DOSSIER CENTRALE

RELIGIOSI E LAICI NELLA CHIESA

LAICI E LAICITÀ

NELLA CHIESA E NEL MONDO


Andrea Tessarolo, scj

L’uso della parola “laico”. La parola “laico” deriva dal greco “laòs”, che significa “popolo”. Nella Bibbia, però, il termine “laòs” (popolo) indica abitualmente il “popolo di Dio”, il popolo dell’alleanza; per indicare gli altri popoli usa invece “ethne” (da cui “etnici”), e in latino “gentes” (da cui “gentili” o pagani).

Ma la forma derivata, “laico”, non è presente né nell’AT, dove i fedeli sono designati come “timorati di Dio”, né nel NT, dove invece sono chiamati fedeli, o fratelli, o anche cristiani.

La parola “laico” nella Chiesa compare alla fine del I secolo, nella Lettera di S. Clemente, in un contesto negativo e polemico: indicava coloro che nella Chiesa non avevano il potere di governo, potere riservato ai chierici.

Questa accezione “negativa” diventa comune in seguito. In particolare, il monaco Graziano, grande giurista, scrive (verso il 1000): Duo sunt genera christianorum: ci sono due specie, due categorie di cristiani: i chierici che si occupano delle cose sacre (di chiesa); e i laici, che si occupano delle cose del mondo. Tutta la storia successiva è segnata da questa visione dualistica all’interno della Chiesa, per cui i fedeli laici, pur facendo parte dell’unica chiesa, non possono occuparsi delle cose di chiesa. Il cammino, per giungere a una comprensione più ministeriale di tutta la Chiesa, è stato lungo e difficile.

Si pensi che, ancora nel 1839, il pro-nunzio della S. Sede in Belgio scriveva preoccupato alla Segreteria di Stato: “Siamo disgraziatamente in un,epoca in cui tutti si credono chiamati all’apostolato” (cf. AA.VV., Consigli pastorali, associazioni e gruppi, AVE, Roma l973, 86-87). Sempre nel sec. XIX lo stesso card. Newmann è stato redarguito dalla S. Sede per essersi espresso pubblicamente sul problema della scuola cattolica. E ancora nel 1930 a Silvio Riva e Gesualdo Nosengo venivano negati i sacramenti perché osavano parlare e scrivere di catechesi. Il maestro Silvio Riva negli anni ’70 ci raccontava che a questo fatto egli doveva la sua vocazione al sacerdozio. Per poter parlare e scrivere di catechesi!

Un’inversione di tendenza è iniziata tra molte difficoltà con alcuni movimenti laicali di volontariato, dall’inizio del XIX secolo in poi; dapprima con iniziative di carità e di difesa della Chiesa e del Papa dagli attacchi dei laicisti (le Conferenze di S. Vincenzo, les Oeuvres des Cercles catholiques in Francia, in Italia l’Opera dei Congressi, ecc…), e poi anche con iniziative come l’Azione cattolica, la J.O.C., ecc… iniziative qualificate come “partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico”. L’apostolato infatti era ritenuto prerogativa esclusiva del clero; ai laici poteva essere concessa una certa collaborazione, ma come “per delega” e come partecipazione a un compito ritenuto proprio della gerarchia.

Diversi teologi negli anni ’50 erano intervenuti per far riconoscere anche ai laici il pieno diritto di partecipare alla missione della chiesa “in forza del loro battesimo” e non solo “per delega” della gerarchia.

Ma si è dovuto attendere il Concilio Vaticano II per superare definitivamente la mentalità verticistica e riscoprire la Chiesa come “mistero di comunione”, per cui tutti i battezzati, sia clero sia laici, partecipano di diritto (naturalmente ciascuno per la sua parte) alla vita e alla missione di tutta la Chiesa.

Laici e Laicità in politica

In ambito socio-politico i termini: laico, laicità, laicismo vengono usati per indicare la piena indipendenza nel pensiero e nell’azione dall’autorità ecclesiastica. Spesso si parla anche di stampa laica o cultura laica, in quanto “prescinde” da ogni “credo” religioso, che per altro dice di rispettare. Però nonostante le dichiarazioni verbali, l’espressione conserva una certa connotazione polemica.

