DALLE MISSIONI E DAL MONDO

LA SFIDA DELLA NOVITÀ DI GESÙ CRISTO

nel contesto del pluralismo religioso

Congresso Missiologico Internazionale

Roma 17-20 ottobre 2000

Jacob Parapally, M.S.F.S.

 

Introduzione

La parola di Dio non è incatenata (2Tim, 2,9). Questa verità è confermata dai modi infiniti nei quali la Parola di Dio trova la sua espressione nel mondo. Soprattutto, è vero, in Cristo Gesù, il mistero della Parola di Dio si è rivelato nella storia. Egli ha superato tutto quello che lo legava, perfino la morte.

I primi teologi della Chiesa hanno visto in Gesù Cristo il Messia atteso dagli Ebrei e insieme il compimento della speranza, accarezzato dai Gentili di tutti i tempi. Ignazio di Antiochia (Anno Domini 110), per esempio, proclamava Gesù Cristo come il «fondamento per sperare che [tutta l'umanità] potrà essere convertita e potrà trovare la propria strada verso Dio». Inoltre, affermava che quel Gesù era « il nostro nome comune e la nostra speranza comune».1

I seguaci di Gesù Cristo credono che egli è davvero il nome comune e la speranza comune per l'intera umanità. Essi lo incontrano come la Via, la Verità e la Vita. Essi lo esperimentano come l'inizio e la fine della loro vita, e perciò come il senso ultimo della loro vita. Lo confessano come il Signore della storia e dell'universo dove visse e morì in un momento particolare della storia ed ora è vivo dopo la sua morte, mentre conduce tutti alla pienezza della vita.

Da questa esperienza trasformante di Gesù Cristo è nata la necessità di condividerla, di proclamarla in forma comprensibile in modo che Gesù Cristo potesse esser incontrato dai popoli di ogni lingua e di ogni cultura.

È assolutamente imperativo per la Chiesa che «vive, si muove e ha il suo essere» in Cristo Gesù proclamarlo in un modo che le altre persone realmente possano «sentire» la parola.

Nella società multi-religiosa dell'Impero romano, la Chiesa primitiva trovò modi creativi per proclamare la teologia del senso universale di Gesù Cristo. Quando l'Impero romano accettò Gesù Cristo come suo Signore e Salvatore, il Cristianesimo divenne una cultura mono-religiosa senza alcuna sfida dall'esterno alla sua proclamazione di Gesù Cristo.

Aveva da affrontare solamente le sfide interne che riguardavano le interpretazioni errate della persona di Cristo che furono affrontate dai primi concili, specialmente il concilio di Calcedonia. La Chiesa definì «chi è Cristo Gesù» in dialogo col Giudaismo ed il mondo Greco-romano. Questa cristologia ben definita, con una immagine preconfezionata di Cristo, non ebbe molto impatto sui popoli dell'Asia negli ultimi venti secoli perché gli asiatici hanno culture diverse e una loro visione del mondo che non riesce a capire la «lingua» delle definizioni cristiane.

Per di più, le religioni dell'Asia si vantano di avere i loro mediatori, dei redentori che mostrano la via della salvezza. Essi possono vedere «Cristo come una figura esotica che li attira più o meno, oppure una struttura sospetta associata con la conquista e l'invasione di stranieri»,2 una minaccia per le loro religioni e culture tradizionali. Quest'ultima interpretazione di Cristo e del Cristianesimo, come una minaccia, sta crescendo sempre di più in India ed altrove in Asia. Questo si vede chiaramente nella propaganda anti-cristiana dei fondamentalisti indù in India che ha portato al martirio di alcuni missionari nei mesi recenti. In questo contesto, quali sono i modi di proclamare Gesù Cristo in un linguaggio significativo per le persone di altre religioni così che esse possano incontrarlo come la “pienezza della vita” e non come una minaccia alle loro culture e tradizioni autentiche?

