DALLE MISSIONI E DAL MONDO

 

LA SPIRITUALITÀ MISSIONARIA

DEI PRIMI CRISTIANI LAICI MALGASCI

P. Bruno Hübsch

 

Quando si parla di Missione e della fondazione delle chiese locali, l’accento è posto soprattutto sui ministri dell’evangelizzazione, preti, fratelli, religiose; sui loro lavori, sulle loro difficoltà e i loro successi. Si accenna più o meno ai loro collaboratori nazionali, ma è difficile scorgere il volto di quelli che hanno accolto la Parola, hanno prestato fede e hanno costituito la prima Chiesa. Il materiale scritto che permette di ricostruire la storia degli inizi è soprattutto costituito da lettere o relazioni scritte dai missionari: vi si parla di nuovi cristiani, del loro zelo e della loro pietà, ma secondo come appaiono.

Che cosa pensavano questi nuovi discepoli di Cristo? Quali erano i valori evangelici ai quali avevano aderito? Nella maggior parte dei casi è difficile saperlo.

Ora però si è trovato in Madagascar un “diario” scritto dai cattolici malgasci che ci fa conoscere quali furono le loro reazioni e la loro azione al momento in cui furono costretti a prendere in mano le leve della loro Chiesa.

Effettivamente, nel 1883-1886 (e il fatto si ripeterà nel 1894-1895), i missionari stranieri dovettero lasciare il paese in seguito alla guerra scoppiata tra Francia e Madagascar. La giovane Chiesa, che essi avevano fatto nascere, aveva poco più di 20 anni. Un gruppo di giovani,1 riuniti in una associazione chiamata “Union Catholique”, si mise ad animare le 4 parrocchie della capitale Antananarivo, poi le comunità disperse nelle campagne circostanti e altrove. Riunendosi tutti i sabati, facevano una relazione sulle loro visite, esponevano i problemi incontrati, li discutevano e prendevano le decisioni per la settimana seguente.

Il segretario scriveva un resoconto. Settimana dopo settimana, abbiamo così un diario di questa esperienza assai rara nel cattolicesimo, di una Chiesa di laici, per 33 mesi.

Il testo, conservato negli archivi dell’arcivescovado di Antananarivo, è stato pubblicato a cura di uno storico, Pietro Lupo che lo ha corredato di note sostanziali e di diversi documenti francesi o malgasci. Ciò permette di stabilire l’autenticità e la validità di ciò che è rapportato nella “Histoire de l’Union Catholique” (abbreviata in HUC).2

Attraverso questo scritto, si può cogliere ciò che infiammava il cuore di questi giovani, e scoprire il senso missionario che li animava. Attraverso la loro azione, le loro decisioni, le loro riflessioni, si delinea un modo di realizzare la loro missione di battezzati.3

Ma prima di affrontare questo scritto, è bene conoscere un po’ la situazione di questa Chiesa Cattolica in Madagascar. Poi, capita l’avventura di questi “giovani”, sarà possibile cogliere alcuni elementi che hanno sostenuto il loro senso missionario.

1. La nascita della Chiesa

Nel XVII secolo c’erano stati dei tentativi di fondare una missione: quello dei Gesuiti portoghesi a sud e a ovest dell’isola (1613-1630), poi quello dei Lazzaristi francesi, legati alla fondazione di una base commerciale a sud, a Fort Dauohin de Tolañaro (1648-1674), ma questi tentativi rimasero infruttuosi. I progetti del XVIII secolo non si concretizzarono, contrastati dalle autorità delle isole di Francia (=Mauritius) e Bourbon (=La Réunion) che non volevano rovinare la tratta degli schiavi.4

Solo verso il 1815 si ritrova una duplice aspirazione. Quella di Radama I, re di Antananarivo, desideroso di ottenere i mezzi militari per conquistare l’isola e di adottare le tecniche straniere; e quella del governatore dell’Isola di Mauritius, preoccupato di abolire la tratta e di estendere l'influenza inglese. I trattati del 1817 e 1820 permisero ai pastori e agli artigiani della Società Missionaria di Londra (LMS) di rispondere ai desideri delle due parti.

