DOSSIER CENTRALE

IL CARISMA NELLA VITA RELIGIOSA

Il carisma: “dono da donare”

Luc Van Looy, sdb

È un tema di grandissima importanza, per il futuro della vita religiosa nella Chiesa. Non basterà riflettere tra di noi in una giornata, quando siamo ben disposti a farlo. È un tema da avere con noi in cappella, in parrocchia, nel nostro operare giorno dopo giorno, per lasciarci permeare da uno spirito nuovo, da una grazia che ci arriva dal “Santo” Spirito. Il cammino della Chiesa, comunione di persone che vogliono vivere la loro fede in Cristo, è essenziale, e credere che l’uguaglianza fondamentale dei credenti è la volontà di Dio, è la garanzia per spianare la strada del futuro. Un carisma non è un dono per tutti, è dato dallo Spirito a chi ha scelto. Non lo si può imporre a nessuno, perché non ci appartiene, ma non lo si può negare a colui a quale lo Spirito ha creduto bene darlo, sia egli religioso o laico. Questo diventa la base dalla condivisione dello stesso dono, evitando ogni sorte di appropriazione, padronanza o monopolio.

1. Powershift

Negli anni 60 c’è stata in Svizzera una mostra universale di orologi. Ognuno esponeva il progresso compiuto e gli ultimi modelli. C’era anche, per la prima volta, un orologio digitale. In questo ambiente nobile l’orologio digitale veniva deriso e nessuno lo prendeva sul serio. Un giovane imprenditore giapponese si avvicinò all’inventore e comprò il brevetto. Lanciò in grande il nuovo prodotto, chiamato Sanyo, e invase il mondo. Dopo anni Sanyo mette sul mercato un orologio classico, di buona qualità con il risultato che oggi l’orologio del popolo è giapponese e quello svizzero è confinato alla sola élite.

Questo episodio parla di intuizione, di coraggio e di visione di futuro. Qualsiasi cambio va fatto investendo, programmando, osando, e non aspettando o difendendo lo status quo.

La vita religiosa si trova in un processo di cambio, e si domanda se le sue forme istituzionali sono da confermare o se ci siano altre forme. Abbiamo imparato a credere nella possibilità, nel beneficio del cambiamento. Qualsiasi cambiamento va progettato, non atteso, perché il cambio bisogna farlo quando si è in piena forza, non quando le forze si vanno spegnendo; va fatto in piena coscienza e serenità, dopo un discernimento e dopo aver preso coscienza del passato e del presente, delle urgenze e delle risorse.

Il tema della condivisione del carisma con i laici è forse entrato per la porta dell’“ormai”. Voglio dire che i primi laici furono chiamati a collaborare per sostituire un religioso o una religiosa, perché non si trovava più nessun altro religioso che ne prendesse il posto. Ricordo che il primo laico nel mio collegio è stato il maestro di ginnastica: che peccato! non trovavano nessun salesiano in quel tempo - si diceva allora. Ma abbiamo fatto strada. Oggi si dice: Anche se avessi abbondanza di religiosi/e per svolgere la missione o ricoprire tutti i ruoli dell’opera, non li vogliamo mettere. Non conviene proprio limitare il servizio della missione ai soli religiosi o religiose per il motivo che svolgiamo un servizio di Chiesa nella società, e la Chiesa non è confinata al clero o ai religiosi e alle religiose.

2. Non valutatevi più di quanto è conveniente

San Paolo ci mette in guardia contro una considerazione pretenziosa che potrebbe sorgere anche in noi, se ragioniamo in chiave di “privilegi” come religiosi/e. Egli dice: “Non valutatevi più di quanto è conveniente, ma valutatevi in maniera da avere di voi un giusto concetto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Rm 12,3-4).