Nella sua opera, «L'Unicità di Gesù Cristo nella Riflessione Teologica indiana», Giorgio Karakunnel chiaramente ha mostrato che nel contesto indiano del pluralismo religioso e della povertà delle masse si deve presentare un'immagine di Gesù Cristo che sia inclusiva e relazionale, profetica e liberante, spirituale e cosmica, espressione di un amore kenotico e di servizio. Qui vorrei sottolineare quanto detto sopra e mostrare come un tale approccio alla cristologia sia imperativo nel contesto indiano se vogliamo fare nostro seriamente il «comando della missione» (Mt 28, 18-20) di Gesù Cristo.

Inoltre, nel contesto del pluralismo religioso dell'India suggerirei un approccio alla proclamazione di Gesù Cristo che sia una sfida e non una minaccia, rispettosa e non aggressiva, relazionale e non relativa.

1. Verso una cristologia indiana significativa: problemi e prospettive

Noi dobbiamo proclamare Gesù Cristo. Dobbiamo invitare le persone a sperimentare la sua presenza che dona la vita attraverso il suo Spirito nella Chiesa.

Ma è proprio necessario continuare a ripetere certe affermazioni della cristologia, articolate in un linguaggio che non solo non è significativo per nostri ascoltatori, ma ha anche tale impatto negativo su di loro che essi rifiutano la nostra comunicazione? Dobbiamo usare espressioni esclusive ed assolutistiche per proclamare la centralità di Gesù Cristo nel piano salvifico universale di Dio (I Tm 2, 4-5) da impedire alle persone di altre religioni di sentire la Buona Notizia della salvezza? Dobbiamo fare asserzioni assolute sulle altre religioni, i loro fondatori e le loro esperienze religiose, talvolta persino denigrandoli, come se noi conoscessimo tutto delle vie misteriose di Dio che «conosce tutto» e al quale «chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (Atti 10, 34-35)?

La storia della proclamazione cristiana nell'era coloniale era stata, in larga misura, aggressiva, esclusiva e trionfalistica, in contraddizione perfino con l'esortazione dell’apostolo Pietro: “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1Pt 3, 15).

I colonizzatori non potevano scoprire la presenza di Cristo, attraverso il suo Spirito, nei valori positivi delle tradizioni religiose dei loro soggetti come probabilmente sarebbe stata impedita la loro richiesta di superiorità, non solo per forza militare ma anche per la religione e la cultura. Nell’era coloniale e post-coloniale in Asia e particolarmente in India, la pretesa cristiana di essere l'unica vera religione che possiede la verità assoluta, l'unicità di Gesù Cristo e della sua Chiesa per la salvezza ecc. non solo non furono capite dai seguaci di altre religioni, ma anche portarono all'opposto di quello che volevano far intendere. Quelli che hanno una concezione inclusiva e relazionale, una pretesa assoluta e esclusiva a riguardo di Gesù Cristo e della sua Chiesa in vista della salvezza, riducono Cristo Gesù ad un dio tribale e la sua Chiesa ad una setta. In questo modo Gesù Cristo viene ad essere uno fra i fondatori di religioni o uno delle incarnazioni o un grande Guru o un profeta o uno che ha raggiunto il culmine della auto realizzazione. Sarebbe considerato come una fra le molte manifestazioni storiche dell'Assoluto. Come può succedere questo? La nostra proclamazione non è chiara e univoca? Effettivamente lo è! Ma è significativa solo per quelli che condividono il modo di pensare Giudeo-cristiano. Per quelli che partono dal punto di vista del principio epistemiologico dell'identità e non dal principio della contraddizione e che considerano le verità trans-storiche più reali dei fatti storici, la liberazione dall’ignoranza è più importante della liberazione dal peccato, le espressioni religiose simboliche sono più evocative ed esperienziali delle professioni di fede o delle formule dogmatiche e ogni formulazione esclusiva sulle verità religiose fallisce se fatta entrare negli schemi delle cose.. Per cui la difficoltà del teologo cristiano indiano è di tradurre le affermazioni di fede della Chiesa, circa la persona e missione di Gesù Cristo, in un linguaggio significativo per le persone così che possano rispondere a lui con tutto il cuore e tutta la mente.

