TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ

LA MISTICA DEL CUORE
SUE FONTI, SUOI ATTEGGIAMENTI

Marcial Maçaneiro, scj

Introduzione

Nella storia della spiritualità, ci sono esperienze che rimangono sempre nuove. Ricordiamo l’alleanza celebrata da Abramo, Mosè e il roveto ardente, Elia e la presenza divina sull’Oreb. Nel Nuovo Testamento abbiamo Maria, serva e madre: l’incontro con il Verbo della Vita, in S. Giovanni; la conversione di Paolo; la comunione delle prime comunità, ecc.

In seguito, la storia ci ha offerto l’esempio dei martiri, i Padri e le Madri del deserto, i mistici medioevali, l’arte gotica e la sua teologia della luce, e diversi santi moderni. Ancora oggi queste esperienze ci parlano. Mostrano la novità della Buona Novella di Gesù, suscitano incanto e risvegliano nuovi discepoli. Così l’esperienza di Francesco e di Chiara, di un Bernardo o una Teresa d’Avila.

Da questo mosaico prezioso cogliamo qui quella esperienza d’amore divino che si rivela in Cristo, specialmente nel mistero del suo cuore. Esperienza che è scaturita dai Vangeli, si è fatta strada ed è arrivata fino a noi con un nome proprio: spiritualità del Cuore di Gesù.

Fino al Vaticano II, molte comunità e congregazioni che coltivavano questa spiritualità si riferivano frequentemente ai messaggi di S. Margherita Maria. Questo senza dimenticare la presenza di altri mistici, come S. Bonaventura, Geltrude di Helfta e Matilde di Hackeborn. Altri, invece, vollero approfondire le fonti della spiritualità del Cuore di Gesù nella Scrittura e nella Tradizione viva della Chiesa. Le encicliche Miserentissimus Redemptor (1928) e Haurietis aquas (1956) nacquero da questa ricerca.

Con il Concilio Vaticano II, sorge il movimento del “ritorno alle fonti”. Si susseguono, allora, vari studi che mirano a una nuova lettura della Bibbia (De La Potterie) e della Patristica (Carminati)1. Le antiche intuizioni sono rilette alla luce del rinnovamento conciliare, attento ai segni dei tempi.

Come risultato di questo “ritorno alle fonti”, oggi possiamo riscoprire le radici bibliche e teologiche della spiritualità del Cuore di Gesù. Di più: oltre a ritrovare tali radici, possiamo approfondirle su terreni nuovi. Alcuni tratti caratteristici, come la riparazione, la contemplazione del Costato aperto e le opere di misericordia, possono essere riproposti nell’orizzonte attuale della nostra missione: misericordia che si manifesta nell’opzione per gli esclusi; riparazione come impegno per la Nuova Creazione (giustizia, pace, ecologia); il Costato aperto, ricordo dell’umanità ferita; il Cuore come sintesi della nostra sequela di Cristo.

In queste pagine, intendo presentare alcune “note attuali” sopra le fonti e il significato della spiritualità del cuore. Il testo è più intuitivo che sistematico. Non è un trattato, ma una compartecipazione. Si legga, si mediti e ci si renda partecipe di questa riflessione che non è solo mia. È nostra, perché tutti siamo discepoli di questo Cuore che un giorno ci chiamò, affidandoci il servizio della carità e il ministero della riconciliazione.

L’amore, elemento centrale dell’esperienza cristiana

Quello che distingue il cristianesimo dalle altre religioni non è, in assoluto, i suoi dogmi, il suo culto o la sua morale. È la persona stessa di Gesù Cristo come presenza rivelatrice che “Dio è amore” (1Gv 4,8). È a partire dall’amore (agàpe) che i dogmi, il culto e la morale si definiscono e acquistano un senso veramente cristiano (ispirati all’essere e agire di Gesù). Ricordiamoci che cristiano vuol dire “unto”, cioè: messianico.

