DOSSIER CENTRALE

RELIGIOSI E LAICI NELLA CHIESA

NOI RELIGIOSI SCJ E I LAICI NELLA CHIESA

Commissione Spiritualità IS

In una Chiesa tutta ministeriale

È impossibile parlare di laicato al di fuori dell’ottica ecclesiale. È la Chiesa - e la Chiesa locale - l’unico ambito in cui agire, per non creare gruppuscoli, che diverrebbero insignificanti proprio per la loro chiusura. Non ricreare tra il laicato quella separatezza che tende a vanificare l’opera dei religiosi che per definizione sono nella Chiesa con respiro universale.

È l’obiettivo “comunione” il cuore della pastorale. È la Chiesa il soggetto missionario proprio. La missione non si usurpa, non si frammenta.

D’altronde la missione, oggi, deve caratterizzarsi per una proposta di spiritualità. Formare il laicato significa comunicare ai laici la consapevolezza che il fatto cristiano “informa” la vita umana in tutte le sue manifestazioni, restando Cristo la “forma” da riesprimere, e come impegno.

Al convegno ecclesiale di Palermo, giustamente la Chiesa italiana ha precisato gli obiettivi primari dell’azione pastorale proprio in questa prospettiva: formazione per la comunione, in vista della missione, avendo la spiritualità come obiettivo.Una spiritualità, quindi, comunionale e missionaria.

La spiritualità, intesa come senso e significato del vivere Cristo Gesù “in situazione”, è il punto di crisi della Chiesa oggi. Una Chiesa troppo “razionale”, troppo “organizzativa”. Al tempo stesso, dalla spiritualità derivano segnali netti di ripresa (non solo nei movimenti, non solo nella vita religiosa).

La nostra spiritualità ha avuto, nelle nuove costituzioni, una significativa riespressione teologica. Sono da indicare le conseguenze pastorali di questo ripensamento. Per pastoralità s’intende qui quella riconduzione al vissuto concreto collettivo che permetta all’esperienza cristiana di farsi visibile e credibile.

Ci sono, nella nostra spiritualità, tutti i postulati perché sia missionariamente significativa.. Davvero abbiamo una proposta semplice e insieme globale da proporre alla comunità cristiana, per un suo rinnovamento che appaia proponibile al mondo, perché creda:

- la proposta di Dio come amore-misericordia;

- la solidarietà con i peccatori “lontani” (è più che ecumenismo) per non creare barriere tra il dentro e il fuori;

- dunque la riconciliazione, intesa non solo come convivenza pacifica nella tolleranza, ma come condivisione della stessa speranza (visione implicita di un rapporto meno giuridista o legalistico con Dio; idea meno eticista del peccato, alla luce della misericordia creatrice, e non solo “obliteratrice”);

- il principio “speranza”, fondato sul primato della grazia, e vivibile nell’abbandono inteso come fides-fiducialis;

- la sacerdotalità dei laici, non ridotta a ministerialità, ma attuata nella solidarietà come imitazione di Cristo, nell’offerta reale della vita.

Nella prassi, valorizzazione della carità, della “pazienza” (=sopportazione del dolore per il suo significato redentivo) e dell’obbedienza (o accettazione, impegnata e impegnativa, delle situazioni di vita, con i loro limiti e le loro risorse provvidenziali).

L’anima dell’apostolato dehoniano

In questi presupposti è l’anima dell’apostolato dehoniano. Indicano i tratti di una testimonianza credibile, “moderna”, e trasmissibile nell’insieme della nostra opera: predicazione e servizi. In ogni caso, o questi presupposti stanno, oppure è vanificato il senso del nostro Istituto.

Sono presupposti da condividere comunionalmente con i laici (se non vogliamo vivere la nostra personalità carismatica solo come intimismo d’Istituto), perché proprio i laici c’insegneranno, di ritorno, come valorizzare missionalmente (= in vista del mondo) ciò che è dato a noi, ma non solo per noi.

Questa pastoralità, che chiede ai religiosi scj di farsi formatori nella Chiesa in sintonia con gli altri carismi, può attuarsi in molte forme che non bisogna contrapporre:

- con la formazione di gruppi quasi comunitari, o para comunitari (dove la forma associativa va ripensata, ma non accantonata) …. Purché questi gruppi curino esplicitamente l’inserimento ecclesiale, ponendosi a modo di lievito;

- con la collaborazione nostra a iniziative altrui, purché e perché significative;

- con una testimonianza generale non ancora specifica, pronta però - su domanda - a rendere ragione delle nostre motivazioni.

È capitolo serio anche la collaborazione con i laici, quando essi siano corresponsabili con noi nelle nostre opere per la competenza professionale del loro servizio. Non è da trascurare l’apporto indiretto che il lavorare insieme reca al nostro imparare a essere con il laicato.