È questo il discorso di fondo che dobbiamo affrontare, in tutta serenità e capacità di conversione. La fede è un dono ricevuto, non è frutto di nessuna opera nostra, e diventa solo sé stessa dal momento che è comunicata in totale gratuità. Allora diventa novità, diventa notizia. Sappiamo quanto la gente sente profondamente una presenza carismatica, quando arriva in un territorio nuovo, per motivo della testimonianza fresca che offre. La situazione attuale di stretta collaborazione e corresponsabilità tra laici e religiosi/e rende possibile questa freschezza della novità carismatica. È importante che sia novità di fede, espressa pubblicamente e con chiarezza, ed è essenziale che si possa vedere che noi religiosi viviamo di questa fede. Il motivo del nostro servizio non è sociale, né antropologico, né culturale o di proselitismo. Il nostro amare non è perché siamo presi da urgenze o simpatie, meno ancora da istinto o tendenze, ma perché ci sentiamo amati da Dio e inviati per amare. Serviamo, insegniamo, preghiamo, perché crediamo in Dio. Il fondare la nostra vita sulla fede, dono di Dio, ci aiuta a evitare di mettere gli accenti su aspetti di classe, rango o appartenenza, e ci mette in linea con le figure che ci precedono, da Abramo, passando per Stefano fino al nostro fondatore/fondatrice.

3. Con occhi e ali di aquila

A partire dai nostri fondatori è stato avviato un movimento particolare di fede, che raccoglie in una comunità persone con sensibilità comuni per attendere a certe necessità osservate nell’umanità.

Partono, i nostri fondatori, dal dono dell’osservazione. Vedono certe realtà, soffrono per le imperfezioni osservate, e dalla loro permanenza spirituale in Dio vogliono dare sollievo e spinta. Diventano “fondatori” per la loro capacità di sensibilizzare e coinvolgere altre persone in modo che esse vi dedicano la loro vita.

C’è un aspetto da osservare: prima di assestarsi in comunità o in opere, le fondazioni apostoliche hanno spesso conosciuto un inizio semplice, come di un piccolo movimento, un gruppo di persone aperto e dinamico a servizio di altri, motivati dalla fede. Non ci sono regole, ma c’è dedizione, non c’è struttura ma c’è intuizione, non ci sono membri fissi o non tutti lo sono, invece c’è un accorrere a dare una mano da parte di molti, non c’è budget o contabilità né conti in banca, ma c’è la provvidenza tangibile.

È certo che a poco a poco una strutturazione diventa necessaria, ma sempre con il pericolo che sia a scapito dell’ispirazione originaria. I fondatori hanno colto le necessità, hanno scoperto persone capaci di vivere la fede donandosi per rispondere a queste necessità e hanno coinvolto in vario modo altre persone per la realizzazione dell’obiettivo. Gli inizi sono sempre dinamici e un po’ caotici allo stesso tempo, i primi successori rischiano di dare forma più statica e protettiva del patrimonio e delle persone. Ma i fondatori hanno una tale forza di fede che li rende capaci di originare un movimento che conduce in alto tutti quelli che ne vengono a contatto, rendendoli atti a comunicarne la profondità di spirito e ad assicurarne l’espansione.

4. Dire “Cristo” e farlo dire

Il “dono” più prezioso da comunicare è Cristo stesso. Non solo parliamo di Cristo con la nostra parola, con le nostre opere e il nostro atteggiamento, ma comunichiamo Cristo con tutto il nostro essere. Il dire “Cristo” in parole e azioni è lo scopo di ogni carisma, anche se lo si dice con opere diverse, con parole diverse e vestiti di abiti diversi.

Dicendo “Cristo” ci si ricorda che lui è vittima e sacerdote allo stesso tempo, che offre se stesso sull’altare (Eb 7,27).

Dire “Cristo” è vivere quella generosità infinita che “teme” il Signore con quel timore sacro di chi entra, con sgomento, nel Tempio, sapendo di partecipare al dono più alto possibile di se stesso, “liberamente accettando la propria passione” e offrendola al Padre.

