VITA DELLA CONGREGAZIONE

TESTIMONI PER IL SECOLO XXI

Beato Juan María de la Cruz scj

Evaristo Martínez de Alegría

"Non ci si può proiettare nel futuro

senza conoscere la storia del passato"

Recuperare la memoria

Tra i molti avvenimenti giubilari dell'anno 2000, uno di essi è stato realmente significativo, non solo per il posto scelto: il Colosseo, a Roma, che evoca tradizionalmente tanti e tanti martiri che vi hanno testimoniato la loro fede durante i primi secoli, ma soprattutto per il ricordo ecumenico dei molti cristiani che durante il secolo XX, in ogni parte del mondo, hanno testimoniato la loro fede, con tutto ciò che ne consegue, davanti ad ogni tipo di poteri che, generalmente, hanno voluto occultare la persecuzione e la violenza sotto il pretesto della disubbidienza alle autorità e ai regimi costituiti, ed in non poche occasioni si trattava, almeno teoricamente, di cristiani o di persone con cultura cristiana, per cui in alcuni casi dei cristiani sono stati eliminati da altri cristiani.

Compromesso ecclesiale

Questo è quanto scrive Andrea Riccardi in un importante e documentato volume, realizzato attraverso lo studio delle memorie, come suggeriva il Papa, in occasione della preparazione del Giubileo indirizzandosi alle diverse chiese locali. Il volume è intitolato: "Il secolo del martirio" (non credo che esista ancora traduzione in altre lingue), e può essere letto con interesse da parte degli anziani perché tutto quello che vi è descritto è ben documentato, a volte con nomi concreti e luoghi precisi. E credo, possa essere letto anche dai più giovani, per i quali è come la voce di una Chiesa viva che dà testimonianza. È ciò che occorre oggi in cui sembra che la Chiesa si sia dimenticata del tema, preoccupata per i problemi attuali, la discussione sulla sua struttura o sul suo stesso futuro, come già sottolineava nel 1966 l'allora teologo emergente Von Baltasar quando riproponeva il tema del martirio ad un cristianesimo troppo contestato per l'apertura al mondo. Il "martire" non trova sempre pubblicità immediata.

A volte è necessario che passi una generazione perché le figure emergano come, probabilmente, sta succedendo coi nostri dell'Africa, e a molti altri che i mezzi di comunicazione pongono sul candelabro e poi scompaiono come è successo in Africa (la zona dei Grandi laghi in particolare), in America latina e nella stessa Yugoslavia negli ultimi anni in cui, sotto la bandiera etnica e religiosa. vi sono stati scontri senza quartiere, o la guerra accanita che il fondamentalismo islamico sta portando avanti in diversi fronti, come in Algeria o Timor Est. E ora nelle Molucche.

Sono appena stati pubblicati in questo mese di dicembre vari volumi sui "Testimoni della fede" raccolti dietro invito del Papa, che ne ha fatto oggetto della celebrazione estiva del Gran Giubileo, presentandoli come un nuovo Martirologio per il secolo XXI.

In casa nostra

Il benemerito P. Savino Palermo, studioso della Chiesa del Congo, e in particolare della nostra missione in quelle terre, nella sua opera voluminosa: "Pour l'amour de mon peuple," nella quale raccoglie documentazione, attestazioni, lettere che oggi sorprendono ed emozionano gli stessi sacerdoti e religiosi indigeni, che desiderano ritrovare le proprie radici dell'identità cristiana, racconta che uno dei nostri Provinciali, molti anni fa, quando colui che fu Nunzio Apostolico del Congo volle introdurre la Causa di tutti i martiri della data tragica del 1964, attraverso il suo segretario, gli fece sapere di non riprendere questi temi... che era meglio lasciare tutto come stava. Il lettore può immaginare i motivi di questo compromesso e di quella strana risposta di fronte ad un fatto ecclesiale che tanto commosse la Congregazione e la stessa Chiesa. La stessa beata Anuarite Nengapeta è legata a quel massacro, essendo figlia spirituale di Mons .Wittebols, anche lui assassinato con molti altri religiosi, sacerdoti e laici, dei quali rimangono magnifiche attestazioni che si dovrebbero raccogliere, ordinare e conservare, prima che il trascorrere degli anni oscuri il ricordo di quei testimoni, relegandoli in vecchie riviste e racconti di quegli anni.

Allora forse si poteva sospettare un motivo politico, come causa del loro sacrificio, mentre oggi si vede come per molti di essi fu una vera donazione della propria vita alla Chiesa nascente congolese.

Nell'Anno del Signore 2000

Giovanni Paolo II, illustrando gli obiettivi del Giubileo per la Chiesa, ha tenuto in particolare considerazione questa parte illustre della Chiesa degli ultimi tempi quando dice, nella Tertio millennio adveniente: "Al termine del secondo millennio, la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti - sacerdoti, religiosi e laici - hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, come rilevava già Paolo VI nell'omelia per la canonizzazione dei martiri ugandesi. È una testimonianza da non dimenticare. La chiesa dei primi secoli, pur incontrando notevoli difficoltà organizzative, si è adoperata per fissare in appositi martirologi la testimonianza dei martiri…. Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi "militi ignoti" della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella chiesa le loro testimonianze" (37).

Una memoria in casa nostra

La memoria del prossimo beato della Congregazione, P. Juan Maria della Croce, non è stato persa perché in Spagna, specialmente nei luoghi in cui lavorò pastoralmente ed apostoli-camente, rimase sempre un ricordo ed una profonda fama di santità.