Siamo discepoli di un Messia e professiamo una fede messianica: è ora la Buona novella di Gesù, la pratica delle beatitudini, l'accoglienza del Regno di Dio, il servizio all’unità e alla riconciliazione, la speranza di nuovi cieli e nuova terra. Senza questa comprensione messianica dell’amore, la fede cristiana perderebbe il suo significato salvifico.

a. Amore e giustizia nel Primo Testamento

Già nel Primo Testamento, situazioni e limiti storici, l’amore va spuntando come il nucleo della fede e della fedeltà a Javhè. Fu per comunicare la sua vita che Dio creò l’uomo e la donna a sua immagine. Giardino piacevole (Éden) come guardiani e coltivatori. E, anche con la disobbedienza, persiste la promessa amorosa del Creatore: il perdono e la speranza della nuova creazione (cfr. Gn 1-3). Durante tutta la storia di Israele questo amore si manifestò con segni di affetto, fedeltà e liberazione (cfr. Sal 135).

L’amore di Javhè condiziona la sua giustizia: castiga i padri nei figli fino alla quarta generazione, ma fa misericordia fino alla millesima! È per il suo amore fedele (hesed) che egli salva il popolo d’Egitto e ristabilisce l’Alleanza (cfr. Es 3-19). La misericordia più che un’idea attraente, passa a essere il “contenuto pratico” della relazione tra Javhè e il Popolo d’Israele. Il salmo 135, che ricorda i fatti meravigliosi di Dio per il suo popolo, ha un ritornello eloquente e glorificante: “eterna è la sua misericordia”.

È poi alla luce dell’amore che la Legge deve essere accolta, compresa e praticata: “Non ti prostrerai davanti ad altri dei e non li servirai, perché io, Javhè tuo Dio, sono un Dio geloso”(Es 20,5). L’amore esige fedeltà e giustizia. Dio e Popolo si impegnano ad osservare l’Alleanza come condizione per la comunione e la vita: Ecco che oggi pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Se ascolterai i comandamenti di Javhè tuo Dio che oggi ti ordino - amando Dio, percorrendo le sue vie e osservando i suoi comandamenti, statuti e leggi - vivrai e ti moltiplicherai (Dt 30,15-16).

Vita che si accoglie come dono di Javhè, e si custodisce nella libertà e nella carità verso i bisognosi del popolo: gli orfani, le vedove, i poveri e gli stranieri (Lv 23,22). Il diritto e la giustizia devono caratterizzare il popolo che Javhè ha scelto come sua proprietà (Lv 19,15; Dt 16,19; Sal 140,13-14).

I profeti diranno: se il popolo praticherà il diritto e la misericordia, allora vivrà sotto il Regno sovrano di Javhè. Ma se l’amore sarà dimenticato, neppure i sacrifici legali avranno senso: Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà (Is 58, 6-8).

b. Amore-agàpe nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento, Gesù si pone in continuità con la tradizione profetica. Pieno di Spirito Santo, agli ammalati egli annuncia la guarigione; ai peccatori la misericordia; ai prigionieri la liberazione (Is 61, 1-2; Lc 4, 18-19). Questo è il modo di Gesù per dichiarare che Dio regna. E quando gli domandano se è proprio il Salvatore, Gesù fa delle opere il suo attestato messianico. “Andate a dire a Giovanni quello che state vedendo e ascoltando: i ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati e i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciata la Buona Novella” (Mt 11, 4-5).

Nel Vangelo la carità è criterio di salvezza o di condanna definitive (Mt 25, 31-46). Gesù riforma la Legge (Mt 5 ,17-6,18); perdona senza restrizione (Gv 8, 1-11) e proclama le nuove clausole dell’Alleanza: le Beatitudini (Mt 5, 1-12; Lc 6, 20-23).