Presentare una cristologia significativa nel contesto indiano non è facile. Infatti, la molteplicità e la complessità delle situazioni esigono una molteplicità di cristologie in dialogo con le “grandi tradizioni” e le “piccole tradizioni”3 che hanno il loro modo di pensare e insieme elementi liberanti ed oppressivi. L'esperienza cristiana di Gesù Cristo come la pienezza della vita può sfidare gli elementi disumanizzanti di queste culture e religioni. L’apertura agli elementi positivi delle altre tradizioni religiose può arricchire la comprensione cristiana del mistero di Gesù Cristo. Ma la prospettiva di arricchire solamente la nostra comprensione presente del mistero di Cristo è possibile solo se noi rinunciamo alla richiesta di avere esaurito tutte le pretese di capire il mistero di Gesù Cristo. Vuole dire anche che noi dobbiamo rinunciare alla presunzione che le nostre affermazioni cosiddette universalmente valide, a-temporali, a priori su Gesù Cristo siano intelligibili per le persone di tutte le culture e di tutti i modi di vedere.

È chiaro, per quelli che incontrano Gesù Cristo nella tradizione vivente della Chiesa e capiscono le sfide della loro concezione indiana del mondo che essi hanno ereditata, che le loro affermazioni di fede non sono comprensibili ai loro ascoltatori. Perciò, i teologi indiani sono convinti del bisogno di presentare le verità di fede cristiana in un modo significativo nel contesto indiano. I loro tentativi possono essere costruiti come relativizzazioni delle verità fondamentali della rivelazione cristiana. A volte essi sono accusati anche di non affermare Cristo come l'unico salvatore. È comprensibile come alcuni possono fare tali accuse, non avendo rettamente compreso i metodi pedagogici assunti dai teologi indiani, per non aver vissuto l’esperienza del contesto della riflessione teologica indiana.

La proclamazione di Gesù Cristo, in dialogo col contesto indiano del pluralismo religioso e con la situazione socio-culturale ed economica disumanizzante, convince gli annunciatori del Vangelo che:

1. La presenza cosmica e trans-storica di Gesù Cristo, come pure la sua presenza attraverso il suo Spirito in tutto ciò che è buono, bello e perfetto, deve essere il punto di partenza, mentre la sua presenza storica deve essere il punto di arrivo nella proclamazione del Vangelo. Il sottolineare eccessivamente la storicità di Gesù all'inizio della proclamazione del Vangelo, lo riduce ad uno fra i fondatori storici di religione.

2. Gesù Cristo non può essere proclamato significativamente nel contesto indiano in forma isolata o separato dai “molti e diversi modi con cui Dio ha parlato ai nostri padri" (Eb 1,1). Altri fondatori di religioni e altri modi di salvezza non devono essere capiti come paralleli o complementari alla rivelazione di Dio attraverso Gesù Cristo che è “una volta per tutte”. Non c'è neppure bisogno di considerarli come partecipanti alla mediazione di Gesù Cristo. Secondo le Sacre Scritture possono essere considerati come modi di Dio nel trattare con l’umanità in particolari culture e nazioni del passato (Eb1,1f) e è ragionevole concludere che la vecchia economia di Dio continua con quei popoli che non hanno incontrato ancora Gesù Cristo. Tale comprensione non riduce lo zelo missionario nel proclamare la Buona Notizia, come alcuni temono, ma lo migliora con una riverenza più profonda del mistero della volontà di Dio che rispetta le persone umane, le culture e le tradizioni religiose autentiche.

