VITA DELLA CONGREGAZIONE

KISANGANI IN UNA GUERRA

CHE NON È SUA

Colette Braeckman

Inviata speciale

È alla clinica universitaria che si rivela il vero volto della guerra tra Ruandesi e Ugandesi che si disputano il centro di Kisangani. Nelle vicinanze di questi vasto edificio, già da anni senza nessuno, regna una calma strana. Le erbe sono alte, le donne raccolgono le foglie di manioca e i tuberi di amaranto, l'unico cibo delle famiglie da diversi giorni.

Ogni tanto una jeep vi conduce un militare ferito che viene deposto in una barella di legno e messo in fila con i suoi colleghi nella piccola stanza riservata ai soldati.

I feriti Congolesi sono allineati nel corridoio. Dal momento che l'acqua manca, ci si accontenta di pulire il sangue secco. Nessuno piange o geme; i feriti fissano il vuoto con abbandono e rassegnazione.

Una giovane, ricoverata da ieri, mostra il suo piede maciullato ed un odore di carne morta esce dal panno che lei stessa ha fissato sulla ferita. Una bambina mostra la sua guancia gonfiata da una scheggia e indica che la sua carne incomincia a imputridire. Una mamma ha avuto il torace trapassato da una pallottola e respira a singhiozzo.

L'infermiera sospira: "Questa notte stessa, nel corridoio, tre pazienti sono morti per mancanza di antibiotici per bloccare l'infezione". Ci conduce in una stanza dove riposa una donna dal viso sereno. Le mani congiunte sul "pagne" colorato, sembra un volto di cera.

Un chirurgo mi avvicina, con gli occhi umidi. "Lei aveva l'addome forato, l'ho operata questa notte. Per due ore, con strumenti non sterilizzati, alla luce di una torcia. In principio l'operazione era riuscita, era salva… ma poi è morta per mancanza di sangue. Per la trasfusione non abbiamo riserve". Se i corridoi della clinica, dove arrivano i feriti che le persone trasportano sulla loro schiena, sembrano l'anticamera della morte, il sottosuolo dell'edificio sembra l'inferno. Qui, da tre giorni, le persone sono bloccate, senza acqua, senza luce, senza viveri. Il caldo è soffocante, manca l'aria. Si geme dolcemente al tremito dei muri per ogni bomba, che scoppia lontana.

Il terrore è palpabile, e i civili, stanchi, non danno nessun segno di rivolta. La maggioranza sono del quartiere popolare della Tshopo, dove erano intrappolati tra i due fuochi delle due armate.

Morti a decine

Come contare i morti, i feriti? Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che finora non ha avuto alcuna possibilità di spostarsi nei diversi ospedali della città, calcola 50 morti e un centinaio di feriti tra i civili, ma ascoltando le persone che provengono dalla zona Tshopo, il bilancio reale è molto più elevato, soprattutto alla 5a e alla 7a strada dove si combatte metro per metro. Dalle notizie si ricava che un'intera famiglia è stata completamente sepolta sotto le macerie della propria abitazione, distrutta da una bomba; in una scuola, colpita in pieno il primo giorno sono morti 19 bambini. Ognuno parla del suo vicino, che ha avuto la casa distrutta, di bambini dispersi nella città.

Tutte le persone che noi incontriamo all'interno della clinica o nei quartieri dove i civili si spostano come dei fantasmi, tra le case bombardate, assicurano che i morti si contano a decine e che il bilancio delle vittime aumenta sempre più.

Come potrebbe essere diversamente? Ruandesi e Ugandesi si combattono strada per strada. Le cannonate annullano tutte le promesse di "cessate il fuoco" e soprattutto i feriti non hanno alcuna possibilità di essere curati. "Noi manchiamo di tutto - ripete il dott. Vornando Cikukho, un ginecologo riconvertito in chirurgo di guerra - medicine, anestetici, bende, ma anche acqua per la pulizia, luce per operare con facilità e correttamente".

La cattedrale in fiamme

I Congolesi, che non sono lontani dal credere di essere stati abbandonati da Dio e dagli uomini, e che non cessano di domandare: che cosa fanno le comunità internazionali, l'Onu, il presidente Clinton, il Belgio, hanno creduto di vedere in tutto questo la conferma della maledizione che pesa su di loro in questo momento.