Dire “Cristo” vuol dire essere capaci di “rendere grazie” per il dono del martirio, di essere “trovati degni” della grazia di donare la vita per la fede o per gli altri, consapevoli che questo lungo la storia è segno indubbio di verità e di autenticità della Chiesa, come partecipazione al sacrificio sacerdotale di Cristo.

Dire “Cristo” è espressione di una generosità totale che diventa luce, come dice il salmo 112. Questa luce ha delle qualità specifiche: è buona, misericordiosa è giusta (Ps 112,4). Un dono di bontà, di attenzione agli altri, specialmente ai bisognosi, un dono di misericordia, con il perdono offerto da Cristo, un dono di giustizia, con l’occhio puro, indiviso e compassionevole.

È questa generosità che rende capaci di far dire “Cristo” anche ad altri. Dalla luce nasce luce, generosità genera dono di sé, benedizione produce persone che benedicono. I discepoli di Cristo non potevano non parlare di lui. I figli spirituali non possono non presentare il loro fondatore. La vita nel carisma è contagiosa senza distinzione di categorie di persone, laici, giovani, adulti, poveri, benestanti. Non solo a livello di persone individuali, ma nel tessuto sociale, nell’umanità. Chi dice “Cristo” con generosità partecipa all’incarnazione, entra in profonda sintonia con il creato perché pronuncia la parola del Creatore, e partecipa al dinamismo salvifico del progetto di Dio con tutta l’umanità. A forza di dire “Cristo” il chiamato elimina dalla sua vita ogni tendenza di egocentrismo e ogni macchia di individualismo, perché l’identificazione con il Salvatore lo rende capace di offrire se stesso per la salvezza del mondo. E sullo sfondo si sente già la gente che dice: “Mai nessuno ha parlato come costui”.

5. Il punto di partenza attorno all’altare

Ora si capisce che il dono del carisma non può fare a meno di partire dall’altare eucaristico. La comunità chiamata da Dio nell’alveo di un fondatore carismatico si trova unita attorno al sacrificio dell’eucaristia ed è inviata da questo altare, al quale quotidianamente torna per unire la propria esistenza e il proprio lavoro a quello di Cristo. Non è possibile immaginare un amministratore della grazia di Dio, fuori dalla corrente che sale proprio da quella fonte, ma è ugualmente inconcepibile che sia un ruscello solo che parte dall’altare e non quella sorgente di acque che esce dal tempio. È proprio come quelle acque descritte dal profeta Ezechiele che il dinamismo eucaristico porta avanti il movimento creato dal fondatore di ogni Famiglia religiosa. “Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà, il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque, dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente, tutto rivivrà” (Ez 47,9).

Il carisma dona vita a tutte le persone che incontra lungo la strada, e coinvolge chi è di buona volontà, stimola e anima chi cerca, conferma e rafforza chi è in cammino. L’acqua e la sorgente sono simbolo della potenza di Dio, che sta all’origine di ogni carisma e di ogni chiamata, e rinvigorisce lungo la vita chi attinge alla stessa fonte.

L’eucaristia è quel “trono di Dio e dell’Agnello” da dove scaturisce “il fiume d’acqua viva, limpida come cristallo” (Ap 22,1), dono del carisma al mondo.

Il fatto di dare vita a chiunque incontra sulla strada ci fa capire che è meglio parlare di un “movimento” che nasce dalla chiamata che parlare di un “istituto”, anche se è necessario dare forma e struttura a una realtà. Conviene però vigilare che la struttura non affoghi il dinamismo di quello che è iniziato come un movimento che vuol dare vita.

6. Dono da condividere e condividendo donare

Chi partecipa alla grazia di Dio non può non condividerla con altri, perché il dono che Dio ci dà non è destinato a restare inattivo nel cuore di chi lo riceve. I talenti da Dio ricevuti sono consegnati non per conservarli nascosti, ma perché portino frutto.

Il carisma è tipicamente un dono che invita alla condivisione in forma di catena progressiva e contagiosa, come il pane e il vino eucaristici sono dono perpetuo del Salvatore. È un invito a uno stile da vivere insieme come realizzazione dell’amore di Dio in forma concreta.

