TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ

LA SOLIDARIETÀ NEI VANGELI

Delio Ruiz, scj

1. I Sinottici: “Gesù il servo solidale e compassionevole”

La Chiesa apostolica, interrogandosi dopo la risurrezione di Gesù circa l'oscuro enigma della morte ignominiosa del Messia, non tardò a trovare la risposta nella sua relazione col peccato umano. Questa eco proviene dalla più antica professione della fede cristiana conservata in 1Cor 15,3: “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture ”.

Da allora incomincia un'interminabile riflessione del NT, dei Padri, della teologia e della mistica che si sforzano di comprendere la connessione tra la croce di Cristo e la liberazione dal peccato; si usano vari modelli di pensiero, p.e. il modello cultuale del sacrificio espiatorio, il modello sociale del riscatto dalla schiavitù, ecc. La Chiesa apostolica si servì del riferimento al Servo di JHWH (Is 42-53), scoprendo in detta immagine un'impressionante simmetria con l'evento di Gesù; è stato un mezzo prezioso per comprendere, annunciare e giustificare lo sviluppo della passione del Signore (cfr. At 8,32-34, 1Pt 2,21-25).1

Dopo gli avvenimenti del “terzo giorno”, l'interesse della prima comunità cristiana cominciò a concentrarsi sulla Passione di Gesù e dopo si è andato a poco a poco concentrando sui “fatti e parole” del suo ministero terreno. Per scoprire la solidarietà di Gesù come uomo del suo tempo, ricorriamo alle redazioni sinottiche raccogliendo gli aspetti che ci offre ogni vangelo, ma senza pretendere per il momento di parlare di una cristologia tipica di ciascun vangelo.

1.1. Marco

La qualifica di Gesù, come “Nazareno”, è utilizzata quattro volte (cfr. 1,24; 10,47; 14,67; 16,6) contro la totale assenza in Mt (due volte appare un nome più enigmatico: “Nazireo”) e solo due volte in Lc (più una volta “Nazireo”). Evidentemente Mc mette l'accento su una delle fondamentali coordinate dell'incarnazione, cioè, il posto preciso della provenienza geografico-sociale di Gesù. “Nazareno” è il nome della concretezza storica, della normalità quotidiana. Egli è il nazareno come tanti altri lo erano, anche se probabilmente i lettori non ne conoscevano altri.2

Un altro appellativo originale sembra essere quello di “sposo” in 2,19-20, dove Gesù stesso parla dei suoi discepoli come amici dello sposo, i quali non possono digiunare finché egli sta con loro.3 Il titolo “Figlio di Dio” appare cinque volte ed incornicia tutto il racconto: da un lato la voce di Dio nel Battesimo al Giordano (cfr. 1,11), d'altra parte la confessione del centurione ai piedi della croce (cfr. 15.39). Pertanto, già dal principio il lettore sa tutto quello che andrà leggendo nel vangelo, rispetto ad un personaggio che Dio stesso ha dichiarato come suo Figlio in cui si riassumono per lo meno tre caratteristiche derivate dall'AT: la messianicità, l'amore del Padre, la funzione di servo.4 Mc è fedele alla sua tipica impronta cristologica: nella sua identità profonda, Gesù non corrisponde ai preconcetti umani; al contrario, è necessario calcolare gli esiti inaspettati che rivelano Gesù nella profondità del suo mistero.

Il titolo “Figlio dell'uomo” (14 volte): sia al principio (cfr. 2,10: il perdono dei peccati) come alla fine (cfr. 14,62: la venuta sulle nubi del cielo), è connesso con una manifestazione di potenza; tuttavia, a partire da 8,31 è in relazione con l'inaudito tema della sofferenza che in 10,45 trova la sua massima e più tipica espressione: “Perché lo stesso Figlio dell'uomo non venne per essere servito, bensì per servire e dare la sua vita in riscatto per una moltitudine”. Qui la mera e tradizionale dimensione apocalittica giudaica è superata, e la figura del Figlio dell'uomo è portata dalle nubi del cielo fino alla terra, dove il perdono dei peccati e l'espulsione di Satana sono presentati come forme di solidarietà e servizio all'uomo. Il lettore di Mc arriva a comprendere in questa maniera tutta la novità su questo Gesù tanto concreto quanto terreno e, tuttavia, tanto sorprendente quanto inenarrabile.

