vita della congregazione

p. Antonio Vincenzo Gallo nel centenario della nascita

- Decreto sulle virtù eroiche -

Congregazione per le Cause dei Santi

Nel 1993 il p. Generale Virginio Bressanelli scriveva: "Ho accettato molto volentieri di presentare... la bella e cara figura del servo di Dio p. Antonio Gallo, ardente apostolo del Cuore di Gesù. Non ho avuto la fortuna di conoscerlo da vicino. Mi ha però colpito tanto l'affermazione del primo promotore per la causa della sua beatificazione, il gesuita p. Ledrus, professore di spiritualità alla PUG, quando scrive: 'Il p. Gallo ha vissuto in grado eroico, e più di ogni altro, l'ideale di amore e di riparazione che il p. Dehon ha lasciato come carisma distintivo ai Sacerdoti del S. Cuore'. Di qui l'interesse che abbiamo tutti noi Dehoniani di diffondere la conoscenza di questo santo sacerdote. Egli infatti... resta un luminoso esempio per quanti si sentono chiamati a vivere il Vangelo alla luce del carisma di p. Dehon" (da "Un Santo in mezzo a noi", Roma 1993, p. 3).

Per questo, il modo migliore per commemorare il primo centenario della sua nascita (1899 - 11 gennaio - 1999) ci è parso quello di offrire il testo quasi integrale (ma non molto conosciuto) del decreto col quale la S. Sede ha dichiarato l'eroicità delle sue virtù. Risale al 9 aprile 1990 (N.d.R.).

Sacerdos et Hostia! Da questa sublime vocazione fu segnata la breve e intensa vita del Servo di Dio Antonio Vincenzo Gallo, Sacerdote diocesano e oblato della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù.

Profondamente penetrato dal carisma di amore, oblazione e riparazione trasmesso dal Servo di Dio p. Giovanni Leone Dehon, fondatore della medesima Congregazione nella quale il giovane Vincenzo fu educato prendendo il nome di Antonio, egli trasformò in modo mirabile l'intera sua esistenza in un dono generoso a Dio e alle anime. In lui, vero oblato del S. Cuore, si è compiuto l'alto programma di santità che il suo Fondatore aveva tracciato: "I doni che nostro Signore attende da noi sono un cuore per amare, un corpo per soffrire, una volontà per sacrificarla" (Dirett. Spir., I, § 1).

Nato a Monteforte Irpino (Avellino) l'11 gennaio 1899, il Servo di Dio venne battezzato il giorno stesso col nome di Vincenzo. Dai genitori ereditò una fede semplice e profonda che lo distinse, fin dalla sua prima giovinezza, per una viva inclinazione alla preghiera e alle celebrazioni religiose. Ben presto la croce, che sarebbe stata sua preziosa ed austera compagna lungo tutto il cammino della vita, interviene a guidare le sue vicende; infatti a 10 anni rimane orfano di padre, e le ristrettezze di cui soffre la numerosa famiglia l'obbligano ad entrare in un orfanotrofio. Vincenzo però aveva sentito fiorire nell'animo una forte attrattiva al sacerdozio. A 13 anni, nell'ottobre del 1912, entrò nella Scuola Apostolica dei Sacerdoti del S. Cuore di Albino (Bergamo). Da allora non ebbe altro desiderio che diventare sacerdote e, come ardentemente bramava, in quella Congregazione che l'aveva maternamente accolto. A causa della prima guerra mondiale dovette interrompere gli studi per il servizio militare, durante il quale diede esempio di integrità morale e di fervido amore all'Eucaristia. Libero finalmente di proseguire verso la meta desiderata, compiuto il noviziato ad Albisola Superiore (Savona), emise la prima professione religiosa il 29 gennaio 1921 e la professione perpetua il 16 ottobre 1924, lasciando ovunque il ricordo di un giovane umile, osservante della regola, sempre pronto al servizio verso i confratelli.