A partire dal dicembre 1820, si comincia a costituire una rete scolastica, mentre rapidamente (1823) comincia la traduzione della Bibbia. Testi scritturistici e catechismi servono come materiale scolastico, collegando così istruzione e cristianesimo. I primi battesimi sono celebrati solo nel 1831, sotto il regno di Ranavalona I (1828-1861) che era succeduta a suo marito. Molto presto, ella è preoccupata di questa religione che mette in causa la consacrazione sulla quale riposa il suo potere. Nel marzo 1835 proibisce ai suoi sudditi la professione del cristianesimo. Mentre i pastori terminano la stampa della Bibbia (giugno 1835), un intero gruppo di cristiani, rimasti fedeli, si organizzano clandestinamente e si riuniscono per leggere la Scrittura e pregare insieme. Ci saranno degli arresti e in tre ondate di persecuzione (1837-1840; 1849 e 1856), un centinaio di martiri, senza contare quelli condannati alle prigioni e alla schiavitù. La Parola si espande grazie ai credenti attraverso i villaggio dell’isola, grazie agli spostamenti e alle amicizie. Si sviluppa così una Chiesa coraggiosa e missionaria, sostenuta solo da indigeni.

Dal punto di vista cattolico, il Madagascar dipende dall’isola di Réunion. Nel 1832 si ebbe il tentativo del prefetto apostolico Henri de Solages di venire a Antananarivo. Ma ne fu impedito e morì, solo, consumato dalle febbri malariche. Nel 1873 un prete diocesano, Pierre Dalmond, venuto in oceano indiano con Solages, sbarca vicino alla costa est dell’isola Santa Maria, dipendente dalla Francia, poiché non gli fu permesso di entrare a Madagascar. Per tre anni vi fece sorgere una piccola comunità, prima di andare nelle isole del nord-ovest i cui principi chiedevano il protettorato francese (1840). Nominato prefetto apostolico di Madagascar, cerca dei collaboratori. Nel 1844, di passaggio in Europa, ottiene l’aiuto dei Gesuiti. Alla sua morte, nel settembre 1847, sono essi che continuano la sua opera, nelle “piccole isole”.

La Grande Isola è chiusa per loro e possono solo preparare, con dei lavori linguistici ed editoriali, il materiale catechistico. Nel 1855 P. Finaz ha l’occasione di venire in incognito ad Antananarivo, e, con la sua raffinata astuzia, ottiene di restarvi due anni.

Bisogna attendere la morte della vecchia regina, il 16 agosto 1861, perché suo figlio, Radama II, proclami la libertà religiosa.

I protestanti possono allora mettersi in piena luce e costruiscono subito i loro templi. I Gesuiti giungono molto velocemente al centro dell’isola, ben accolti dal re che ha conosciuto P. Finaz. Egli dà loro la possibilità di installarsi, di fondare quattro parrocchie e di aprire delle scuole: sono gli allievi di queste scuole che, due anni dopo, saranno i primi battezzati. Anche qui istruzione e cristianesimo sono strettamente legati.

La presenza di due confessioni porta ad una situazione di concorrenza che acquista i caratteri di una competizione nazionale. I protestanti si appoggiano sui loro pastori brittannici, i cattolici sui padri francofoni. Anche se, dopo l’assassinio del Re (maggio 1863), il primo ministro Rainilaiarivony cerca di portare avanti una politica di equilibrio, egli tende piuttosto verso la Gran Bretagna e il protestantesimo. Anche l’alta società malgascia è di questa tendenza.

Nel 1868, la nuova regina Ravalona II sottolinea, fin dalla sua “apparizione al popolo” la sua scelta per il cristianesimo, di fronte alla religione tradizionale. Nel febbraio 1869 viene annunciato il suo battesimo nel rito protestante, come pure quello del primo ministro che ella ha sposato. Anche se la libertà religiosa è ufficialmente proclamata, resta il fatto che il protestantesimo è la “religione della Regina”. Molti nel regno sono inclini a seguire il suo esempio: i templi si costruiscono, i ministri si improvvisano e gli ufficiali favoriscono un movimento che sembra andare nel senso della volontà reale.

In questo contesto, i Gesuiti, chiamati spesso dai loro ex allievi, si espandono nelle campagne del centro dell’isola e fondano cappelle e scuole. Vanno al sud (nella provincia di Betsileo), a 400 chilometri da Antananarivo (1871). Ma spesso la loro azione è impedita o disturbata dagli ufficiali della regina, segnati da tutti i pregiudizi anti-papali che dipingono il cattolicesimo come una idolatria. I missionari cattolici non avevano, d’altra parte, una migliore opinione dei loro concorrenti…

Le due confessioni rivali non si capivano. Nella capitale si stabiliva tutta una rete di insegnamento: quello dei protestanti con una scuola di formazione pastorale e un collegio, che poi doveva diventare nel 1881 una scuola di medicina; quello dei cattolici sostenuto dal 1886 dai Fratelli delle Scuola Cristiane che preparavano dei maestri, mentre le suore di S. Giuseppe di Cluny, presenti dal 1861, formavano numerose maestre. Le tipografie fornivano libri in malgascio, soprattutto religiosi, e ciascuna Chiesa aveva la sua rivista, Teny Soa (la Buona Novella) per i protestanti, Resaka (La conversione) per i cattolici. Uno sforzo considerevole di formazione veniva fatto da una parte e dall’altra, soprattutto nella città reale. Nelle campagne l’appartenenza religiosa si traduceva spesso soprattutto nella differenza liturgica, ma i Padri, abitando in un distretto, potevano assicurare una evangelizzazione più profonda.