E tuttavia, se liberiamo queste espressioni da quel tanto di negativo e di polemico che hanno ereditato dalla storia, scopriamo, nella laicità, alcuni valori che sono fondamentali e irrinunciabili per l’uomo contemporaneo. Ne elenchiamo alcuni:

- divisione e rispetto dei ruoli e dei compiti: in politica, netta distinzione tra il parlamento che fa le leggi, il governo che le applica, e la magistratura che vigila sulla loro osservanza. Particolarmente importante è l’autonomia del politico dal religioso; della scienza dalla fede, … e viceversa …

Ognuno quindi nel suo campo è libero, ma anche responsabile; fa le sue scelte in base alla sua competenza professionale, portandone intera la responsabilità; … sceglie e opera in modo autonomo, senza ricevere o subire ordini da centri di potere estranei. Il contrario sarebbe se il politico ricevesse ordini dal vescovo; o da un industriale potente; o da un mafioso senza scrupoli, ecc.

Verità quindi sull’uomo e sulle cose; una verità ricercata con fatica e sempre verificabile; per cui viene “proposta” ma non imposta in nome di un’ideologia indimostrabile; verità della quale nessuno ha il monopolio, ma verso la quale tutti tendiamo attraverso la ricerca, l’analisi, il dialogo, il confronto … Rispettando anche chi dissente dalla decisione presa.

Laicità quindi secondo l’etica della ragione e del rispetto reciproco, secondo l’etica del possibile e della gradualità nelle cose; … un’etica all’altezza della ricerca scientifica e con alta professionalità, che però sa trarre profitto anche da ipotesi sempre riformabili; … ed è capace di aggregare preferenze attraverso la via del consenso sollecitato e ottenuto democraticamente.

Laicità vicina a quella che il Vaticano II chiama la “legittima autonomia delle realtà terrene” (Gaudium et Spes, n. 369).

Laicità che Voltaire esprimeva con queste parole: “Io detesto, Signori, le vostre opinioni; ma mi batterò fino all’ultimo perché possiate sostenerle liberamente”.

Laici e Laicità nella Chiesa

Punto di partenza della dottrina sulla Chiesa, in passato, era il concetto giuridico di “società” gerarchicamente costituita. Nel suo interno quindi era prevista una chiara spartizione di compiti: da una parte il clero, al quale era riservata ogni autorità, il magistero, e il potere sacramentale; dall’altra i fedeli praticanti, la chiesa discente, i laici, cui spettava soprattutto di ascoltare e obbedire. Anche nelle parrocchie, il rapporto tra laici e preti si poneva soprattutto in termini di obbedienza. Era pacifico, infatti, che della Chiesa dovevano occuparsi solo i preti, mentre il campo per l’attività dei laici era il profano, il “temporale” (famiglia, lavoro, commercio ecc.). Solo dopo lunghe discussioni, ad alcune associazioni laicali, come l’Azione cattolica, era stato concesso che potessero “collaborare all’apostolato gerarchico”, come si diceva allora. L’apostolato, infatti, era ritenuto opera riservata al clero, per cui i laici vi venivano ammessi per degnazione o per necessità, e solo “per delega” e con compiti solo suppletivi e sempre subalterni.

Un contributo determinante per superare questa situazione e gettare le basi per una precisa “teologia del laicato nella Chiesa” è venuto da Yves Congar, che nel l953 pubblicava “Jalons pour une théologie du laicat”, subito seguito da altri autori come Chenu, Philips, Thils, Schillebeeckx, Pavan, ecc. Il tema quindi si è imposto in modo del tutto nuovo per l’ecclesiologia del Vaticano II, e in modo più specifico nel capitolo IV della costituzione dogmatica “Lumen Gentium”.