Il carisma è un dono libero, ossia Dio dona a chi desidera, non è come l’amore donato a tutti e atteso da tutti. Pur non essendo universale come l’amore, non è neppure esclusivo, e certamente non può essere ostacolato da chi già l’ha ricevuto come forma di protezione. I fondatori certamente non desiderano che si fermi l’ondata di espansione del loro carisma e nessuno di noi potrà dire di avere il monopolio sul fondatore. Non sarà perciò limitato alla forma della vita religiosa, di comunità con regole ben definite e superiori eletti, ma a partire da questa comunità il carisma si allarga invitando a parteciparne. Nel comunicare i suoi doni Dio ha scelto un sistema, che riconosciamo lungo la storia dei Padri della fede, i profeti, i discepoli e i santi fondatori. Attraverso una persona concreta invita un gruppo, una comunità e un popolo a vivere secondo le sue indicazioni, per mandare infine questo gruppo ad annunciare a tutto il mondo il bene ricevuto, invitando a lasciarsi prendere da questa buona novella. Il primo ad essere chiamato rimane come padre del movimento, come vediamo che Paolo rimane come padre delle comunità cristiane fondate, e i discepoli diretti del fondatore rimangono come “nucleo centrale” che ispirano il nuovo movimento dall’interno della spiritualità condivisa.

Questo nucleo, nel nostro caso la comunità dei religiosi o delle religiose, è punto di riferimento e ispirazione, dinamismo e centro di unità per tutti quelli che in forma di circoli concentrici partecipano al carisma, da vicino o da lontano. Più forte è lo stimolo da questo centro, più vivace il movimento nei circoli attorno e più vasta e varia è l’estensione. Se la sorgente porta vita in abbondanza, il processo sarà inarrestabile.

Tutto questo ci fa capire che il carisma non si limita solo ad alcune categorie di persone e a certi tipi di opere. Il laico sposato può essere chiamato a condividere il carisma con la comunità dei religiosi/e, il giovane con l’anziano, la famiglia con la scuola, ecc. Particolarmente importante oggi è la riflessione sulle opere fondate all’interno dei vari carismi, per verificare se la loro istituzionalizzazione non porti al pericolo di soffocare il dinamismo dello spirito. La mobilità e la comunicazione tra persone e gruppi ci fa domandare come possiamo far entrare le nostre opere in questo stile nuovo di collegamento.

La trasmissione del carisma oggi ha bisogno di entrare nel modo attuale di lavorare. La realizzazione dei progetti oggi si fa collegandosi con istituzioni e organismi vari e attraverso strutture leggere. Chi si preoccupa dell’educazione dei giovani, a partire da una precisa spiritualità, non apre solo una scuola, ma cerca di essere presente laddove si elabora la politica educativa della nazione, per offrire esperienza e spirito a tutto un sistema. I medici senza frontiere non si occupano solo dei malati, ma contribuiscono al sistema sanitario dei Paesi in via di sviluppo.

Strutture leggere e condivisione da parte di persone di varia provenienza e situazione sociale suggeriscono di lavorare più in forma di “operazioni” che di “opere”. Facendo questo si superano facilmente divisioni e posizioni rigide, si collabora con altri gruppi, religiosi e religiose, uomini e donne, gruppi di interesse diverso alla realizzazione di obiettivi comuni su un territorio. Sarà un unico carisma che agisce, a partire da quel nucleo centrale che ispira e anima tanti gruppi e persone che in modo differenziato e con intensità diversa sono coinvolti nell’operazione e favore di chi ha maggiori necessità.

All’interno di una tale operazione l’“opera” avrà un suo compito di forte animazione, aprendosi al territorio con il dono del suo carisma e a servizio dei destinatari: non limitandosi ai propri “iscritti”, ma lavorando ad ampio raggio.