Tale fama mosse subito la Provincia Spagnola ad iniziare i primi passi verso il Processo di Beatificazione nel 1954, attraverso l'allora Postulatore Generale P. Ceresoli e che cominciò il detto Processo a Valencia, - diocesi nella quale era stato assassinato il 23 agosto di 1936 - fino al temine nel 1959. Nel 1964 vi fu una sospensione di questo tipo di processi di martiri della guerra spagnola, sospensione voluta per Paolo VI, vista la non l'opportunità né politica né religiosa del momento in Spagna. Riprese poi con Giovanni Paolo II, quando la Causa del P. Juan, diventava causa di beatificazione come martire e veniva promossa dal P. Giuseppe Girardi. Essa finirà in questo Anno Giubilare, nel 2001, l'11 marzo, quando sarà P. Juan beatificato con i suoi 234 compagni martiri di Valencia. All'avvenimento si darà grande importanza nella Chiesa locale, perché unisce sacerdoti, religiosi e laici come testimoni della fede nell'ambito di quella diocesi.

Sono molti altri i nostri religiosi dei quali si dovrebbe fare memoria storica specialmente di coloro che sono morti a causa della persecuzione nazista, sia in Italia, col P. Martino Capelli, (la sua Causa di Beatificazione è nella fase di conclusione del Processo diocesano), che in Germania, perseguitati dalla "giustizia" nazista, (come i quindici segnalati dal P. B. Bothe nella rivista Nova et Vetera 287, 2000…), chiusi in carcere, condannati ai lavori forzati, alla perdita dei diritti civili, ecc. Pensiamo che qualcosa di simile sia successo anche in Belgio, in Lussemburgo, in Olanda (ricordiamo i confratelli olandesi in Indonesia). Di tutti questi posso fare solo degli accenni, non avendo dati concreti di persone e di condanne.

Martiri e testimoni

Un tema che richiederebbe un studio più profondo e , nel caso, anche un tempo più lungo per poter avere una visione più obiettiva, è quello dei nostri "martiri" della Repubblica del Congo.

In questi tempi infatti non si vogliono più fare dei martiri e quindi si segue un nuovo modo di procedere, come è avvenuto in Spagna o in Messico o in altri paesi.

La persecuzione non è fatta direttamente contro la fede, ma contro le conseguenze della fede negli atteggiamenti, espliciti o abituali, di coloro che si oppongono al potere o ai regimi dittatoriali di sinistra o di destra, o agli interessi economici di ogni tipo. In tali situazioni si rende la vita impossibile e si arriva anche a procurare la morte di sacerdoti, religiosi, catechisti o di coloro che si schierano in difesa dei più deboli, come è successo in America Latina, dove sono stati difesi i contadini, gli indigeni e i loro diritti alla libertà.

P. Longo, noto missionario italiano, morto in Congo nel 1964, è uno di quelli la cui memoria, attraverso il Processo diocesano, si conserva meglio, e la sua Causa è già arrivata alla fase romana. Chi può dire che, passati vari anni e superate tante reticenze sociali, politiche e anche ecclesiali, interne ed esterne, non potrebbe tentarsi un processo per martirio di tutti i nostri confratelli, religiosi, ecc. delle diocesi di Kisangani e Wamba, caduti nella confusione sociale, politica e anche religiosa dei colpi di coda di una decolonizzazione senza calendario?. È una domanda, una sfida, per continuare a raccogliere dei dossier a riguardo di tutti e di ciascuno (pensiamo che esista un copioso materiale informativo in lingua olandese e fiamminga che sarebbe molto importante tradurre, incoraggiando a ciò ai nostri fratelli pensionati, dando loro il tempo necessario). E benché il processo per martirio sia più semplice (se realmente il martirio è provato), tuttavia è importante anche conoscere la vita precedente, perché a volte, come nel caso del P. Juan María de la Cruz, la vita di ogni giorno è stata una preparazione umile, sofferta e misteriosa al martirio, nella quale si possono scoprire valori che mettono in luce, nonostante la nebbia di carattere sociale e politica che si è voluta creare, soprattutto la fede e l'amore per il proprio popolo. Questi valori hanno mosso tanti missionari a condividere, con il popolo di Dio, la violenza e le sofferenze e la stessa morte come lo attestano testimonianze ben eloquenti, per esempio, quella di Mons. Wittebols o di P. Longo tra i più noti. E non occorrono tante parole: Nessuno ha più amore di colui che dà la vita per i fratelli...Questa credo che sia la chiave di lettura del senso umano di quelle morti e di tante altre, durante il secolo XX, e del perché la Chiesa, specialmente le Chiese locali, devono conservare la loro memoria, non solo nella documentazione, ma anche nella vita pratica delle proprie comunità. È quanto è avvenuto nella Chiesa primitiva attorno alla tomba dei suoi martiri, cominciando dalla "memoria Petri" a Roma, e insieme ad altre tombe più ricche, in generale di liberti, che costeggiavano la via romana, a lato del circo di Nerone che conduceva verso l'Aurelia... Tutto questo ci dice come si sia mantenuta la memoria fedele di Pietro, testimone, padre e pastore della comunità romana.

L'attestazione nella Guerra Civile spagnola

Riccardi, nell'introduzione alla sua opera, dice (e questo si può affermare anche dei martiri della Guerra Civile spagnola) che lo spettacolo di questi martiri "è come un affresco che presenta gente umile, non violenta, perseguitata, che soffre la morte perché è cristiana.

Si tratta innegabilmente di un mondo di deboli e di vinti. La storia della loro morte violenta è quella della loro debolezza e della loro sconfitta. Tuttavia, precisamente in queste condizioni di estrema debolezza, questi cristiani hanno manifestano una forza particolare di carattere spirituale e morale: non hanno rinunciato alla fede, alle proprie convinzioni, al servizio degli altri, della Chiesa per salvare la propria vita ed assicurarsi la sopravvivenza. Questa è una realtà della storia del Cristianesimo".