3. La rivelazione in Gesù Cristo è nuova, perché richiede una risposta libera e un impegno totale. Dio salverà tutte le creature umane per mezzo di lui-(1Tim 2,4-5). Credo che questa sia la ragione sufficiente e improrogabile per la missione della Chiesa. Non c'è quindi nessun bisogno di catalogare le mediazioni e i mediatori delle altre religiose come vie imperfette alla salvezza per mostrare la centralità di Gesù Cristo nell'economia della salvezza. Tale approccio creerebbe solo difficoltà insormontabili nella proclamazione del Vangelo. La novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo è potente abbastanza per sfidare e trasformare persone e società.

4. Lo Spirito di Dio, presente nei valori autentici delle altre religioni e culture, non può essere separato da Gesù Cristo. Secondo lo spirito del Vaticano II, specialmente di Gaudium et Spes, Papa Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica Redemptoris missio sottolinea la coscienza della Chiesa della presenza ed dell’azione dello Spirito oltre i confini della Chiesa. Afferma che «la presenza e l'azione dello Spirito non solo interessano gli individui ma anche la società e la storia, i popoli, le culture, e le religioni».4 L'indiano e l’asiatico che tentano di riconoscere la ‘presenza nascosta’ di Cristo attraverso il suo Spirito nelle tradizioni religiose e culturali autentiche, in nessun modo disgiungono Gesù Cristo dal suo Spirito ma promuovono le possibilità meravigliose di proclamare la centralità di Gesù Cristo. Scoprire la presenza e l’azione dello Spirito nelle realtà complesse dell’India/Asia porta all'incontro con Gesù Cristo e al suo Spirito che è lui stesso. Nella sua esortazione Apostolica, Ecclesia in Asia Papa Giovanni Paolo II sottolinea l'inseparabilità dell'azione dello Spirito Santo e la salvezza universale in Cristo con l'impegno della Chiesa nell’adempiere la sua missione.5

5. La proclamazione del regno di Dio, attraverso il dialogo con tutti quelli che sono impegnati a creare una società giusta, in nessun modo diluisce l’adesione a Cristo e l’edificazione della Chiesa ma li facilita. Nell'impegno di svuotamento del Cristiano per la trasformazione della società ingiusta e nel coraggio per difendere i valori del regno così pure nel sopportarne le conseguenze, le persone di altre tradizioni religiose scoprono l’immagine della kenosis liberante di Cristo.

La ricerca per un'immagine o delle immagini di Gesù Cristo che tengano conto dell’impegno detto sopra, senza rinunciare ad alcune delle affermazioni fondamentali della fede cristiana, costringe i teologi indiani a scoprire modi creativi di comunicare la rivelazione di Dio in Gesù Cristo.

2. La sfida della novità di Gesù Cristo

Nel XIX secolo alcuni indù e alcuni convertiti indù al Cristianesimo fecero dei tentativi di presentare Gesù Cristo in un linguaggio significativo per gli indù. Scoprirono la difficile novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo per portare la liberazione integrante alle creature umane. Mentre un riformatore indù come Ram Mohan Roy (1772-1833) presentava Gesù come la Guida Suprema alla Felicità, Keshub Chunder Sen (1838-1884), rimanendo sul confine tra Induismo e Cristianesimo, mostrava Gesù come il compimento o l'Induismo, l'apice dell'evoluzione organica. Cit (Consapevolezza) di un Dio Trinitario (Sat-Cit-Atianda = Beatitudine della Coscienza). Per Brahmabandhav Upadhyaya (1861-1907), un Bramino convertito al Cristianesimo ed il cosiddetto padre della Teologia Cristiana Indiana, Gesù Cristo era l'Immagine Trascendente del Supremo Brahaman e Nara-Hari (il Dio-uomo). Seguendo questa linea di interpretazione di Gesù Cristo secondo la Cultura e tradizione religiosa indiana, alcuni hanno tentato di presentare Gesù come l'unica Avatara (Incarnazione), Isvara (aspetto Personale del supra-personale Assoluto), Adi Purusha (La Persona Primordiale), Prajapati (il Dio delle creature), Vimochakan (il liberatore) Satyagrahi, Yoghi ecc. Stranamente, questi tentativi di interpretare Cristo nel contesto indiano non avevano influenza seria sull'annuncio cristiano e la sua prassi perché la Chiesa vedeva questi tentativi con sospetto.

