DOSSIER CENTRALE

FARE MEMORIA DEI NOSTRI MARTIRI

C’è posto anche per te!

- I gradini di una scala -

Evaristo Martínez de Alegría, scj

I primi passi sotto lo sguardo della Chiesa e della Congregazione

Forse è troppo guardare la figura di P. Juan, e affermare che per noi sia una figura familiare, della quale si possano dire tante cose che aggiungano colori ad una personalità già tanto ricca e tanto conosciuta. Per una grande maggioranza egli appartiene a quei bravi e santi religiosi, sui quali si è sentito parlare e dire anni fa, in modo particolare verso gli anni sessanta quando è iniziato il Processo di Canonizzazione in Spagna (1959). Tutti eravamo convinti - così appare dalle nostre riviste - che, tanto P. Dehon come P. Prévot avrebbero preceduto tutti nel cammino verso gli altari, malgrado le difficoltà dei loro processi; difficoltà che, tanto P. Ceresoli come gli avvocati, i “famosi avvocati”, si sforzavano di superare.

Non bisogna dimenticare che erano altri tempi, a livello ecclesiale, teologico, devozionale, che, almeno, sembravano più pacifici, non soltanto nella Chiesa guidata da Papa Pacelli, ma anche nella stessa Congregazione, che durante il lungo generalato di P. Govaart aveva vissuto le sofferenze della II Guerra Mondiale e l’espansione e affermazione dell’Istituto.

Per noi è stata innanzitutto l’epoca delle missioni, a opera di olandesi, belgi, francesi o italiani, e il consolidamento della stessa Congregazione in Europa, Brasile e Stati Uniti, sotto la guida dei brevi generalati dei PP. Lellig e De Palma che portarono l’Istituto fino a varcare le soglie di un inaspettato Concilio e le sue conseguenze di crisi e rinnovamento nella Congregazione e nella Chiesa.

I santi e l’aggiornamento conciliare

Alla stregua dei tempi e dei cambiamenti sociali, politici e intellettuali, le radici critiche e la contestazione cominciavano a manifestarsi anche nella Chiesa e negli Istituti religiosi, in modo particolare nei paesi più sviluppati del Nord come la Germania, la Francia, la stessa Olanda, paesi che avevano portato al Concilio come “periti” i grandi teologi del momento, alle volte discussi, vietati o controllati dal Santo Ufficio. Il culto dei santi soffrirà a trovare un suo posto nella ecclesiologia.

Nello stesso tempo, come a Trento, il culto dei santi sarà una questione da sistemare. Si dovrà aspettare l’ondata del Concilio Vaticano II che, con le Costituzioni Conciliari Lumen Gentium sulla Chiesa, e Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, rinnoverà e tenterà di mettere un certo ordine nel culto dei Santi.

Nel calendario liturgico aggiornato, si è di nuovo messo in rilievo non soltanto la domenica e i tempi liturgici, ma anche la centralità di Cristo Signore, morto per noi, ma vivo e risorto. Una realtà che influirà sulla stessa architettura e ambientazione delle nuove chiese e cappelle, dove il centro appartiene all’altare e all’ambone, all’Eucaristia e alla Parola, presieduti dalla Croce vittoriosa, vuota, o ancora col Cristo sofferente, morto per i nostri peccati. Nelle vecchie chiese, cariche di secoli e di devozioni di ogni genere, alle volte si è fatta troppa o scarsa pulizia.

Nella nuova architettura, tutta quella schiera di santi sugli altari, o nelle nicchie delle pareti, sono scomparsi nella stragrande maggioranza e perfino la Madonna ha trovato difficoltà per avere un posto, quando prima ce n’erano tante e sotto invocazioni diverse.

Tentando di prendere lo scalino giusto nella Chiesa d’oggi

I santi, la venerazione e il culto ai santi, sono rimasti nelle radici del popolo cristiano, anche in quelli che vivono lontani da una fede ancora viva, operosa e testimoniante. Forse i nostri santi in questi momenti si stanno riprendendo la rivincita, come tante altre cose nella Chiesa, in quel luogo comune che sono i movimenti pendolari.

I nostri santuari sono luoghi di preghiera, di conversione e d’incontro per tanti fedeli, legati al sacro, o con quello che di numinoso e fascinoso ha l’incontro col sacro, come affermano gli studiosi delle religioni: una realtà che coinvolge e attira l’uomo fin dall’inizio dell’umanità in tutti popoli della terra.

Da tutti noi è conosciuto l’interesse da parte dalla Chiesa in questo momento per la pastorale dei santuari e luoghi di pellegrinaggio: incontri, documenti, animazione e servizio pastorale sono tenuti ormai con tanta cura da vescovi e da preti. Al continuo muoversi dei nostri cristiani un po’ dappertutto, in questa cultura anche del tempo libero, questi posti si offrono come luogo di preghiera, di riflessioni e forse come occasione per la riscoperta delle proprie radici cristiane alle quali tante volte si riferisce Giovanni Paolo II.

I santi nella vita del Popolo di Dio

Forse ritrovando quel “sensus fidei”, cioè il senso con il quale il Popolo di Dio si è avvicinato in un primo momento ai testimoni della fede, vale a dire ai martiri dei primi secoli, e poi ai confessori come i vescovi, i presbiteri, i monaci ecc… possiamo capire cosa può dire a noi, in concreto, questa beatificazione di uno dei nostri, il P. Juan María de la Cruz, non tanto lontano né dalle nostre esperienze umane, cristiane, religiose e pastorali, né dal tempo né dal nostro carisma religioso dehoniano; ed è per questo che la sua figura può parlarci, e mettere in discussione il nostro modo di vivere il carisma dehoniano e la pastorale, benché lontani quasi settant’anni nel tempo, però molto di più nei profondi cambiamenti del vissuto…

Collocare un cristiano nell’albo dei martiri e beatificarlo non vuol dirci altra cosa, da parte della Chiesa, se non che il Servo di Dio, per la pratica delle virtù in grado eroico, per la fama di santità, per il “bonus odor Christi”, merita di essere venerato. La beatificazione comporta che il servo di Dio venga chiamato “Beato” e che in suo onore, nel suo dies natalis, venga celebrata la messa e l’ufficio. Questa istituzione, fino al XVI secolo, non era esistita nella Chiesa. Oggi, per il modo come viene fatta, si presta a confusione, nella vita della Chiesa, come anche la Canonizzazione.