Sfogliando la realtà di quegli anni

Per comprendere la figura e il martirio del P. Juan María de la Cruz è fondamentale presentare la realtà religiosa, sociale, politica ed economica della Spagna di quegli anni del secolo XX in cui, divisa nelle "Due Spagne", stava per dare al mondo lo spettacolo di una sanguinosa e fratricida guerra civile, nella quale si videro coinvolti praticamente tutti i paesi, come preludio della Seconda Guerra Mondiale, e di cui fu per alcuni come la prova generale (Nazismi, fascismo e comunismo) e per altri sprone alla lotta per la democrazia, intesa in modo differente per i paesi di governo di Fronte Popolare o liberale, se si tiene conto della forza del socialismo, dell'anarchismo, e del comunismo, sorto dalla III Internazionale, diretto e controllato dalla Russia sovietica, nel mondo operaio e contadino di tutta l'Europa.

I mezzi di comunicazione fecero sì che nessuno potesse rimanere al margine della contesa in tutto il mondo. Un'incipiente globalizzazione delle notizie portò l'orrore di quella tragedia sui giornali, nelle riviste, al cinema e alla radio. E da qui l'appoggio o la valutazione diversa da parte degli opposti estremismi.

Il cammino fino alle due Spagne

Il grande numero di vittime di quella tragedia, vissuta dalla Chiesa nella "cattolica" Spagna, è sorprendente e commovente. I dati che offriamo provengono da una tesi di dottorato, che è stata pubblicata con il titolo: "Storia della persecuzione religiosa in Spagna, 1936-1939", di A. Montero Moreno, e possono presentare alcune varianti, essendo l'opera stata scritta nel 1960. Le varianti hanno poca importanza se si pensa al gran numero delle persone che sono state uccise: dei 6.832 morti, 4.184 appartengono al clero secolare, compresi 12 vescovi, un amministratore apostolico e dei seminaristi; 2.365 sono religiosi e 283 religiose. Sul numero di laici, assassinati per il fatto di essere cristiani e per motivi religiosi, è possibile offrire solo delle cifre approssimative, perché non ci sono statistiche affidabili, ma dovettero essere varie migliaia e di tutte le condizioni sociali, perfino degli zingari, dei quali uno è stato già beatificato, essendo il primo di questa razza o etnia ancora emarginata.

Lo scontento generale, l’instabilità sociale e politica, la situazione religiosa, hanno le loro radici nella storia più recente del XIX secolo. Si chiude il periodo dell’impero coloniale e di conseguenza il ricordo di una Spagna che aveva contato molto in Europa e in America. In campo spirituale, lo spagnolo medio, sentiva in sé una sensazione di fallimento: “tanto vali, quanto dimostri di essere…”e c’era poco da vantare, davanti a Inghilterra, Francia o Germania, o agli stessi Stati Uniti con i quali si era scontrato in America e nelle Filippine, e neppure c’era da sperare di poter ricominciare tutto , secondo la teoria del rigenerazionismo, che sotto l'aspetto letterario, artistico e filosofico, avrebbe prodotto ottimi frutti.

In campo sociale si viveva una situazione praticamente coloniale, rispetto all’Europa, la quale attraverso le banche, controllava l’esportazione delle materie prime, agricole e minerarie, come pure la lenta industrializzazione del paese, con la partecipazione del capitale spagnolo che dimostrava scarsa capacità imprenditoriale, e poca capacità di rischio come la situazione esigeva.

Soltanto il periodo della prima guerra mondiale permetterà un miglioramento economico. Essendo un paese neutrale, la Spagna aveva la possibilità di vendere a tutti i paesi belligeranti.

La crisi del 1929 avrà le sue ripercussione economiche e sociali nel paese, poco prima di proclamarsi Repubblica (14/04/1931), peggiorando la situazione generale.

Si fa più evidente lo scontro tra la mentalità dell'"Ancien Régime”, ancora presente in campo sociale, e la presa di coscienza delle masse operaie e contadine, dei propri diritti sociali e politici. Questo stato di cose sfocia nel radicalismo dalle due grandi correnti del socialismo e dell’anarchismo di fronte al potere del danaro di una borghesia liberale, la quale forniva i capitali alla incipiente industrializzazione, che in gran parte dipendeva da capitali stranieri.

Inoltre si formavano i nuclei operai, che insieme ai contadini di quasi tutta la Spagna, un paese rurale e in gran parte analfabeta, manterranno alte le loro rivendicazioni sociali per una vita più giusta e degna, attraverso periodiche manifestazioni violente, fino allo scoppio della “polveriera” del 1936.

Il peso dell’esercito, farraginoso nei suoi comandi, sarà una costante di questi anni, specialmente si conoscerà nella “Guerra d’Africa”, per il cosiddetto “Protettorato” (zona nord di Marocco), riconosciuto in seguito dalle potenze europee, come zona di espansione coloniale.

Guerre non volute dal popolo, il quale era presente solo con i soldati. Questo provocherà altre rivolte, come la cosiddetta “settimana tragica” di Barcellona (1909), preludio a quello che succederà anni più tardi nella stessa città.

Situazioni penose e sanguinose per la difesa di interessi economici delle grandi famiglie e imprese e dello stesso stato maggiore. Questo era quanto percepiva il popolo e il soldato chiamato alle armi.

Con la rappacificazione, ormai troppo tardi, entrano in scena alcuni ufficiali dell’esercito, chiamati “africani”, truppa disciplinata, i quali, nella guerra civile appoggeranno l’insurre-zione del Generale Franco, efficiente e pluridecorato militare “africanista”.

Nel 1934, una volta al Governo, reprimono violentemente la rivoluzione dell’Asturia (zona mineraria, socialmente inquieta). Fissano come uno degli obiettivi di combattere la presenza dei preti e della Chiesa, con atrocità che sono quasi leggendarie. Tutto questo è come una avvisaglia di ciò che sarebbe successo poco dopo; preparando così un atteggiamento di “disposizione al martirio” in molti settori ecclesiastici.

Esercito, Banche e Chiesa, sono gli obiettivi da distruggere, annunciati dalla lotta sociale, alimentata dai sindacati e dai partiti di ispirazione marxista o anarchica.