1.2. Matteo

Cerchiamo di fare un abbozzo della cristologia di questo vangelo secondo tre qualifiche principali offerte dall’evangelista.5

a) Gesù come Messia. Letteralmente la qualifica ebraico-aramea di “Messia ”, Messíah , in Mt non esiste.6 La Chiesa post-pasquale ha trasformato abbastanza precocemente il suo equivalente greco Christós in un nome proprio. Tuttavia, Mt rivela un interesse particolare per il significato di questo nome.7

La messianicità di Gesù in Mt consiste essenzialmente nel fatto che egli compie la speranza d'Israele. L'evangelista lo fa vedere in due modi. Innanzitutto, sottolinea la definizione di Gesù come figlio di David, realizzatosi in diverse forme (cfr. 1,1,6.7.17; 9,27; 20,30; 21,9; ecc.). In secondo luogo, Mt riferisce esplicitamente a Gesù le profezie dell'AT. La formula che esprime il compimento appare 12 volte (1,22; 2,15.17.23; 4,14; ecc.).8

b) Gesù come Maestro. Mt non usa il titolo specifico di “maestro”9 mentre Mc lo fa più volte, con una certa originalità. In primo luogo si constata il modo col quale Mt apre il ministero pubblico di Gesù. Mentre in Mc egli si manifesta subito nella sinagoga di Cafarnao come un esorcista potente (cfr. Mc 1,21-28), in Mt Gesù incomincia con un'immensa attività magisteriale, mediante il lungo discorso della montagna (cfr. Mc 5-7), istruisce solennemente i discepoli e la moltitudine circa le esigenze che devono caratterizzare quelli che decidono di seguirlo. La prima immagine di Gesù che Mt offre non è quella di un taumaturgo bensì quella di un maestro autorevole.10

In secondo luogo, un'originalità di segno apparentemente opposto, si constata nell'ambito delle persone che usano l'appellativo di Maestro nella trama del racconto. In effetti, mentre in Mc si rivolgono a Gesù chiamandolo “Maestro”, non solamente gli estranei ma anche i discepoli (cfr. Mc 4,38; 9,5), Mt, invece, nei dialoghi diretti si preoccupa, da un lato, di correggere questo appellativo col titolo di “Signore”, e, d'altra parte, di riservare il titolo marciano solo a quelli che non sono intimi di Gesù (cfr. Mc 8,19; 19,16; 26,49). In contrasto con questa prassi, si trova in Mt (e solo in Mt) un passaggio importante in cui proibisce ai suoi discepoli questo titolo (Mt 23,8.10).

Ci si è chiesto fino a che punto Gesù è visto in Mt come un nuovo Mosè, e pertanto con le caratteristiche di un nuovo legislatore, secondo una tipologia riproposta più volte.11 Ad ogni modo Mt ha qualcosa da dire circa Gesù che va molto più lontano di questa tipologia.

c) Gesù come Emanuele. Tra gli autori del NT solo Mt evoca esplicitamente il nome simbolico, attribuito da Is 7,14; 8,8.10 (ebraico TM: ‘immânû ’êl, greco LXX: ’Emmanouêl) a un personaggio la cui identificazione è discussa.

Egli appare però apportatore di una grande speranza per il regno di Giuda.12 Il passaggio isaiano si trova citato direttamente in Mt 1,23 (con traduzione greca del nome ebraico: meth'humôn ho Theós , “Dio con noi”) a proposito della concezione verginale di Gesù. L'interpretazione messianica del passaggio profetico è cosa esclusiva dello stesso Mt, non trovandosi nessuna attestazione anteriore.13 La cita da Isaia e costituisce il primo testo biblico menzionato dall'evangelista e, pertanto, dà una chiave per interpretare tutta la composizione. In effetti, è possibile leggere tutto il vangelo alla luce di una cristologia incorniciata sotto il tema specifico della presenza solidale di Dio in mezzo al suo popolo.14

L'idea ritorna nel vangelo di Mt soprattutto in altri due casi: in 18,20 (“Perché dove ci sono due o tre riuniti nel mio Nome, io sono presente in mezzo a loro, [en mésoi humôn])15 e in 28,20 (“Ed io sarò sempre con voi [egò meth' humôn] fino al fine del mondo”). Nell'interpretazione dell'evangelista, la presenza salvifica di Dio è ora l'Emanuele, figlio della vergine, cioè Gesù. Ciò che è prefigurato nell'annuncio su quel bambino, arriva alla sua pienezza nel Risorto al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra (28,18); egli veglia in mezzo alla sua Chiesa fino alla fine dei secoli. L'ubicazione strategica di questi passaggi nella redazione matteana, all'inizio, al centro e alla fine, permette di leggere il vangelo alla luce di questo tema fortemente cristologico. Pertanto, Mt si mostra particolarmente sensibile al doppio tema complementare della presenza di Dio in Gesù e della presenza di Gesù in mezzo ai suoi.

