UN APOSTOLO DEI TEMPI MODERNI:

LEONE DEHON

Il 14 marzo 1843 nasceva, a La Capelle, Leone Dehon. Il re Luigi-Filippo regnava da 13 anni, cioè da quando la borghesia liberale l'aveva messo sul trono, appropriandosi dei frutti della rivoluzione popolare del 1830.

Veniva chiamato il "re borghese" e lo meritava proprio. Aveva affidato il governo della Francia a Francesco Guizot, un grande borghese, convinto che "le responsabilità politiche devono essere affidate alle élite".

Da qui il regime elettorale restava nelle mani dei possidenti. La sua politica favorisce i ricchi, i capitalisti, gli interessi privati. "Consolidate le istituzioni e arricchitevi!" era la parola d'ordine che indirizzava alla borghese Assemblea dei Deputati.

L'era Guizot rappresenta il decollo dell'industrializzazione, con gli altiforni a carbone, la modernizzazione del settore tessile, la macchina a vapore, la creazione della rete ferroviaria e il moltiplicarsi delle banche di credito.

Il rovescio della medaglia è il pauperismo. I senza casa sono ovunque. La malattia e le epidemie colpiscono le città industriali come Lilla, Rouen, S. Quintino.

Sono recensiti un milione di bambini abbandonati. Il 44% dei decessi sono di bambini al di sotto dei 5 anni. Nelle grandi città il 35% della popolazione è rappresentata da indigenti.

I bambini lavorano già dagli 8 anni nelle miniere e nelle filande per 12-15 ore al giorno: il 39% dei giovani ventenni sono totalmente analfabeti. Le rivolte popolari sono frequenti e represse con crudeltà.

Quando P. Dehon arriva a S. Quintino, nel 1871, può scrivere con piena verità: "È cosa certa che la società è marcia e tutte le rivendicazioni degli operai hanno un fondamento legittimo".

Grandi correnti ideologiche si affrontano. Gli aristocratici rimpiangono il prestigio e i privilegi del passato. I liberali seguono Guizot e si arricchiscono. I democratici combattono per la libertà, l'uguaglianza, la laicità. Alcuni sono socialisti: sognano di vivere e lavorare in modo diverso. Così nascono i "phalanstères" e i "familistères" di Godin a Guisa, tra S. Quintino e La Capelle.

Proudhon combatte la proprietà privata e vede nel lavoro l'unico capitale. Marx chiama il proletariato a costruire un mondo senza classi e senza Stato… La Chiesa è "presente" nel popolino con una moltitudine di "buone opere". Ma essa non sa cogliere la sfida del mondo operaio, dell'urbanesimo, delle tecniche, nonostante uomini come Lamennais, Ozanam, Lacor-daire, Montalembert… La Chiesa si logora nella difesa della "contro-rivoluzione" e incarna spesso il passato.

È dunque in questo contesto che il 14 marzo 1843, a La Capelle, piccolo borgo della Thiérache, nasce, in una famiglia agiata della borghesia rurale, Leone Dehon.

Suo padre Alexandre Dehon gli trasmette il gusto della terra e la sua passione per la cultura e gli animali: "Mio padre mi trovava sempre pronto ad accompagnarlo nelle sue proprietà e perfino a fare qualche passeggiata a cavallo"…

Sua madre Fanny Dehon-Vandelet fu, per il p. Dehon, "il più grande dono di Dio". È lei che trasmette al figlio l'amore della liturgia e del Sacro Cuore. Egli l'accompagnava spesso nella vecchia chiesa di La Capelle.

Nel 1855 Leone va al Collegio di Hazebrouck perché "suo padre ha delle ambizioni per il figlio". Nel 1856, a Natale, Leone decide di rispondere alla chiamata al sacerdozio. Suo padre è reticente e manda il figlio a Parigi perché si prepari ad una carriera di giurista.

Leone obbedisce. A Parigi scopre il mondo intellettuale ma anche la miseria del popolo e i limiti dell'azione caritativa: "I diseredati hanno diritto anzitutto alla giustizia sociale", scrive.

Nel 1864 Leone diventa dottore in diritto. Poiché persiste nella sua vocazione, suo padre lo manda a viaggiare attraverso l'Europa e il Medio Oriente.

Nel 1865 entra infine nel seminario francese di Roma! Tre anni più tardi, nel 1868, diventa prete. Nel 1869 lo ritroviamo stenografo al concilio Vaticano I. Supera brillantemente i suoi dottorati in diritto canonico, filosofia e teologia.

Nel 1871, di ritorno dall'Aisne, è nominato… settimo vicario della basilica di S. Quintino. Non importa quest'umile nomina: egli mette tutto l'ardore della sua giovinezza e del suo sacerdozio, tutte le competenze e conoscenze a servizio dell'annuncio del Vangelo.

È colpito dalla miseria che scopre e per il solco che separa la Chiesa dal popolo. Predica dei ritiri nel corso dei quali interpella il clero:

"Voi preti, andate al popolo. Dei laici pii gemeranno per la vostra temerarietà. Vi guarderanno come utopisti. Tutta questa brava gente non vede con piacere gli indifferenti che ci dicono che la religione è buona per i vecchi, le donne e i bambini. Ma fanno tutto, inconsapevolmente, per far sì che lo si dica. Non concepiscono che il prete esca per un motivo diverso dalla visita ai malati o per accompagnare i funerali e poi si stupiscono che la gente veda i preti come uccelli di malaugurio.