Dato che non vi fu mai una riforma agraria, neppure favorita dalla vendita di beni di manomorta; grandi aree della penisola erano in mano ai nobili e alla borghesia. Questo stato di cose faceva sì che i braccianti fossero mal pagati e neppure regolarmente. I campi erano spesso luoghi di violenza e di atti di vandalismo, provocati dall’anarchismo, per la mancanza di sensibilità sociale.

D’altra parte, in altre regioni, come la Castiglia o il Nord di Spagna, la situazione non era migliore con una agricoltura tradizionale: scarsi i raccolti e il clima poco favorevole. Questo è il caso della zona e del paese dove nasce e vive nella povertà il nostro Padre Juan María de la Cruz. Famiglia contadina, di molti figli, molte virtù e pochi soldi: Sempre con gli interrogativi del tempo, delle sementi, degli scarsi raccolti, del mercato, negli aridi terreni attorno ad Avila.

Una Chiesa inadeguata

La Chiesa Spagnola aveva dietro di sé una tradizione di potere e prestigio, uno “status”, che le pesava come un macigno, al momento di attraversare la soglia del mondo moderno, sotto l’aspetto intellettuale. Infatti i seminari erano i più tradizionalisti nei confronti del rinnovamento di Leone XIII, perché la formazione non era in grado di rispondere alle esigenze di un mondo che si stava evolvendo sotto l’aspetto intellettuale, sociale, economico e soprattutto religioso.

Dai seminari uscivano, in genere, sacerdoti buoni e pii, ben formati alla filosofia neoscolastica e ad una mentalità ritualista e conservatrice. Sacerdoti capaci di condividere con i propri fedeli una vita di povertà e di tradizioni religiose, che, nella pratica di ogni giorno, spingevano la gente ad essere buona, ad evitare ogni conflitto.

Non era questa una educazione per formare quei leader in campo sociale, che erano una necessità impellente in quei tempi.

Ci furono, è vero, eccellenti promotori di cooperative, associazioni, sindacati ecc… seguendo le indicazioni della “Rerum Novarum”, che ebbe una certa eco nel clero e nei fedeli anche in Spagna, ma senza incidere per un vero cambiamento sociale a favore dei diritti degli operai e dei contadini (nonostante che si sia fatto molto nel settore socio-economico.).

Era un clero povero, proveniente per lo più da contadini o dalla bassa borghesia, il quale viveva di un piccolo aiuto dello stato, povero e bisognoso come il mondo operaio.

Gli intrallazzi con le alte sfere del potere, con la nobiltà, da parte di qualcuno e con la borghesia e i grandi padroni terrieri, fecero sì che l'animosità tradizionale e anticlericale verso la Chiesa, alimentata dai dirigenti dei partiti e sindacati, si convertisse nella causa o nel fattore scatenante di tutti i mali della società spagnola, addormentata, secondo i classici marxisti, dall’oppio della religione. Ciò impediva il raggiungimento di una società più giusta, solidale e aperta alla modernità, come stava succedendo in tutta Europa.

Vicente Cárcel Ortì, nella sua presentazione del problema nella Positio super martirio (comune a varie cause), riassume tutto questo quando scrive sulla “Persecuzione religiosa in Spagna e Valencia": “Le due grandi accuse lanciate contro la Chiesa - grande potere economico e scarsa sensibilità sociale - penetrarono nella coscienza delle masse popolari, istigate dall’anticlericalismo cieco e violento. Nel 1931 (proclamazione della Repubblica) gli scontri ideologici non erano ancora cessati, e un grande numero di sacerdoti e religiosi continuava ad essere imbevuto di intransigenza socio-politica religiosa, che per molti decenni erano stata diffusa dal El Siglo Futuro, letto in quasi tutte le parrocchie, seminari e conventi.

Questo giornale diretto, nel tempo di maggior auge, da Nocedal, massimo esponente dell’integralismo spagnolo, aveva provocato gravi problemi dentro la Chiesa.

A queste due accuse lanciate dagli anticlericali e anche dai politici moderati e di destra contro la Chiesa, si deve rispondere che tutt’e due, nel 1931 erano esagerate e in parte cavillose. Le ricchezze della Chiesa consistevano nei tesori artistici delle sue chiese e nel patrimonio di documenti conservati negli archivi diocesani e parrocchiali, nei monasteri e nei conventi. Il clero, però, viveva nella miseria…”.

Gli intellettuali anticlericali avevano già precedentemente fomentato una campagna contro gli insegnamenti della Chiesa, e la sua presenza in tanti settori della vita civile. L’anticlericalismo popolare, prima ancora della grande esplosione del luglio del 1936, aveva offerto molti esempi di come sarebbe stata trattata la Chiesa in un futuro che si avvicinava. Molti disordini, incendi di chiese e conventi, uccisioni di sacerdoti e religiosi, nei giorni della proclamazione della Repubblica e della rivoluzione dell’Asturia nel 1934, sono un presagio fatale. Tutto si accelera dopo le elezioni del febbraio del 1936, con la vittoria del Fronte Popolare, quando la piazza viene lasciata in mano ai radicali di sinistra e di destra, con violenza, assassini attraverso i quali il tenente Castillo e il deputato Calvo Sotelo accesero la miccia di una bomba, da tempo preparata, il 18 luglio 1936.

Ciò che in un principio sembrò uno dei tanti proclami militari “in nome della Repubblica”, di colpo acquistò un carattere di “crociata” e per altri di salvaguardia della “legalità repubblicana”, con le conseguenze di una guerra civile nella quale si considerò la Chiesa, nella sua istituzione e nei suoi membri, come la grande colpevole che bisognava eliminare.

Quando i vescovi spagnoli scrivono la loro famosa Pastoral Colectiva, nel luglio 1937, il clero sacrificato raggiungeva la cifra di 6.500, continua Vicente Ortì. "Perciò si può affermare che ci furono 6.500 martiri, non in tre anni, ma in meno di uno, con una Spagna divisa in due parti disuguali, e la prospettiva di una guerra ancora lunga. Ciò doveva suscitare nei vescovi il timore dell’annientamento della Chiesa nella Spagna che si chiamava Rossa.