A mezzogiorno, una bomba volutamente regolata è piombata sul tetto della cattedrale di Kisangani, vicino alla Procura. In pochi minuti la capriata in legno è stata preda delle fiamme e uno spesso fumo scuro è salito tra le lamiere del tetto. Questo incendio della cattedrale è apparso come il simbolo della distruzione di Kisangani; le campane, immediatamente, sono suonate per chiamare tutti gli uomini di buona volontà. La popolazione è accorso da tutte le direzioni con bidoni, secchi, taniche in plastica…

Gli ufficiali della "MONUC" si sono arrampicati sul tetto e hanno tentato di gettare acqua sul tetto in fiamme; i pochi estintori della Procura non funzionavano; i secchi d'acqua, gettati sull'incendio, erano come niente per la furia delle fiamme….

Nello stesso momento un "cessate il fuoco" provvisorio è stato decretato e si sono visti militari ruandesi e ugandesi lasciare immediatamente i loro walky-talky per precipitarsi anche loro verso l'edificio in fiamme a fianco dei soldati dell'Onu.

Ma non si è potuto fare niente e dopo qualche minuto, la catena di solidarietà è ripartita in senso inverso perché si è dovuto vuotare la cattedrale di tutti gli oggetti di culto. Si è visto allora le statue dei santi, i quadri, i paramenti e gli stessi banchi e la cattedra del vescovo ammucchiarsi sul prato antistante, mentre il fumo saliva alto nel cielo, più in alto della traiettoria delle bombe…

Allontanare i testimoni

Alla fine della giornata, gli ufficiali della MONUC tentano ancora l'impossibile: fare accettare dalle due parti di mettere fine ai loro insensati combattimenti, aprire una zona smilitarizzata in cui gli osservatori possano prendere posizione con la loro bandiera blu e le loro vetture con il simbolo ONU e trovare una soluzione per il ritiro delle truppe. Ma i loro sforzi sembrano perfino ridicoli, come il salvataggio di una cattedrale che celebra tra poco il centenario della sua fondazione, come l'appello ai principi del diritto internazionale…

In effetti gli osservatori militari hanno la sensazione sempre più netta di essere presi come cavie dalle due armate che attendono solo la partenza degli osservatori esterni.

Effettivamente, l'incendio della cattedrale, le bombe che distruggono sistematicamente gli edifici della Procura, le cannonate che hanno completamente distrutto il secondo edificio che ospita la MONUC e che per miracolo non hanno fatto vittime, non possono essere interpretati come fatti casuali.

Tutto avviene come se l'ONU fosse in procinto di essere cacciata da una città dove Dio e gli uomini di buona volontà hanno da molto tempo distolto lo sguardo.

(Da « Le Soir », Bruxelles, 08.06.2000)

VITA DELLA CONGREGAZIONE

L’ADORAZIONE PERPETUA

NELLA CLINICA PEDIATRICA DI CRACOVIA

Lucjan Szczepaniak, scj

Kraków, 6 aprile 2000

Rev.mo Padre Generale,

incoraggiato dal P. Provinciale Zbigniew Bogacz, La saluto di cuore e mando la presente, per comunicarLe la notizia gioiosa, che dal 23 marzo 2000 nella Cappella della Madonna del Perpetuo Soccorso, nella Clinica Pediatrica Collegium Medicum dell’Università Jagellonica di Cracovia, c’è l’esposizione del Santissimo Sacramento 24 ore. Il permesso è stato firmato dal vescovo ausiliare mons. Kazimierz Nycz (Curia Metropolitana di Cracovia, il 23 marzo 2000; n. 779/2000). L’esposizione del SS. Sacramento per un’intera giornata esisteva già dal 26 agosto 1996 (permesso emesso dalla Curia Metropolitana di Cracovia n. 1512/96).

Così ho compiuto la richiesta del Padre Generale (almeno così ho capito il desiderio da Lei espresso durante la Sua visita in Polonia nel 1999), che cioè almeno in una casa o in luogo dove lavorano i PP. Dehoniani si organizzi l’adorazione perpetua.

Devo dire che da quando sono entrato nel Noviziato il mio sogno fu di scoprire Gesù nel Santissimo Sacramento e nei cuori della gente bisognosa: dei malati, degli abbandonati e dei poveri. Il Buon Dio mi ha aiutato a realizzare i miei sogni, perché per 7 anni mi sono occupato dei padri e fratelli religiosi malati (molti sono morti tra le mie braccia). Sono stati loro, con la loro umiltà e coraggio, povertà e morte, a insegnarmi che cosa è un vero amore di Dio e la vita religiosa come sua conseguenza. Quando mi interrogavo: Non sbaglio volendo servire ai malati nella Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore? È questa una delle molte strade riparatrici indicata dal P. Fondatore? Proprio loro mi davano la forza e il coraggio per fare nuovi sforzi.