Mt presenta Gesù come l'autentico interprete della volontà di Dio contenuta nella legge (Mt 5,21-48) - dire che Mt presenta Gesù come un autentico interprete della legge, sarebbe troppo poco - l'evangelista unisce tre momenti della storia della salvezza: 1) Israele di Dio, prefigurato nella “Scrittura” a cui Dio ha rivelato la sua volontà mediante la legge; 2) Gesù come compimento della legge e nuova immagine della presenza di Dio in mezzo al suo popolo; 3) la comunità di Matteo che riceve e trasmette a tutti i popoli questo insegnamento come elemento normativo, e, in questo modo, attualizza e mantiene vigente la parola di Gesù. La presenza del Risorto legittima ed abilita per questo compito. Su questa base si appoggia la comprensione cristologica dell'Emanuele.16

Il nome biblico “Emanuele” è piuttosto un nome funzionale.17 Con le parole conclusive di Gesù risorto “Io sarò con voi tutti i giorni ...”, viene sostituita in Mt quella promessa dello Spirito, con la quale conclude tanto Lc 24,49 (cfr. At 1,8) che Gv 20,19-25 (e i discorsi dell'ultima cena). Secondo Mt la presenza di Gesù in mezzo alla sua comunità viene mediata non tanto col suo Spirito, bensì piuttosto con la sua dimensione personale, viva e immediata.18 È rilevante, inoltre, il modo di questa presenza di Gesù specialmente nei “piccoli” con i quali Egli si identifica: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Il discepolo è chiamato a scoprire tale presenza e a rispondere con solidarietà.

1.3. Luca (e Atti)

La novità fondamentale di Luca, a differenza di Matteo e di Marco, consiste nel fatto che egli non si limita a narrare una storia di Gesù, ma concepisce un piano letterario e teologico di grande portata, facendo vedere che l'avvenimento salvifico iniziato da Gesù prosegue nella storia della Chiesa. L'opera di Luca risulta un insieme unitario e deve essere considerata come tale.19 Perciò il suo vangelo presenta una cristologia più organica.20

Limitandoci al vangelo, possiamo evidenziare l'esistenza di alcuni dati linguistici tipici della narrativa lucana che conservano una relazione tra loro e hanno un'importanza cristologica.

a) Una prima constatazione si riferisce all'intervento dello stesso narratore che nel suo testo professa apertamente la sua fede personale in Gesù come “Signore”, Kyrios. A differenza di Mc e Mt che usano questo titolo unicamente nel discorso diretto, Lc lo usa nel proprio racconto come espressione sua tipica, in luoghi dove egli narra in terza persona p.e. “Il Signore dice…” appare 14volte (cfr. 7,13.19; 10,1.39.41; eccetera). b) Inoltre, nessun altro evangelista usa l'avverbio greco semeron , “oggi”, per indicare l'importanza del tempo della presenza di Gesù. Luca, invece, l'usa cinque volte (cfr. 2,11: “oggi è nato loro un salvatore ”; 4,21; 19,5.9; 23,43). A Lc interessa fare notare che con la presenza viva di Gesù e con la sua accoglienza si realizza qualcosa di decisivo per gli uomini, cioè, si mettono le basi per la propria salvezza.21 c) Così nessuno degli altri Sinottici utilizza il termine cháris , “grazia” che Lc usa otto volte, delle quali la metà ha per lo meno un valore teologico (cfr. 1,30; 2,40.52; 4,22).22 Questo concetto ha realmente importanza per il nostro autore sacro.23 d) In fine, solamente Luca sottolinea il fatto che, direttamente o indirettamente, in Gesù c'è qualcosa che “deve”, deî (o “doveva”, édei ) succedere necessariamente (cfr. 2,49; 4,43; 9,22; 12,12; ecc.).24

La manifestazione e dimostrazione della grazia si dà nel fatto che Dio rivela in Cristo la pienezza della sua “viscerale misericordia visitandoci il Sole che nasce dall’alto” (Lc 1,78).25 I due momenti, la manifestazione e la dimostrazione, sono ben rappresentati nelle pagine del vangelo. In primo luogo, la manifestazione si pone quasi come introduzione, fin dai primi due capitoli dedicati agli avvenimenti dell'infanzia di Gesù. A differenza di Mt, in Lc 1-2 si rivelano al lettore fin dall’inizio i principali titoli cristologici.26 Il tema dialettico del crollo dei potenti e l'elevazione degli umili (cfr. 1,46-55), personificati nelle figure degli ‘anawîm’ , “poveri” (cfr. Maria, i pastori, Anna, Simeone), anticipa già lo sviluppo di valori che si concretizzeranno nell'azione del Messia Gesù come rivelazione della “misericordia di Dio per quelli che lo temono” (1,50).