Durante il corso teologico, a Bologna, una grave malattia, che chiarissimi professori diagnosticarono come l'inguaribile morbo di Thomsen, colpì il Servo di Dio con dolori tanto acerbi da far dire a un medico curante che egli sarebbe stato "martire della sofferenza". E un vero martirio, intimo e non soltanto esteriore, cominciò allora per lui. Nel mese di luglio del 1927 fu rinviato in famiglia, nella speranza che potesse migliorare alquanto. Nel mese di settembre dello stesso anno i superiori gli diedero la gioia di un pellegrinaggio alla Grotta di Lourdes, dove attinse, come dirà, "molto conforto, molta luce e rassegnazione dalla Madonna".

Perduta anche la mamma il 7 novembre 1928, il giovane religioso dovette subire la dura incomprensione d'un suo fratello, dando prova di eroica pazienza e carità.

E soprattutto s'aggiunse che i suoi superiori, perdurando inesorabilmente la malattia, lo esortarono con insistenza a chiedere la dispensa dai voti, nella fiducia che, libero dalle esigenze della vita comunitaria, potesse almeno raggiungere la meta del sacerdozio da lui così vivamente desiderata.

Fu la prova più dolorosa! Con infinita tristezza e persino nell'acuto timore di tradire la propria vocazione, il Servo di Dio sottoscrisse piangendo il rescritto della dispensa quasi "la propria condanna". Accolto benevolmente dal suo Vescovo di Avellino, con l'appoggio di p. Philippe, Superiore Generale della sua amata Congregazione, fu ordinato sacerdote il 14 dicembre 1930.

Ma le sue condizioni in famiglia peggioravano. P. Philippe lo invitò dunque a tornare in comunità come "Oblato", prestando il suo ministero alla parrocchia romana di Cristo Re. Vi andò il 16 marzo 1931, col cuore pieno di gioia e dando subito prova di una instancabile dedizione. Rimane ancor viva la memoria della sua umilissima ma zelante donazione a tutti i fedeli: nell'assistenza assidua al confessionale, nella premura per i malati e specialmente per i moribondi, nell'attenta formazione di un folto gruppo di chierichetti che preparò con amore al servizio liturgico, educandoli alla pietà e alla vita cristiana. Dimentico di sé e nascondendo le sofferenze del corpo malato, il Servo di Dio andò consumando le sue energie fino all'ultimo, lieto di sentirsi sacerdote, umile e buono per tutti, soprattutto piccolo con i piccoli.

Il 2 maggio 1934, colpito da meningite e trasportato a una clinica romana, donò serenamente l'anima a Dio. L'ammirazione della popolazione si manifestò, in modo sorprendente, ai suoi funerali, con l'universale rimpianto per la scomparsa del "sacerdote santo".

Infatti benché il Servo di Dio abbia vissuto una vita tutta "nascosta con Cristo in Dio" (Col. 3,3) nella umile considerazione di sé, il profumo delle sue virtù si diffondeva intorno a lui. Scarsamente dotato da natura nelle qualità fisiche e intellettuali, egli seppe costruire l'edificio d'una autentica santità sopra il solido fondamento delle virtù teologali praticate fino all'eroismo. La fede fu la sua guida costante nell'ardore e nella coraggiosa perseveranza che l'accompagnarono sul cammino del sacerdozio, desiderato e stimato Al di sopra di ogni cosa. La fede accendeva nel suo animo un vivo amore per l'Eucaristia e per la Vergine santissima.

La devozione al S. Cuore di Gesù, caratteristica della Congregazione nella quale ebbe almeno la gioia di morire come "Oblato", l'aiuterà a dominare il temperamento focoso fino ad apparire a tutti un esempio di umiltà e di mitezza. E di questa devozione si farà apostolo nella parrocchia di Cristo Re, in Roma, promovendo la consacrazione di numerose famiglie al S. Cuore.

