LA CONGREGAZIONE

NELLA VITA DELLA CHIESA

Fondamenti teologali per una critica

alla globalizazione econOmica

Carlos Alberto da Costa Silva, scj

La Conferenza Generale di Recife, Brasile (16 - 26 maggio 2000) non ha voluto solo presentare decisioni di carattere pratico alla Congregazione; dietro tutta la riflessione che è stata fatta prima e dopo la Conferenza c’è una spiritualità che si concretizza, per noi religiosi scj, nella nostra vita di comunità e nel nostro voto di povertà.

Certamente dobbiamo cambiare il mondo e le sue relazioni, ma anche in noi ci deve essere un cambiamento, una conversione.

A. L’ideale della nostra vita cristiana e religiosa

Gesù, secondo Mt 5,48, ci propone: “Voi dunque sarete perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli”.

Quale la perfezione di Dio che deve essere imitata? La perfezione di Dio è amore-gratuità, amore-comunione, amore-solidale.

1. L’amore comunione nel seno della Trinità

“Nell’Antico Testamento Dio si rivela come il Dio dell’Alleanza con l’umanità, vale a dire, Egli vuole associare a sé tutti gli esseri umani (Gn 9). L’alleanza col patriarca Abramo (Gn 12) è destinata a creare un segno fra i popoli, chiamati essi pure a essere popoli di Dio (cf. Ap 21,3). L’alleanza con tutto il popolo di Israele (Es 19 e 24) è anticipazione e simbolo di ciò che Dio vuol fare con tutti i popoli; le dodici tribù e i dodici apostoli nel Nuovo Testamento hanno un significato simbolico: la riunione dei popoli dispersi, per servire Dio e diventare così popoli di Dio, in un’unica umanità redenta e resa comunità messianica. Questa comunione che Dio vuole realizzare con l’umanità, espressa dalla figura dell’alleanza, è interiorizzata nel cuore di ogni persona (cf. Ger 31,33; Ez 37,26; cf. Eb 10,16). La comunione cerca l’intimità e la libertà del cuore umano e non solo la sua espressione sociale e politica.

Nel Nuovo Testamento sono san Paolo, san Giovanni, e gli Atti degli Apostoli quelli che meglio esprimono il Dio-comunione. Ora la comunione acquista una storicità concreta nella realtà-Gesù e nella comunicazione dello Spirito. Essere in Cristo e nello Spirito, vivere con Cristo e con lo Spirito costituisce la grande comunione con il Padre (cf. IGv 1,3).

In san Paolo due sono le vie della comunione: la fede e la cena eucaristica. Per mezzo della fede ci uniamo al Signore risuscitato: si vive con lui, si muore con lui, si risuscita con lui, si siede nella gloria con lui (cf. Rm 6,6; 8,17; 2Cor 7,3; Gai 2,19; Col 2,12; 3,1; Ef 2,6; 2Tm 2,12); con l’adesione a Cristo comincia una comunità di vita e di destino con lui, anche nella sofferenza (Fil 3,10). Questa comunione si approfondisce mediante la cena eucaristica. Mangiando del corpo del Signore, la comunità si fa corpo di Cristo (cf. ICor 10,16-18; Rm 12,5). La comunione con Cristo significa anche comunione con lo Spirito di Cristo (cf. 2Cor 13,13)...

San Giovanni meditò sulla comunione a cui Cristo ci ha introdotti con il Padre, affinché tutti siamo una cosa sola (Gv 17,21). Egli lo esprime anche con i verbi essere- in e rimanere-in (cf. Gv 14,20; 15,4).

La comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si traduce in comunione fraterna (cf. 1Gv 1,1-3). Questa prende contorni concreti nel mettere in comune i beni (At 2,42; 4,32) e nella preoccupazione per l’indigenza di altre comunità; per esse si facevano collette, come espressione di comunione (cf. 2Cor 9,13; Rm 15,26). La lettera agli Ebrei ci ricorda inoltre che è questa mutua assistenza (comunione) il sacrificio di cui Dio si compiace (13,16). Con la fede, con la celebrazione della cena, con l’adesione al messaggio di Gesù, col mettere in comune tutti i beni si realizzava l’utopia comunitaria: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32). (…)

(Così) possiamo meglio capire che cosa significhi affermare che Dio è comunione. Egli è comunione precisamente perché è Trinità di Persone. Sono tre Persone e una sola comunione, e una sola comunità trinitaria. Ecco la formula più corretta per rappresentare il Dio cristiano. Nel parlare di Dio dobbiamo sempre in-tendere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in presenza l’uno dell’altro, in totale reciprocità, in immediatezza di relazioni amorose, essendo l’uno per l’altro, mediante l’altro, nell’altro e con l’altro. Nessuna Persona divina esiste solo per sé. Sono sempre ed eternamente Persone in relazione.