In secondo luogo, la manifestazione personale della grazia di Dio arriva quasi come un ‘manifesto’ nell'inaugurazione del suo ministero nella sinagoga di Nazaret (cfr. 4,16-30). Questo passaggio contiene un'importante funzione ermeneutica per la comprensione di tutto il vangelo di Luca nel contesto dell'ultimo anno giubilare, si annuncia la grazia che porta la buona notizia della liberazione ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi.

Lc presenta questa misericordia (éleos), con un rilievo particolare, non solamente come annuncio verbale ma anche e soprattutto come la manifestazione effettiva nel ministero svolto da Gesù. In effetti, questo vangelo, oltre ai paralleli di Mc e di Mt, ha un materiale proprio su questa dimensione che gli è propria.27 Il c.15 sviluppa ampiamente questa caratteristica lucana.28 I primi versetti introducono le tre parabole poste in sequenza immediata, riferite alla misericordia: la pecora smarrita (vv.3-7); la dracma perduta (vv.8-10); il figlio prodigo (vv.11-32) persi e ritrovati. Quest’ultima parabola, il cui insegnamento contiene valori emblematici per tutto il vangelo, collega contemporaneamente il tema della grazia a quello di una “necessità divina”, deî: era necessario celebrare una festa e rallegrarsi, perché tuo fratello era morto ed è ritornato alla vita, si era perso ed è stato ritrovato ” (v.32). Lc non dà mai una definizione né della grazia né della necessità. Questo “è necessario” è l'amore schivo da ogni calcolo, il perdono senza condizioni, in una parola, è l'umanità di Dio.29 Il punto centrale è la misericordia gioiosa. Il valore cristologico del racconto è chiaro: nel comportamento di Gesù si manifesta e si dimostra la misericordia di Dio stesso. Quello che nella parabola è semplicemente un racconto, nella vita di Gesù, invece, è una realtà.

In generale, l'immagine di Gesù in Luca è marcata dalla cristologia. L'evangelista fa trasparire un'immagine che mantiene nella tarda generazione cristiana il ricordo vivo di Gesù, ma che permette di vedere anche la predilezione di Luca per l'umanità di Gesù, per il suo atteggiamento deciso a beneficio dei poveri e degli abbandonati, per la sua attenzione e bontà verso le donne, e per la profonda pietà di Gesù.

1.4. La compassione di Gesù

La solidarietà di Gesù si esprime nei Sinottici in maniera speciale mediante il verbo splagchnízomai (avere compassione, avere misericordia). Nel NT il verbo (che è di forma passiva) appare unicamente nei Vangeli sinottici per un totale di 12 volte.30 Il suo significato viene indicato quasi sempre con sinonimi, è un sentire “misericordia, compassione”.31

“E sbarcando, vide molta gente, sentì compassione (esplagchnísthe) di essi, perché erano come pecore senza pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,34).

Marco introduce (in forma forse redazionale) il racconto del miracolo col quale si offre da mangiare a cinquemila persone, alludendo chiaramente ad Ez 34, in modo tale che Gesù, che si impietosisce, appare come il rappresentante (escatologico) di Dio stesso; nel secondo racconto (il miracolo di dare da mangiare a quattromila persone), Marco mette sulle labbra di Gesù stesso l'affermazione: “sento compassione di questa gente, perché già da tre giorni rimangono con me e non hanno da mangiare” (Mc 8,2).

Matteo raccoglie i due passaggi di Marco (Mt 9,36 e 14,14a, ripetuto in 15,32) ed aggiunge redazionalmente in 20,34 al testo di Mc 10,52 le parole “egli ebbe compassione ” come motivo per la guarigione dei ciechi. In consonanza con ciò si trovano Lc 7,13 (“vedendo la madre del bambino che era morto, il Signore ebbe compassione di lei e le disse ‘non piangere '”) e la motivazione che appare in Mc 1,41 (guarigione di un lebbroso) e 9,22 (il padre dell'epilettico prega: “Abbi compassione di noi!”).

