto faceva presagire il meglio!

L'indipendenza del Mozambico avviene con un partito unico al potere: il Frelimo. È un partito di ispirazione marxista-leninista e totalmente maneggiato dall'Unione Sovietica, dalla Germania dell'Est e da altre potenze comuniste.

Un mese dopo l'indipendenza è decretata la nazionalizzazione delle scuole, degli ospedali.

Tutti i centri missionari passano in mano al governo. Le chiese vengono ridotte a magazzini o a sale di teatro e danze, i seminari diventano scuole pubbliche e i seminaristi semplici alunni, con la proibizione di optare per il sacerdozio; anche le residenze del personale missionario vengono requisite ed assegnate ai nuovi direttori di partito o di attività professionali.

Quasi improvvisamente, quindi, i missionari si trovano senza chiese, senza scuole, senza centri sanitari, senza il seminario, senza i catechisti, senza piantagioni, senza case dove abitare, senza libertà di spostamento per visitare le comunità cristiane e con mille sospetti addosso; visti come reazionari dell'ideologia e propagatori di superstizioni che impediscono la vera "crescita dell'uomo". È un colpo duro, violento! Sembra la fine di tutto! Ormai c'è quanto basterebbe per "scuotere la polvere dai piedi" ed andarsene altrove.

Però i missionari hanno capito che non era il popolo che non li voleva, ma solo i capi politici imbevuti di ideologia marxista, e quindi, per amore di questo popolo, decidono in blocco di rimanere.

Privi di tutto, ma con grande fede e umiltà, costruiscono delle capanne per abitazione e così vivono evangelicamente la loro solidarietà con il popolo. In tante maniere portano avanti l'attività apostolica, suscitando e animando le piccole comunità ministeriali, difendendole dagli assalti dell'ideologia del partito. Di nuovo, insulti e minacce di prigione e di espulsione. Ma la grazia di Dio dà sempre nuova forza!

Il totalitarismo politico in tutti i settori della vita sociale provoca nel popolo malessere e reazione; nasce così la guerra civile. Il nuovo movimento è denominato Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana).

La guerra dura 16 anni. È la distruzione totale. In questa nuova situazione, veramente drammatica, i missionari dehoniani decidono ancora una volta di rimanere al loro posto in segno di solidarietà con il popolo, "profeti dell'amore e servitori della riconciliazione" come dice la loro Regola di Vita.

Alcuni di loro (tra i quali il sottoscritto) sono fatti prigionieri, obbligati a vivere nelle basi dei guerriglieri e seguirli a piedi, per centinaia e centinaia di chilometri, con fame e sete, e l'incertezza per il futuro. Altri, per evitare continue aggressioni, sono costretti ad abbandonare i loro posti nella "brousse" e ritirarsi in centri più sicuri.

Molte stazioni missionarie sono completamente distrutte dalle forze governative o dai guerriglieri. Le piccole comunità cristiane, pur in mezzo a tanta tragedia, cercano di sopravvivere, sorrette dalla fede in quel Dio che è sempre Padre.

Finalmente il 4 ottobre '92 la guerra finisce e ritorna la libertà.

Un poco alla volta riprendo

no le antiche missioni, ma con criteri e metodi più rispondenti alla situazione attuale. Siamo infatti molto impegnati nel campo della formazione, sia per gli aspiranti alla vita religiosa, sia per il clero diocesano. È stata riattivata la scuola di arti e mestieri, assieme ad altri piccoli progetti per dare più ampio spazio al "sociale", molto presente negli anni passati e così tipico per il nostro carisma!... Molto importante, nel quadro del nostro programma pastorale, è anche la formazione degli animatori dei vari ministeri laicali che operano nelle nostre comunità cristiane.

Attualmente la nuova Provincia MZ risulta costituita da 61 religiosi, distribuiti in 12 comunità. Sono presenti anche un padre e due scolastici della Provincia portoghese.

L'impegno per inculturare il carisma dehoniano è stato visto dai nostri missionari come elemento qualificante della stessa plantatio ecclesiae. Questo impegno, ha sottolineato il Superiore Generale, ha fatto sì che "la nuova Provincia si presenti con il volto realmente mozambicano, per la presenza di 22 religiosi autoctoni, cioè: 1 vescovo, 4 padri, 17 scolastici, 3 novizi e 2 postulanti" (lett. del 14.03.98).

Il numero sembra abbastanza elevato; ma rimangono sempre vere e attuali le parole del Signore Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Lc 10,2).

Dunque c'è sempre posto per tutti e, in modo particolare, per i mozambicani, perché anche per loro è arrivato il tempo di "essere missionari di se stessi", come diceva il papa Paolo VI durante la sua visita in Uganda, riferendosi all'impegno missionario degli stessi africani. È per questo che attualmente la nostra principale priorità è la formazione dei futuri religiosi e sacerdoti mozambicani.

Nel 1994 il territorio affidato ai dehoniani è stato eretto a diocesi. È un risultato di tutto il lavoro missionario di questi cinquant'anni. È una consolazione, ma anche un impegno.

Per la fede in una pace duratura e nell'avvento del Regno di Dio, ci sentiamo sempre "profeti dell'amore e servitori della riconciliazione".