Non si deve sottovalutare l'impatto che ebbe nell’opinione pubblica mondiale secondo la quale, da questo momento fino alla fine della guerra, ventun mesi dopo, furono sacrificate solo altre 332 vittime, la maggior parte delle quali nel 1937.

Il taglio è netto". Perciò è la situazione che provoca il documento e il propendere dei vescovi verso una delle parti in conflitto, non il rovescio, come qualcuno ha pensato e scritto; da qui nascerà in seguito il nazionalcattolicesimo.

G. Jackson, nella sua opera La Repubblica Spagnola e la Guerra civile 1931-1939, scriverà: “Il periodo del massimo terrore, nella zona repubblicana, avvenne nei primi tre mesi . Le passioni repubblicane erano all’apice, e l’autorità di governo al punto più basso…. I sacerdoti furono le principali vittime del gangsterismo puro”.

H. Thomas, nella “Guerra Civile spagnola”, dice inoltre:“ Forse in nessuna epoca della storia di Europa, e forse del mondo, si è mai manifestato un odio così appassionato contro la religione e contro tutto ciò che la concerne ad essa.”

Questa la testimonianza di due storici, estranei ai conflitti di parte, però eccellenti conoscitori della realtà spagnola.

È interessante rileggere alcune direttive che dà il giornale Solidaridad Obrera, nel numero del 15 agosto del 1936, raccolte anche da D. Vicente Ortì per la Positio super martirio: “Bisogna sradicare quella gente. La Chiesa deve essere divelta dalle radici dalla nostra terra… Se si tratta di sacerdoti, non bisogna avere pietà, né fare prigionieri: ucciderli tutti senza pietà. Sapete che abbiamo l’ordine di uccidere tutti coloro che portano la tonaca… Abbiamo l’ordine di uccidere tutti i vescovi, i preti e i frati”.

Quando qualcuno eccelleva per bontà o generosità, la consegna era: Vi abbiamo ordinato di ucciderli tutti, prima di tutti coloro che stimate come migliori e più santi". Non c’è bisogno di commenti.

Un santo non riconosciuto

Mi è sembrata necessaria questa introduzione, sul mondo in cui visse P. Juan de la Cruz, per conoscere, brevemente, le circostanze concomitanti la vita, l’ambiente, ormai lontano di quella epopea cristiana che oggi cerchiamo di ricordare con rapide pennellate.

Per capire quella situazione, e rendersi conto dello spirito religioso di queste figure di cui vogliamo fare memoria, sono interessanti le testimonianze raccolte nel Processo, generalmente di persone semplici, sacerdoti, religiosi.

Qui presentiamo, in modo speciale, la figura di un confratello nei suoi diversi aspetti (bambino, un seminarista, un parroco, un religioso, un pastore di anime), che altrimenti, nella storia della Chiesa e della nostra Congregazione, sarebbe passato, come tanti altri, senza lasciare traccia che nel Necrologio, nonostante la sua fama di persona santa, uomo di preghiera, eccellente religioso.

Il suo cammino

San Esteban de los Patos è un piccolo paese, vicino ad Avila, semplice e povero, abitato da piccoli proprietari contadini, con una religiosità tradizionale, austeri come l’arida regione flagellata dai venti che la percorrono; come lo saranno pure gli altri paesi nei quali P. Giovanni della Croce eserciterà il suo ministero.

Nasce in una famiglia numerosa, il primo dei fratelli, il giorno 25 settembre 1891. Sarà battezzato due giorni dopo. Dai genitori riceve una educazione cristiana semplice e solida.

La cura della chiesa e la direzione delle preghiere nella piccola comunità sono all'origine della prima chiamata del Signore, come è avvenuto per tanti religiosi di quei tempi.

Il Parroco scoprirà poi l’eco di questa chiamata e lo preparerà all’ingresso in seminario della diocesi, nella città di Avila. In un primo tempo come alunno esterno, e dopo per gli studi di filosofia e Teologia, come interno. Un cammino del tutto normale.

I seminari di quel tempo in Spagna crescevano nel clima intellettuale, in voga, della filosofia neoscolastica: naturalmente molto chiusi in sé stessi rispetto al mondo che stava cambiando sia nel proprio paese, come in Europa, e dentro strutture tradizionaliste, come abbiamo segnalato.

Un ambiente di pietà ,devota e profonda, e una liturgia fatta di rubriche, più vicina al Ministero che alla Parola; e tutto questo più adatto a una futura pastorale di mantenimento che di rinnovamento.

Le testimonianza che abbiamo circa la sua vita in seminario, sono di una pietà eccellente, di un grande esempio per i compagni, senza essere bigotto, ma anzi, uno studente buono e sveglio con i voti migliori. In conclusione, tutto era ben disposto perché il 18 marzo 1916 trovasse le porte aperte per l’ordinazione sacerdotale, ad Avila, dalle mani di Mons. Joaquin Beltràn y Asensio.

Un prete che chiamavano "santo" e un religioso in germe

Essere prete per dieci anni (1916-1926) in paesi come Hernansancho. S. Juan de la Ensinilla, Santo Tomé de Zabarcos, Sotillo de las Palomas e delle piccole frazioni, era realizzare un ministero impegnato con la povertà dei propri fedeli e la durezza di una situazione religiosa eccessivamente tradizionale. In molti casi si doveva si doveva fronteggiare un allontanamento convinto dalla Chiesa, non semplicemente dalla pratica religiosa, (in un ambiente come Avila “tradizionalmente cattolica"), dovuto ad un anticlericalismo a volte latente a causa di fondate esperienze.

Don Mariano Garcìa, com’era conosciuto allora, fu un buon sacerdote, di quelli che si ricordano con gioia con l’appellativo di “era un santo”, perché si proponeva ai suoi fedeli con l’esempio della preghiera, davanti al SS.mo, giorno e notte, in chiese per molti giorni sotto zero.