Negli anni '80, i teologi del Terzo Mondo giudicarono i diversi modelli cristologici nel contesto asiatico e li trovarono inadeguati a rispondere alla molteplicità di religioni e alla povertà che pervade l'Asia.6 Il 'fulfillment theology' del 1930 col suo riconoscimento del Cristo-delle-religioni, era un'iniziativa che contrastava la 'civilisation theology' dei missionari Occidentali e colonizzatori. Ma non riuscì a riconoscere il Cristo-dei-poveri.

Il Cristo ashramic dei tardi anni '60 era una protesta contro la “development theology” dei neo-colonialisti. Il movimento ashramic riconosceva nell’avidità di denaro il nemico da combattere con la povertà volontaria e la semplicità, ma non riuscì a smascherare i sistemi e le strutture ingiuste e a partecipare attivamente alle lotte per la liberazione dei poveri.

Così la “inculturation Christology” della fine anni ’70, sviluppata in opposizione alla “liberation Christology”, ha fallito nel ricercare il collegamento tra religione e liberazione. In India/Asia, ci sono molte culture e classi in una religione e molte religioni in una cultura. Vi sono elementi liberanti ed oppressivi, nelle religioni così come nelle culture. La consapevolezza di tale situazione complessa è stata la forza irresistibile che ha motivato i teologi indiani/asiatici a cercare di presentare un'immagine di Gesù Cristo che sia il Cristo-delle-religioni e dei-poveri.

Nel contesto di tante religioni, che pretendono di essere modi di liberazione dalla miseria dell’esistenza umana, e con la presenza di milioni di poveri che cercano la liberazione socio-economica e politica, che cosa porta di nuovo la persona e il messaggio di Gesù Cristo? Questa novità deve essere comunicata attraverso parole significative, azioni e stile di vita piuttosto che ripetendo termini che sono inintelligibili, esclusivi ed offensivi delle persone di altre religioni. Tutta la testimonianza e la prassi apostolica ha presentato la novità dell'azione di Dio nella storia nella persona di Gesù Cristo che è diventato il Nuovo Testamento. La relazione di alleanza che Dio ha stabilito attraverso di lui fu interpretata e proclamata come la Nuova Alleanza. Fino al compimento del nuovo cielo e della terra nuova questo nuovo messaggio deve essere proclamato. Diversamente dagli esclusivi e univoci termini che noi preferiamo usare per spiegare chi è Gesù Cristo, la novità difficile di Gesù Cristo, se comunicata in modo giusto, può portare molti ad incontrarlo. Questo, io credo, è il compito della teologia nel contesto indiano/asiatico.

Possiamo identificare alcuni degli elementi che possono comunicare la novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, capaci di rispondere adeguatamente alla preoccupazione soteriologica delle persone di altre religioni, la loro ricerca per la liberazione integrale e la loro ansia per l'armonia fra gli uomini, Dio e il cosmo? Credo che ciò sia possibile e necessario per entrare in un dialogo significativo con le persone di altre religioni e portarli ad un’esperienza di Gesù Cristo. Alcuni degli elementi di questa novità della rivelazione di Cristo possono essere sottolineati come segue:

1. In Gesù Cristo si può incontrare lo svuotamento di Dio, ignoto finora nella storia della rivelazione. In lui l’Assoluto è diventato Relativo, l’Infinito è diventato limitato, Dio è diventato uomo, Parola si è fatta carne (Gv 1,14). In lui Dio venuto a servire e non essere servito (Mc 10,45). Così il Cristo umiliato (Fil 2,7) può essere incontrato come il servo di tutto ciò che è perfetto, buono, vero, bello ed autenticamente liberante in tutte le tradizioni religiose, Grande o Piccolo, Meta-cosmico o cosmico, unitivo o messianico. Egli non solo non è contro il potenziale liberante delle tradizioni religiose asiatiche, ma ha il potere di renderle realtà vive.