La morte per la fede in Cristo, nel caso del martirio, è quella che definisce e suggella l’amore totale per il Signore: nessuno ama più di colui che dà la vita per l’Amato, e questo è il motivo finale per il quale il martire merita di essere ricordato, venerato e imitato dai fratelli nella fede. Questo vale anche per la beatificazione a livello particolare, cioè a livello della propria comunità religiosa, o della Chiesa particolare, dov’è vissuto e ha testimoniato con il sangue il suo amore per la fede e per la Chiesa, e dando anche il perdono ai suoi aguzzini. Perfino a una prostituta per questi motivi è stata riconosciuta la santità come martire…

Cosa sia la santità? Un piccolo percorso

Per poter arrivare ad esprimere cosa sia la perfezione, la santità, bisogna e occorre volgere lo sguardo verso un modello di vita differente dall’umano, cioè verso una vita perfetta. Per noi è la vita divina, la vita di Dio stesso, che per definizione è santo e ci comanda di essere come Lui santi e perfetti. In quanto si partecipa alla vita stessa di Dio,in tanto si fa presente tra noi la sua santità; essa in fondo in fondo, risulta indefinibile come anche l’essere proprio di Dio, che la Sacra Scrittura, per bocca di S. Giovanni, nel Nuovo Testamento definirà: “Dio è amore!”, mentre nel libro dell’Esodo, Antico Testamento, si rivela a Mosè con le parole:”Io sono colui che sono”.

La vita dei santi, a livello di esperienza vitale, più che un addentrarsi nell’ infinità di misteri indefinibili e di esperienze mistiche, sarà un cammino nell’amore di Lui fino a immergersi in Lui, e con Lui farsi testimoni di questo amore tra i fratelli. Forse può essere questa l’intuizione di quella affermazione della nostra Regola di Vita quando ci raccomanda di essere “profeti dell’amore e ministri della riconciliazione”, cioè dell’amore, della misericordia, della tenerezza, della compassione del Cuore stesso di Dio manifestatosi nel Cuore trafitto di Gesù.

Il Dio incarnato e l’uomo divinizzato

E Dio si è fatto uomo: il divino partecipa dell’umano, è quello che diciamo incarnazione. E con questo è stato possibile per l’uomo arrivare ad essere Dio, e partecipare alla divinità: alla vita umana viene dato di unirsi e partecipare alla vita divina; un evento che è presieduto, mosso e attuato dallo Spirito di Dio. L’uomo per se stesso non sarebbe mai capace di arrivare a fare tutto quello che l’incarnazione ha creato nel suo essere.

La santità è la risposta dell’uomo, attraverso lo Spirito Santo, all’iniziativa dell’incarnazione. Come diceva Ireneo di Lione, nel secolo II: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio”. Si possono anche ricordare tanti testi liturgici del tempo natalizio, e le magnifiche omelie di S. Leone Magno nella Liturgia delle Ore.

Conseguenze che rendono possibile la santità

Non credere ai santi suppone non credere a queste riflessioni teologiche: non accettare che tra Dio e l’uomo esista una continuità, che l’uomo non possa raccogliere in sé la vita divina. Sarebbe dare ragione a Lutero per il quale l’uomo è segnato irrimediabilmente dal peccato, realtà che porta con sé dalla nascita fino alla morte.

Nel mondo di Lutero, nelle chiese protestanti, non c’è posto per i santi come sono considerati dalla Chiesa Cattolica, anche se non sono mancati dei dubbi nei primi tempi della Riforma. Oggi questi martiri e santi sono considerati come grandi nella fede e degni di essere ricordati nella vita delle singole comunità cristiane, però non si riconosce nulla riguardo alla loro intercessione.

Per noi cattolici: tutti siamo santi e siamo chiamati alla santità nell’amore fin dal battesimo, cioè a rendere viva e operosa la grazia, ricevuta nel sacramento, per la quale il cristiano diventa una nuova creatura in Cristo Gesù. E perfino i bambini, a loro modo e secondo la loro esperienza, possono offrire non soltanto la testimonianza del martirio ma anche un cammino cristiano ed esperienze mistiche sorprendenti, come è capitato con quella bambina romana, morta a sette anni, Nennolina, sepolta nella basilica della Santa Croce, conosciuta e ammirata proprio da Pio XI e sulla quale ha scritto anche il nostro P. Girardi anni fa.

Con noi Giovanni Paolo II

Nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, datata nell’Epifania del 2001, il Papa scrive: “La viva coscienza penitenziale, tuttavia, non ci ha impedito di rendere gloria al Signore per quanto ha operato in tutti i secoli, e in particolare nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle, assicurando alla Chiesa una grande schiera di santi e di martiri. Per alcuni di essi l’anno giubilare è stato anche l’anno della beatificazione o canonizzazione. Riferita a pontefici ben noti alla storia o a umili figure di laici e religiosi, da un continente all’altro del globo, la santità è apparsa più che mai la dimensione che meglio esprime il mistero della Chiesa. Messaggio eloquente che non ha bisogno di parole, essa rappresenta al vivo il volto di Cristo.

Molto si è fatto poi, in occasione dell’anno santo, per raccogliere le memorie preziose dei testimoni della fede nel secolo XX. Li abbiamo commemorati il 7 di maggio 2000, insieme con i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, nello scenario suggestivo del Colosseo, simbolo delle antiche persecuzioni. È una eredità da non disperdere, da consegnare a un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione”(7).

Tra i nostri santi arriva il P. Juan

Il P. Juan è venuto a bussare alle nostre porte, dopo un lungo cammino, come dicevo prima, di silenzio sia in ambiente ecclesiale sia nel nostro Istituto, e sia un po’ di meno da noi in Spagna, dove il P. Antonio Aguilera, vice-postulatore, dal 1959 quando è iniziato il Processo di Canonizazione fino ai nostri giorni, attraverso una semplice e umile rivista “Corazón Ardente” di quattro pagine (ai nostri occhi fuori moda, e di quelle alle quali non si fa nessuna attenzione quando arrivano alle nostre case), è riuscito a mantenere e sostenere la devozione e il ricordo di questo vero sacerdote, religioso e dehoniano.

È stato lui - il Signore si serve degli uomini - a portare la fiaccola accesa, come le luci che le nostre famiglie portano alle tombe dei nostri cari, e mantenere vivi il ricordo e la fama di santità di questo nostro nuovo Beato. Il P. Bressanelli lo metteva bene in rilievo, ringraziandolo tanto, nella sua lettera a motivo della ormai prossima beatificazione. E di fatto, superati gli ultimi passi della procedura canonica alla Congregazione delle Cause dei Santi, è stato firmato il Decreto super Martyrio il 18 dicembre del 2000.

Qualche interrogativo per il futuro delle nostre Cause

Mi permetto di dire, ed è una parentesi quasi d’obbligo, che se noi vogliamo portare avanti le Cause che ci stanno più a cuore: P. Dehon e P. Prévot (e quelle più recenti presentate a Roma dei PP. Longo e Martino Capelli), ci manca solo un segno - chiamatelo miracolo -, oggi purtroppo richiesto per andare avanti, essendo già stati superati il voto dei teologi nella Positio e il decreto “Super virtutibus et fama sanctitatis”.

Tutti siamo d’accordo che sarebbe più interessante, e più consono con la tradizione della Chiesa dei primi secoli, considerare ed esaminare la vita stessa nella pratica delle virtù eroiche, accuratamente studiata, e la fama di santità, e che si prendesse più sul serio l’impegno di favorire la devozione a questi nostri “santi”. Si è fatto tanto per conoscere la figura e la personalità di P. Dehon: scritti, lettere, pensiero, carisma durante questi anni (il P. Prévot sta diventando purtroppo un sconosciuto tra noi); però si è fatto molto poco per promuoverne la devozione; - è un parere personale, che però si conferma guardando le nostre pubblicazioni, in modo particolare per i benefattori, dove non appare quasi mai la preghiera per la beatificazione o per ottenere grazie per loro intercessione; fa eccezione la rivista popolare di Andria: “Papa Giovanni”.