7. Il nucleo centrale o ispiratore

Il ruolo della comunità, in questo contesto, non si limiterà a curare solo la missione di un’opera. Si potrebbero invece individuare tre campi specifici di lavoro: in primo luogo la dedizione diretta ai destinatari, affinché l’insieme dell’operazione sia ben radicata nell’esperienza diretta delle persone che animano l’insieme; in secondo luogo la formazione di quanti sono coinvolti nell’operazione. È evidente che non tutti i compiti formativi devono essere assunti dalla comunità, ma essa deve farsi garante di una formazione sistematica di tutti, curando in forma speciale l’unità carismatica dell’insieme; e terzo, l’animazione dell’operazione pastorale - educativa - sociale. Questa animazione si colloca a diversi livelli, di organizzazione e coordinamento, di accompagnamento metodico e orientamento del contenuto, di formazione spirituale e umana, di garanzia dell’originalità carismatica.

È evidente che il coordinamento di una tale operazione esige una comunità consistente e qualificata che tenga saldo il suo radicamento nella sorgente spirituale, umana e comunitaria.

Il tema della formazione ha bisogno di particolare attenzione, perché si estende su tutto il raggio di circoli concentrici dell’operazione, ossia tutti hanno bisogno di una formazione adeguata e sistematica. Il modo per assicurare l’unità nell’insieme è proprio la formazione comune, tra tutti. La condivisione dei doni avviene nel modo più sentito e consolidato nei momenti di formazione insieme tra religiosi e laici.

8. Problemi da affrontare

Per non costruire una nuova casa sulla sabbia, mi sembrava necessaria la lunga introduzione alle esperienze e alle testimonianze, per aprire prospettive di futuro con fondamento. Nella pratica ci troviamo con alcuni problemi, che saranno solvibili se avremo capito e colto la mentalità di fede descritta sopra. Siamo ben coscienti che la cosa più difficile non è di per sé il cambiamento delle strutture, del modo di lavorare o della composizione dell’équipe, ma il cambio di mentalità nei membri dei nostri istituti. La comunità religiosa di oggi presenta una debolezza nel campo della riflessione sullo spirito che deve in concreto animare la sua operazione. Certe comunità sono piuttosto équipes di lavoro, e altre sono piuttosto residenze di persone che lavorano (più o meno) in altre strutture operative. La grazia di unità tra carisma e espressione operativa è forse l’urgenza più avvertita. Di conseguenza ci troviamo di fronte a una testimonianza debole e a una visibilità offuscata della vita religiosa.

Ma concretizziamo un po’ le difficoltà.

Rigidità istituzionale: non è facile superare la mentalità che vede le funzioni e i ruoli istituzionali come compartimenti separati nella persona e nella comunità. Sappiamo bene quante sono le difficoltà tra direttore della comunità e preside della scuola, o tra il direttore e il parroco.

Mentalità di privilegio: si sente tuttora la coda di un accentuato clericalismo nella Chiesa e negli istituti religiosi. Laddove la mentalità di Chiesa-comunione e di uguaglianza in base al battesimo prende più consistenza, rimane ancora la mentalità gerarchica che tende a escludere i laici da certe responsabilità con la scusa che non siamo sufficientemente preparati. Non dimentichiamo che Dio ha affidato il suo Figlio (la sua Parola) a una giovane laica. Più che pensare in termini di Chiesa-popolo-di-Dio, in certi ambienti prevale la mentalità gerarchica e dunque esclusiva.

Comunicazione insufficiente: è quasi una conseguenza delle due difficoltà dette sopra. Chi si sente capo, o unico capace o incaricato, non avverte la necessità di comunicare ampiamente con i collaboratori/trici. Pur vivendo in tempi di rapida e abbondante comunicazione, spesso accade che il gruppo trainante non funzioni perché l’informazione è insufficiente, o perché non è chiara, o non tempestiva, o non estesa a tutti.