Il verbo splagchnízomai appare anche in tre parabole di Gesù: in Mt 18,23-35 (v.27) riferito al modello del servo che non ebbe misericordia; in Lc 15,11-32 (v.20), riferito al padre del figlio prodigo (qui il figlio maggiore, con la sua collera per la condotta del padre, segna il contrasto, v.28). Nella parabola esemplare del Samaritano compassionevole (Lc 10,30-37), si sottolinea con splagchnízomai il motivo decisivo per la sua buona azione verso l'uomo che era stato vittima di alcuni rapinatori.

Il viaggio del Samaritano - la missione di Gesù - è la compassione stessa di Dio per i suoi figli. Qui il senso del verbo raggiunge tutta la sua espressività: avere misericordia, compassione, è arrivare a “commuoversi” nel più profondo; così come le viscere materne di Dio32 si commuovono di fronte al male dell'uomo, suo figlio al quale solo può offrire tutto il suo amore solidale.

2. San Giovanni

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Il dialogo di Gesù con Nicodemo, ad un certo momento, si trasforma in monologo (quel notabile fariseo sembra scomparire nella notte che lo aveva attirato), nel quale trova un ampio sviluppo il tema dell'incarnazione. Dio ha consegnato (nell'incarnazione ed anche nella propria morte) il proprio Figlio affinché noi abbiamo la vita (cfr. Rm 8,32; Gal 2,20). Perciò, la missione di Gesù non è di dannazione, ma di salvezza.33

Il testo precedente rivela la portata infinita della solidarietà di Gesù verso l'uomo. Lo studio del tema nella letteratura giovannea potrebbe avere innumerevoli prospettive data la complessità e ricchezza che offre la cristologia del quarto vangelo.34

Per questo siamo costretti a fare una scelta, considerando semplicemente un aspetto del senso solidale di Gesù che fonda la comunione del credente con lui e le conseguenze comunitarie della vita di carità.35

2.1. Gesù, centro fecondatore della comunione ecclesiale

La dottrina di Giovanni sulla Chiesa, la quale vive unicamente di Gesù, è sintetizzata nei due grandi discorsi simbolici del Maestro: quello del pastore (10,1-16) e quello della vite (15,1-17).36

a) Il buon pastore (Gv 10,1-16; 10,25-30)

L'immagine ha una lunga tradizione nel mondo dell'antico oriente e soprattutto nell'AT. Anche i Sinottici conoscono l'immagine e la parabola del buon pastore che Gesù applica a sé,37 ma in Gv quell'immagine raggiunge più ampio e più profondo valore cristologico ed ecclesiologico.

  1. Nel discorso del buon pastore, Gesù dice innanzitutto (cfr. anche Gv 10,1-5): “Io sono la porta delle pecore” (10,7); “Io sono la porta: chi entra attraverso me sarà salvato” (10,9).
  2. Gesù è colui che le pecore seguono come legittimo e conosciuto pastore.
  3. Gesù è il buon pastore che offre la sua vita per le pecore (10,11), i discepoli vivono della sua volontaria decisione.
  4. Con Gesù ed in Gesù ha avuto inizio la grande missione universale di riunire tutti, così si avrà “un solo gregge ed un solo pastore ” (10,16).
  5. Gesù, il buon pastore, li custodirà eternamente e darà loro vita eterna. Nessuno li potrà togliere dalla sua mano né da quella di suo Padre (10,25-30).
  6. La mutua conoscenza tra Gesù e i suoi discepoli si fonda sulla relazione di reciprocità tra Gesù e il Padre (10,14-15). Ciò significa che la comunione di Gesù col Padre (10,30) è il fondamento della comunione dei discepoli con Gesù, e Gesù è il buon pastore perché dà la vita per i suoi in conformità alla volontà del Padre (10,17-18).

b) La vite vera (Gv 15,1-17)

Il simbolismo della vigna è notevole nell'AT (cfr. Is 5,1-7) e trova grande sviluppo nei Vangeli sinottici.38 Tutte le parabole dei Sinottici hanno in comune il fatto che la vigna, o le persone riferite ad essa, rappresentano Israele o una sua porzione. Si stabilisce un contrasto tra il frutto che Israele, come vigna impiantata da Dio, o gli operai della vigna, dovrebbero dare o produrre col lavoro, e lo scarso o nullo risultato che appaiono in realtà.