Adesso prosegue il cammino delle Cause, ormai nella fase romana, di P. Longo e P. Capelli, e capita lo stesso più o meno. Ci possiamo interrogare su l’interesse della Provincia e della stessa Congregazione al riguardo. Nell’era di Internet forse ci può essere una risposta per far conoscere questi nostri confratelli. Non saprei dire se, nello stesso sito della Provincia Spagnola, appare qualcosa sul P. Juan; mi pare di no.

Come ci dicono alle volte in Congregazione, quando ci chiedono sullo stato delle nostre Cause e, facendo sapere che ormai ci mancano solo i miracoli, la risposta è sempre questa: “O non avete fede nei vostri santi come intercessori, o non fate pregare i fedeli intorno a voi. O il Signore ha altri progetti”.

Perfino il P. Juan nella sua vita di questuante e animatore vocazionale ha lasciato qualche segno di grazie tra la gente, come quella guarigione nel 1934, a Pamplona, di una bambina che doveva subire un intervento alla gola e, alla sua presenza e per la sua preghiera, è stata guarita.

La piccola rivista della vicepostulazione di Madrid, da tanti anni, ci racconta fatti straordinari - almeno per quelli che li hanno vissuti -, fatti che ci parlano palesemente della fama di santità e dell’intercessione di “questi amici di Dio”, come vengono considerati i santi, e ancora di più i martiri.

I santi riconosciuti dalla la Chiesa e per la Chiesa

L’11 di marzo, assieme ad altri 232, nella piazza S. Pietro, è stato iscritto nell’albo dei beati anche il nostro confratello P. Juan María de la Cruz. Come capita con questo tipo di beatificazioni, oltre a tanta ammirazione e il risveglio delle nostre vecchie e assopite comunità cristiane, dove essi hanno testimoniato con la vita e il sangue il loro amore totale per Dio e per i fratelli, probabilmente ci sarà anche la critica socio-politica di tanti altri i quali pensano che tale beatificazione non sia opportuna né per la società né per la stessa Chiesa, cosiddetta ufficiale, quella che purtroppo si ispira non tanto al Vangelo, ma al principio che non deve mai fare politica per non disturbare gli interessi dei politici di turno.

E ci sono altri che si interrogano anche sul valore di tante solenni affermazioni di vita cristiana e cattolica davanti all’ecumenismo, sebbene sia stato chiarito davanti a tutte le Chiese e comunità cristiane che non possiamo dimenticare nessuna delle vittime del grande olocausto cristiano nel secolo XX, appartenenti a tutte le confessioni, come ci è stato ricordato nella grande giornata della memoria dei testimoni della fede, al Colosseo, nel mese di maggio 2000.

Nel prologo all’edizione spagnola del Dizionario dei Santi, dopo aver fatto riferimento a quello che è stato detto sull’evolversi del culto ai santi nella seconda metà del XX secolo, si scrive:”Oggi, nei nostri giorni siamo arrivati ad una situazione di equilibrio nella quale il santo appare come un personaggio vicino, di volto amabile, che col suo esempio riflette il Mistero e ci invita alla sequela Cristi”.

Però si dice anche che “oggi si fanno troppe beatificazioni”. Questa espressione, benché sembri strano, non è stata ripresa da nessun mezzo di comunicazione; è stata pronunciata dallo stesso Giovanni Paolo II nel 1994: “Questo, inoltre, di riflettere la realtà, che grazie a Dio, è come è, corrisponde al desiderio espresso dal Concilio Vaticano II. Tanto si è diffuso il Vangelo per il mondo, e sono così profonde le radici del suo messaggio, che giustamente il grande numero di beatificazioni manifesta vivamente l’azione dello Spirito Santo, e la vitalità che sorge da lui nel campo che è più essenziale per la Chiesa, vale a dire, quello della santità (Osservatore Romano. Ed. settimanale spagnola 20-6-1994; cf. Leopardi, Riccardi, Zarri: Dicionario de los Santos I, 13. San Pablo, Madrid 2000).

E noi, in modo particolare dobbiamo rallegrarci nel Signore, non soltanto per la beatificazione del nostro P. Juan, ma anche per questa grande schiera di beati e santi, proclamati da Giovanni Paolo II, come dice l’Apocalisse: “Ex omni populo, tribu, et lingua et natione”, cioè dall’umile laico, agli sposi, i religiosi, i presbiteri, i vescovi e gli stessi Papi. Una e medesima santità manifestata nel grande arcobaleno dell’accoglienza dello Spirito nella Chiesa, popolo di Dio.

I santi non sono persone strane, lontane dalle nostre esperienze umane, cristiane, e in tante occasioni neanche dalla nostra vita consacrata o religiosa, come potrebbe essere il cammino percorso da P. Juan María de la Cruz.

Percorrendo le sue strade attraverso gli anni, dal 1891 al 1936, ci rendiamo conto di quanto hanno potuto essere travagliate, se conosciamo e ci avviciniamo alla sua persona, ambiente familiare, religioso, sociale e politico che lui, da ragazzo e umile contadino, ha dovuto vivere fino a diventare prete, religioso e, alla fine, martire di Cristo.

Un primo sguardo ai dati freddi, di cronologia umana, storica, perfino religiosa, ci può lasciare se non indifferenti, certo con l’idea di un bravo uomo, prete, religioso di quelli che ancora appartenevano a quei primi dehoniani, vicini a P. Dehon, e che sono rimasti modelli di vita e tanto generosi; col passare degli anni, restano nell’oblio delle nuove generazioni, che sembrano di essere non tanto attaccate alle radici, e alla propria storia di famiglia. Dal “Centro Studi” si desidera, e ci vorrebbero più persone, per addentrarsi in questi studi, che alle volte ci offrono tante sorprese attorno al nostro carisma dehoniano e alla nostra stessa storia finora tramandata, ma né tanto discussa né ben conosciuta. Lo stesso P. Dehon, quando nel 1912 scrive i suoi Ricordi (Souvenirs), a modo di riassunto della sua vita e fondazione, ne parla asserendo che i giovani, già allora, non conoscevano la storia delle origini.

Dal pianoterra ai primi gradini

San Esteban de los Patos, dove nasce il nostro P. Juan, è un piccolo paese, povero nella sua agricoltura di sussistenza di terre aride, dove il granito affiora subito e i grandi geli, le nevicate e i venti provenienti dalle vicine catene montuose fanno difficile la vita, il lavoro, e il futuro per quelle famiglie attaccate alle loro terre e tradizioni, e alla loro religiosità tradizionale, dove non mancano le preghiere, il rosario in famiglia, il riposo domenicale e tutte le pratiche devozionali secolari. Paese senza prete, la famiglia di P. Juan aveva cura della vecchia chiesa e si preoccupava di tenere tutto a posto quanto a novene, preghiere e servizio all’altare.