La situazione era pressappoco così quando nel 1883 scoppiò la guerra tra Francia e Madagascar. Molti elementi di dissenso avevano avvelenato le relazioni: il rifiuto dei Malgasci di concedere il diritto di proprietà agli stranieri, come pure le mire del Regno sul nord-ovest dell’isola di cui i Francesi pretendevano avere il protettorato. Si poteva aggiungere il progetto accarezzato dai notabili della Réunion di fare del Madagascar una valvola di scarico per la propria popolazione.

All’annuncio del bombardamento di Majunga, il governo malgascio decise di espellere tutti i cittadini francesi e perciò i preti, i fratelli, le religiose cattolici. L’unico prete malgascio, ordinato nel 1873, era morto da due anni. Come religiosi restava solo il primo fratello malgascio delle Scuole Cristiane (28 anni), Fr. Rafaele Rafiringa e tre novizie delle suore di S. Giuseppe di Cluny. Ma c’erano i laici cattolici…

Di fronte a 135.000 battezzati protestanti e di tutti i loro simpatizzanti, i cattolici avevano solo 23.500 battezzati, una quarantina dei mille simpatizzanti dispersi in 316 postazioni, di cui 80 nel sud a Betsileo. Vi erano nelle scuole 19.000 allievi con 350 maestri e maestre.5

Le lettere dei missionari, dopo la partenza, mostrano il loro disagio e le loro paure di veder distrutta questa piccola Chiesa.6 Ma non si teneva conto della fede e del senso missionario che era germogliato nei loro cuori.

2. La Chiesa dei laici

Chi furono i protagonisti di questa Chiesa dei laici che seppero animare la loro comunità? Dopo averli presentati e aver descritta la loro azione, sarà possibile, attraverso il loro diario, coglierne le motivazioni.

Tre giorni dopo la partenza dei Padri, i cattolici si ritrovarono davanti alle chiese presidiate. Arriva la nuora del Primo Ministro, Vittoria Rasoamanarivo che, dopo essere stata informata dagli alti ranghi, fa aprire le porte. I fedeli possono riunirsi per pregare. Questa donna non era solo vicina al potere, ma era conosciuta come una cristiana di grande pietà, senza ostentazione, ma coraggiosa. Dama d’onore della regina, testimoniava la propria fede. Si sapeva che suo marito conduceva una vita sregolata, ma malgrado i consigli del suo suocero e della regina, mai Vittoria aveva voluto parlare di divorzio. Degna, paziente, sperava di veder cambiare suo marito che la tradiva. Signora nella sua casa, sapeva governarla bene, trattando domestici e schiavi con dolcezza e confidenza. Impegnata nella sua parrocchia nell’associazione dei figli di Maria, di cui lei era presidente, visitava i malati e i poveri che accoglieva in casa sua. P. Caussèque, consigliere spirituale delle associazioni, le aveva detto, prima di partire: “Quando Gesù fu salito al cielo, Maria rimase sulla terra per incoraggiare gli apostoli e i fedeli. Figlia del Primo Ministro e pia come sei, tu puoi fare molto per loro”. Ella ricevette queste parole come una missione e per 33 mesi la mise in pratica. Era essenziale per i cattolici avere una tale donna come garante, perché per la sua posizione ella era il segno della libertà religiosa che suo suocero voleva mantenere.7

Il primo Fratello malgascio, per la sua posizione di religioso e per le sue qualità morali, venne eletto “Prefetto della Chiesa” dagli adulti cattolici della Capitale. Era un uomo molto religioso e assai competente, profondamente dedito al suo lavoro. Ma, avendo avuto come modello l’autorità clericale dei Padri, pensava che tutto doveva dipendere dalla sua autorità. Ma doveva fare i conti con i giovani dell’Unione Cattolica: quella associazione mariana riuniva ex allievi dei Fratelli dal 1878; sembra che con le riunioni mensili essi avessero ricevuto una formazione cristiana di buon livello. Questi giovani dai 20 ai 30 anni erano funzionari o maestri della Missione. Subito organizzarono la preghiera domenicale delle quattro parrocchie, anche predicando quando era necessario.