Tutte le forme organizzative - sia strettamente pastorali (parrocchie, catechesi, scuola cattolica ecc..), sia indirettamente ordinate all’apostolato (iniziative imprenditoriali a sostegno manageriale del nostro servizio) - devono essere sottoposte e condizionate al primato della nostra proposta di vita. E tutte le pulsioni proselitistiche, che ci spingerebbero a “far numero” attorno a noi per poter contare, vanno corrette, perché non compromettano l’autenticità della testimonianza. Il proselitismo è la morte della missione.

Resta importante, per noi scj, studiare attivamente questa trasmissibilità formativo-pastorale dei nostri grandi temi. Finché la nostra spiritualità non si fa significativa per la Chiesa in vista della sua azione nel mondo, resterà un complesso teologico, ma non un’esperienza di Chiesa.

Condivisione del carisma con i laici

Sul tema della condivisione della nostra spiritualità e del nostro carisma con i laici, vi sono incluse una serie di cose strettamente collegate fra di loro, ma anche di diversa natura. Si potrebbero raccogliere attorno a tre poli: vita religiosa, laicato cristiano, carisma del fondatore.

1. Certamente bisogna continuare ad approfondire il carisma del P. Dehon. Questo tocca il tema dell’essere noi stessi, e di come esserlo in modo significativo oggi. - E poi bisogna chiarire in che senso e a quali condizioni il nostro carisma è appetibile o utile per i laici. Sul tema della spiritualità alcune Province hanno fatto un buon cammino in questi anni. Rimane certamente altro da fare; ma non si deve partire da qui, anche perché non è questo il vero problema.

2. Il tema del laicato ha bisogno di essere approfondito soprattutto negli aspetti che contribuiscono a far sì che i laici rimangano se stessi, contro ogni rischio di strumentalizzazione e clericalizzazione, e tutte quelle derive devozionali che, ricercate da molti laici (e soprattutto “laiche”), non sono rispettose né della condizione laicale né di uno stile di vita animato in senso veramente carismatico. Né tanto meno possono contribuire a far crescere un laicato capace di esprimere una presenza significativa nel mondo d’oggi, secolarizzato.

3. Un punto troppo ignorato e fonte di molti equivoci è il seguente: che cosa vuol dire condividere una spiritualità e un carisma?

- Dietro la parola spiritualità ci sono contenuti tematici sentiti come ispiranti; ma ci sono anche quelli stessi contenuti “in quanto vissuti”.

Dunque, due aspetti: a) la spiritualità o le spiritualità che hanno caratterizzato e caratterizzano la vita della Chiesa (e sono un patrimonio oggettivo a tutti noto), - b) la “vita nello Spirito”, cioè la vita spirituale di coloro che, guidati dallo Spirito Santo, vivono una determinata spiritualità e ne sono caratterizzati.

- La realtà del carisma si riferisce a quest’ultimo aspetto: non è un dato semplicemente oggettivo, o una dottrina (sarebbe dell’ordine della “lettera”: proprio ciò che viene superato dal carisma); il carisma è piuttosto “un vissuto”: è la realtà della vita spirituale che lo Spirito Santo suscita e alimenta nei figli di Dio, nel nostro caso in noi dehoniani.

Se vogliamo condividere la nostra spiritualità o carisma con i laici, è questo che dobbiamo condividere: il nostro “vissuto”, i valori che ci animano e le modalità secondo cui c’impegniamo a viverli.

E poi va ricordato che dietro la parola “carisma” non c’è solo la spiritualità, ma anche la missione, e pure questa va condivisa.

4 - Evidentemente la condivisione della spiritualità così intesa chiama in causa le nostre comunità, il loro modo di vivere e di operare, e soprattutto il modo in cui esse si rapportano alla realtà esterna, ecclesiale e sociale.

Alle nostre comunità sono richieste soprattutto due cose:

a) porsi dentro la comunità cristiana e tra la gente come “comunità aperte”, che accettano di condividere il proprio cammino di fede e di vita cristiana con quelli che vengono;

b) fare spazio ai laici all’interno dei servizi apostolici cui l’Istituto si dedica, cioè all’interno della missione: e quindi anche nelle opere e nei tipi di presenza apostolica che ci caratterizzano.

5. C’è poi una terza cosa, fondamentale e che tocca la missione: contribuire alla formazione di un laicato adulto nella fede, in grado di entrare a pieno titolo in tutto ciò che gli spetta a motivo del battesimo e del suo essere chiesa.