Un ambiente, dentro una numerosa famiglia (quindici, dei quali la più grande parte, come molti suoi coetanei, morì nella prima infanzia), nel quale fiorì la prima chiamata verso il servizio al Signore, come raccontano i suoi, e raccoglie il P. Zicke nella biografia che scrisse poco dopo la sua morte; biografia che, come quelle di P. Dehon o P. Prévot, serviva per far conoscere ai giovani novizi scj la personalità umana e religiosa di questi nostri “primi Padri”. In seguito, rileggendo la Positio di P. Andrea, io stesso ho ricordato e capito tante cose di cui in quel momento forse non si percepiva l’importanza.

Sentiamo la testimonianza di un suo fratello: “Quando aveva sei o sette anni, suo nonno lo portava con sé, e quando c’era bisogno di fermarsi in qualche paese, egli amava dire alle famiglie amiche: Se non avete sentito la Messa, Mariano, mio nipote, ve la canterà. E così facendo, con grazia e serietà, cantava in tale modo che tutti i presenti rimanevano meravigliati… Ricordava molto bene le preghiere, insegnava anche ai suoi piccoli compagni quelle che lui imparava”. Non bisogna dimenticare che non c’era il parroco nel paese e non tutte quelle famiglie appartenevano ai “cristianos viejos” , cioè i cosiddetti cattolici, apostolici e romani, che si vantavano delle loro origini ancestrali, non contaminati dai musulmani (i moros) ed ebrei (judíos).

Una prima spinta per salire

Sarà il parroco, che abitava in un paese vicino, Mingorría, che forse, vedendo in lui un ragazzino con belle disposizioni e attirato dalle cose di Chiesa si è impegnato per prepararlo per l’ingresso nel seminario. Famiglia, prete, ambiente hanno favorito la risposta ad una chiamata come quella di Samuele, il cui racconto più di una volta avrà sentito e perfino studiato nella Storia Sacra a scuola.

Fino adesso, almeno quelli che abbiamo conosciuti, tempi e storie vocazionali molto simili, forse anche le nostre; tutto si colloca dentro un cammino normale; un ragazzo amico del gioco, cui piace girare per il paese, e anche cacciare uccelli da ingabbiare, essendo bravo anche in questo, come lo ricordavano i compagni, anni più tardi, nelle le loro testimonianze.

Essendo il più grande tra i fratelli, tante volte accompagnava suo padre nel lavoro agricolo, accudendo al bestiame. E perfino da seminarista per due volte ha dovuto rientrare a casa per sostituire suo padre ammalato.

Per le scale del seminario

Così saranno “normali”, agli occhi degli uomini, gli anni di seminario, nella città murata di Avila culla di Madre Teresa; e in provincia, a Fontiveros, non tanto lontano dai paesi dove si è svolta la vita di P. Juan, si trova il luogo dove nacque S. Giovanni della Croce: due modelli di santità tra i tanti santi nati in quella terra chiamata: “Tierra de cantos y de santos” (cantos, forme granitiche ovunque); di questo santo ha voluto prendere il nome di religione, aggiungendo quello di Maria, per la quale durante la sua vita ebbe una grande devozione, iniziata da piccolo, vissuta con tanto fervore come seminarista, predicata e fatta vivere come pastore e parroco, e da religioso avuta tanto a cuore.

Ci è rimasta una letterina di auguri alla Madonna, nella festa del Santo Nome di Maria , scritta il 12 settembre 1926, un mese prima della sua Prima Professione, dopo dieci anni di sacerdozio e tanti altri di ministero pastorale, bellissima malgrado il linguaggio tanto emotivo, che manifesta una vera e sentita devozione tutta filiale; ci potrebbe sembrare oggi fuori moda, ma non è lontana dal Totus tuus di Papa Giovanni Paolo II, e dagli indirizzi mariani del beato Grignon di Monfort, che forse conosceva (Corazón Ardiente 1971, n. 51).

Le cartelle coi voti, che ancora abbiamo, ci dicono che era un bravo studente, anche ben dotato per gli studi. Uno dei professori, novello nella materia, testimoniava che Mariano (il nome di battesimo) a volte lo metteva in difficoltà per le sue domande.

Negli appunti spirituali del seminario, e in modo particolare degli esercizi per il suddiaconato e il diaconato, appare come una persona normale nei problemi di impegno per lo studio, per la regolarità, per il servizio ai compagni, per la formazione accademica e spirituale, per il futuro lavoro pastorale dove il vescovo volesse inviarlo. Disponibilità - che traspare sempre nei suoi scritti - a Dio e alla sua volontà, manifestata attraverso i superiori, e con una grande regolarità alle pratiche di pietà, allora assai numerose, senza tralasciare la devozione alla Madonna e le visite al Signore, tre volte al giorno e anche, almeno dirà, per sette minuti: “Andrò in cappella almeno tre volte al giorno, e tenterò di fare bene la visita, che durerà almeno sette minuti”.

È rimasta memorabile in paese quella giornata, in cui da seminarista, si mostrò così “affamato” del cibo eucaristico che per comunicarsi percorse durante quasi l’intera giornata i paesi vicini fino al tramonto, e digiuno come allora era prescritto, per ricevere il vero “Pane di Vita”.

Nello stesso programma di vita come seminarista aggiunge: “La virtù che quest’anno devo vivere più profondamente sarà la donazione completa della mia volontà alla volontà di Dio, rassegnandomi in tutto quello che il Signore vorrà di me e fare il mio meglio affinché la mia volontà sia anche la sua”(CA. 1961 n.10).

Nella gioia del Padre

Come da bambino, e dopo come seminarista, da prete e religioso è stato un uomo allegro, divertente, facile all’amicizia, con quelle piccole furberie delle persone simpatiche, come ricordano i ragazzi, i compagni di seminario, i chierichetti, e tutti i nostri religiosi che lo hanno conosciuto da seminaristi a Puente la Reina. Qui sebbene non abitasse di continuo per il suo lavoro di questua e promozione vocazionale, quando rientrava per il ritiro mensile, il riposo, ecc.. gli apostolini gli giravano attorno per sentire racconti delle camminate apostoliche, barzellette, imparare canti e tante altre cose. Invece quando doveva sostituire qualche professore non riusciva a tenerli fermi. E poichè è stato tanto vicino a loro, da “angelo tutelare”, in quei tempi di tanta povertà nel seminario, si è preoccupato di far fare un “frontón” (gioco con palla sul muro), divertimento nel quale anche lui era, dicono, abbastanza bravo tra i ragazzi.