Il Padre è Padre perché ha un Figlio. Il Figlio è Figlio soltanto in relazione al Padre. Lo Spirito è Spirito a causa dell’amore con cui il Padre genera il Figlio e che il Figlio restituisce al Padre. Nel pronunciare la Parola (il Figlio), il Padre emette il soffio che è lo Spirito Santo. Frutto dell’amore, lo Spirito ama il Padre e il Figlio come ne è amato, in un gioco di reciproco dono e comunione che viene dall’eternità e va verso l’eternità.

Le Persone esistono come Persone in ragione delle relazioni eterne delle une con le altre. L’unità trinitaria è costituita da queste relazioni; è una unità propria della Santissima Trinità, una tri-unità. A questa unità allude san Giovanni quando fa dire a Gesù: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi... perché siano come noi una cosa sola... perché siano perfetti nel- l’unità» (Gv 17,21-23).

L’unità societaria che esiste nella Trinità fonda l’unità umana; questa viene inserita in quella. Le persone non sono annullate, ma potenziate. L’unità è costituita a partire dalle persone stesse, sia nella Trinità sia nell’umanità, in quanto le persone sono essenzialmente relazionali. L’unione che vige tra le persone e nella comunità umana è figura dell’unione che esiste nella Trinità. Nonostante tutte le fratture, la Trinità vuole vedersi raffigurata nella storia, nella misura in cui le persone mettono tutto in comune, stabiliscono relazioni egualitarie e giuste fra tutti, condividono l’essere e l’avere.

Fu Riccardo di San Vittore (+ 1173), che, nella tradizione teologica approfondì magistralmente questa prospettiva comunitaria della santissima Trinità e la sua incidenza sulla vita umana. Per lui, Dio è essenzialmente amore che si comunica e stabilisce comunione. L’amore del Padre fa sorgere come fuoco dalle sue viscere il Figlio a cui consegna tutto il suo essere. Il Figlio, a sua volta, restituisce al Padre tutto l’amore ricevuto. È un incontro assoluto ed eterno. Ma non è un amore di amanti che si rinchiudono in solitudine; esso si espande. Padre e Figlio fanno dono comune di se stessi: è lo Spirito Santo. Così il Dio cristiano è un processo di effusione, di incontro, di comunione tra distinti, legati dalla vita e dall’amore.

La teologia cristiana ha coniato una parola per esprimere questa vita e questa comunione, … pericóresi (in greco) o circuminsessio o circumincesio (in latino)”.1

Dunque, l’esperienza fondante della persona umana è quella di amare e di essere amata. Il popolo di Dio dell’AT e la comunità dei redenti del NT hanno avuto anche loro questa esperienza, ed è questa esperienza di amore che ci è stata trasmessa dalla Sacra Scrittura, come dice Giovanni: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è stato lui che ci ha amati” (1Gv 4,10).

Sfogliando le Scritture troviamo espressi in molti modi questi segni dell’amore di Dio. Sono frutti dell’amore di Dio la stessa creazione, la chiamata di Abramo e la scelta del popolo giudeo, le vocazioni profetiche ed apostoliche e, momento culminante, l’incarnazione del Verbo di Dio, Gesù di Nazaret, e il Cristo risorto, segno grandioso dell’amore divino.

2. La Persona di Gesù

Nella persona di Gesù si intrecciano la dimensione del gesto e la dimensione della parola, una completa l’altra, una spiega l’altra. Le due sono complementari.

2.1. L’atteggiamento solidale di Gesù2

Una riflessione riguardo a termini come - compassione (splangcnon) e compatire, fremere (avere contrazioni spasmodiche viscerali), commuoversi visceralmente (splangcnon) - nel Nuovo Testamento ci mostra come avviene questo amore solidale di Dio per noi in Gesù Cristo.