Questo materiale tradizionale subisce una trasformazione nel vangelo di Giovanni, sia nella forma letteraria come nel contenuto. In quanto alla forma, in Gv non ci racconta nessuna storia particolare (o parabola), ma fa un'allusione generale e allegorica alla vite; tutto il racconto è dominato dalla frase iniziale: “Io sono” (egò eimí ), ci troviamo in una concentrazione cristologica del simbolo della vite. In quanto al contenuto, Gv ricava il quid dalla parabola del contesto della crisi escatologica, prodotta dal ministero di Gesù, e l'applica alla vita quotidiana della Chiesa; la vite cessa di rappresentare Israele e si trasforma in una definizione cristologica applicata alla persona stessa di Gesù.

Colta in questo modo da Giovanni, questa immagine arriva ad essere il simbolo del discepolato e della profonda e assolutamente necessaria unione dei discepoli con Gesù. Solamente “uniti a Gesù” e “rimanendo in lui”, i cristiani arrivano ad essere tali e possono vivere come cristiani.39 In Cristo risiede la fecondità del vero servizio a Dio, la fecondità della preghiera e dell'obbedienza nell'amore reciproco e solidale. Solamente quelli che “rimangono in lui” sono gli amici di Gesù (15,14) e rimangono necessariamente uniti tra loro nell'amore (15,9-12).

Alla fragile spiritualità di molti cristiani, che sentono la propria religiosità come un peso da sopportare, Gesù propone una religiosità di comunione interna e di amore gioioso e generoso. Si tratta di coltivare bene la vita di Gesù in noi (rimanere in lui) affinché l'immensa vigna del Signore nel mondo cresca nell'amore e la solidarietà si sviluppi sempre più verso l'unità.

2.2. La comunione reciproca in 1Gv

Più che combattere gli errori, la finalità principale della lettera è riflettere positivamente sulla fede e l'esistenza cristiana.40 Scegliamo come centro della nostra riflessione il prologo della lettera (1Gv 1,1-4).

La parola koinonia appare solamente quattro volte in 1Gv (1,3ab.6.7). Ma ci sono anche altre espressioni che riprendono ed ampliano il suo contenuto e le sue modalità: per esempio essere in e rimanere in ; conoscere ; amore e amare ; gli uni e gli altri. Ognuna di queste espressioni mantiene la sua caratteristica specifica e tutte insieme parlano della “comunione”, concetto che non è privo di complessità. Nella linea della comunione pensiamo al tema della solidarietà.

Il gruppo semantico, al quale appartiene la parola koinonia , esprime il significato di “comproprietà degli stessi beni” da parte di due o più persone. Di qui il significato di “reciprocità” tra i membri che condividono lo stesso bene. È presente una nota importante: la cooperazione di tutti per il bene comune.41 Nei quattro casi menzionati, la parola koinonia in 1Gv appare con la stessa espressione: “abbiano comunione con (metá ).” La comunione è allora qualcosa che può possedersi (echein ). “Rimanere in (menein )” e “essere in”, esprimono non solo l'intimità e la profondità della presenza, ma anche la sua stabilità. Non si può parlare di comunione là dove lo stare insieme è provvisorio ed occasionale: stare insieme non è semplicemente fare insieme qualcosa. La 1Gv utilizza la parola agapan ed agape per riferirsi ad un amore concreto, realizzabile, verificabile nella pratica.

“Perché voi siate in comunione con noi ” (1,3). “Per” (hina ), vuole dire che la comunione è la finalità verso la quale tende tutto quello che precede. La finalità della lettera non è direttamente missionaria bensì ecclesiale. L'autore si rivolge ai cristiani che corrono il pericolo di perdere la relazione con l'origine della propria fede. Il soggetto “noi” si riferisce ai testimoni oculari contemporanei all'avvenimento di Gesù, quelli che oggi prolungano fedelmente la testimonianza. La comunione si costruisce nella tradizione comune. Ma l'espressione “con noi” dice qualcosa di più. Non si riduce ad una semplice sintonia col messaggio che si viene testimoniando ed annunciando, ma esige anche un legame di appartenenza, di esperienza e di vita col gruppo “noi” che annuncia e testimonia. Da parte sua, la preposizione greca metá, seguita dal genitivo, indica compagnia, solidarietà, essere d’accordo, stare insieme. La koinonia si sostiene con la medesima fede, ma implica sempre una relazione vitale tra persone.

