VITA DELLA CONGREGAZIONE

L'INCONTRO INTERNAZIONALE DEI FORMATORI

Francesco Mazzotta, scj

Dal 10 al 21 maggio scorso si è tenuto a Roma l'incontro generale dei formatori. Vi hanno partecipato circa quaranta dei nostri confratelli incaricati, a vario titolo, della formazione in Congregazione.

Obiettivo generale dell'incontro era di riaffermare la priorità della formazione in tutta la Congregazione, mentre si chiedeva: 1) di completare la Ratio Formationis Generalis (RFG) con elementi riguardanti la formazione alla comunione e all'internazionalità; 2) impostare un programma per il postulato; 3) elaborare un piano formativo dei giovani religiosi che si preparano alla professione perpetua; 4) redigere un itinerario pedagogico "dehoniano" da utilizzare nelle nostre attività di pastorale giovanile.

Punto cardine dell'incontro è stata la relazione tenuta da p. Cencini su "La mediazione del formatore".

Egli ha affermato che ci sono quattro elementi fondamentali, in forza dei quali possiamo dire che stiamo dando formazione. Non è scontato, infatti che le semplici strutture organizzative formino i giovani. Perché si dia davvero formazione ci deve essere la compresenza di questi quattro elementi:

1. Un quadro teorico-pratico di riferimento, cioè un modello entro cui siano stabiliti obiettivi e metodi. Bisogna, in questo, stare attenti all'aspetto pratico. Oggi ci sono infatti molte buone regole di vita negli Istituti religiosi, ma molto meno buone ratio formationis. Eppure è importante che si stabilisca bene il programma di formazione, il quale non deve essere semplicemente teorico.

2. Una rete di mediazioni pedagogiche: la persona del formatore che è la mediazione princeps, la comunità educativa, l'ambiente, il contesto storico-culturale.

3. Pluralità convergente di dimensioni e livelli. La formazione è infatti una realtà complessa, costituita da diversi livelli che devono essere presenti (vita di fede, carisma, integrazione fra la dimensione carismatica e quella credente, dimensione umana, la teologia che è chiamata a divenire mediazione formativa; si dà, infatti, uno scarto molto grosso tra la teologia, che oggi viene offerta nei nostri studi teologici, e quella che poi di fatto diviene mediazione formativa).

4. I tre dinamismi pedagogici:

a) educare;

b) formare;

c) accompagnare.

Si fa formazione soltanto se sono posti in atto questi quattro elementi.

La mediazione del formatore

Quella del formatore è soltanto una mediazione, giacché l'unico formatore in senso proprio è la ss. Trinità: del Padre che evoca dal nulla del caos il cosmos della creazione, del Figlio che plasma nel credente i suoi sentimenti e dello Spirito santo che accompagna il credente nel suo iter formativo.

Che il formatore sia mediatore significa allora che egli deve acquistare la consapevolezza che nel suo servizio è chiamato a far da mediatore all'unico formatore che è la Trinità. In tal modo, nessuno potrà mai ritenersi davvero capace di fare il formatore. Il formatore è infatti sempre uno strumento inutile e limitato, giacché la limitatezza è insita al concetto stesso di mediazione. Il concetto di perfezione nel ruolo formativo è semplicemente pericoloso.

Se il formatore è mediatore dell'unico divino Formatore, formazione, vista dalla parte di colui che è chiamato a formarsi, significa affidarsi nelle mani di un altro per fare un cammino graduale che conduce verso Dio.

È molto importante che il formatore chiarisca il più presto possibile il suo ruolo con il candidato, perché, nella chiarezza e trasparenza, la relazione formativa possa procedere su un piano proficuo.

Il formatore/mediatore non è un teorico che lavora in foro interno, proprio del direttore spirituale. Il formatore, infatti, nella logica della tradizione religiosa, è un "coltivatore diretto", un contadino che lavora il terreno. Egli è chiamato a proporsi al candidato con una presenza che si attua secondo questi tre verbi:

a) educare;

b) formare;

c) accompagnare.

Il tutto sempre nella coscienza di essere mediatore dell'unico divino Formatore: la Trinità.

I tre dinamismi della formazione

a) Educare - dalla sincerità alla verità

E-ducare significa tirare fuori, evocare, far venire fuori la verità dell'io, del soggetto. Senza far venire fuori la verità del candidato, non si può dare formazione. Nell'ambito formativo, si deve aiutare il candidato a far venire fuori la verità di sé, lo si deve aiutare a penetrare dentro di sé, fino a farlo arrivare alla radice di sé.

Modello o icona di questo dinamismo è il Padre che e-voca il cosmos della creazione dal nulla del caos. Il candidato deve essere, dunque, aiutato a uscire fuori dalla sua confusione. Solo in quel momento inizierà a esistere. Questi deve essere aiutato a capire il perché profondo di certi suoi sentimenti, di certi suoi modi di sentire ecc. Altrimenti la persona rimane distante da se stessa.