Nei quattro primi mesi dopo la partenza dei Padri, alcuni di loro ebbero l’occasione, per il lavoro o per rispondere a relazioni familiari, di percorrere la campagna attorno alla Capitale. Vi trovarono delle comunità cattoliche disorientate; a volte il maestro, che era anche catechista e animatore della preghiera domenicale, era partito alla ricerca di un salario; in altri luoghi, la pressione delle comunità protestanti era stata troppo forte fino ad attirare quei cristiani senza prete. Le accuse di essere dei traditori, di connivenza con i nemici del paese, pesavano su di loro…

I giovani si riunirono all’inizio di ottobre, decisi a far fronte ai bisogni che avevano costatato. Nel suo diario,8 il segretario Isidoro Ramahatafandry scrive: “I loro cuori ardevano di compassione perché si rendevano conto che era loro dovere e loro responsabilità di cominciare questa cosa e di portarla a termine. Non erano forse, molti di loro, tra i primi battezzati di Antananarivo? Conoscevano bene la vita cristiana ed erano quelli che avevano ricevuto la migliore formazione. Essi vi vedevano la volontà di Dio e non potevano perdere il bene che avevano ricevuto da Lui”.

Chiamarono Vittoria Rasoamanarivo e alcuni notabili e si riunirono con Fr. Rafaele, sotto la guida di Paul Rafiringa, eletto responsabile del gruppo. In quel tempo in cui non c’erano più preti, essi consideravano l’impegno di animazione come una sostituzione della confessione e della penitenza e si misero sotto la protezione della Vergine. Prese alcune misure per l’organizzazione, Vittoria chiede a tutti di collaborare con Fr. Raffaele che invita ad accordarsi con loro: “Se noi non sappiamo collaborare, la nostra religione sarà distrutta”. Inaugurava così un ufficio di mediazione che durerà a lungo, non esitando, quando vi erano discussioni, a mettersi di fronte alle due parti e a risolvere la faccenda.

Stabiliti i principi, la riunione seguente permette di fissare alcune regole per le visite: si faranno a nome di Vittoria e di suo cognato - unico figlio del Primo Ministro ad essere cattolico - per marcare la specificità cattolica; le visite saranno gratuite; si struttureranno le comunità locali per l’elezione di un responsabile.

Si trattava di una vera missione nella Chiesa e per questi giovani, nel quadro del loro movimento, di un impegno nello stesso tempo tra loro e per gli altri, “come un voto”, dice il loro diario [15 (63)].

L’avventura comincia: sabato dopo sabato, si riuniscono per fare la verifica delle loro visite: domenica dopo domenica, eccoli in cammino, in un raggio di 15-20 chilometri attorno a Antananarivo, spesso a piedi, a volte in portantina, per darsi un po’ d’autorità. Il loro compito: visitare le comunità, risvegliarle, fortificarle, istruirle, vegliare sul funzionamento delle scuole, sostenere i maestri, incoraggiarli, promuovere il catechismo non solo dei bambini ma anche degli adulti, e in particolare dei catecumeni. Avranno anche da amministrare i battesimi e presto preparare al matrimonio e ricevere i consensi.

Ma vi sono comunità che sono più lontane in cui occorrono diversi giorni per visitarle. In una riunione, il presidente dice che l’inviato di una chiesa, situata a 45 chilometri, è alla porta e attende un delegato. Ci si consulta e viene designato un membro che deve partire subito. “Vincenzo ha accettato ed è partito”. Il segretario aggiunge: “Grazie a te, Signore onnipotente che hai dato al tuo servo un cuore amante, obbediente e coraggioso. Non ha guardato alla lunghezza del viaggio, alle forti piogge d’estate, né alla nomina così improvvisa, ma come soldato del Signore, non ha messo attenzione a questi inconvenienti, ma solo alla visita che gli si domandava di fare”.9

Altri saranno designati per più lunghe tournée, sia nel Nord sia nel Sud della provincia centrale per portare serenità alle comunità e certezza di non essere abbandonate”.10 A ciò si deve aggiungere le relazioni epistolari con il Sud (Ambositra a 250 chilometri dalla Capitale) dove un maestro catechista mantiene validamente la sua comunità.

Al contrario, nel Betsileo, dopo che il responsabile della Scuola normale dove si formavano i maestri, Pierre Ratsimba, ebbe dato una bella testimonianza di fede coraggiosa, le comunità furono obbligate al silenzio, per la volontà di un governatore di togliere la “preghiera francese”. Pierre Ratsimba poté rifugiarsi a Imerina dove per quindici mesi partecipò al lavoro dell’Unione Cattolica.