L’elaborazione di questo capitolo, come dell’intera costituzione, è il risultato di lunghe e pazientissime ricerche. Nello schema preparatorio (primo), il laico veniva definito: 1. Uno che appartiene alla chiesa (elemento generico); 2. Che non è né sacerdote né religioso (elemento negativo); 3. Che è impegnato nelle cose temporali, ma da cristiano (dato specifico, ma visto come pericolo). Definizione giudicata insoddisfacente dall’assemblea conciliare, perché caratterizza il laico solo in modo negativo: uno che non è né prete né religioso …

Venne elaborato un secondo schema nel quale il laico veniva definito: 1. Uno che appartiene alla chiesa; 2. Adempie nel mondo la missione dell’intero popolo di Dio; 3. Combatte con energia i desideri terreni… Da notare la grande novità: la missione del laico è la stessa dell’intero popolo di Dio; ma la secolarità è vista ancora come “tentazione” da combattere e non come valore da assumere…. È stato necessario ricorrere a un terzo schema per vedere anche la secolarità espressa in termini positivi, per cui viene riconosciuta come missione da svolgere, dandole senso cristiano, e anche come elemento specifico della spiritualità laicale; il cristiano laico, infatti, deve santificarsi non malgrado (cioè combattendo la secolarità), ma mediante e attraverso la secolarità, interpretata e vissuta nella fede.

Con stile lapidario, il Vaticano II riassume dicendo: i laici sono … “fedeli che, incorporati a Cristo col battesimo … per la loro parte compiono, nella chiesa e nel mondo, la missione di tutto il popolo di Dio”. E poi soggiunge: “il carattere secolare è proprio e specifico dei laici” (Lumen Gentium, 31).

In queste poche righe troviamo descritta in modo molto preciso l’identità ecclesiale dei laici. Identità che risulta definita dal duplice e simultaneo riferimento (o elemento) che è: 1) la condizione battesimale (adesione a Cristo); 2) la condizione secolare (appartenenza alla società degli uomini). Condizione secolare, vissuta nella fede; e condizione battesimale, vissuta nella secolarità. È questo il loro modo di “essere chiesa”; e che li definisce come “credenti”: è un dato sociologico e, insieme, teologico e sacramentale che: 1. Li apre alla comunione con Dio nella chiesa; 2. E insieme li abilita ad operare nel mondo “da credenti”, cioè incarnando nel loro vissuto lo spirito del Vangelo.

Anche la loro missione si definisce a partire da questa loro realtà: una missione quindi che non deriva da una qualsiasi “delega ecclesiastica”, ma deriva e si fonda sulla realtà del loro “essere credenti laici”; credenti, e quindi sono chiesa; credenti nel mondo, quindi la secolarità come stile del loro vivere sia la fede, sia la missione. Ed essendo pienamente chiesa, questa loro missione non riguarda solo le cose temporali, come si era soliti ripetere prima del Vaticano II (cf. doc. “Evangelizzazione e ministeri” della CEI, §. 72).

La missione della chiesa è unica, ed è partecipata nella sua interezza da ciascuno dei battezzati, siano essi laici o chierici; missione che comporta: accogliere con fede la Parola; celebrarla nella liturgia; viverla e testimoniarla nella carità. Naturalmente ciascuno lo farà nel modo che gli è proprio. Entrambi però, cioè sia clero sia laici, devono sentirsi impegnati sia sul versante “chiesa” sia sul versante “società”. Parlando dei laici, si sottolinea, in particolare per loro, il compito di portare nella chiesa il cuore del mondo, e portare nel mondo il cuore della chiesa.

La Chiesa Popolo di Dio

Un segno della svolta ecclesiologica che ci ha portato a superare la rigida concezione piramidale della Chiesa, ereditata dal Medio Evo, si è avuto quando il terzo capitolo della Lumen Gentium sul “popolo di Dio” è stato messo come secondo, e invece è stato messo come terzo il capitolo che tratta della costituzione gerarchica della Chiesa. In questo modo si esprimeva la convinzione che, per comprendere la vera natura della Chiesa, bisogna partire dalla categoria “popolo di Dio” che comprende tutti i battezzati (clero, religiosi e laici), e quindi tutti sono “soggetto” della triplice funzione: profetica, sacerdotale e regale che caratterizza la Chiesa.

In questa formulazione, ripetuta poi in tutti i capitoli seguenti (vescovi, presbiteri, diaconi, laici …), è stato facile situare anche la teologia del laicato, che era maturata nei decenni immediatamente precedenti. E l’assunzione così frequente di tali formule da parte del Concilio è parsa ai più un segno di serena e tranquilla legittimazione.