Un'altra icona di questo dinamismo è sempre quella del Padre che educa il suo popolo, facendolo uscire dalla schiavitù dell'Egitto e nel deserto gli svela la verità di se stesso ("La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" Os 2,16).

La mediazione educativa comporta una serie di dinamiche:

- L'educatore deve conoscere se stesso, per potere aiutare altri. Egli deve avere fatto la verità di sé ed essere passato dalla fase della sincerità (che è soggettiva ed è la fase in cui uno esprime quello che sente), alla fase della verità (che è oggettiva e che implica la conoscenza del perché profondo di certe reazioni e sentimenti). Deve conoscere soprattutto le aree meno forti e meno libere della propria personalità;

- L'educatore deve essere in grado di discernere nell'altro la presenza di conflitti e di immaturità. Non può accontentarsi di osservare i comportamenti esteriori. L'educazione, nel senso della conoscenza dell'altro, dovrebbe passare per 5 gradini:

1. comportamenti esterni osservabili;

2. atteggiamenti (stili di azione, predisposizione a rispondere in un certo modo);

3. i sentimenti, le vibrazioni interiori che spingono a reagire (scopo, infatti della vita religiosa è quello di formare in noi i sentimenti del Figlio);

4. le motivazioni, i perché di fondo che spingono ad agire in un certo modo;

5. l'equivoco di fondo, cioè la componente pagana che rischia di contaminare il fine delle azioni e dell'opzione vocazionale di fondo. Nel voler farsi religioso, infatti, uno vuole davvero seguire Cristo più da vicino, ma senza rendersene conto può, al contempo, cercare un ideale di vita che lo porterà ad affermarsi davanti agli altri. Uno può cercare, in parole povere, il regno di Dio e, al contempo, il regno suo. In questo non c'è cattiveria o patologia alcuna. Se, però, questo dinamismo non viene riconosciuto, crea guai e diventa prepotente in noi. Ciò che ignoriamo, infatti, non lo possiamo controllare e tende a diventare sempre più esigente e prepotente in noi. L'educatore deve porsi accanto al candidato perché ciò non avvenga.

L'educazione è tipica del postulato. Educatore non è soltanto chi sa applicare un metodo, ma colui che sa porre il candidato nella condizione di poter fare da solo, di accorgersi ogni giorno quanto il suo equivoco di fondo lo spinge ad agire in certi modi. Occorre che l'educatore sappia dare una metodologia formativa al candidato.

All'educatore si chiede, poi, la capacità di saper porre il candidato nella condizione di saper risolvere le difficoltà, assumendo di fronte a esse un atteggiamento libero e adulto, meno dipendente dalla sua immaturità. Questo deve essere un cammino progressivo, in cui il candidato imparerà a pregare e a vivere in società.

b) Formare: dalla verità alla libertà

Formare vuol dire proporre una forma, intesa nel senso più pieno e filosofico del termine: forma come io ideale. Questo io ideale, per un Istituto religioso, non è altro che il suo carisma. La forma che si intende proporre, infatti, è contenuta nel carisma, il quale abbraccia tutta la vita. Questo è la forma che il candidato è chiamato progressivamente ad assumere.

Educare non basta ma si deve proporre la verità oggettiva ideale, che va identificata nel carisma, che è la forma che diventa norma.

Nell'educazione si lavora sull'io attuale, nella formazione si lavora sull'io ideale, su quello che la persona è chiamato a diventare. Il carisma è la forma che devo assumere, è il nome che Dio mi ha dato e deve estendersi a tutta la mia umanità. Bisogna aiutare il candidato a capire che poi a questa forma si deve obbedienza, perché questa riguarda il progetto che Dio ha su di lui.

Se l'educare è e-vocare, il formare è un pro-vocare, un chiamare qualcuno ad andare al di la di sé. Un autentico cammino formativo, allora, non può non essere un cammino faticoso, di croce e di conversione. Formare, infatti, significa porre dinanzi al candidato qualcosa che va al di là delle sue capacità, qualcosa che spontaneamente egli non avrebbe mai scelto. Dovrà, allora, verificarsi un cambiamento in lui e questo sarà doloroso. Questo aspetto del percorso oggi è un po' taciuto e si tende in genere a mitigarne la durezza.

Nel processo formativo si è chiamati a interiorizzare il carisma, ma ciò non può avvenire, se non si è disposti a far morire una parte di sé. Le rinunce vanno dunque chieste al candidato, ma vanno sempre motivate, lasciandogli intravedere lo spazio di libertà a cui queste lo aprono.