2. Se Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, come il Concilio di Calcedonia professa e proclama, non può rivelarsi, nella storia, che il servo di Dio, dell’umanità e del cosmo. In lui vi è la piena rivelazione di Dio, che non è solo Dio, ma anche il servo di tutti e di tutto. Questa è il kenosis integrale, il paradosso della rivelazione di Cristo, lo scandalo per gli ebrei e la follia per i gentili, ma, davvero, la potenza e la sapienza di Dio (1Cor 1,25). Lo svuotamento è l'essenza dell'Unicità Trinitaria. “Non c'è altro nome" (At 4,12) che riveli questo mistero del Dio come l’auto-svuotamento di Dio che diviene il servitore della propria creazione. La novità, la norma risolutiva e la validità universale di Gesù Cristo consistono nel suo servizio di tutto quello che è autenticamente umano sia esso la cultura, i sistemi di religione o le strutture. Questo auto-svuotamento di servizio è espresso nella lavanda dei piedi dei discepoli all'Ultima Cena (Gv 13, 3-15). Questa rivelazione sovverte tutte le categorie umane della discriminazione: superiorità e l'inferiorità, classe più alta e classe più bassa, tra casta e casta, casta bassa ed alta ed intoccabili, patriarcato e matriarcato, maschio e femmina, Cristiano e Pagano, credente e non-credente, civilizzato ed incivile ecc. sfida preconcetti religiosi e strutture secolari che perpetuano i sistemi della discriminazione e disumanizzazione mentre stimola le forze della liberazione sia religiose che secolari.

3. L'immagine dello svuotamento di Gesù Cristo può rivelare il potere dei deboli, farne risaltare l'identità e stimolarli a lottare per una vita umana piena e nello stesso tempo li libera dalle forze dell'alienazione al proprio interno come all'interno delle strutture e dei sistemi che li asserviscono. Gesù Cristo rivela il dolore di Dio che soffre quando le creature umane soffrono essendo amore in se stesso. Questa nuova rivelazione di Gesù Cristo ha l'influenza tremenda sulle persone che soffrono per le immagini oppressive di Dio.

4. La kenosis di Cristo può colmare l’ansia delle popolazioni asiatiche per la liberazione dall'avidità di denaro, dal possesso dei beni, dall'egoismo e dalla frammentazione della realtà. Può rivelare la necessità di una religiosità etica per la liberazione integrante dal vuoto cultuale e dalla religiosità Gnostica. Gesù di Nazareth ha rivelato un Dio che è antropocentrico e cosmocentrico (Gv 3,16) e non egocentrico perché lui è per natura un Dio che svuota se stesso. Il Cristo della kenosis può compiere la sua funzione profetica nel contesto asiatico sfidando tutte le tradizioni religiose incluso un Cristianesimo che voglia essere autenticamente antropocentrico e si prenda cura della creazione intera. Egli rivela l’intima relazione tra Dio, le creature umane ed il mondo.

5. La kenosis di Cristo può stimolare tutti quelli che l'incontrano a promuovere tutto ciò che è autenticamente umano e liberante nelle varie tradizioni religiose, culture, e sistemi socio-politici ed economici con rispetto, amore e atteggiamento di servizio. Tale incontro con la kenosis di Cristo conferirebbe loro il potere per identificarsi con quelli che sono impegnati a lottare contro le forze della schiavitù per costruire il Regno di Dio dove lo stesso svuotamento di Dio è la fonte e il modello per la comunione per far crescere comunità di giustizia, di amore, di compassione, di amicizia, di pace, di riconciliazione e, in realtà, di tutto.