“In questo senso il capitolo 4° della LG e il decreto su L’apostolato dei laici danno addirittura l’impressione di esprimere cose ovvie e di ripetere cose già note … E con ciò risulterebbe chiaro anche uno dei motivi per cui alcuni anni dopo viene registrata una certa caduta di interesse per la teologia del laicato: raggiunta la meta, non si vedeva perché si dovesse ancora battagliare” (L. Sartori, in S. Dianich, ed. “Dossier sui laici” l987, p. 42).

Ma il Concilio non si è fermato al capitolo 4° della LG, esso ha aperto molte altre prospettive, e oggi il tema parziale del laicato va inscritto nel tessuto delle nuove tematiche emerse, e secondo un’ottica di integralità e di pienezza. Occorre infatti domandarsi che cosa possa significare per l’intero popolo di Dio, e quindi anche per i laici, la Dei Verbum (la Bibbia messa in mano ad ogni fedele); e così anche la costituzione sulla sacra Liturgia (il Calice anch’esso messo in mano a tutti i cristiani) accreditando la dottrina che “soggetto” dell’Eucaristia è l’intera assemblea celebrante (naturalmente, nel pieno rispetto dei diversi ministeri, e tra questi il più importante: quello della presidenza). Così la ricerca teologica e sapienziale di questi ultimi anni sta via via svelando le potenzialità nascoste in quelle due decisioni che hanno restituito “Bibbia e altare” all’intero popolo di Dio. Ne è conseguito un impegno di tutti, su tutti i fronti. Per cui ora anche la teologia è di tutti; anche l’ermeneutica della fede, che interpreta la storia e i segni dei tempi, è di tutti e coinvolge tutti; anche la testimonianza della carità è responsabilità di tutti!

Un’altra pista significativa, per la ricerca teologica e pastorale, è stata aperta dalla decisione di ripristinare il diaconato, quale grado distinto del sacramento dell’ordine. Dall’ordine del diaconato infatti si è passati alla diaconia globale della stessa Chiesa, e poi da questa ai carismi e ministeri multiformi che lo Spirito di Cristo distribuisce con abbondanza in seno a tutto il popolo di Dio.. Ristabilito il diaconato permanente, si passati a riformulare i “ministeri permanenti”, purtroppo preclusi alle donne; per cui, non potendo fermarsi a mezza strada, è stata omologata anche l’espressione: “ministeri di fatto”, e cioè ministeri suscitati nella Chiesa dall’azione sempre varia e imprevedibile dello Spirito Santo, ma non necessariamente collegati con la struttura sacramentale della Chiesa.

Nel documento dei vescovi italiani dedicato a questo tema, vengono chiamati “ministeri di fatto quei ministeri che, senza titoli ufficiali compiono, nella prassi pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla Chiesa” (doc. “Evangelizzazione e ministeri”, 1977, n. 67). Ed è interessante notare che questo documento sui ministeri è stato pubblicato a conclusione di una serie di altri documenti, dedicati ai singoli sacramenti. Quasi a indicare, commenta il teologo L. Sartori, che la struttura di base della Chiesa è proprio quella carismatica e ministeriale.

Una Chiesa per il Mondo

Il dibattito più vivace e più interessante, a proposito dei laici nella Chiesa, si è svolto quindi nel versante della missione. E qui non possiamo non citare i grandi temi della evangelizzazione (AG), del dialogo (UR e NA), della cultura, della pace, ecc. (GS), che rappresentano il campo sterminato nel quale trovano spazio i carismi e la creatività di tutti i battezzati.

La riscoperta della missione si trova enunciata con stile lapidario nel n. 1 della stessa LG; è un’affermazione che fa da proemio non solo alla costituzione sulla Chiesa, ma addirittura a tutto il Concilio quando afferma: la Chiesa è “sacramento”, cioè segno e strumento dell’unione degli uomini con Dio e tra loro. Una Chiesa quindi posta tra Cristo e i popoli, in vista della comunione … non solo degli uomini tra loro, ma anche e soprattutto degli uomini con Dio.

Abbiamo così una Chiesa che si definisce non più solo come comunità di salvati, ma piuttosto come comunità salvata e salvante, e cioè una comunità di persone che si riconoscono salvate in Cristo, ma contemporaneamente anche impegnate a far giungere il dono della salvezza a tutti: una responsabilità immensa che impegna tutti i membri della Chiesa, per cui tutti indistintamente devono riconoscersi salvati, ma anche tutti chiamati a collaborare perché il messaggio evangelico della salvezza possa giungere a tutti gli uomini e a tutti i popoli.