“Siamo in comunione gli uni con gli altri” (1,7). La parola koinonia ritorna ad apparire (in 1,6-7) in un contesto distinto rispetto al prologo della lettera. Nel prologo l'attenzione era posta soprattutto nella fedeltà a “quello che era fin dall'inizio”: solamente inserendosi nella tradizione vivente che viene dalle origini, si entra in comunione con Dio. Ora l'accento è posto sulla prassi: solo se si cammina nella luce si realizza la verità, si sta in comunione con Dio e tra noi.

“Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con altri ” (1,6-7).

Richiama l'attenzione, innanzitutto, che la comunione con Dio e la comunione tra noi sono intercambiabili. Ne viene di conseguenza che le due dimensioni della comunione sembrano sovrapporsi. In effetti, senza tradire il testo, si può costruire questo parallelismo: se camminiamo nelle tenebre, non abbiamo comunione con Dio; se camminiamo nella luce, abbiamo comunione tra noi.42

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1 F. DUCI, "Partecipi dell'offerta di Cristo", in Spiritualità oblativa riparatrice, EDB, Bologna 1989, 137.

2 Perciò è assente la nota di celebrità.

3 Certamente, dopo Mc questa metafora cristologica conoscerà uno sviluppo considerevole in rapporto a Gesù (cfr. 2 Cor 11,2; Mt 22,1-2; 25, 1-13; Gv 2,29 [2,1-11]; Ef 5,22-23; Ap 19,7; 21, 2.9).

4 La dichiarazione dal Cielo allude al Sal 2,7 (Gen 22,2 LXX; Is 42,1).

5 Per una analisi della forma redazione dei titoli classici di Figlio dell'uomo, Figlio di Dio che non costituiscono un proprium dell'evangelista, cfr, R. SCHNACKENBURG, Le persona de Jesucristo reflejada en los cuattro Evangelios, Herder, Barcelona 1998, 150-165; G. SEGALLA, Evangelo e Vangeli, EDB 1992, 102-104.

6 In tutto il NT è presente solo in Gv 1,41; 4,25.

7 Questo titolo si incontra 17 volte in Mt, mentre è presente 7 volte in Mc e 12 in Lc.

8 In Mc e Lc la formula appare solo 2 volte in ogni vangelo. Cfr. R. SCHACKENBURG, op. cit. p. 165 ss.

9 Sia nella forma greca di didáskalos che in quella ebraica di rabbi.

10 Esiste una abbondante bibliografia, cfr. U. LUZ, El Evangelio según San Mateo (Mt1-7),Sígueme, Salamanca 1993, (orig. Sürich-Köln 1985) 257-259.

11 Cfr. specialmente D.C. ALLISON, The New Moses. A Matthean Typology, T&T Clark, Edimburgh 1993.

12 Per uno status quaestionis cfr. J. JENSEN, "Immanuel" in The Ancor Bible Dictionary 3, 392-395.

13 Cfr.la discussione del testo in R: E: BROWN, El nacimiento del Mesías. Comentario a los Relatos de la Infancia, Cristianidad, Madrid 1982 (orig. New York 1977), 143-153.

14 È uno dei punti di partenza della tesi di W. TRILLING, Il vero Israele. Studi sulla teologia del vangelo di Matteo, Piemme, Casale Monferrato (orig. Leipzig 1975), 53-58.

15 Per problemi tipografici, scriviamo e con la lettera greca eta, o la lettera omega, la lettera i= omega e iota.

16 H.E. LONA, Gracia y Comunidad de Salvación, el fundamento biblico, Estudios Proyectos 21, BA 1998, 134.

17 R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria II. Gli sviluppi, San Paolo, Milano 1999, 362.

18 In questo senso c'è una continuità con l'AT a proposito dello stesso Yhwh che assicura la propria presenza in mezzo al suo popolo: "Io sono con voi" (Ag 1,13; 2,4). In Israele la presenza di Dio è manifesta in tre momenti successivi: nella teofania del Sinai, nella promessa rapportata a Gerusalemme sia con la monarchia davidica che con la permanenza di Dio nel Tempio e poi nella dimensione più trascendente, dopo la distruzione del Tempio, con la costante vicinanza di Dio al suo popolo.

19 R.E. O'TOOLE, L'unità della Teologia di Luca. Un'analisi del Vangelo e degli Atti, LDC, Torino Leumann 1994 (orig. Ingl. Wilmington 1984) presenta l'unità della teologia di Lc sul tema della salvezza.