Conclusione

La proclamazione cristiana dell'unicità di Gesù Cristo è incompresa e rifiutata da persone di altre religioni. Pensano che provenga dal senso della superiorità dei cristiani, dalla loro arroganza e da una mentalità coloniale. È nell'interesse della vocazione della Chiesa e del suo impegno per la sua missione che parli un linguaggio che promuova una comunicazione effettiva della suo messaggio su Gesù Cristo. Ciò significa che la Chiesa dovrebbe avere costantemente un atteggiamento positivo verso le altre tradizioni religiose che devono essere servite con la rivelazione di Gesù Cristo. Le altre tradizioni religiose hanno diritto a sentire il messaggio del Vangelo e perciò la Chiesa ha un dovere di proclamarlo in una lingua intelligibile a loro.

Le Sacre Scritture ci rivelano l’auto-svuotamento di Dio che è venuto a servire. Questa è la novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Questa nuova rivelazione nella storia di ciò che trascende la storia non distrugge tutto ciò che è vero e bello nelle altre tradizioni e culture religiose. Questa verità può essere comunicata credibilmente solamente da quelli che fanno esperienza della presenza nascosta di Gesù Cristo in loro attraverso il suo Spirito. La sua presenza e azione nascosta possono essere riconosciute anche da quelli che sono impegnati a portare avanti tutti i valori autentici del Regno. In ogni caso, una cristologia tribale ed esclusiva impedisce il dialogo coi membri di altre religioni e impedisce il loro incontro con Gesù Cristo.

La missione di Gesù è stata quella di proclamare e stabilire relazioni giuste fra e con le creature umane, con Dio ed il cosmo. La proclamazione di Gesù del “Regno di Dio” o “Regno dei cieli” ha sottolineato la relazione verticale e orizzontale della Creatura umana per lo stabilimento di una società nuova. Seguendo lo svuotamento di Gesù, ai discepoli è dato la grazia e l’obbligo di “raccogliere i frammenti perché nulla vada perduto” (Gv 6,12) delle tradizioni religiose Indiano/asiatiche ed dei movimenti che lavorano per la costruzione di una società nuova.

Il significato di Gesù Cristo per India/Asia, in ordine alla sua liberazione integrante, sarà riconosciuto quando le persone di altre religioni e gli oppressi ed emarginati sapranno vedere l’immagine della kenosis di Gesù Cristo nel servizio della sua Chiesa che lotta con e per gli altri per costruire una società nuova dove prevalga un'armonia basata sul riconoscimento della sovranità di Dio, della giustizia, dell'uguaglianza e della “co-esistenza” delle religioni e delle culture. La novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo diviene visibile, sfidante ed effettiva quando i discepoli si impegnano a questo servizio unico per l’umanità e per il mondo.

Jnana-deepa Vidyapeeth
(Pontificio Istituto di Filosofia e Religione)
Pune-411014, India

NOTE

  1. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ephesians: 10.1; 1.2.
  2. R. PANIKKAR "A Christophany for our Times", the Thirty-fifth Annual Robert cardinal Bellarmine Lecture, Theology Digest 39:1(1992), p. 4.
  3. Gli antropologisti, come M.N. Srinivas usano i termini "Grande Tradizione" e "Piccola tradizione" per mostrare la distinzione tra la tradizione classica Indù e la religiosità popolare della gente semplice. Si veda M.N. Srinivas, Religion and Society among the Coorgs in South India, London 1952.
  4. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 28.
  5. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Asia, 17-18.
  6. "The Irruption of the Third World. Challenge to theology" Fifth Conference of the Ecumenical Association of Third World Theologians (New Delhi, 17-29 agosto 1981), Documento, Vidyajyoti 46 (1982), p. 92. Si veda anche Aloysius Pieris, "Non Christian Religions and Cultures in Third World Theology", Vidyajyoti, 46 (1982), pp. 166-170.