L’azione dei giovani lentamente si struttura. Per assicurare una continuità nel lavoro, si assegnano, due a due, gli antichi distretti dei Padri. Soprattutto per iniziativa di Vittoria è possibile questa espansione. Fino a questo momento la loro azione era tutta sul loro slancio generoso, ora era necessario darsi una autorità. Il 25 gennaio 1884, Vittoria propone che nelle quattro parrocchie della Capitale si eleggano i membri dell’Unione Cattolica a cui si uniranno alcuni anziani esperti. Così i giovani saranno ovunque i rappresentanti della Chiesa e la loro attività sarà autenticata. Davanti a Fr. Raffaele, eletto dai cristiani e con grande sfera di animazione spirituale, essi ricevono dai credenti una missione ecclesiale per l’impegno nelle campagne. In una Chiesa di laici è la comunità che delega la propria autorità con l’elezione.

Il gruppo continuerà la sua missione con perseveranza. Al momento della ripresa della guerra - perché vi furono periodi di negoziati - tutti si impegnano a confortare i loro settori e Vittoria stessa alla domenica va a visitare nove comunità. Ogni tanto, il responsabile del gruppo, Paul Rafiringa deve scuotere un po’ i compagni che si addormentano e rilanciare le conferenze che essi si fanno reciprocamente per incoraggiarsi e riattivare i valori sui quali si fonda la loro azione.

Ogni sabato i giovani si ritrovano per un bilancio sulle loro visite, per preparare i tempi liturgici, per organizzare le collette a favore dei soldati, per meglio articolare il lavoro dei rappresentanti locali. È innegabile che il sorriso e il carisma di Vittoria abbia sostenuto la costanza nell’azione. Ma certamente senza i giovani, né lei né Fr. Rafiringa avrebbero potuto realizzare questa animazione della Chiesa.

Quando alla firma del trattato di pace (dicembre 1885-marzo 1886) i Padri poterono ritornare e celebrare l’Eucaristia, di cui erano affamati i cristiani, ritrovano una Chiesa viva, strutturata, in cui gli animatori avevano scoperto e messo in opera la loro missione di battezzati.

3. Gli elementi della loro spiritualità

In effetti, i “giovani” non usavano il termine missione che d’altra parte non ha un equivalente in malgascio. Certamente la parola francese “mission” era conosciuta e designava l’insieme dell’opera dei Padri, dei Fratelli e delle Religiose. Ma se si consulta il materiale catechetico11 allora in uso, ci si accorge che la nozione di “missione” non era mai applicata all’impegno a cui ogni credente è invitato. Sia a proposito dello Spirito santo o della Chiesa nella spiegazione del Credo, sia nella presentazione delle feste come l’Epifania o la Pentecoste, la missione non appare come un dovere della vita cristiana. Non fa parte della dottrina insegnata. Ma, tuttavia, sembra sia appartenuta al campo della spiritualità, nell’invito fatto ai cristiani di far conoscere la loro fede e di attirare i non-cristiani (e i protestanti…).

Doveva essere comunque un elemento della formazione che si dava nelle associazioni cattoliche, come mostra la reazione dei giovani all’inizio della loro avventura: essi hanno coscienza di essere i primi battezzati della Chiesa (HUC 11/p. 61) ed è a loro che è affidata “l’opera di Dio”, secondo l’espressione che ritorna più volte.

Questa non è altro che la Chiesa alla quale essi appartengono e che devono mantenere viva. Essi sono incaricati dal “popolo di Dio”,12 come dicono.

La loro associazione è una componente della Chiesa, non solo perché essa è stata riconosciuta dai Padri, ma per la fraternità stessa che vive. Essi si chiamano volentieri “cattolici romani” che è certamente la caratteristica che li distingue dai protestanti e sottolinea il loro attaccamento al Papa,13 ma è anche il mezzo di sottolineare che appartengono ad una Chiesa universale e rifiutano di essere identificati con la “preghiera francese” come i loro avversari li rimproverano.

Nel quadro dell’insegnamento ricevuto, questa Chiesa è, per essi, il solo mezzo di salvezza, ciò che spiega l’atteggiamento verso le Chiese protestanti e la volontà di evitare ogni imitazione, perfino nell’uso dei canti.

Per nutrire la loro fede, essi hanno, oltre il “Manuale del cristiano” in malgascio, la traduzione dei quattro Vangeli e le “Epistole e Vangeli domenicali con spiegazione”.

Leggendo alcuni interventi, conservati dalla HUC, si vede che questi testi sono loro familiari, li citano a memoria, con numerosi esempi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

All’inizio, a ciascuna riunione, avevano l’abitudine di versare il loro obolo per la cassa comune. Ma molti sono a disagio e, come dice il segretario, “non è che rifiutino di dare; non hanno denaro. Molti infatti ne sono sprovvisti” (HUC 228 p. 155).