La fede soprattutto lo renderà capace della più dolorosa rinuncia: accettare la volontà dei suoi superiori, abbandonando la diletta Congregazione ed esponendosi alla insicurezza del futuro: "In mezzo a tante tribolazioni - scriveva - alzo lo sguardo al cielo, implorando pace al mio povero cuore e perché su di me si compia la divina volontà". Povero di tutto, riponeva la sua fiducia in Dio: "Mi stringo al mio Dio, a quel Dio, che è morto in croce". La sua carità, anziché raffreddarsi, si accresce nella prova.

Viveva intensamente la sua vera vocazione di "Oblato del S. Cuore", dalla quale nessuno avrebbe mai potuto allontanarlo.

Di lui si deporrà: "Ha saputo realizzare, nella sua vita, l'ideale della vocazione dei Sacerdoti del S. Cuore, lo spirito d'amore e di immolazione per la maggior gloria del S. Cuore e per la salvezza delle anime". Nella fragilità del suo corpo nascose l'anima forte del grande innamorato di Dio e delle anime.

Aveva scritto: "Ti ringrazio sommamente, o Gesù, d'avermi posto in una situazione privilegiata di vittima: ora non mi rimane altro che una vita di lacrime e di sofferenze nell'anima e nel corpo, in espiazione dei miei peccati". E ancora: "Se divento sacerdote, spero di poter capire le anime, perché ho sofferto nella mia vita... In paradiso non si va senza sofferenza".

In soli tre anni, dal 1931 al 1934, il suo zelo sacerdotale lasciò una impronta indelebile. "La virtù che rifulgeva in lui in sommo grado era l'amore di Dio e del prossimo; ardeva di zelo per la salvezza delle anime". Una carità che informava tutte le sue azioni.

Benché riaccolto nella sua amata Congregazione soltanto in veste di umile Oblato, egli praticò fedelmente, con somma edificazione di tutti, i consigli evangelici, vivendo la più assoluta povertà, una castità angelica, un'obbedienza filiale ai suoi superiori, i quali, tardivamente, colpiti da tali esempi di santità, dovettero rimpiangere d'aver favorito, un giorno, il suo allontanamento dalla Congregazione.

Fedele imitatore della vita di Cristo, che fu "tutta croce e martirio" (Imit. Chr., L. II, c. 12,7), egli fu ben definito "apostolo lieto della sofferenza" per l'eroica fortezza con la quale sapeva illuminare di serenità e di speranza ogni suo segreto patire.

La fama della sua santità sollecitò l'istruzione del processo informativo diocesano presso il Vicariato di Roma (tenuto dal 10 aprile del 1953 al 18 aprile 1956), seguito dal processo apostolico (dal 29 dicembre del 1966 al 4 aprile 1973). Tre processi rogatoriali raccolsero le deposizioni di testi a Buenos Aires (1956), a Haford e Brooklyn, negli Stati Uniti (1955 e 1956). Il congresso peculiare sulle virtù, tenutosi il 3 novembre 1989 presso la Congregazione per le cause dei Santi, sotto la presidenza del promotore della fede, il Rev.mo Antonio Petti, ebbe esito pienamente favorevole.

I Padri Cardinali e i Vescovi riuniti nella congregazione ordinaria del 3 aprile 1990... riconobbero che il Servo di Dio Antonio Vincenzo Gallo ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali e annesse.

Infine... il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II... chiamati presso di sé i Cardinali, il sottoscritto Prefetto, il Ponente la Causa e le altre persone che solitamente vengono convocate, alla loro presenza dichiarò solennemente: Constare delle virtù teologali Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo, parimenti delle virtù cardinali Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e quelle annesse IN GRADO EROICO del Servo di Dio ANTONIO VINCENZO GALLO, Sacerdote diocesano, Oblato della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù, nel caso e negli effetti di cui si tratta.

Dato a Roma, 9 aprile, Anno del Signore 1990.

ANGELO Card. FELICI
Prefetto

NOWAK EDOARDO, Arc. Tit. di Luni
Segretario