Nella Cena Pasquale, egli accetta le conseguenze estreme della sua passione per il popolo: “…avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (fino all’estremità dell’amore, secondo Gv 13,1). Offre Se stesso nel pane e nel vino, e ci lascia l’eucaristia come sacramento della sua Presenza, per la redenzione “di molti” (Mc 14, 22-25). Benedice il Padre, lava i piedi dei discepoli e li chiama “amici” (Gv 15,15). Poi, nonostante la sofferenza, egli accoglie e perdona (Lc 23, 33-43). È in forza del suo amore fedele che il sacrificio della croce acquista forza redentrice. Il terzo giorno risuscita, visita quelli che ama e assicura loro il Paraclito, lo Spirito di Verità per la sua Chiesa (Lc 24, 44-49).

L’amore gratuito e operante è quello che caratterizza la proposta di Gesù. Senza questo marchio, Gesù correrebbe il rischio di equiparare il suo progetto al progetto limitato degli zeloti, farisei o scribi. Potrebbe confondere il vangelo con una nuova forma di legalismo, o perdersi in un messianismo facile e populista. Con l’amore, però, tutto si ordina in modo luminoso e, per ciò stesso, più esigente. La legge assume il posto dovuto, considerando la libertà, la grazia e l’opzione fondamentale per la vita umana (“il sabato è per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”: Mc 2,27).

Dio appare nel suo vero volto, non come Dio della Legge o del Tempio, ma come Dio dell’Alleanza e della Vita. In Gesù l’amore è più di un nome. L’amore si cambia in progetto e in giudizio: implica una pratica quotidiana, inaugura un nuovo ordine fondato sopra un nuovo comandamento, e giudica tutti gli altri progetti alla luce del suo radicalismo. L’amore-agàpe come prassi di giustizia e misericordia è l’itinerario scelto da Gesù nella sua missione di Profeta-Sacerdote-Messia (Gv 13-15).

Il Cuore di Cristo

Partendo da questa centralità dell’amore nelle Scritture, la spiritualità del Cuore di Gesù si sviluppò nella Mistica e acquistò maggiore consistenza teologica. Oggi possiamo situarla in termini di cristologia e riconoscere il suo valore nella Chiesa.

a. La cristologia del Cuore

Nel suo cammino storico, in ogni epoca e contesto, la spiritualità del Cuore di Gesù è stata una memoria della centralità dell’amore nella vita di Cristo. Da lì la sua attenzione continua al “cuore” del Signore. Il “cuore” è un cammino per il quale si arriva al mistero di Gesù Cristo, e anche cammino di partecipazione alla missione della Chiesa. Si tratta di una spiritualità cristocentrica (mette Gesù al centro), e centro-cristica (in Gesù, accentua quanto gli è centrale: il suo Cuore, cioè, il suo amore). Il cuore, così si presenta come “matrice” di una cristologia che, fin dai suoi inizi, ha valorizzato l’umanità di Gesù: la sua incarnazione, la sua relazione con il Padre e gli uomini, la sua compassione per il popolo, i suoi affetti, la sua misericordia e la sua croce.

Il termine “cuore” designa il mistero di Cristo nella sua profondità e totalità. Biblicamente, leb (in ebraico) e kardia (in greco) sono termini primordiali, anteriori alla distinzione corpo/anima. Hanno un significato personale profondo e pieno: rimandano a tutta la persona, come soggetto responsabile, capace di amare, sentire, decidere e comunicare con la bellezza e la vita nella sua ampiezza. Più che espressione poetica, conoscere Cristo secondo il suo Cuore è una vera chiave ermeneutica. A partire dal “cuore” si contempla e si esperimenta il mistero del Figlio di Dio in tutti i suoi aspetti: Cuore del Verbo Incarnato, Cuore del Buon Pastore, Cuore Eucaristico, Cuore Umano-Divino, Cuore del Figlio amato dal Padre che ci dà lo Spirito, ecc.2

b. La mistica del Cuore

Però questo linguaggio e questi simboli, tradizionalmente usati, non sono nati a caso, o perché teologicamente convenienti. Dietro alla cristologia c’è una mistica. Una esperienza fontale.