Ciò non impedisce che vengano fatti dei richiami e si vede che danno dei contributi quando uno di loro è inviato “in missione”.

Essi si esercitano anche con la preghiera. Quattordici mesi dopo l’inizio (23 agosto 1884), il segretario interviene: “il lavoro che facciamo è molto buono; noi vi mettiamo tutto il nostro cuore per la gloria della Chiesa Cattolica, ma noi vediamo dalla vita della Chiesa, dalla nostra fede, dalla storia della Chiesa e dalla Sacra Scrittura che solo il lavoro unito alla preghiera produce frutti. Vediamo nella storia di S. Domenico che, in una situazione di prova dei cristiani, si rivolse a Maria ed ella gli insegnò il Rosario. Quando ebbe utilizzato questo mezzo, ottenne ciò che domandava. Vi leggo il brano.14 La Scrittura dice la stessa cosa di Giuditta. Dopo la lettura, i membri de U.C. reagirono abbassando la testa: prendevano coscienza che Dio non abbandona quelli che confidano in lui. Si decide di iniziare il Rosario vivente e la prossima settimana si distribuiranno i misteri” (HUC 201-201 / p. 144). E fu fatto.

Si sa che il Rosario Vivente è opera di Pauline Jaricot (verso il 1827) che si è diffusa nella Chiesa: si costituisce un gruppo di 15 persone che si distribuiscono i 15 misteri del Rosario. Ciascuno ha un mistero da meditare nella recita durante un mese: così ogni giorno il Rosario veniva recitato da tutto il gruppo.

Questa insistenza sulla preghiera (individuale in un quadro collettivo) ha segnato il gruppo. Si deve notare anche, verso la stessa epoca, la proposta di rilanciare la Propaganda della Fede nelle parrocchie della Capitale, seguendo il sistema prospettato da Pauline Jaricot. Dal 1873 i Padri avevano importato questa iniziativa di cui la Chiesa malgascia era beneficiaria, ma che, con l’offerta dei suoi membri, le permetteva di partecipare allo sforzo missionario mondiale (negli Annali della Propaganda della Fede a partire dal 1880 si vede segnalato l’impegno del Madagascar). Ravvivare questa colletta significava sottolineare l’appartenenza alla Chiesa Cattolica.

Nel lavoro di animazione dei giovani, si deve notare anche il posto importante dato al lebbrosario della Missione. Fondato nel 1873, era stato il primo tentativo di accogliere i lebbrosi, allontanati dalla società. Veniva loro dato un tetto, della terra perché potessero ancora lavorare: si assicurava così la sussistenza di un centinaio di persone.

Alla partenza dei Padri, un Pastore inglese, pensando all’abbandono in cui questi sfortunati sarebbero piombati, venne a portare un’offerta e promise di rinnovarla ogni settimana o personalmente o tramite un inviato. Ma, risvegliati al loro dovere da Vittoria che aveva fatto un giro nei paraggi, i “giovani” presero a cuore la faccenda, impegnandosi a visitare ogni domenica i lebbrosi: decisero che tutti, a due a due, sarebbero andati successivamente a pregare con loro e a visitare le case di quelli che essi chiamavano il “tesoro più prezioso di Dio”. Questa preoccupazione per i più poveri, la ritroviamo in una uscita comune (25 gennaio 1885) durante la quale, con Vittoria, vanno ad amministrare il battesimo a tre lebbrosi, in un villaggio vicino. Essi erano stati preparati da uno di loro e “la gente dei dintorni si meravigliò molto di vederci prendere cura dei lebbrosi” (HUC 262, p. 171).