Nel Nuovo Testamento solo Luca nel suo vangelo (1,78) usa il sostantivo: compassione, ma nello stesso tempo è molto usato, nei Sinottici, il verbo “compatire”. È riferito sempre al comportamento di Gesù (nel Pastore di ERMA, lo troviamo una volta rivolto a Dio), essendo così esclusivo dell’agire divino.

Tre le parabole che hanno il verbo.

- Mt 18,23-25: alla richiesta del servo: “abbi pazienza con me” corrisponde il padrone che: “impietositesi del servo, lo lasciò andare”, da notare che dopo il padrone si irritò con il servo ingrato.

- Anche nella parabole del figlio prodigo, o meglio, del padre misericordioso, di Lc 15,11-32: «il padre lo vide e commosso gli corse incontro”, ma il fratello maggiore, si adirò. I personaggi sono coinvolti in questa dimensione dei sentimenti umani - compassione e ira - per mostrare un’azione specifica di Dio.

- Nella parabole di Lc 10,29-37, il Buon Samaritano “lo vide e ne ebbe compassione”. Indica l’atteggiamento perfetto di colui che ama Dio amando il prossimo.

Marco usa 4 volte il verbo per indicare gli atteggiamenti messianici di Gesù. In 6,34 narrando il miracolo della moltiplicazione dei pani, dice che Gesù “sbarcando vide molta folla e si commosse per loro», la stessa cosa è detta nella narrazione della seconda moltiplicazione dei pani in 8,2.

Anche in Mc 1,41 e 9,22, testi tradizionalmente solo di Marco, il verbo ricorre nei racconti che descrivono la cura di un lebbroso e dell’epilettico. Su questi testi J. Behm scrive: “Si sprezzerebbe certamente l’importanza del termine aver compassione, in questi due testi secondari, se lo considerassimo solo un effetto narrativo. Si tratta invece di una caratterizzazione teologica di Gesù come Messia nella quale è presente la misericordia divina”.3

Mt 14,14 e 16,23 usa il verbo narrando la moltiplicazione dei pani e lo ripete Mc 6,34 introducendo la missione dei Dodici: “vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore”. Oltre a questo, Mt 20,34 usa il verbo nella guarigione dei due ciechi, come risposta di Gesù a loro che gridavano “Signore, figlio di Davide, abbi compassione di noi!”.

Questi testi di Matteo, come quelli di Marco, “caratterizzano la figura messianica di Gesù e mostrano la tendenza della tradizione di descrivere in modo sempre più ampio la figura di Gesù con attributi messianici”.4

La stessa cosa vale per il testo di Lc 7,13, che descrive la risurrezione del figlio della vedova di Nain “vedendola, il Signore ne ebbe compassione” e operò il miracolo.

C’è una constatazione che non possiamo lasciare passare inosservata. Il Samaritano, come Gesù, “ebbe compassione” e si mosse concretamente, espresse la sua solidarietà non solo affettivamente con colui che era stato assalito, ma in modo effettivo.5 E il caso di ricordare quello che Giovanni Paolo II dice nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis, n. 38: la solidarietà “non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e costante di impegnarsi per il bene comune”.

Questo è stato l’esempio dato dal Signore Gesù, che non solo ha avuto compassione, ma alla sua compassione ha fatto seguito l’azione in favore delle moltitudini o di persone singole. C’è una presa di posizione, un’azione concreta, un atto di solidarietà.

Da questo testo del Nuovo Testamento - la parabola del buon samaritano - possiamo dedurre un atteggiamento esemplare di solidarietà effettiva proposta da Gesù nei confronti delle persone; ed essendo, Gesù, il Cristo, Egli esprime nella sua persona messianica l’amore del Padre nei confronti degli uomini, e porta in sé la “proposta dell’amore” per gli uomini fra loro, e degli uomini nei confronti di Dio.

Ancora nei vangeli c’è il testo, citato prima, di Lc 1,79, tradotto dalla Bibbia di Gerusalemme come: “grazie al misericordioso cuore del nostro Dio” o forse anche per la “viscerale misericordia di Dio”. Il carattere escatologico del testo pare evidente e “l’opera escatologica e rivelatrice di Dio è vista come un fluire dalla sua affettuosa misericordia”.6 Qui ci troviamo in un linguaggio molto vicino alla nostra spiritualità dehoniana, dove il cuore di Iddio è presentato come la fonte dell’amore e della misericordia.