Il concetto di “proprietà”: chi pensa in chiave di opera, guarderà bene chi è il proprietario, chi invece pensa in chiave di operazione, vedrà chi sono i collaboratori corresponsabili. Pur lavorando in un’“opera”, lo stile di lavoro corresponsabile e aperto è importante. In una scuola, più importante del proprietario del terreno e delle strutture fisiche è la comunità educativa. Il concetto di “ownership” ha bisogno di essere ripensato, e dato a chi ha in mano l’obiettivo dell’opera, ossia a chi è impegnato nell’educazione.

Il concetto di comunità: dipende se si guarda alla comunità verso l’interno o verso l’esterno, se prevale il senso protettivo o propositivo. La comunità religiosa apostolica è fondata per realizzare la missione carismatica, e non per chiudersi in se stessa e formare solo i membri. L’esperienza fatta nell’accogliere volontari o collaboratori laici all’interno della comunità, ha dato buoni risultati in molti casi. È anche necessario che la comunità come tale partecipi alla vita sociale del territorio, dove si trova inserita, senza che perda la sua specificità di comunità religiosa.

Il concetto che abbiamo riguardo a opere e compiti:

- una scuola non ha il mandato di interessarsi unicamente degli allievi; ma rappresenta una presenza educativa in un contesto sociale;

- una parrocchia non segue e evangelizza solo i suoi “fedeli”, ma propone il Vangelo di Cristo a tutti nel suo territorio ed è collegata con la chiesa locale e con le istanze civili;

- un centro sociale non apre solo le porte a chi vuole servirsene, ma va incontro alle persone che hanno bisogno del suo servizio;

- l’insegnante non è solo incaricato di comunicare una certa materia scientifica, ma in primo luogo è educatore e entra dunque in classe per incontrare i giovani. In questo incontro si servirà della materia da insegnare come mezzo di incontro.

9. Favorire la condivisione dello spirito e della missione

Una congregazione religiosa oggi ha bisogno di cercare modi concreti di condivisione del carisma con i laici, individualmente e in gruppo, nelle opere o nelle attività. Il primo passo è di istituire comunità operative paritarie che elaborano il progetto da realizzare. Questo progetto è il punto di riferimento per tutti, elaborato e messo in atto insieme, verificato e rivisto in comune responsabilità. Il “proprietario” del progetto è dunque la comunità operativa, all’interno della quale la comunità religiosa ha un ruolo preciso di animazione.

Alcuni obiettivi vanno tenuti in conto nel condividere con i laici l’impegno carismatico.

Passare da una semplice accettazione dei laici, ad una effettiva valorizzazione del loro apporto peculiare al carisma. Questo corrisponde a quanto dicevo a riguardo del clericalismo e dell’esclusività. I laici danno il loro contributo originale al carisma e la loro responsabilità per la sua diffusione.

Promuovere esperienze, attitudini, processi operativi e strutture di corresponsabilità che favoriscano la condivisione. Bisogna dare concretezza all’interno delle strutture e delle attività al desiderio di allargare il carisma ai laici.

Valorizzare la comunicazione interpersonale e di gruppo. Il senso di appartenenza cresce nella misura in cui le persone si sentono coinvolte in un processo di qualità. Con il comunicare bene la comunità religiosa garantisce l’identità carismatica e si propone come centro di comunione e di partecipazione.

Progettare itinerari sistematici di formazione qualificata, insieme, per realizzare la comune missione. L’incidenza di iniziative di formazione insieme è grande e crea comunità operative capaci di aprire orizzonti e coinvolgere sempre più persone.

La comunità dei religiosi dovrà prendersi l’incarico di favorire questo processo e mettere in moto le necessarie iniziative.

A livello più ampio, la congregazione religiosa può creare un clima di uguaglianza e di comune preoccupazione. Per esprimere la medesima intuizione carismatica in tutti i gruppi che si ispirano a don Bosco, la Famiglia Salesiana ha prodotto due strumenti, elaborati e approvati da tutti: la “Carta di comunione” che esprime lo spirito e la mentalità che stanno alla base della nostra vita; e la “Carta della missione” che dice quali sono gli elementi ispiratori e gli obiettivi del nostro operare, pur con differenti accentuazioni nei diversi gruppi, ma indicando quanto abbiamo in comune.