"In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché in lui avessimo la Vita! E noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo" (1Gv 4, 10.16.19).

Questa esperienza è tanto decisiva per la mistica cristiana, che potremmo dire, con Karl Rahner: “se assumiamo la devozione al Cuore di Gesù come evocazione e adorazione supreme del fondamento sopra il quale riposa la congiunzione del reale e l’unità della nostra vita spirituale tanto diversificata, allora ognuno che ha incontrato Gesù Cristo già venera il suo Cuore, anche se non utilizza questa parola”.3 Infatti la spiritualità del Cuore di Gesù non si fonda su pratiche di pietà o in un unico stile di linguaggio, per quanto espressivi possano essere. Le forme di pietà e il linguaggio che usiamo sono elementi fondati; non elementi fondanti. L’elemento fondante - che dà senso a tutto il resto - è l’esperienza dell’amore di Dio: l’opera salvifica del Padre, attuata attraverso l’oblazione del Messia Gesù.

È questa esperienza che chiede a noi una risposta, rendendoci possibile un “sì” all’offerta di salvezza. Da qui presteremo attenzione alle nostre risposte di amore o disamore, attenti a quegli spazi dove si nega l’amore a Dio e al prossimo. Fu, d’altronde, da questa attitudine che sorse la così detta “riparazione”: risposta all’amore divino oltraggiato e non corrisposto, sia nella Chiesa, nella società o nella persona umana. Riparazione che significa: restaurazione del volto di Cristo nel volto disfatto dell’umanità, costruzione dell’unità, instaurazione della giustizia e della misericordia, accoglienza dello Spirito.

Essendo radicata nell’esperienza dell’amore (agàpe ), la spiritualità del Cuore di Gesù ben presto manifestò la sua predilezione per i poveri e i sofferenti. Diventò poco alla volta una mistica carica di politica e una politica animata dalla mistica. Infatti il Cuore di Gesù è la manifestazione della miglior politica: la politica del Regno, che crede nella forza trasformatrice della carità, come ricorda Paolo: “la fede opera attraverso la carità” (Gal 5,6). Ecco l’itinerario della continuazione per la quale la spiritualità del cuore s’immerge nel mistero di Cristo per partire da qui alla trasformazione del mondo.

L’enciclica Haurietis aquas, già nel 1956, metteva in risalto le conseguenze sociali del culto al Cuore di Gesù:

"Il culto del Sacratissimo Cuore di Gesù, per sua propria natura, è culto all’amore con il quale Dio ci amò mediante Gesù e, al tempo stesso - da parte nostra - un esercizio d’amore a Dio e per tutto il genere umano. In altre parole: questo culto propone l’amore di Dio verso di noi come oggetto di adorazione, di azione di grazia e di imitazione, avendo per scopo di portarci alla perfezione dell’amore a Dio e agli uomini, attraverso la pratica sempre più generosa del comandamento nuovo, lasciato dal Divino Maestro agli apostoli, come eredità sacra: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Gv 13,34).

Ma, quale devozione più nobile, più soave e più salutare del culto, sopra lodato, dal momento che questo è tutto rivolto alla stessa carità di Dio? Finalmente, quale stimolo più efficace dell’amore di Cristo - che la pietà verso il Cuore sacratissimo di Gesù fomenta ed accresce ogni giorno più - per portare i cristiani alla perfetta osservanza della legge evangelica, senza la quale non si può avere la vera pace tra gli uomini? Come ci avverte chiaramente lo Spirito Santo, dicendo: “la pace è frutto della giustizia” (Is 32,17).4

Passo passo, la Chiesa andò esplicitando in vari documenti l’identità e i valori tipici della spiritualità del cuore. In questo processo, il contenuto devozionale (localizzato in un’epoca o in una cultura particolare) passa per il filtro delle Scritture e trova nella carità evangelica il suo referente più importante. Dietro agli “affetti del dolce Cuore”, ai “lamenti del Cuore oltraggiato” e alle “promesse del Sacro Cuore alle anime fedeli”, si trovano latenti la carità e la giustizia del Regno di Dio.