In questo contesto, il laicato, inteso come porzione di Chiesa accanto al clero e ai religiosi, non può più essere considerato solo come “chiesa recettiva”, cioè di credenti, chiamati e attrezzati soltanto in vista della propria salvezza.

La Chiesa è per vocazione e per sua natura “missionaria”. “Evangelizzare infatti è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità profonda. Essa esiste per evangelizzare … La Chiesa nasce dall’azione evangelizzatrice di Gesù e dei Dodici … Nata dalla missione, (essa) è a sua volta inviata… La comunità dei cristiani non è mai chiusa in se stessa. La sua vita acquista tutto il suo significato solo quando diventa testimonianza, provoca l’ammirazione e la conversione, si fa annuncio della buona novella. Così tutta la Chiesa riceve la missione di evangelizzare, e l’opera di ciascuno è importante per il tutto” (“Evangelii nuntiandi”, l975, nn. 14 e 15, passim).

Questo discorso, che nella EN di Paolo VI è rivolto a tutta la Chiesa, nell’esortazione “Christifideles Laici” di Giovanni Paolo II invece viene riferito direttamente ai fedeli laici che “appartengono a quel popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna … Andate anche voi, precisa il Papa; la chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i religiosi e le suore, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore”. E citando il Concilio precisa: “Il sacro concilio scongiura tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo”. … Quindi prosegue sottolineando che “il significato fondamentale” del sinodo sui laici è stato: “l’ascolto da parte dei fedeli laici dell’appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile della missione della Chiesa in quest’ora magnifica e drammatica della storia… Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio” (cf. ChL 1988, nn. 1-3).

Ma il discorso sulla missione non può trovarsi slegato dal tema del dialogo, sia quello ecumenico sia quello interreligioso. La Chiesa, proprio perché abitata dallo Spirito, deve sentirsi “parte” (anche se centrale) di un più vasto disegno della presenza e dell’azione della Trinità nella storia. Il disegno di Dio, infatti, include dentro un’unica storia sia gli spazi e i tempi della Chiesa di Cristo sia quelli dovuti all’azione di altri soggetti, come le religioni non cristiane, le culture e gli umanesimi di altri popoli (cf. doc. “Dialogo e annuncio”, 1991, nn. 26-29).

Sul tema del dialogo in genere possiamo dire che c’è un sostanziale accordo, uno stile di rapporti e di atteggiamenti che attestano la disponibilità anche a ricevere e non solo a dare. E su questo fronte l’apporto del laicato può diventare determinante. Oggetto particolare di ricerca, infatti, oggi sono le applicazioni concrete della speranza storica nei diversi settori dell’umano. Si pensi a problemi come fede e cultura, fede e politica, solidarietà cristiana e fame nel mondo, giustizia sociale e globalizzazione dell’economia, ecc. La lista dei temi che chiamano in causa la teologia del laicato potrebbe continuare, sfogliando gli ultimi capitoli della Gaudium et Spes, perché è proprio sul vasto ventaglio dei temi della missione, come l’annuncio, il dialogo, l’inculturazione del messaggio e la sua incarnazione nel vissuto, ecc., che tutti i membri del popolo di Dio oggi sono come provocati.

I Laici corresponsabili di tutta la Missione della Chiesa

La Chiesa è nel mondo per la vita del mondo: questa la sua missione. E non si può essere associati alla vita della Chiesa senza essere associati anche alla sua missione. In passato si insisteva molto sulla differenza tra la missione della gerarchia: insegnare e comandare; e la missione dei laici: ascoltare e obbedire.. Al massimo si parlava di “collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico”.

Il Vaticano II, pur riaffermando una sostanziale differenza tra sacerdozio ordinato e sacerdozio battesimale, insiste sul fatto che l’intero popolo di Dio è, insieme, popolo profetico, sacerdotale e regale. Per cui ogni battezzato, nella misura in cui partecipa alla vita di Cristo, nella stessa misura partecipa anche alla sua triplice funzione: profetica, sacerdotale e regale.