All’interno di molte Famiglie carismatiche esistono gruppi di laici, come Terz’Ordine, cooperatori, laici con promesse, ecc. Sono preziosi promotori della laicità nell’ambito operativo pastorale. Nella Famiglia Salesiana esistono i “Cooperatori salesiani” con una regola di vita apostolica e con promessa dopo un periodo prolungato di formazione. Sono autentiche vocazioni salesiane nel mondo che fanno da ponte prezioso tra la comunità dei religiosi salesiani e il mondo sociale nel quale loro vivono. All’interno della comunità religiosa salesiana i “Coadiutori”, o salesiani laici, garantiscono la dimensione laicale della realtà salesiana.

È una grande ricchezza quella di avere collegamenti costanti tra vita religiosa e vita sociale, grazie all’appartenenza di laici con ritmi e intensità diversi.

10. Opzioni per un buon funzionamento insieme

Concretizzando ancora meglio, vorrei segnalare quattro opzioni che già sono apparse nel testo, ma che va bene ripetere come sintesi.

L’opzione per la missione: il punto di convergenza e di coesione nell’operare tra religiosi e laici è la missione affidataci dalla Chiesa tramite il fondatore. A questa missione partecipa ogni persona che si trova nel nostro ambiente. Prendendo l’esempio di una scuola, ognuno ha il compito di educatore, che sia insegnante, o personale amministrativo o impiegato per servizi vari. Con tutto questo personale si vuole attualizzare il carisma. Entrando in un’opera nostra o collaborando in qualsiasi modo alle nostre operazioni o attività si diventa partecipi, in grado diverso, dell’opera che Dio ha voluto iniziare con il nostro fondatore.

Opzione per la formazione: chi si presenta a collaborare con noi, non solo riceve impiego e salario. La comunità si impegna a dare la formazione necessaria per entrare, e rimanere, in sintonia con quanto si vuole raggiungere con la missione. Questa formazione sistematica e permanente dovrà coprire i settori della vita umana, cristiana, professionale carismatico-spirituale.

Opzione per la comunicazione: per riuscire a scambiare i doni è necessaria una buona comunicazione, non solo a livello personale, ma anche comunitario. Per collaborare alla stessa missione ci vuole conoscenza in merito, ma anche intesa, dialogo e rapporti amichevoli e fraterni. La meta è uno spirito di famiglia, dove è lecito sapere tutto (o quasi) e dove si gode della conoscenza reciproca delle persone. C’è da favorire un dialogo che supera il livello del tempo o dello sport, e bisogna creare i mezzi e le tecniche che facilitino una comunicazione rapida e completa.

L’opzione per la povertà: si potrebbe dire anche “per l’umiltà”, ma forse conviene scegliere la povertà perché molti dei carismi sono diretti ai poveri. Chi non opta per la povertà, difficilmente sarà pronto a dedicarsi in verità ai poveri; chi non opta per la povertà, troverà difficile riconoscere come uguali e corresponsabili persone di altre categorie. La credibilità del condividere si trova qui, perché permette l’unità tra vita e attività, tra vocazione religiosa e impegno nel sociale. La povertà permette di vivere il Vangelo in profondità.

11. Conclusione: una spirale

Il segno di vitalità e le prospettive di futuro coincidono e consistono nella capacità di coinvolgere tante persone nella realizzazione della nostra chiamata missionaria. Non siamo chiamati ad operare individualmente, neanche solo come collettività di religiosi. Siamo chiamati a essere Chiesa in servizio, attraverso lo specifico della nostra vocazione carismatica comune. Dalla comunità dei religiosi parte dunque un movimento a spirale, che si allarga muovendosi avanti, invitando quanti incontra per strada ad aggiungersi e mettere le proprie capacità e risorse a servizio dell’unico movimento. Così la piccola fonte fondazionale diventa quel fiume beneficente che irriga l’umanità con la sua forza vitale.