Il Dio che per amore ha creato, ha chiamato i patriarchi e inviato i profeti, ha pure nella pienezza dei tempi inviato il suo figlio, nato da donna, che ci ha amato e ci ha parlato e si è umiliato e donato per noi fino alla morte in croce. Così Paolo si esprime in Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (2,5-8).

E Giovanni ci ricorda la fonte delle relazione fra gli uomini (1Gv 3,1): “Guardate quale grande amore ha dato a noi il Padre: siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo!” E ne trae la conclusione: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è amore. L’ amore di Dio si è manifestato tra noi in questo: Dio ha inviato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo si è manifestato l’ amore: noi non abbiamo amato Dio, ma egli ha amato noi e ha inviato il Figlio suo come propiziazione per i nostri peccati” (1Gv 4,8-10).

Dunque l’amore comunione e solidarietà, presente in Gesù, è un riflesso dell’ amore di Dio Padre che si è incarnato in lui. Nei suoi gesti abbiamo una proposta e un esempio.

2.2. Annuncio del Regno di Dio

L’annuncio del Regno, in poche parole è l’annuncio del amore di Dio verso gli uomini e donne, che esige l’amore fra i suoi figli e figlie. Amore concreto, come accoglienza del Regno, che ci chiede nuovi atteggiamenti, un nuovo modo di vivere.

2.2.1. Capacità di condivisione

L’annuncio del Regno di Dio è esigente. Così la parola di Gesù al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’ , vendi quello che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi”.(Mt 19,21).

Il testo ci rammenta l’invito di Gesù ai suoi discepoli, “Voi dunque sarete perfetti, come perfetto è il Padre”. Pare chiaro che la condivisione sia un modo di imitare la perfezione del Padre.

La comunità dei primi discepoli ha capito molto bene questo invito, così si spiega l’atteggiamento di tanti fra cui Barnaba: “Anche Giuseppe, chiamato dagli apostoli Barnaba, che vuol dire «figlio di consolazione”, levita, nativo di Cipro, essendo in possesso di un campo, lo vendette, e andò a deporre il prezzo ai piedi degli apostoli” (At 4,36-37).

La condivisione resta però sempre un atto libero, una risposta libera; e questo giustifica il rimprovero di Pietro ad Anania: “Ma Pietro gli disse: ‘Anania, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio!” (At 5,3-4). Anania ha voluto far finta di seguire il Signore più da vicino.

Un altro atteggiamo esemplare è la colletta promossa da Paolo per i poveri secondo la raccomandazione degli apostoli: “…e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro mano destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare” (Gal 2,9-10).

Così le collette di Paolo per i poveri di Gerusalemme rispondono a un dovere di apostolo: “ricordarsi dei poveri”, provocare fra i credenti la condivisione. E su questo punto Paolo è esplicito: “Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io. Quando poi giungerò, manderò con una mia lettera quelli che voi avrete scelto per portare il dono della vostra liberalità a Gerusalemme” (1Cor 16,1-3).

E ancora: “Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme. L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali. Fatto questo e presentato ufficialmente ad essi questo frutto, andrò in Spagna passando da voi” (Rm 15,25-28).

Conviene sottolineare la frase: “sono in debito di render un servizio sacro”: secondo Paolo, condividere è un ‘servizio sacro’.

2.2.2. Vivere la giustizia

È condizione imprescindibile. Zaccheo ha vissuto la giustizia già predicata nell’ Antico Testamento: “ristabilire il diritto di chi è stato frodato”; e con ciò ha accolto Gesù e il Regno da lui annunciato: “Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: ‘Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto’. Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa…” (Lc 19,8-9).

Ma forse il testo dove appare più chiaro la necessità della giustizia e della condivisione è Lc. 16,19-31: il povero Lazzaro e il ricco. Vediamolo in questo quadro sinottico:

- il povero Lazzaro e il ricco: Lc 16, 19-31:

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.

Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.

Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.

Levò gli occhi e vide da lontano…* Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda…* … e a bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.

* … Abramo e Lazzaro accanto a lui. * … Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito…

Ma Abramo rispose:

Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita…* … e tu invece sei in mezzo ai tormenti.