Il formare pare essere attività precipua del Figlio. Questo perché lo scopo della vita consacrata è quello di avere in sé i sentimenti del Figlio. Il formatore è chiamato a essere, allora, mediatore del divino Formatore, che è Cristo Gesù. L'azione del formatore umano deve saper far fare al candidato questo duplice percorso:

a) L'oggettivazione: il formatore propone il carisma come forma per il candidato, nella misura in cui egli è capace di presentare la verità, la bellezza e la bontà dell'oggetto ideale, che è dato dalla forma del carisma e che è nascosta nei sentimenti di Cristo. Il formatore deve essere in grado di presentare non solo in modo oggettivo questo ideale, ma in modo anche che ne rifulga tutta la bellezza. Deve sapere svelare il proprio innamoramento per Gesù Cristo. In questo non può fingere, ma deve essere davvero innamorato, per proporre agli altri qualcosa di appagante. Non può, dunque, essere formatore un consumatore occulto di prodotti alternativi a quellio che propone, anche solo nel desiderio. Non può essere formatore, però, neppure uno che non sia capace di condividere la felicità di appartenere a Dio, come anche uno che sia impermeabile alla gioia, per quanto pio e asceta possa essere.

b) Soggettivazione, cioè il contagio in azione. Tale contagio avviene soltanto quando si riesce a trasmettere l'ideale in modo che possa colpire il cuore, la mente e la volontà del candidato.

La formazione si ha soltanto se si sa trasmettere la verità dell'ideale che si vuole proporre in modo da colpire la mente del candidato, la sua bellezza, in modo da colpire il cuore del candidato, la sua bontà, in modo da colpire la volontà del candidato. Ma è soltanto presentando la totalità oggettiva che si può smuovere la totalità soggettiva e non semplicemente una parte di essa. Ed è soltanto un soggetto che accetta di porre in gioco la totalità delle sue dimensioni soggettive che può scoprire la totale realtà dell'oggetto ideale.

Quando si crea una buona corrispondenza tra verità e intelletto si può arrivare alla contemplazione; tra bellezza e cuore, si può arrivare all'innamoramento, che è il massimo grado dell'attività cardiaca; tra bontà e volontà, si può arrivare fino al martirio, estremizzazione dell'attività volitiva di sequela della bontà. Perché ciò si realizzai davvero, però, occorre sempre una costante compresenza di tutti gli elementi posti in gioco, dato che, ad esempio, l'innamoramento non può essere soltanto frutto dell'attività cardiaca, sconnessa da tutto il resto della persona.

È importante che nel cammino formativo non si miri a moltiplicare le esperienze, ma piuttosto a creare le disposizioni interne, perché si innestino questi tipi di dinamiche formative appena descritte. Il proprio della formazione è far passare il soggetto dalla verità di sé e della realtà che lo circonda alla libertà. Questa fase della formazione potrebbe essere tipica del periodo di noviziato.

C) Accompagnare

Il formatore è un fratello maggiore nella fede e nel discepolato che si pone accanto al formando, come vicino a un fratello minore, per condividere con lui una parte della sua strada, affinché scopra il disegno che Dio stesso ha tracciato per lui e lo possa seguire in piena libertà e responsabilità. Il formatore, così, non è necessariamente un amico, ma è un compagno che è chiamato a condividere con il fratello l'elemento nutritivo essenziale del cammino comune, che è il pane della fede, della realtà di Dio, del carisma religioso.

Le condizioni perché ciò possa avvenire sono:

1. reale e fisica condivisione di vita (il formatore è colui che vive insieme al formando, anche perché la convivenza è la fonte migliore di informazioni che permettono di conoscere gli individui);

2. le competenze di cui il formatore deve disporre, per svolgere il suo ruolo di mediatore;

3. la capacità di condividere.

L'accompagnare è proprio dello Spirito santo, che è il Consolatore, l'ospite dolce dell'anima.

L'accompagnamento può essere tipico della fase di formazione del post-noviziato.

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Questa relazione ha fornito un ampio spunto per la discussione. Alla fine, un gruppo di padri, guidato da p. Wilson Jönck, ha potuto redigere degli abbozzi di programma per le varie fasi formative, che sono stati discussi in aula e meritano un'ulteriore studio e definizione. L'internazionalità e la comunione nella formazione è stata vista positivamente da tutti i convenuti.

A conclusione dell'incontro, il p. Generale ha espresso soddisfazione per la modalità con cui l'incontro stesso è stato portato avanti. Ha affermato che in esso si è avviato un processo che non può essere misurato e valutato semplicemente da quanto è stato prodotto. Il processo che si è avviato porterà frutti solo più tardi.

Nell'incontro si è data grande importanza al postulato, perché il Governo generale è convinto che il postulato gioca un'importanza fondamentale nell'ambito formativo. In questa tappa si gioca quasi il 50% di tutta la riuscita formativa, giacché nel postulato la persona arriva carica di idealità e di motivazioni. È il momento più adatto, allora, per arrivare a toccare il cuore della persona. Quando certe problematiche non vengono affrontate e risolte nel postulato, gli strascichi si avvertiranno per tutta la vita.

Il p. Generale ha ringraziato, infine, tutti i formatori presenti e ha ricordato che svolgono un ruolo importantissimo in Congregazione. Ha auspicato che gli incontri internazionali tra i formatori possano essere sempre più frequenti, almeno tra i formatori appartenenti a una stessa area geografica.