Padre Generale, sono riuscito a realizzare il desiderio del Padre Fondatore riguardante la casa dell’adorazione. La cappella ospedaliera, che è offerta alla nostra Congregazione finché esisterà questa clinica, è qualcosa di più che una casa, perché essa è aperta anche alla gente. Ad essa vengono 24 ore su 24 bambini con gravi malattie, i genitori disperati a causa dei loro bambini morenti; vengono medici, infermiere e studenti, suore e sacerdoti. Sono i momenti molto brevi, quasi per un riposo, quando Gesù rimane da solo nella cappella.

Gesù, insieme alla sua Madre nell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, porta salvezza e conforto ai bisognosi nei momenti più difficili della vita e della morte. Le richieste rivolte a Gesù tramite la Sua Madre sono scritte in appositi quaderni; alcune sono sconvolgenti... Il culto dell’Eucaristia nella clinica è vivo e non forzato. Durante un anno si distribuiscono 80 mila comunioni; il sacramento per i malati è amministrato a circa 1.000 persone; il battesimo liturgico l’ho amministrato a circa 130 bambini. Dopo ogni S. Messa celebrata alle 14.30, segue la comune adorazione durante la quale tutti dicono l’atto di riparazione al S. Cuore di Gesù "Ecco quel Cuore...".

I vescovi di Cracovia intravedono il ruolo particolare di questo "santuario della sofferenza". Ogni anno visitano la cappella e i bambini malati 4 o 5 volte. Da ventun anni il Cardinale Franciszek Macharski, nel periodo di Natale viene alla clinica per la visita natalizia.

La clinica l’hanno visitata anche i Superiori Provinciali: p. Józef Gawel e p. Zbigniew Bogacz.

Da 10 anni gli alunni del nostro Seminario di Stadniki, durante le vacanze estive, lavorano alla clinica disinteressatamente, come semplici inservienti. Da due anni si sono aggiunti a loro anche i seminaristi del Seminario Diocesano di Cracovia e di Sosnowiec (questi ultimi fanno nella clinica un tirocinio diaconale che dura mezzo anno).

Padre Generale, assieme allo sviluppo del Culto Eucaristico si fa anche un lavoro formativo tra gli operatori sanitari (da tre anni esiste nella clinica l’Azione Cattolica - in quest’attività mi da una mano il nostro padre Grzegorz Piltek, Direttore delle Edizioni SCJ). Voglio informare anche sugli esercizi spirituali quaresimali (di 6 giorni) e di Avvento (tre giorni) che ormai sono una tradizione stabile. I partecipanti sono cira 1.000 persone. Finora questi esercizi spirituali sono stati tenuti dai nostri padri (p. Wieslaw Pietrzak, p. Stanislaw Stalczyk, p. Walerian Swoboda, p. Kazimierz Kowalczyk). L’Azione Cattolica collabora strettamente con le Edizioni SCJ (sono stati pubblicati i libri per i malati: A dispetto della speranza; Le lacrime di Dio; Aspettato; Disprezzato). Si sta preparando un grande libro di preghiere.

Alla clinica si distribuiscono molte riviste cattoliche, anche quelle pubblicate dalla nostra Provincia; fra l’altro: Alzati e Tempo del Cuore. Mensilmente si distribuiscono circa 1.700 copie di riviste.

Devo aggiungere che certi meriti, per lo sviluppo del culto del S. Cuore nella clinica, li ha il p. Adam Wloch SCJ, sottolineando il valore e il bisogno di impegnarsi per l’espansione della nostra spiritualità, attraverso il suo lavoro per "L’Informatore SCJ" della Provincia Polacca, come pure p. Andrzej Sawulski SCJ attraverso i suoi articoli pubblicati sul settimanale "Ospite della Domenica".

Nella clinica esiste anche l’organizzazione dei Boy-Scouts (Scauting - harcerstwo), inserita nell’attività pastorale locale. Lo scopo di quest’organizzazione è il lavoro con i bambini malati di leucemia e per la loro riabilitazione psichica. Il numero dei membri dello Scauting è di 140 persone.

Al termine del mio scritto voglio presentare la stessa clinica. Il titolo completo è: Istituto Pediatrico Polacco-Americano Collegium Medicum dell’Università Jagellonica. È stato costruito nel 1965 grazie agli aiuti dei Polacchi d’Americana. La clinica è stata visitata da due diversi Presidenti degli USA. Nella clinica lavorano 1700 operatori sanitari; i pazienti sono circa 600 (circa 25 per cento di essi sono i bambini malati di cancro e di leucemia). L’Ambulatorio consente la visita di circa 1.500 pazienti al giorno. In agosto del 1991 la clinica è stata visitata dal Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale negli anni sessanta ha gettato i fondamenti per la pastorale in questa clinica.