Passando dagli elementi fondati a quello fondante (che è l’amore salvifico del Padre, rivelato in Cristo, nello Spirito), possiamo ri-dire questa devozione in base al suo senso evangelico originale. È quello che suggerisce l’enciclica Dives in misericordia, che vede nel culto al Cuore di Cristo un registro di come la spiritualità cristiana assimilò la misericordia divina, lungo i tempi: "La Chiesa pare professare in modo eminente la misericordia di Dio e venerarla, rivolgendosi al Cuore di Cristo. Di fatto, l’avvicinarsi a Cristo, nel mistero del suo Cuore, ci permette di impadronirci in questo punto della rivelazione dell’amore misericordioso del Padre, che costituisce in un certo senso, il nucleo centrale - e al tempo stesso il più accessibile sul piano umano - della missione messianica del Figlio dell’Uomo".5

c. Alle radici dell’humanum

Questa esperienza di misericordia non avviene in modo periferico. Tende sempre a raggiungere il “cuore” della persona: il nostro universo archetipo, centro ultimo dell’humanum, dove la grazia attua in modo trasformante, infatti lì abita “lo Spirito che ci è stato dato” (Rm 5,5). L’esperienza dell’amore di Dio, quando raggiunge in noi questo livello, lascia lì una iscrizione alla quale possiamo ritornare frequentemente, leggendo e rileggendo la presenza di Dio nella nostra vita.

Per questo la spiritualità del Cuore di Gesù ebbe storicamente una culla mistica. Si collocò prima nella sfera del mistero e della contemplazione, prima di ricevere una esplicitazione dalla teologia e dal magistero. Prima l’esperienza fondante. Dopo dunque, la parola teologica. Una “teologia del Cuore di Gesù” sarebbe totalmente vuota senza questa esperienza di amare e essere amato alla maniera di Gesù di Nazaret: avendo sempre presente il Dio-Abbà con la sua tenerezza e promuovendo relazioni di fraternità. Nessun discorso teologico, per quanto bello sia, può sostituire questo dono e questo impegno.

d. Mistica e Politica

Personalità come Matilde di Magdeburgo, Geltrude di Helfta, Margherita Maria, Giovanni Eudes, Padre Chevalier, Teresa Verzeri, Leone Dehon o Charles De Foucauld sono personalità mistiche, nel senso forte e genuino dell’espressione. Vissero la “contemplazione” come collocazione fondatrice dei vari aspetti della realtà. Un’attitudine di Regno, pienamente inserita nella Chiesa, con forti dosi di audacia e creatività missionaria.

Hanno saputo tessere con sapienza i fili dell’orazione e dell’azione, del silenzio e dell’annuncio, della mistica e della politica, in una sintesi che ancora oggi ci sorprende! L’orazione, il lavoro, l’apostolato, le fondazioni, le tribolazioni e i deserti, i viaggi e gli scritti, le strade nuove che aprirono! Tutto era assimilato dinamicamente, fino a formare una matura sintesi spirituale.

e. Discepoli e missionari

La spiritualità del Cuore di Gesù è un programma di discepolato: seguire Cristo alla Scuola del Cuore. Così come Antonio seguì Cristo alla Scuola del Deserto e Francesco alla Scuola della Povertà, ci sono quelli che seguono Gesù Cristo alla Scuola del Cuore. È un cammino evangelico.