Seguendo le orme di Cristo

Negli esercizi spirituali per il diaconato, prima dell’ordinazione sacerdotale ormai prossima, appaiono tanti spunti di come lui voleva vivere il suo ministero pastorale in quei paesetti sperduti della sua diocesi, alla luce del Cristo: “Il Crocefisso sarà il mio libro ordinario…, fin d’ora ti offro tutti i lavori e le tribolazioni interne ed esterne che possano venirmi addosso, durante tutta la mia vita. Ti prego di accettarli, Signore, come un ossequio del mio povero cuore”. E forse, dopo la conferenza sulla confessione, aggiunge quello che sarà il suo modo di comportarsi da sacerdote nel ministero parrocchiale, e lo mettono in rilievo tante testimonianze: “È necessario ogni mattina essere al più presto nel confessionale ed essere costante. Deve darsi preferenza agli uomini. Tanta affabilità e dolcezza. Coi ragazzi mai arrabbiarsi. Affetto tutto speciale. Andare contro quelli che dicessero di non confessarli prima della Comunione. Essere prudente nelle domande e non offendere nessuno nel chiedere spiegazioni”(CA 1970 n. 44).

Quando P. Juan parla del Crocefisso, il mio libro ordinario, si può ricreare la scena della sua casa, e anche la sua cella come religioso; portando su di sé la vecchia croce della Professione, un cuore d’argento su una croce in legno, che poi apparirà sui suoi resti nell’esumazione a Silla nel 1940; adesso è conservata con lo scapolare della Congregazione, trafitto dalle pallottole, a Puente la Reina.

La croce presiede la sua vita, come immagine e realtà. Nei vari paesi dov’è vissuto ha sempre occupato il suo povero ufficio parrocchiale, racconta uno dei suoi seminaristi: “La stanza di D. Mariano era, come in tante delle nostre case, accanto all’ingresso, imbiancata di calce, finestra inferriata, il soffitto in legno, attaccato al tetto, da dove entravano il freddo e il caldo, estremi nell’inverno o nell’estate. Non tanti i metri quadri e, accanto, dietro un arco senza porta, il letto e un vecchio armadio. Un povero prete, tra poveri contadini. Sul tavolo troneggiava il Cristo e vicino c’erano i libri di preghiera e qualche altro di teologia e morale”. D. Mariano ci teneva ad essere pronto e informato su questi argomenti, come hanno riferito i nostri Padri di Puente la Reina, dove brillò per le sue conoscenze, quando erano obbligatori studi su singoli trattati e discussioni su casi di morale e dogmatici. Sotto i piedi il posto per il braciere poiché il freddo arriva troppo presto e le comodità sono nulle in questi paesi, dove perfino la luce elettrica ancora non si conosceva (1916-25).

Grandi e piccoli, uomini, donne e ragazze, con tanta cura, essendo presente qualche familiare, e bambini che mai non mancano…In fine, la sveglia di D. Mariano, che i vicini sentivano troppo presto, per la preghiera, per andare in chiesa e adorare il Signore nel Sacramento, alle volte con la testa sull’altare ricordano i suoi fedeli, o aspettandoli per le confessioni, e la Messa, o altre devozioni nei tempi forti, come la Via Crucis prima di andare al lavoro.

I santi maturano sotto l’influsso dello Spirito

Quale dovesse essere il cammino per D. Mariano era chiaro: “Mai si misurerà abbastanza quanto necessaria e importante è la santità per la vita del prete. Un sacerdote può avere tutte le capacità immaginabili, però se gli mancasse la santità sarà un uomo inutile e dannoso; un sacerdote santo, anche se non avesse tante qualità, riuscirà a fare meraviglie… Se sarò sacerdote devo essere santo”, annotava poco prima di essere ordinato. E questa consiste nel cercare sempre la gloria di Dio, alla quale si è consacrato per sempre (CA. 1968, n. 39).

A tutti noi è noto come D. Mariano cercò e visse la gloria di Dio durante i venti anni di vita sacerdotale, nel ministero pastorale, nella vita religiosa, come testimoniano quanti lo hanno conosciuto. Si potrebbe affermare che le parole chiave della sua vita, fino alla morte, sono state queste: “Lo zelo della tua Casa mi divora”.

Non è stato soltanto nel momento della sua testimonianza davanti all’incendio di “Los Santos Juanes”, o il suo esempio nel carcere davanti ai compagni e miliziani, sempre sotto la minaccia di essere “ammazzato come un uccellino”, che mise in pratica quanto scriveva negli esercizi spirituali fatti a Loyola; in quelle note infatti troviamo un cammino spirituale consono con l’oblazione della quale aveva fatto professione nel 1926. Una spiritualità che aveva appreso sotto la guida di P. Goebels, co-fondatore della Provincia italiana, poi inviato ad aiutare il P. Guillermo Zicke in Spagna, un tedesco formato alla scuola di P. Prévot, che ne sapeva tanto sulla vita di vittima e la donazione totale.

Quello che aveva scritto nei suoi appunti, il P. Juan lo ricorderà anni più tardi, in mezzo ai duri lavori della questua; e per tutti noi è l’esempio più bello d’oblazione di uno che voleva, fin da seminarista, diventare frate o monaco per portare avanti una vita di ritiro, preghiera, lavoro; tentativi non riusciti per mancanza di salute; ed, evidentemente, il cammino di Dio per lui non era tra i Domenicani, o i Carmelitani; e neanche con i Trappisti dove era andato dopo che era stato tra noi. È stato inviato dal suo direttore spirituale e superiore a far la questua, e cercare dei collaboratori per il povero seminario di Puente la Reina, tanto nei paesi come nelle città del Pais Vasco e Navarra, allora riserva spirituale della Spagna, sommersa in quegli anni nel confronto sociale, civile e religioso, che come sapete culminerà nello scontro fratricida della guerra civile (1936-1939), anticipo anche della Seconda Guerra Mondiale, per il confronto, attraverso aiuti e collaborazione armata, tra gli stessi nemici che ideologicamente si contrapponevano.

Non temerò alcun male, perché tu sei con me

Spiritualmente preparato, scriveva molti anni prima quello che sarebbe stato il suo programma: “Dio regala più lavori a quelli che ama di più, come indica S. Teresa. Devo abituarmi all’idea che mi troverò tante volte triste, scoraggiato, col tedio alle spalle, pieno di amarezza, forse di scrupoli, timori, tentazioni, senza le dolcezze interiori come in tante occasioni; però malgrado tutto ciò, sono deciso, con l’aiuto della tua grazia, mio Dio, a seguirti come ti ho promesso. In te confido, mio Dio! In te confido, Madre mia!

In mezzo a tutti questi lavori mi consolerò, pensando che è qui che si depura la virtù e dove si vuole bene al Signore. E così, quando appaia nella mia mente il pensiero della disperazione, sorriderò e volgerò il mio sguardo verso il Signore con tutta la mia fiducia” (CA 1969 n. 43).

Veramente non è stato facile per P. Juan questo lavoro, come raccontano le lettere scritte al P. Generale, allora P. Philippe, fino adesso sconosciute; in esse manifesta il suo travaglio per il compito che gli stato assegnato, così lontano dalle sue attese personali di vita religiosa: “Sollecito dalla Vostra Paternità Rev.ma che provveda alle mie necessità spirituali inviandomi in un luogo più adatto al raccoglimento e alla solitudine, e lontano dal secolo, dove possa trovare la pace spirituale se è possibile, e possa ottenere la vita interiore nella santa unione con Dio; e questo almeno per un tempo: uno o due anni, o quello che Lei disporrà. Non potrebbe essere un buon luogo per questo il noviziato di Albisola? Non potrei forse aiutare in qualcosa il P. Maestro dei Novizi? e forse anche dedicarmi allo studio? Non potrebbe venire qualche P. Italiano in Spagna? (Dagli Archivi generali, Lettere al P. Generale, P. Lorenzo Philippe, Puente la Reina, 26 luglio 1928).