Ogni settimana, di solito, ciascuno dei “giovani” faceva una esortazione a suoi compagni. Isidoro, il segretario, conservava i testi in un dossier che è scomparso, ma il suo successore ne ha ricopiati due nei resoconti. In questa parola pubblica si esprime ciò che si pensava potesse toccare il cuore dei giovani. Così Francesco Randriamamanatra, dopo aver ricordato la festa dei Ss. Pietro e Paolo, celebrata in settimana, insiste sull’apostolato, appoggiandosi alla parola di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra” (Lc 12,49). Dopo aver evocato l’esempio dei due apostoli, nei quali lo Spirito santo aveva bruciato le scorie (la paura per Pietro e la vanagloria per Paolo), egli si rivolgeva così ai suoi compagni: “Questo stesso fuco brucerà anche in noi perché abbiamo ricevuto il Dio Spirito, ma bisogna alimentarlo…Per questo vi pongo la domanda a ciascuno di voi. L’Unione Cattolica: hai partecipato a questa trasmissione di fuoco del Signore, la alimenti in te? Se essa non brucia bene o la fiamma è vacillante, non devi forse farla diventare grande e viva? Sì, tu sei chiamato a questo compito, in modo da compiere la parola del Signore: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra… ma soprattutto oggi. Perché dico soprattutto oggi? Perché tu fai parte del piccolo resto a cui il Signore ha dato l’impegno di portare il fuco che deve bruciare tutto ciò che vi è di impuro in questa tua patria; togliendo negli uomini l’amore di ciò che è vano e facendo regnare l’amore per Dio solo. Non rimani che tu per portare la grande fiaccola che asciugherà ciò che è umido e brillerà pienamente; sei tu che farai bruciare l’amore per il Signore nei cuori di coloro che hanno diminuito il loro zelo e il loro ardore, sia per un falso timore, frutto di immaginazione, sia per la ricerca di una gloria vana. Per dire tutto in una parola: è a te e a te soltanto che il Signore ha affidato la sua Chiesa in questi giorni in cui viene purificata e provata. Che cosa puoi dunque fare per mostrarti degno di questo grande compito e per accogliere questo impegno ineludibile? Accendi nel tuo cuore la viva fiamma che il Signore ha portato, vivificando il tuo amore per Dio, compiendo perfettamente quanto ti viene affidato, con l’aiuto di Dio. Non tener conto della fatica, non ti lamentare delle difficoltà; soprattutto non lasciarti scoraggiare, lavorando nella vigna del Signore, perché, secondo la parola di Paolo: "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio’ (Rm 8,28) (HUC 307-310, p. 197-199).

Questa citazione, che può sembrare un po’ lunga, traduce bene ciò che i giovani vivevano e volevano vivere. Certo la partenza dei padri era stato per loro un appello a lanciarsi, ma è proprio la loro vocazione di cristiani (“noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo”) che li invita a lasciarsi trasformare per trasformare gli uomini: la loro missione non è forse quella di trasmettere il fuoco, portato dal Signore, perché illumini e riscaldi i cuori degli altri?

Come si vede la spiritualità di questi giovani non è sviluppata in se stessa: essa è vissuta e si traduce con reazioni e riflessioni che si aggiungono durante la loro azione. Coscienti del loro posto nella Chiesa e di ciò che hanno ricevuto, si impegnano nella animazione della comunità come riflesso del loro stato di credenti.

Essi si situano in rapporto a Dio, si occupano della “opera di Dio”, è Dio che dirige la loro azione attraverso la Chiesa e quando uno o l’altro sono scelti per una missione, egli non può rifiutare perché, nella voce degli altri, c’è un segno di Dio che gli viene dato.

Essi sanno di essere deboli, bisognosi di scuotersi e di essere richiamati dai loro amici. Per questo il Presidente va a visitarli singolarmente per richiamare il loro dovere.

Essi non dimenticano la preghiera. Certo vi è quella della Chiesa che essi animano e dirigono alla domenica, sia in città che in campagna, ma sentono la necessità di una preghiera personale che, attraverso il Rosario Vivente, si appoggia su quella degli altri.

Hanno capito che il servizio di Dio passa attraverso l’impegno per i più poveri. La loro sollecitudine per i lebbrosi è un aspetto importantissimo e le visite successive che essi fanno sono emblematiche.

Si può in fondo riassumere meglio una vita cristiana, ispirata dal vangelo, fondata su Dio e orientata verso gli altri? Non è qui in atto il discorso della Montagna con il suo rapporto agli altri (Mt 5,20-48), la sua relazione con Dio (6,1-7, 11) da cui scaturisce una autentica carità (7,12) per mettere in opera le due esortazioni missionarie del sale della luce (5,13-16)?

La storia però non è finita lì. Al ritorno dei missionari, il vescovo li inviterà a trarre profitto dal dinamismo dei laici; negli otto anni che seguirono, senza che il numero dei missionari aumenti di molto (da 48 a 51), il numero dei battezzati raddoppia… Quando poi scoppia la seconda guerra franco-malgascia, i laici di nuovo animano la loro Chiesa: ritroviamo tra i protagonisti molti di quelli che avevano lavorato nel 1883-1886.

La colonizzazione romperà questo slancio. I Malgasci diventano dei “sudditi” francesi e non c’è più modo di permettere loro inventività e iniziative. I Padri, agli occhi della amministrazione, sono i soli responsabili della loro Chiesa. Solo verso il 1914 riprendono i movimenti dei giovani. Per incoraggiarli, si farà appello ai loro predecessori che, da collaboratori, erano stati ridotti al rango di ausiliari. Tuttavia il senso missionario è rimasto vivo e molti cristiani, condotti dalle migrazioni o per impegni amministrativi, sono stati iniziatori di nuove comunità. Non è raro ancora oggi vedere un maestro, un infermiere, inviati in regioni lontane, che fanno sorgere una piccola chiesa… Ciò che essi hanno nel cuore è forse diverso da quello che avevano i più anziani di loro?