Esempio di carità e di generosità con i poveri e con tutti quelli che si presentavano alla sua porta; di attenzione costante per gli ammalati; di lotta alla bestemmia (un male molto comune nella società contadina) e di molte altre cose che si raccolgono dai testimoni del primo processo. La devozione a Maria sarà una costante nelle sue predicazioni e semplici scritti (pochi e non molto personali, trattandosi di omelie e prediche, nelle quali era piacevole e eloquente). L’interesse per la catechesi di bambini e adulti, lasciarono, di questo buon sacerdote, una profonda impronta tra i suoi fedeli, tanto che, alla notizia della sua morte, credettero subito che era stato un martire e che apparteneva a loro.

Nel cammino di ricerca della sua vocazione, si dà pure una costante nella vita dl P. Giovanni. Sente la chiamata come Samuele, e non sa capire con esattezza da dove venga e dove porti. Personalità forte e austera; fin da seminarista, si domanda se il suo cammino è il servizio a Dio nella vita del convento e del monastero, o seguire il Signore in una vocazione apostolica di sacerdote diocesano.

Per tre volte vivrà nel suo spirito questa tensione interiore e cercherà di avere uno sbocco. La prima esperienza sarà presso i PP. Domenicani di S. Tommaso d’Avila (1913-1914), poi con i PP. Carmelitani di Larrea-Amorebieta (Vizcaya). Poi l'esperienza di parroco e quella precedente di un anno come cappellano negli Ospedali di De la Salle a Nanclares di Oca (Alava). Una terza, mentre è già religioso Dehoniano, con i Trappisti di Cóbreces (Santander), con l’approvazione dei superiori e del suo direttore spirituale.

Sempre avrà la stessa risposta: ”Per motivi di salute, non è adatto per questo tipo di vita religiosa”. Non è mai stato un uomo con una salute di ferro: lo stomaco, il sistema nervoso e altri acciacchi, senza contare la poco cura di sé stesso, e le continue mortificazioni, perfino con l’uso della disciplina e del cilicio, resero impossibile la sua accettazione in questi Ordini, i quali in quei tempi, come in ogni vita religiosa, per ascetica, erano molto rigorosi.

Seguendo le orme di P. Dehon

Le vie del Signore, lo portarono a incontrarsi nel 1925, a Madrid, nella cappella delle religiose riparatrici, dove spesso andava per la sua adorazione (una delle sue caratteristiche eucaristiche), con i Padri Guglielmo Zicke, (tedesco, già missionario espulso dal Camerun durante la prima Guerra Mondiale, fondatore della congregazione in Spagna) e il P. Giuseppe Goebels (che partecipò alla fondazione della Provincia Italiana, mandato dal P. Dehon e in seguito maestro di Noviziato).

Gli ideali di Amore, Riparazione, Oblazione e la tonalità eucaristica della nuova Congregazione, lo spinge a iniziare una nuova prova a Novelda (Alicante), dove tuttora esiste l’unico collegio dei fondatori del tempo del P. Dehon.

Il giorno di Cristo Re (31 ottobre 1926), emette la sua Professione Religiosa nella Congregazione Religiosa che gli aveva aperto le sue porte e orientato a unire la sua vita al Sacro Cuore di Gesù e con Lui in offerta permanente al Padre, realizzare una perfetta riparazione, affinché “Il Suo Cuore regni nelle anime e nelle Società”; come il P. Dehon, morto un anno prima, spesso ripeteva.

Un anno dopo il noviziato P. Juan María de la Cruz, il nuovo nome ha una risonanza mariana e carmelitana avilegna, il P. Superiore e direttore spirituale, P. Zicke, lo porta con sé a Puente La Reina, vecchio e fatiscente convento dell’Ordine di Malta, nel Camino de Santiago, che sarà adattato a Scuola Apostolica, opera nella quale il P. Dehon aveva riposto tanta speranza.

Povertà e tante necessità, in quel 1927, quando p. Giovanni ritorna a Puente. Un giro di vite sul suo cammino.

Il suo Superiore e direttore, che conosceva e apprezzava le qualità recondite della sua personalità religiosa, ascetica e umana, lo impegna in un compito totalmente lontano dai suoi ideali di vita monastica: essere l’economo di quel seminario così bisognoso, e essere promotore vocazionale nelle sue “scorribande” attraverso la regione Basca e Navarra, che, all'interno di una Spagna che stava cambiando, rimanevano isole del cattolicesimo tradizionale e impegnato.

Bisognava cercare collaboratori laici per dirigere quest’opera, come ripetutamente sottolineava nelle sue lettere il P. Dehon al P. Zicke, sempre a corto di soldi e pieno di progetti. Non è strano che p. Juan tentasse una terza esperienza con i PP. Trappisti… La risposta al tentativo, già la conosciamo: fisicamente non rispondente…

Pellegrino “per amore di Dio”

Comincia da capo il suo compito: percorrere strade, prendere autobus, treni, conoscere locande, alberghi … Le case religiose, parrocchie, come punto di partenza, stabilire punto di contatto, ottenere aiuti e amicizie per la sua “Scuola Apostolica”, “per Amore di Dio”, durante quindici, venti giorni, un mese, per poi ritornare tutti i primi venerdì del mese per fare il ritiro con la Comunità, come era in uso allora…

Le testimonianze sono sempre belle e rimangono i ricordi di “quel vostro Padre che era un santo” da parte dei laici, amici e collaboratori; dei religiosi e religiose che lo ebbero come ospite nella loro casa, dove lasciò sempre i segni di uomo di orazione, servizievole e umile.

Dotato per la predicazione, era sempre disposto a farlo quando fosse necessario. Il suo amor per l’eucarestia, lo portava a essere un propagatore dell’Adorazione perpetua, e a parlare sempre dell’Amore Misericordioso.