Non conosciamo la risposta del P. Generale, però sì quella di P. Juan, da Novelda, da dove scrive mentre fa gli esercizi spirituali:”Tutto lo metto nella mano di Dio nostro Signore e nella mano dell’obbedienza. Deus providebit. Ante omnia et super omnia, amare molto e servire fedelissime al nostro “bondadosissimo Signore”, e dopo che si faccia la sua santissima volontà. Certo, che le ragioni che io avevo per solicitare da V.R. la menzionata grazia sono razioni serie (seu de momento) anche seg. il consilio del confessore. Dio sia benedetto. Fiat voluntas tua”(sic). (Archivi generali, ib. Novelda 2, settembre 1928; il testo appare come è stato scritto da P. Juan).

È sempre, il nostro P. Juan, un uomo dalla misura del Cuore di Cristo; anche lui ripete il suo Ecce venio!

Più tardi, un anno dopo, ringraziando P. Philippe per l’ammissione alla professione perpetua, commenta lo stato spirituale della sua vita: “Prendo la penna per manifestare con tutti i miei rispetti a V. P. che il giorno 31 del mese scorso (ottobre), ebbi la gioia immensa, da tanto tempo aspettata, di consacrarmi a Dio nostro Signore, al Sacratissimo Cuore di Gesù definitivamente e per sempre, mediante i voti perpetui. Come dicevo nella mia precedente lettera da Vittoria, ero ancora incerto sulla volontà di Dio in questo punto, però dopo di aver consultato il Signore e la sua Santissima Madre, e visto il parere positivo del direttore spirituale, e anche dei miei superiori, alla fine mi lasciai andare nelle mani della Providenza, essendo certo che il Signore ispirerà ai miei superiori quello che è più conveniente riguardo a me, e così come al mio stile di vita, e come per il resto; e sono securissimo che mediante la santa obbedienza, vincerò tutte le difficoltà che si oppongano alla mia santificazione. Tutta la mia fiducia si trova nei Sacri Cuori di Gesù e di Maria” (Archivi generali, ib. Puente la Reina, 16 novembre 1929).

Le sue difficoltà riguardo al lavoro - tanto differente dalle sue attese quando è entrato a far parte della nostra Congregazione - sembrano sparite, o piuttosto accettate in quello spirito di oblazione col quale emise la Professione perpetua e così può scrivere, nella stessa lettera: “Grazie a Dio adesso sono tanto contento, poiché sembra che Nostro Signore ponga nelle nostre mani parecchie vocazioni di ragazzi, bravi e buoni, in questi ultimi tempi. Adesso ne abbiamo 21. E dobbiamo avere fiducia che se Dio Nostro Signore ci dà delle vocazioni ci offrirà anche mezzi per portarli avanti”… (Archivi generali, ib. Puente la Reina, 16 novembre 1929).

E per vedere ancora come il cammino e i gradini, pur essendo duri, stanno diventando più facili, scriverà un’altra lettera al P. Generale, senza data e da un luogo sconosciuto: “Grazie a Dio (sebbene ogni tanto non manca qualche burrasca interiore) continuo ad essere allegro e con tanta fiducia nel Signore e nella Madonna. La sua lettera mi consolò e rallegrò tanto”. Aggiungerà saluti per i PP. Roberto (probabilmente Bramsiepe sua guida a Roma e compagno nei primi tempi in Spagna), Gelasio, Suardi, Bosio, “e tutta quella venerabile comunità. Sono contento che Fratel Zappi stia meglio”.

Mi rinfranca per l’amore del suo nome

Senza una vita di preghiera, di adorazione e di unione col Signore, e una vera esperienza di amore, è tanto difficile capire la figura di P. Juan.. Ci sono dei dati precisi, alcuni scritti da lui stesso, anzitutto negli appunti spirituali, che lasciano trasparire un uomo in preghiera costante, in comunione coi santi “suoi”: S. Giuseppe e S. Ignazio, Michele, Gabriele e Raffaele (come lui “angeli” inviati), e l’angelo custode, oltre alla devozione ai Sacri Cuori, allo Spirito Santo; e le tante pratiche di pietà allora abituali, come il Rosario, l’Angelus, il Piccolo Ufficio, “la Piissima”, lo scapolare del Carmine - che apparirà tra i suoi resti -, la memoria dei defunti, ecc…; tutte cose che annotava come da non dimenticare nei suoi esercizi a Loyola (C.A. 1973 n. 57).

Conosciamo anche il suo orario, quello che seguiva quando percorreva i paesi e le città del Nord della Spagna (quello più divulgato, della sua prigionia), dove tutto è regolato d’accordo con le pratiche comunitarie a livello di preghiere, regolamento, e atti di pietà usuali, e sappiamo come lui, mattiniero, si arrangiava per portarli avanti, però senza far mancare i momenti di meritato riposo per la sua malferma salute e la stanchezza di quel duro ministero.

Anche nel suo programma, come degno figlio di P. Dehon, e attento alle sconvolte realtà spagnole, tutti i giorni, al mattino, prendeva il suo tempo per leggere i giornali. L’Adorazione occupava un posto principale e anche, come dicono le testimonianze di religiosi e suore, dedicava tante ore alla preghiera nascosta davanti al Santissimo, quando non era in giro per la questua o per impegni apostolici che ben volentieri accettava, in modo particolare quando si riferivano alla Madonna.

Le tracce degli uomini di Dio

Uomo di Dio e uomo degli uomini. Soltanto il Signore sa, e tante persone ormai scomparse, quale è stata l’irradiazione di santità che P. Juan ha fatto risplendere attorno a sé. Tutti hanno espresso la loro testimonianza sulla sua santità. Ed è interessante mettere in rilievo che sono stati non solo i laici, ma gli stessi compagni, e alunni che col ricordo della sua persona hanno testimoniato, fin dalla sua morte e anche prima, quella fama di santità che precede il riconoscimento ufficiale della Chiesa.

Penso che P. Juan abbia vissuto molto profondamente il nostro spirito di oblazione, anche quello di riparazione che lui viveva come consolazione, come ci fa vedere nei suoi scritti degli esercizi a Roma, nel 1927, in un brano nel linguaggio dell’epoca che poi avremo come testo per la seconda lettura del Ufficio delle Ore: “‘Le mie delizie sono di essere coi figli degli uomini’; ma nonostante ciò, la più grande parte gli volgono le spalle, per empietà, altri per mancanza di fede, per indifferenza, per oblio; la più grande parte non vuole restare col Signore, non lo contemplano, non compatiscono, e neanche lo amano. Ecco la prima parte della riparazione, la riparazione (divina) verso Gesù, ad imitazione di Maria Magdalena che ‘sceglie la parte migliore’”.