* … e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora lui è consolato…

 

E quegli replicò: “Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosé e i profeti: ascoltino loro!” E lui: “No, padre

 

Abramo; ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

 

L’abisso fra di loro è stato creato durante la vita. La morte ha solo reso realtà definitiva l’abisso anteriore. Per superare l’abisso economico-sociale è necessario la condivisione come atto di giustizia, la giustizia del Regno.

B. Vuoi essere perfetto?

Siamo religiosi, abbiamo scelto la vita religiosa dehoniana come cammino verso questa perfezione. Abbiamo fatto i voti, fra cui il voto di povertà. Dunque, come vivere il voto di povertà nel contesto della globalizzazione economica che rinnega i valori del Regno: Condivisione e giustizia, e non favorisce l’amore comunione solidale fra gli uomini?

Nella situazione economico-politico-sociale che viviamo ci sono aspetti positivi, ma pure tanti aspetti negativi: la ricerca incessante del profitto (senza ingenuità, perché non esiste economia capitalista senza profitto), il desiderio di guadagnare il massimo possibile, la manipolazione dalla propaganda, la speculazione nelle borse, il capitale virtuale, il benessere come obiettivo ultimo, l’esclusione delle masse dalla vita economica, politica, sociale e culturale (“massa che sopravanza”, come Lazzaro che attendeva gli avanzi7).

In questo contesto i voti possono essere visti come protesta, contestazione della ideologia dominante:

- per la valorizzazione dei valori evangelici di condivisione, di giustizia e di solidarietà;

- per vivere il principio basilare dell’Antropologia teologica cristiana: la centralità della persona umana8 che deve essere sempre capita in rapporto alla Trinità:

* L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio,

* Redento dal sangue di Cristo,

* È tempio dello Spirito Santo;

- e per la difesa dei principi basilari della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica:

* La dignità della persona umana (Teologia biblica)

+ Il destino universale dei beni (Patristica)

+ Il bene comune (Scolastica)

+ La sussidiarietà

+ La solidarietà

Conclusione: Un tentativo di risposta scj

La nostra Conferenza Generale è stato un tentativo di aggiornare la risposta che deve essere data da noi dehoniani9. Certamente non è una risposta completa né esauriente, ma un cammino ci è stato indicato e da percorrere.

L’importante è che siamo convinti che dietro il nostro agire sociale non c’è una ideologia qualunque o un opportunismo, ma una spiritualità fondata nella più genuina tradizione della fede giudeo cristiana.

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1 Cf. Boff Leonardo, Trinità e Società, pp. 167-171, Dio è un comunicare infinito.

2 Cf. da Costa Silva, Carlos Alberto, Cristo Solidário com seus irmãos e irmãs, Dehoniana 94 (1997/3) 27-30.

3 J. Behm, Grande Lessico del Nuovo Testamento, col. 921-922.

4 Idem, col. 922.

5 Ci troviamo nel caso in cui una parola di origine sociologica - solidarietà - è stata assunta dalla teologia e dalla Dottrina Sociale della Chiesa che le ha dato un senso ben preciso e ormai è usata correntemente.

6 J Behm , op.cit., col. 928.

7 Possiamo pure ricordare tutta la gente in Brasile, nelle Filippine e altrove che vive dei rifiuti delle grandi città, che sopravvivono dalle scariche cittadine.

8 Centesimus Annus n.º 53: “Negli ultimi cento anni la Chiesa ha ripetutamente manifestato il suo pensiero, seguendo da vicino la continua evoluzione della questione sociale, e non ha certo fatto questo per recuperare privilegi del passato o per imporre una sua concezione. Suo unico scopo è stata la cura e responsabilità per l’uomo, a lei affidato da Cristo stesso, per questo uomo che, come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la partecipazione all’eterna salvezza. Non si tratta dell’uomo « astratto », ma dell’uomo reale, « concreto » e « storico »: si tratta di ciascun uomo, perché ciascuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero. Ne consegue che la Chiesa non può abbandonare l’uomo, e che « questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’incarnazione e della redenzione ».

9 A questo punto necessariamente si deve rileggere il messaggio della Conferenza Generale di Recife a tutta la Famiglia Dehoniana. Documenta XVIII, p. 289ss.