20 R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo, II, 364.

21 Cfr. J.A. FITZMYER, El Evangelio según Lucas I, Cristianidad, Madrid 1986 (orig. NY 1981) 250.

22 Gv usa il termine charis tre volte e solo nel Prologo. La parola in Lc, conforme all'uso greco, ha diverse sfumature, in particolare nel senso di "favore, compiacenza"; ma la grazia di Dio è molto di più: perdono dei peccati (At 13,43, cfr. 39s), messaggio di salvezza (At 14,3; cfr. 20,24.32; 15,11). Cfr. SCHACKENBURG, Op. cit. 212s.

23 Si deve considerare che Lc mette in connessione la grazia di Dio colo con Gesù e Maria.

24 S. ZEDDA, Teologia della salvezza nel vangelo di Luca. EDB, Bologna 1991, 14.

25 Oltre il termine charis, "grazia", Lc più di ogni altro evangelista, usa la parola éleos, "misericordia" (6 volte contro 3 di Mt, 0 di Mc e Gv).

26 Due titoli sono particolarmente importanti: sôtêr (2,11) e Christòs kyrios.

27 Cfr. Lc 7,11-17 (la vedova di Naim); 7,36-50 (la peccatrice); 10,29-37 (il buon Samaritano); 13,10-17 (la donna curva); 16,1-9 (l'amministratore astuto); 16,19-31 (il ricco Epulone); 17,7-10 (il detto sui servi inutili); 17,11-19 (i lebbrosi); 18,1-8 (il giudice e la vedova); 18,9-14 (il fariseo e il pubblicano); 19,1-10 (Zaccheo); 23,39-43 (il buon ladrone); 24,13-35 (i discepoli di Emmaus).

28 Si può considerare come "il cuore del terzo vangelo". Cfr. L.RAMAROSON, "Le coeur du troisième Èvangile: Lc 15", Bib 60 (1979) 348-360.

29 J.-N. ALETTI, El arte de contar a Jesucristo, Sígueme, Salamanca 1992 (orig. Paris 1989) 184.

30 Mc: 4 volte; Mt: 5 volte; Lc 3 volte.

31 N. WALTER, "splagchnízomai", H. BALZ-G. SCHNEIDER (eds), DENT, Sígueme, Salamanca 1998 (orig. Stuttgart2 1992), 1469.

32 Cfr. Lc 1,78: "Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio". Cf. S. Zedda, op. cit. 36.

33 R.E. BROWN, Il vangelo e le lettere di Giovanni, Queriniana, Brescia 1994 (or. Collegeville, MN 1988), 45.

34 Cfr. R. SCHNACKENBURG, Op. cit. 319s; R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo, II, 388s.

35 È per questo che prendiamo in considerazione due testi del vangelo di Gv (Gv 10,1-16 e 15,1-17) e un altro della prima lettera di Gv riferito alla comunione (1Gv 1,1-4). Particolarmente importante è il tema del simbolismo giovanneo del "Cuore trafitto"; cfr. D. MOLLAT, La Palabra y el Espíritu. Exégesis espiritual, Sígueme, Salamanca 1984.

36 Per una esegesi più dettagliata rimandiamo ai grandi Commentari e al recente studio di G. ZEVINI, "La vita di comunione tra Gesù e i suoi, la vera vite e i tralci (Gv 15,1-17)", PSV 31 (1995) 93-109. Cfr. V. MANNUCCI, Giovanni, il Vangelo narrante, EDB, Bologna 1997, 284-285.

37 Mc 6,34; Mt 9,36; 18,12-14; Lc 15,3-4.

38 Mc 12,1-9; Mt 21,33-41; Lc 20,9-16; ecc.

39 "Senza di me non potete fare nulla" (Gv 15,5). Qui è espressa l'autocomprensione della Chiesa. Cfr. R. SCHANACKENBURG, El evangelio según San Juan, Herder, Barcelona 1987 (or. Freiburg 1975) III 122-149.

40 B. MAGGIONI, "La comunione nella prima lettera di Giovanni" PSV 31 (1995) 205-218.

41 A. DALBESIO, Quello che abbiamo udito e veduto. L'esperienza cristiana nella prima lettera di Giovanni. EDB, Bologna 1990, n. 83.

42 Il "camminare" (peripatein due volte) svelerà la verità o falsità della duplice comunione. La metafora del camminare è significativa e si deve prendere nelle sue molteplici implicazioni (cfr. 2,9-11).