E poi ci farà vedere la riparazione (umana) della carità, quella che comporta l’impegno in tanti modi per gli uomini (cf. C.A. 1974 n. 63).

Non per caso raccontano a Puente la Reina che quando le mamme, nella domenica, chiedevano ai loro figli a quale Messa erano stati presenti, e (se il celebrante era P. Juan) quale era stato l’argomento della predica, la risposta era sempre la stessa: “l’amore misericordioso”.

L’adorazione eucaristica: una impostazione nuova, che in quel tempo iniziava a fare i suoi primi passi e che P. Juan si diede a propagandare nei suoi giri apostolici: “Continuo a fare la solita vita, viaggiare e viaggiare. La santa obbedienza è quella che mi dà forze e ispira fiducia. Anche mi consola e incoraggia tantissimo la propaganda che da più di un anno faccio attraverso conferenze e fogli dell’Adorazione perpetua e universale al Santissimo Sacramento e anche sull’Opera dell’Amore Misericordioso, poiché tutto ciò entra pienamente nello spirito di amore e riparazione del nostro tanto caro Istituto”. E aggiunge: “Più avanti, quando potremo godere, se Dio vuole, di tranquillità in Spagna,vedremo il modo di impiantare la nostra cara Pia Unione “Adveniat Regnum tuum”. Adesso non sembrerebbe opportuno aggiungere nuove istituzioni, anzi l’Adorazione reale, perpetua e universale del Santissimo Sacramento, è molto simile alla nostra” (Archivi generali, ib. Puente la Reina, 16 novembre 1929).

Il nostro P. Juan, se si segue da vicino, è di una personalità coinvolgente, ammirevole, dicono i pochi testimoni ancora in vita. Un uomo che affascina; uno dei nostri, meravigliato, lo trova zitto, inmobile, per lungo tempo nella sua stanza, tanto che incuriosito si avvicina e lo vede pregare col Crocefisso nelle mani…”Il mio libro”come aveva scritto molti anni prima. O gli apostolini, chiericchetti nelle parrocchie, che non capivano niente delle lunghe celebrazioni di P. Juan, chiamato affettuosamente a Puente la Reina “il Padre eterno”; ed egli li invitava a sedersi, o andarsene, per il suo lungo dialogo col Signore. Un dialogo permanente; per questo, tutti sapevano dove si trovava, tanto a casa, come nelle comunità religiose dove si tratteneva nei suoi viaggi: o in cella o in cappella.

E d’altra parte vicino, affettuoso, e perfino piacevole e divertente nel suo atteggiamento giornaliero coi compagni, alunni e gente, per il suo modo di vivere l’oggi e portare in qualche modo gli stessi sentimenti di Cristo Gesù a quanti lo conoscevano senza far dimenticare mai a nessuno che era un prete, o un vero fraticello, uno dei “tedeschi”, come eravamo conosciuti a Puente la Reina, e ancora adesso tra gli anziani.

Se dovessi camminare in una valle oscura

In quegli anni travagliati, il P. Juan per il suo lavoro di questua e di promozione vocazionale,visse più da vicino la nascita e lo sviluppo personale e ambientale tra la gente di Chiesa, degli atteggiamenti martiriali, in modo particolare dopo la proclamazione della Seconda Repubblica (14 aprile 1931), quando esplodono dappertutto violenze e soprusi contro la Chiesa, contro edifici e persone, e la legislazione diventa apertamente anticlericale, dando inizio a tanti assassinii, incendi, espulsioni, e ancor più con la sommossa delle Asturie nell’ottobre di 1934, dove perfino si arrivò in qualche città ad esporre “in vendita” carne da prete!

Parecchie volte lui stesso proclamerà il suo desiderio di essere martire, quando sente raccontare episodi di violenza o di martirio in Spagna o nelle missioni, proclamando beati con santa invidia coloro che patiscono per il nome del Signore, nelle famiglie che visita, o ai suoi nello stesso 1936, essendo presente sua madre.

E si sa, dai testimoni, che il martirio è stato motivo di tante riflessioni a livello comunitario, e in modo particolare, come racconta P. Lorenzo Cantò suo superiore, a Garaballa, i giorni prima del 18 di luglio 1936 quando avvenne il cosiddetto “alzamiento” o “insurrezione nazionale”, che tenne divisa la Spagna per oltre tre anni, con quasi un milione di morti e tutte le ferite morali e materiali di una guerra civile, che ancora oggi, settanta anni dopo, ogni tanto riemergono.

Uno dei suoi compagni scrive: “Ho vissuto con P. Juan nel 1936 e conosco i sentimenti del Servo di Dio, disposto ad accettare quello che Dio poteva disporre per la salvezza della Patria. Aveva una fede cieca nel trionfo della causa di Dio, sebbene sapesse che si doveva soffrire una grande punizione per i peccati sociali. La sua fede e il suo entusiasmo li trasmetteva a quanti si avvicinavano a lui, incoraggiandoli davanti ai grandi pericoli che si sarebbero presentati”.

Gli ultimi gradini nell’amore e nella gioia

Davanti alla prova la sua testimonianza è chiara e schietta: “Sono un prete”, dichiara quando gli si domanda il perché del suo atteggiamento contro l’incendio nella chiesa dei “Santos Juanes”, il 23 di luglio 1936, lui apparentemente un fuggiasco, e neanche contadino, che avrebbe potuto passare inosservato.

Un avvocato, compagno di prigionia, testimonierà, nel suo processo, che aveva voluto conoscerlo perché “mi era tanto difficile capire che ci fosse qualcuno così coraggioso o così ingenuo da assumere conseguenze tanto drammatiche”. Evidentemente non conosceva la forza interiore di quel P. Chaquetón o P. Juanito, come era chiamato nel Carcere Modello di Valencia il mese che durò la sua prigionia, e per il quale tutta la vita, e in modo particolare in questi ultimi anni, le parole del Salmo erano state carne della sua carne: “Lo zelo della tua casa mi consuma”.

La qualità di quest’uomo di fede, che spinge il suo amore fino alla donazione totale per il Regno di Dio, nella speranza di vivere nel Signore con tutti i Santi, si manifesta nella cartolina di augurio per Mons. Lorenzo Philippe scritta dalla prigione: “Eccomi Rev.mo Padre, detenuto da tre settimane, per il motivo di aver proferito parole di protesta per l’orribile spettacolo delle chiese bruciate e profanate. Benedetto sia Dio! Si compia in tutto la sua divina volontà! Sono tanto felice di poter soffrire qualcosa per lui, che tanto soffrì per me, povero peccatore”.

Un altro testimone, redentorista, pure lui compagno di prigionia, nel 1940, in una bella lettera evoca la figura di P. Juan, e il suo modo di vivere e di far presente il suo sacerdozio in quelle condizioni carcerarie, quando ammoniva: “Adesso più che mai si deve confessare il Cristo, e si devono imitare i martiri dei primi secoli che, in ginocchio e pregando, si preparavano per il martirio”… E finisce la sua lunga lettera scrivendo: “Beato lui che ha ricevuto la palma del martirio! Beata la sua Congregazione che oggi si vede glorificata per tanto eccelso martire!”.