La spiritualità Mariana era un altro dei suoi grandi amori. La sua vita itinerante di quegli anni gli permise di visitare i santuari mariani, per poi riferire e animare i suoi seminaristi.

La sua permanenza nella comunità era di solito breve, però feconda dal momento che era di esempio per la vita di orazione, sia in cella che in cappella. Con la sua buona formazione classica di seminario, e con la sua intelligenza, emergeva negli incontri comunitari di studio o di morale o dogma, come si faceva allora… Il ricordo dei suoi compagni di quegli incontri, sono le lunghe citazioni che egli faceva, a memoria, dei Padri.

Testimoniano però che, con i seminaristi, non riusciva ad adattarsi: troppo vivaci per un uomo come lui, ma tuttavia lo cercavano per i passeggi o le ricreazioni, giacché era piacevole ascoltarlo mentre parlava dell’andirivieni della sua vita e li intratteneva con le sue esperienze. Alcuni ricordano che era lungo nella celebrazione della S. Messa, specialmente alla consacrazione, in modo tale che, come S. Filippo Neri, li invitava a sedersi o a lasciarlo solo con il Signore.

Nella Tormenta

Con la proclamazione della Repubblica Spagnola, come già abbiamo detto anteriormente, la situazione divenne sempre più critica di anno in anno e in ogni parte, perfino nelle zone tradizionalmente cattoliche.

La legislazione si stava facendo sempre più anticlericale e opprimente, per cui a poco a poco si creò un ambiente pesante di minaccia di guerra civile e di violenza.

Anche P. Juan dovette vivere e far parte di questo mondo, dal momento che sempre “era in strada”, cioè a contatto con la gente e i giornali. Ciò gli permise di formarsi lentamente la consapevolezza di un possibile martirio… del quale in quegli anni (1931-1936), c’erano stati molti esempi.

Molte delle sue reazioni davanti alle bestemmie e all’oscenità ambientale, spiegano il suo zelo per la gloria di Dio e della sua casa - molte persone lo hanno ricordato nel processo - senza nessuna paura per le conseguenze.

Vale la pena ricordare che il cammino verso il martirio, illuminato dallo Spirito, stava prendendo forma nel suo interiore.

“Successe che un figlio di mia nonna - segnala uno dei testimoni di Puente - religioso cappuccino missionario in Cina, era stato fatto prigioniero dai comunisti. Venuto a conoscenza del dispiacere di mia nonna, il Servo di Dio andò subito a casa sua per animarla e consolarla. Ricordo che le sue parole furono più o meno queste: “Suo figlio è un martire. Volesse il cielo che anch'io avessi la stessa fortuna di essere perseguitato e morire per Cristo….”.

Nelle visite alla famiglia, a sua madre, al fratello, e alla cognata, già nel 1936 dirà: “Vedi, Victor, è felice colui che avrà la fortuna di spargere il sangue per Nostro Signore” . Questa aspirazione sarà posta all'inizio del Decreto sul Martirio, che porta la data del 20 dicembre del 2000, e che apre le porte alla beatificazione.

Le vie del Signore

Le fatiche del suo lavoro, la sua salute cagionevole, e le preoccupazioni dei suoi superiori, spiegano le peripezie umane del P. Juan. Dietro a questo ci sono le vie del Signore “che non sono le nostre vie”.

Alla fine dell'anno scolastico 1935-1936 viene mandato a riposare sulla “Serrania de Cuenca”, presso il santuario di Mostra Signora di Tejeda. Luogo meraviglioso, nascosto e silenzioso, per ricuperare le forze e la serenità di spirito.

Un lungo mese, durante il quale può cogliere il cambiamento nell'atteggiamento sui volti dei contadini: dapprima accoglienti, poi reticenti. Giorni nei quali, come segnala il P. Lorenzo Cantò, superiore di quella piccola comunità, il P. Juan parlava spesso del martirio, testimoniando il suo zelo anche andando a celebrare la messa in una parrocchia dove il sacerdote era scappato, oppure nel richiamare qualche operaio, bestemmiatore incallito.

Il 18 luglio, comincia la guerra civile, con tutti gli aspetti che abbiamo sottolineato nelle prime pagine. Quelli del Santuario di Guaraballa, fuggirono in tutte le direzioni. Il P. Juan, vestito da contadino, con una giacca fuori di misura, in carcere gli varrà il nomignolo di “Chaquetòn” (Giacchettone), si avvia verso la città di Valenza, città dove non è conosciuto, e nella casa di collaboratori della Congregazione, in cui sarebbe passato inosservato.

Un cristiano coerente fino alla fine

Erano trascorsi 5 giorni dalla rivolta militare. Il padre non ebbe tempo di mettersi in contatto con qualcuno. Camminando verso Valenza, si imbatté in uno dei tanti incendi di chiese, che oscuravano il cielo azzurro mediterraneo di Valenza. Spettatore come tanti altri della barbarie artistica e religiosa, non poté fare a meno di dire a voce alta che quello era una barbarie, un crimine, un sacrilegio.

Alla richiesta di spiegazioni, e all’accusa di essere di destra, rispose semplicemente che era un sacerdote: Questo si coglie da una conversazione tra lui e un avvocato, suo compagno di carcere, meravigliato che una persona fosse tanto ingenua o coraggiosa.

Carcere modello di Valenza, Quarta Galleria, cella 476: Ultimi giorni di luglio, fino al 23 agosto 1936.

Sacerdoti, religiosi, laici, gente di destra, si accalcavano dentro le celle, i cortili, i portici, aspettando processi inutili, per uscire la maggior parte, con la promessa della libertà, ma verso la morte.

Si può immaginare la tensione interna dei detenuti e la violenza dei carcerieri nei primi mesi di guerra. Con ciò anche la presenza e la testimonianza, come gli antichi martiri, di tanti cristiani di ogni estrazione che organizzavano la loro vita, nonostante le sentinelle e i carcerieri burloni o minacciosi, come una comunità cristiana fervorosa.