È ciò che sta in capo al documento sui laici approvato dall’ultima congregazione generale dei Gesuiti: la Chiesa del terzo millennio sarà “la Chiesa dei laici”; considerando questo una grazia, ad essa noi intendiamo collaborare,

- sostenendo i laici nella loro formazione,

- formandoci a nostra volta in modo nuovo e con loro,

- per arrivare a un incontro e una collaborazione di tipo nuovo, tutto da inventare, ma irrinunciabile.

Il contesto in cui ci si pone è quello della formazione.

Ed effettivamente quello della formazione dei laici, nell’ambito della fede e della vita cristiana, è il vero, il primo compito che spetta ai religiosi in quanto tali; ed è all’interno di questo che può maturare un incontro anche a livello di spiritualità.

Quando parliamo di rapporto con i laici, rischiamo sempre una specie di corto circuito: pensiamo subito o solo all’aggregazione dei laici attorno alla nostra spiritualità, ed eventualmente al volontariato a sostegno delle nostre opere.

Bisogna invece mantenere un respiro più largo, più ecclesiale. E bisogna che si sentano coinvolte le comunità.

Ciò non vuol dire che singoli religiosi non possano organizzare persone attorno alla spiritualità dell’Istituto, o per qualche altro scopo specifico;

…ciò che va evitato è che tutto venga ridotto qui;

…o peggio, che questa diventi la linea ufficiale dell’istituto.

Si otterrebbe, come risultato, quello che di fatto è avvenuto: il disinteresse, per non dire l’opposizione delle comunità, che invece devono essere il perno attorno a cui si gioca tutta la partita.

6. Se non accettiamo di aprire le nostre comunità a una vera condivisione di vita, e magari di apostolato con i laici, possono succedere le cose più diverse.: c’è chi riceve e se ne va, si spera migliorato (che è poi la cosa più importante); c’è chi riceve e si sente coinvolto, cioè si ritrova nello stile di vita e di servizio della comunità, e chiede di poter partecipare.

In questo caso, la condivisione del carisma si fa più esplicita, e possono nascere le cose più diverse, che dobbiamo però lasciare anche alla fantasia dello Spirito, senza pretendere di chiudere tutto nei nostri schemi e programmazioni, codificando le cose prima di aver capito come il Signore vuole farle evolvere.

7. Se facciamo così, succede anche questa cosa, molto importante: i laici che incontriamo e che aiutiamo nella loro formazione, rimangono se stessi, si sentono rimandati a casa loro, al loro proprio contesto di vita, oltre ogni rischio,. Sempre incombente, di clericalizzazione.

Non possiamo dimenticare che:

… ci sono molti laici più clericali dei preti e che tali vogliono rimanere;

… laici che nell’Istituto cercano semplicemente una stampella o un rifugio;

… laici che rifuggono dall’incontro con la realtà dura e scomoda della realtà secolare;

… oppure laici che si nutrono di una spiritualità semplicemente devozionale, e la cercano presso gli Istituti.

Il nostro incontrare i laici deve contribuire a formare un laicato che sia se stesso, adulto nella fede, con discernimento storico,… e capace di mediare il Vangelo nella città secolare, nella politica e nell’economia, nel lavoro, nelle professioni, ecc., ecc. …

8. In conclusione, ci pare che ci sia qui per noi un discorso molto importante e urgente, anche perché non è mai stato fatto in modo approfondito e condiviso.

- Bisogna chiarire che cosa significa e che cosa comporta “per un istituto religioso” condividere la spiritualità e il carisma con i laici.

- Occorre, su questo, tentare un chiarimento, nella speranza di poter arrivare a trovare un accordo che metta i presupposti per un cammino che guardi avanti (non indietro);

- Un accordo che sappia suscitare l’interesse e il coinvolgimento dei nostri confratelli e “delle comunità”, che è proprio ciò che manca.

9. Approfondire ulteriormente i contenuti tematici del nostro carisma è importante, ma non basta. Darebbe qualche buona idea a quei singoli che le sapranno e vorranno assimilare, ma non cambierebbe niente nella qualità di vita evangelica e dehoniana delle nostre comunità.

Lo si faceva anche al tempo dell’associazionismo “anni ‘50”. Ma oggi bisogna andare molto oltre.

Il discorso del nuovo rapporto tra vita religiosa e laici

tocca in modo sostanziale il rinnovamento

e la riacculturazione della vita religiosa.

Il crescere del laicato (cfr. i Gesuiti: “La Chiesa dei laici”)

mette in discussione il modo di essere preti (cioè la pastorale)

e il modo di essere religiosi di vita apostolica:

... i preti devono restituire ai laici ciò che è proprio dei laici;

... e altrettanto devono fare i religiosi, ripensando la loro collocazione e identità.

Se ragioniamo del nostro rapporto con i laici prescindendo da questo,

ignoriamo la cosa principale e il discorso non ha futuro.