Nel 1927 P. Juan visitò Roma; e i nostri, che lo avevano accompagnato per la città e gli avevano fatto vedere le Catacombe, raccontano come era difficile farlo uscire da quei monumenti dove la memoria dei martiri è tanto presente. Un presentimento? Il cammino dello Spirito ha tante strade per la vita di un prete e religioso…

Un’agendina con l’orario del carcere accomodato al religioso, insanguinata e colpita da una pallottola, e lo scapolare della Congregazione, colpito da due pallottole, e una medaglietta della Madonna dove prega di essere sepolto in luogo sacro: sono i testimoni muti ed eloquenti del nostro martire cristiano, prete, religioso dehoniano, immolato e offerto con Cristo al Padre per la salvezza del mondo; sono segni rimasti sui suoi resti, sepolti in quella Scuola Apostolica della quale fu e continua ad essere “Angelo tutelare”.

Gli ultimi momenti di quella notte, 23 agosto 1936, ci sono sconosciuti. I carnefici negli ultimi tempi di persecuzione della Chiesa mai hanno voluto testimoni della loro efferatezza, anzi hanno tentato sempre di nascondere il loro modo di agire anche dichiarando di punire “i crimini di stato”; ma per noi è stata chiara la lotta contro la Chiesa, e contro i suoi ministri, e gli stessi cristiani, che poi la Chiesa andrà riconoscendo come martiri, in modo speciale dopo Paolo VI, poiché neppure i vescovi spagnoli vedevano chiaramente l’opportunità di queste beatificazioni, in una Spagna ancora divisa per le vecchie ferite della guerra tra vincitori e vinti.

Perfino uno dei dirigenti dell’allora emergente e solido Partito Comunista, José Díaz, potrà dire convinto: “Nelle province dove noi abbiamo il potere, la Chiesa non c’è più. La Spagna ha sorpassato, e tanto, l’opera dei Soviets: la Chiesa in Spagna è stata annientata”. Quando i vescovi scrissero la celebre pastorale collettiva nel luglio 1937 erano stati assassinati, tra membri del clero e religiosi, almeno 6500 persone!

I santi con nome, tra quella moltitudine che nessuno può numerare

Sono arrivati i tempi nei quali tutti questi testimoni della fede, innumerevoli nel secolo XX, hanno anch’essi il diritto che sia ricuperata la loro memoria, non soltanto come storia di fede e di coraggio cristiano, sempre da ricordare e imitare, ma anche che come fedeli (riconosciuta dalla Chiesa la loro testimonianza eroica di fede) sono degni di essere imitati, e anche sentirli vicini come nostri intercessori e amici davanti a Dio, nei nostri bisogni spirituali e materiali, e in modo particolare per aiutarci a compiere la sua santa volontà, e vivere nelle mani di Dio ogni giorno e in tutte le circostanze anche eroiche, come loro hanno fatto e vissuto.

I santi sono un dono di Dio alla Chiesa, e un regalo che la Chiesa stessa offre a Dio dei suoi figli migliori. Sono un dono per tutta la Chiesa, non soltanto per le singole Chiese, Congregazioni, ecc.. E sono davanti a Lui, cantando, benedicendo, glorificando l’Agnello, anche lui immolato per noi.

Se la Chiesa per definirsi ha recuperato l’immagine di famiglia - come è stato detto nel Sinodo per la Chiesa di Africa -, sarà tanto più interessante mettere in rilievo questi nostri fratelli maggiori nella fede e nell’amore, nella grande famiglia dei figli di Dio, alla quale tutti apparteniamo.

Insieme nelle dimore eterne

Concludo con parole di P. Dehon, che sarà tanto felice nella gloria accanto P. Juan, che nella sua vita e così bene ha vissuto il suo carisma di oblazione, per la gloria di Dio, fino a dare la vita: “Vedo che gli angeli e i santi mettono nei loro incensieri celesti le preghiere della Chiesa con le loro preghiere; e come oggi ho chiesto l’intercessione di tutti i santi, ci sono infiniti incensieri che si alzeranno verso Dio, nei quali le mie preghiere e lodi saranno unite a quelle dei Santi con una efficacia infinita”.

Poi P. Dehon continua la meditazione per il giorno di Tutti i Santi, nella sua opera “L’anno col Sacro Cuore”, e nel terzo punto ci parla dei Santi del Sacro Cuore, da tutti noi conosciuti, e alla fine commenta: “Sì, ci sono dei privilegi per i Santi del Sacro Cuore. Oggi li saluto con tenerezza e mi raccomando in modo tanto particolare”.

Adesso tra di noi un nuovo beato si può aggiungere alla lista che egli enumera, il P. Juan, il protomartire della Congregazione.

E come P. Dehon ci indica nelle risoluzioni: “Al Cuore di Gesù le mie lodi, a tutti i santi i miei auguri. A tutti anche le mie umili preghiere. Ai Santi del Sacro Cuore, ai Santi dell’amore e della riparazione, una visita speciale, con la preghiera e l’impegno d’imitarli”.

Punto finale

Raccolgo la testimonianza della Cronaca di Puente la Reina, nel giorno 23. 08. 1937, nell’ anniversario della morte di P. Juan, che ci fa capire la “fama di santità” e l’ambiente di esaltazione che si viveva: “Questa data resterà eternamente impressa nel più profondo del cuore nella Scuola Apostolica. Ci ricorda infatti il primo anniversario della morte-martirio, nel carcere di Valencia, di chi fu il sostegno insostituibile, esempio vivente di vita religiosa, il P. Juan Maria de la Cruz García Méndez. L’anno scorso durante l’estate è andato al noviziato di Cuenca, per mettere a posto la sua malferma salute. A pochi giorni dal suo arrivo esplose l’“alzamiento” glorioso che libererà la Spagna dagli artigli comunisti. Come misura di protezione P. Juan se ne andò a Valencia, dove fu preso e imprigionato nel carcere e pochi giorni dopo portato alla morte come eccellente vittima del piombo traditore e del suo zelo. In realtà il motivo della sua incarcerazione fu questo: mentre le furie marxiste si erano date a incendiare un edificio religioso, per caso passò P. Juan da quelle parti, e mosso dal suo zelo per i diritti di Dio protestò coraggiosamente contro i misfatti sacrileghi che commettevano quelle turbe, ebre di odio religioso. E questa coraggiosa confessione del suo modo di vedere le cose gli valse la palma del martirio. Onore al protomartire della nostra tanto cara Congregazione!”… (Cronaca I, 1938, 77-78).

Un’altra nota della Cronaca, nel secondo anniversario della sua morte, ricorda il suo“Angelo tutelare”: “Oggi, nel giorno dell’anniversario di P. Juan, abbiamo ricevuto in un modo providenciale 1000 pts. Laus Deo! e tante grazie al protomartire della carissima Congregazione spagnola!” Continuava in Paradiso anche la questua! (Cronaca I, 1938, 93).