(dal periodico “Aspects du Christianisme à Madagascar”, n. 5 - 2000, pp. 3-12)

NOTE

  1. Si chiamano loro stessi "Jeunes gens" anche se hanno tra i 25 e i 35 anni; nella società malgascia si è "persona riconosciuta" solo a partire dai 40 anni.
  2. Pietro LUPO, Le Catholicisme à Madagascar à la fin du XIXe siècle. Les Laics - documents 1883-1886. Poligrafato. Segretariato della Conferenza Episcopale di Madagascar, Tananarive 1977. Il testo della storia dell'Union Catholique è in malgascio. Abbiamo tradotto le parti che abbiamo citato.
  3. Durante la 2a guerra franco-malgascia, la stessa esperienza della Chiesa si ripete. Si possiede il "diario", una cronaca tenuta da colui che fu eletto Prefetto della Chiesa, Paul Ratiringa: un manoscritto di 800 pagine dove lo stesso responsabile racconta gli avvenimenti, gli incontri, le informazioni ricevute, le conversazioni e i colloqui che lui ha avuto. Questo testo è stato studiato da P. LUPO per la sua tesi a Parigi, Sorbona, e pubblicato: Une Église de laïcs à Madagascar. Les catholiques pendant la guerre coloniale de 1894-1895 d'après l'Histoire Journal de Paul Ratiringa (1894-1895). Edizione Centre National de la Recherche Scientifique, Paris, 1990. Si può leggere anche François NOIRET, Pierre Ratiringa (1846-1919). Le fondateur de l'Eglise de Branarantsoa (Madagascar) Karthaka - Paris e Ambozotany - Antananarivo 1999 . Questo cristiano malgascio ha partecipato durante 18 mesi all'avventura dei giovani quando ha dovuto rifugiarsi a Antananarivo. È una bellissima figura di cristiano.
  4. Cfr. B. HUBSCH (a cura di). Madagascar et le christianisme. Histoire oecuménique. ACCT. Ed. Ambozontany, Paris 1993.
  5. P. LUPO, Les laïcs, p. 16.
  6. P. LUPO, Les laïcs, p. 19 e Documento 2 p. 220.
  7. Victoire Rasoamanarivo (1849-1894) è stata beatificata il 30 aprile 1989 da Giovanni Paolo II a Antananarivo. Sul modo con cui Vittoria è presentata in HUC, si veda B. HUBSCH. Vittoria e i giovani Aspects du Christianisme à Madagascar (Revue de l'Institut Supérieur de Théologie d'Ambatoroka-Antananarivo, nouvelle série 1.8. p. 345-358 (1986).
  8. Per citare l'HUC, si mettono dapprima le pagine del manoscritto, mentre la seconda cifra è quella della impaginazione di P. LUPO, Les laïcs.
  9. "Due di noi vennero designati da tutti. Essi accettarono poiché una elezione di tutti era una designazione di Dio: non si poteva rifiutarla" (HUC 120/p. 111).
  10. "Dopo la lettura della ripartizione, disse il segretario, ciascuno manifesta la sua gioia: nessuno si lamenta per le distanze da percorrere, ma ciascuno promette di lavorare là dove era mandato, secondo la volontà di Dio" (HUC 79/p. 93).
  11. Cfr. B. HUBSCH. "La missione nella catechesi in Madagascar (1865-1957)" in Iconographie. Catechisme et mission: Atti di un colloquio di Storia Missionaria di Louvain-la-Neuve (settembre 1983). CREDIC, Lyon 1984.
  12. L'espressione ritorna due volte (HUC 149/p. 121 e 219/p. 151). Per esempio: Noi tutti siamo stati designati ed eletti per le nostre parrocchie per dirigere il popolo di Dio, sia quando c'è qualche cosa da fare o da far fare ai cristiani, noi parliamo davanti a tutti per riflettere su ciò che si deve realizzare. Ciò che vogliono i cristiani che ci hanno eletti è ciò che ci permette di migliorare la nostra azione. Il nostro compito è difficile e noi dobbiamo esaminarlo insieme.
  13. "Che cos'è la Chiesa?" chiede il piccolo catechismo "È l'insieme dei cristiani che obbediscono al Papa".
  14. Il segretario legge una piccola opera sulle "Fêtes de Sainte Marie" pubblicata alcuni anni prima. La traduzione cattolica di Giuditta era uscita nel 1878.