Il prete deve intervenire nei problemi sociali per dovere di giustizia e di carità ma anche per il compimento rigoroso del proprio ministero pastorale. Andate al popolo, andate ai vivi, andate agli uomini e non passerete più per uccelli di malaugurio".

È in questo spirito che egli fonda dei circoli per apprendisti; apre e dirige il collegio S. Giovanni a S. Quintino; partecipa alla riflessione a all'azione degli imprenditori cristiani come il sig. Harmel.

Scrive in innumerevoli riviste sociali, partecipa a dibattiti sociali in tutta la Francia. In questo stesso spirito, preoccupato di circondarsi di apostoli di stampo nuovo coinvolti nei problemi del mondo moderno e ancorato all'Amore di Dio, il P. Dehon fonda, nel 1878, la Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore.

"Il culto del sacro Cuore - dice - non è una semplice devozione. È un vero rinnovamento della vita cristiana. Il regno del Sacro Cuore nella società, è il regno della giustizia, della misericordia, della pietà per i piccoli, per gli umili e per quelli che soffrono. Lo spirito di povertà, di obbedienza, di castità deve essere quello di tutti i miei religiosi perché è quello di Gesù di cui essi si nutrono ogni giorno".

Il P. Dehon si fa propagatore del pensiero del papa Leone XIII specialmente dell'enciclica Rerum Novarum sulla questione sociale. Con le leggi di separazione tra Chiese e Stato, i primi religiosi dehoniani sono dispersi al di là delle frontiere. La Congregazione va così ad impiantarsi in Belgio, nei Paesi Bassi, in Germania…

Parallelamente, rispondendo agli appelli della Chiesa, P. Dehon invia missionari in America Latina e in Africa. La Congregazione si innesta in tutti i continenti.

Uomo di contemplazione, uomo d'azione e di Chiesa, P. Dehon muore a Bruxelles il 12 agosto 1925. Sepolto a S. Quintino, riposa oggi nella chiesa della parrocchia di S. Martino che egli praticamente ha fondato e che oggi è affidata ai Dehoniani.

P. Dehon è la sorgente che lo Spirito ha fecondato e che si è diffusa in una quarantina di paesi del mondo grazie alla Congregazione che egli ha fondato e alle migliaia di laici e di religiosi che fanno riferimento al suo ideale…

L'ideale di p. Dehon è anzitutto una esperienza del Cristo

Una esperienza di fede incentrata sul cuore trafitto del Salvatore "espressione di un amore la cui presenza attiva è sperimentata nella vita".

Il suo messaggio è chiaro e attuale: non si può amare il Dio d'Amore se non nel Figlio presente nell'Eucaristia e nella vita degli uomini, soprattutto dei più poveri, degli operai, degli esclusi.

L'ideale di P. Dehon è poi una fedeltà alla Chiesa

Il papa Leone XIII assume la sfida del mondo del lavoro con la Rerum Novarum. È il combattimento della Chiesa e perciò è quello di p. Dehon.

Roma chiama dei missionari per andare verso nuove terre. Il P. Dehon invia i suoi primi religiosi, anche se ne ha terribilmente bisogno per le sue opere.

La sua Congregazione nascente è invidiata, combattuta. È sospettata, perfino proibita. Egli si sottomette con Cristo in croce per il quale "tutto è compiuto".

In mezzo alle prove, scrive: "Amiamo la Chiesa in se stessa, nel suo capo visibile, nei suoi ministri… veneriamola come nostra madre!" è questa obbedienza vissuta nella fede che permetterà la vera rinascita e la crescita della sua Congregazione.

L'ideale di P. Dehon è infine nel coinvolgimento storico nel mondo

Nello stesso tempo in cui rivendica e agisce per una rinascita spirituale della comunità ecclesiale, p. Dehon insiste sull'urgenza di andare al popolo.

"Questa generazione ci ha cambiato il Cristo… non è più il Cristo dei Poveri, il Cristo che ha esercitato il suo apostolato tra i pescatori e i pubblicani… Il Nostro Cristo che ha ispirato Paolo e Francesco Saverio non parla ora che ai malati e alle donne…

Andate, voi vivi, andate agli uomini, andate verso il popolo!".

P. Dehon sa utilizzare la collaborazione di numerosi laici, preti, religiosi, vescovi… Egli è preoccupato per la formazione a tutti i livelli, per tutti. Crea un giornale. Si batte per delle idee, per un messaggio… "Da un secolo a questa parte abbiamo avuto molte persone pie che pregano come Mosè sul monte. Bisogna aggiungervi degli uomini coraggiosi che combattano nella pianura come Giosuè!".

Come p. Dehon ha seguito Cristo, anche noi dobbiamo far vivere l'ideale che egli ci ha lasciato. Perciò, come lui, anche noi raccogliamo le sfide del nostro tempo.