P. Giovannino, come anche lo chiamavano, (infatti fisicamente era minuscolo), era uno dei più attivi, come lo ricorda uno dei testimoni sopravvissuti: Ricordo di averlo visto ogni giorno pregare nel cortile del carcere, con il suo libro di orazioni, durante un’ora e mezza. Lo vedevamo pregare in modo tale che qualcuno commentava: Uno di questi giorni il Padre Giacchettone, lo uccideranno come un passerotto..”.

Abbiamo un documento prezioso, che ci dà la nozione precisa di come viveva questa esperienza di martirio. È l’agenda trovata sul suo corpo, forata dalle pallottole. Qui si trovava l’orario dettagliato del carcere e assieme tutti gli atti della vita comunitaria che egli continuava a fare. Sappiamo anche che nella cella tratteggiò anche una Via Crucis, che fu sul punto di costargli la cella di rigore, come narra un idraulico che lo salvò.

I suoi compagni raccontano che un giorno in cui ebbe la fortuna di avere per tutta la giornata il SS.mo con lui, fu un giorno di felicità, di adorazione e di ritiro.

A mons. Philippe, al quale mandava gli auguri per il suo onomastico, pochi giorni prima della sua morte, scriveva: Eccomi, reverendissimo padre, prigioniero da quasi tre settimane, perché ho proferito frasi di protesta per il terribile spettacolo di chiese bruciate e profanate. Benedetto sia Dio! Sia fatta in tutto la sua volontà! Sono contento di poter soffrire qualche cosa per Lui, che tanto soffrì per me povero peccatore” Non vi fu processo, ma rimane questa dichiarazione firmata.

Senza previo giudizio, nella notte del 23 agosto 1936, senza nessun altra accusa che quella di essere sacerdote, e di non nasconderlo né dentro né fuori del carcere, P. Juan María de la Cruz, dietro promessa di “Libertà”, viene chiamato, sotto un cielo stellato e nel caldo di una notte di Valenza, e fatto uscire dalla sua cella.

Raccoglie le sue poche cose, però subito si accorge che la libertà ha un altro senso: quello delle porte aperte verso la morte liberatrice di questa carne di corruzione e morte. È il cammino verso l’incontro con il Signore, con tutti i suoi santi e con quei martiri, che con tanto fervore aveva venerato nella sua visita a Roma nel 1927. Non sappiamo se allora ebbe sentore che un giorno li avrebbe raggiunti. Campo de Silla, tra gli ulivi, come nuovo Getsemani; dieci corpi tesi aspettano la risurrezione della carne.

Alle prime ore del giorno, con tutti i requisiti legali, saranno sepolti nel cimitero municipale, in una fossa comune, senza nome. Li ricorderanno solo il giudice e il becchino.

Nel 1940 si procederà al riconoscimento dei resti, attraverso la muta testimonianza della croce della professione, dello scapolare e dell’agenda, per trasferirli a Puente la Reina. Là dove, tra i

seminaristi di quella casa, aveva dato testimonianza di una vita impegnata e fedele. Ora la Chiesa, con la Beatificazione, lo propone come modello e intercessore della Congregazione in modo speciale, e nelle Chiese in particolari dove egli manifestò la sua vita come “alter Christus”. Il Papa ci ha detto più volte, che il secolo XXI non avrà tanto bisogno di predicatori, ma di testimoni.

Questo è ciò che ci si propone nel recuperare la memoria di tanti martiri dell’olocausto del secolo XX, durante il quale la nostra Congregazione è stata madre feconda nell’arco di tutto il secolo.

(Traduzione italiana a cura di P. Barbieri Giovanni)

NOTA AGGIUNTIVA

IL Superiore generale, con lettera del 18 dicembre 2000, esprimeva la sua gioia per la beatificazione di P. Juan María García Méndez, il "primo Beato SCJ", il nostro "protomartire". E soggiungeva: "Avere un confratello santo non deve essere motivo di vanto, bensì il riconoscimento che si tratta di una grazia speciale del Sacro Cuore per tutta la nostra Famiglia Dehoniana. Un regalo che, per noi, viene ad incoronare questo anno giubilare, porta sacra del nuovo millennio. È un dono che suscita in noi sentimenti di gratitudine e lode al Signore. Questo momento di grazia possa ravvivare in tutta la Famiglia Dehoniana, principalmente tra gli SCJ, la coscienza della chiamata universale alla santità (cfr. LG 39-40), e l'importanza di mettere al centro della nostra vita quella spiritualità forte e solida che caratterizza il carisma della vocazione dehoniana. Questa è l'eredità comune trasmessa dal p. Dehon, fondamento di tutto quello che possiamo essere e fare per il "Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società".

Come Direttivo Generale proponiamo che il nostro caro Beato venga ad occupare un spazio importante nelle nostre Comunità, Distretti, Regioni e Province. A questo scopo saranno inviati alcuni sussidi per conoscere la sua storia, apprezzare la sua personalità ed imitare la sua testimonianza. In realtà il martirio fu solo il punto più alto di una vita completamente unita alla persona di Cristo e della sua oblazione riparatrice.

Approfitto dell'occasione - conclude il p. Bressanelli - per invitare tutti i nostri organismi congregazionali e tutti i membri della Famiglia dehoniana, a recuperare la memoria storica di quelle figure significative di sorelle e fratelli nostri che possono essere modelli e stimolo per vivere con maggior intensità la vocazione e la missione che abbiamo nella Chiesa e nel Mondo di oggi, come già alcune Province lo stanno facendo.

Che questo avvenimento venga ad accrescere la gioia del prossimo natale e venga a fortificare la nostra capacità di amore e di servizio per tutti. Intercedano per questo Maria, il Beato Giovanni Maria della Croce e il nostro Fondatore.

p. Virginio D. Bressanelli, scj
superiore generale