La comunione di vita e di grazia diventa, così, comunione di missione e corresponsabilità. Non c’è problema del clero che non sia, in qualche modo, anche problema dei laici, e viceversa. Naturalmente, non nel senso che tutti abbiano la stessa competenza, ma nel senso che ognuno ha il diritto-dovere di apportare un suo personale contributo per una più appropriata soluzione del problema in questione.

Il fatto che tutti abbiano il diritto di dire una loro parola su ogni e qualsiasi problema che riguarda la vita e la missione della comunità non vuol dire che tutti siano ugualmente sensibili e competenti, o che tutti nella comunità abbiano lo stesso potere di proporre o di decidere. Si comprende allora quanto sia importante stabilire e rispettare determinate competenze e, soprattutto, ricordare che lo Spirito del Signore non mira mai alla contrapposizione o alla divisione, ma sempre e solo alla riconciliazione, alla collaborazione e alla pace.

Anche la teologia del laicato e l’azione dei laici, quindi, si situa all’interno dell’unico soggetto che è la comunità ecclesiale, dove molti sono i carismi e i ministeri, ma tutti sono dovuti a un unico Dio e Signore, e tutti quindi devono essere ordinati alla crescita della Chiesa nella carità.

All’interno di questo discorso qualche teologo recente ha voluto far notare che se la laicità è un valore, esso è intrinseco alla fede cristiana, e comune a tutto il popolo di Dio, comune ad ogni credente, sia chierico che laico. Sotto questo profilo, quindi, la laicità non aggiunge nulla al credente, non gli chiede nulla di più né nulla di diverso da quello che è l’impegno della fede, la quale è autentica solo se è incarnata nella vita e viene spesa per la vita del mondo, nella carità. E questo vale per ogni cristiano, semplice laico, o presbitero , o vescovo che sia; e questo vale per la stessa Chiesa. Ora se questa è la condizione fondamentale del cristiano, se ne deduce che la laicità deve contrassegnare l’intera esistenza di ogni battezzato, qualunque sia il suo ruolo e la sua configurazione giuridica. Anzi dobbiamo dire che è proprio questa caratteristica della laicità, cioè di coinvolgimento libero ma responsabile per i problemi e i drammi della storia, che permette anche alla Chiesa di operare nei vari settori (civile, sociale, politico…), con la libertà propria dell’azione contingente, senza l’onere di dover chiamare in campo ogni volta presunte certezze di fede.

Se anche la laicità, come ogni altro autentico valore, deve essere comune a ogni credente e a tutta la Chiesa, questo non significa optare per l’azzeramento della teologia del laicato, così come il fatto che la “consacrazione” sia effetto specifico del battesimo non impedisce la promozione di una teologia della “vita consacrata”. Il fatto che la laicità debba essere comune a tutta la Chiesa sottolinea anzi maggiormente l’importanza che devono dare a questo valore coloro che lo scelgono come caratteristica distintiva della loro vita di fede.

Del resto, tutti, oggi, sono convinti dell’importanza che ha l’azione dei laici nella vita e nella missione della Chiesa. La loro presenza e la loro azione, si legge del decreto AA del Vaticano II, sono talmente necessarie che, senza di loro, non ci sarebbe chiesa; e la stessa azione dei pastori, senza di loro, resterebbe inefficace (cf. AA, n. 10).

Ma è necessario che giungano a impegnarsi per una presenza attiva, da protagonisti. Non solo per far numero attorno al vescovo, ma per contribuire alla costruzione di una comunità cristiana dal volto più laicale, e per questo anche più credibile... E se guardiamo alla qualità di tante nostre comunità e associazioni presenti nella Chiesa, dobbiamo riconoscere che molto ancora resta da fare per maturare dei cristiani laici che abbiano il senso vero e profondo della laicità, e sappiano darne significativa testimonianza. Laicità intesa come competenza, come autonomia responsabile, come coerenza alle verità della fede, ma anche alla verità delle cose, senza lasciarsi prendere né dalla ideologia né dal servilismo … Solo se vivono con vera competenza e profonda partecipazione i problemi e i drammi del mondo contemporaneo essi potranno rendere anche la comunità cristiana maggiormente sensibile ai problemi e alle sofferenze, ma anche alle gioie e alle speranze dell’umanità.