E quelli che fanno tale esperienza, la fanno ecclesialmente. Infatti l’amore è essenzialmente comunicazione: “l’amore di Cristo ci spinge!” (2 Cor 5,14). “Quanto abbiamo visto e udito, quello che le nostre mani hanno toccato, questo vi annunciamo!” (1Gv 1,3). Da qui i titoli di missione tipici delle Congregazioni e movimenti del Cuore di Gesù: Serve, Missionari, Oblati, Apostole, Discepole, Messaggere, ecc. “Infatti, come potremmo comprendere l’amore di Cristo per noi, se non amando come lui, in opere e in verità?”.6

f. Portata psico-affettiva

Altra cosa da dover ripensare con sensibilità pastorale, è la portata psico-affettiva di questa spiritualità. Esaminando la testimonianza di vari mistici, troviamo un ritratto psicologico molto intenso, sia del Cristo contemplato, sia dello stesso soggetto. Certamente il linguaggio ci apparirà romantico. Ma non si parlerebbe tanto di “affetti ardenti”, “passione”, “cuore soave” e “fornace di amore” se questo non fosse significativo. Oltre a questo, le espressioni rivelano anche il lato realista del quotidiano, con i suoi conflitti e le sue sfide: umiltà/umiliazione, rinuncia a capricci personali, sforzo per seguire la volontà di Dio, apostolato in situazioni difficili, incomprensioni sofferte all’interno della Chiesa o dalla propria comunità.

C’è un sentimento di comunione con il Cuore ferito di Gesù, che il mistico cerca di consolare/riparare. Offrendosi gratuitamente, il soggetto trova la grazia della propria consolazione.

Senza esigere nulla, ma per “puro amore”. Decodificando questo linguaggio, troviamo alcuni segni di gratuità personale, capacità di attraversare crisi e, in fine, rifarsi. Quindi, consolare e essere consolato, offrire e ricevere misericordia è un’esperienza che ricostruisce. È qualcosa che riorganizza la persona senza escludere le crisi, portando inclusi effetti terapeutici. Risolve in un certo senso il dolore quotidiano, passando dal vuoto alla speranza. Risolve in riconciliazione a livello storico (dei fatti) e a livello affettivo (delle emozioni). L’errore sarebbe di ridurre la spiritualità a questo aspetto. Tuttavia è onesto riconoscere qui certi elementi psicologicamente positivi.

La sfida attuale consiste nel reintegrare questa componente psico-affettiva e anche terapeutica, senza cadere nel soggettivismo o in esperienze emozionali disordinate, che non favoriscono la maturazione o restano escluse da un cammino di discepolato.

D’altra parte, è bene ricordare che l’esperienza di guarigione-restauro è inclusa nella visione biblica della misericordia . Provare la misericordia del Signore è esattamente essere riscattato, liberato e guarito da Dio. La guarigione conferma l’azione liberatrice di Javhè (Es 15,26) e prova la elezione messianica di Gesù: egli guarisce, perché fu unto per manifestare il potere regale di Dio sopra il male e la morte (Mc 1,34). Le sue guarigioni sono un segno evidente della Signoria di Dio, creatore e conservatore della vita. Infatti, nei primi secoli del cristianesimo, Gesù era invocato sotto il titolo soteriologico di archiàtros: “arci-medico” o “medico primordiale” della umanità inferma.7

Vedendo la situazione frammentaria di tante persone, sia per la perdita del senso, sia per le sofferenze subite, è opportuno ripensare la guarigione come esperienza di grazia - offerta dal Cuore di Cristo e azione del suo Spirito in noi. D'altronde, è quello che Giovanni suggerisce con la frase: "Guarderanno a Colui che hanno trafitto" (Gv 19,37). Il testo richiama l'immagine parallela del serpente innalzato nel deserto, al quale gli ebrei colpiti dal male guardavano ed erano guariti. Guariti non da un male qualsiasi, ma dal veleno che distruggeva la loro vitalità interiore (il sangue, nella visione giudaica), portandoli poi alla morte fisica. Non per caso, la mistica giudaica chiama Mosè il “medico” (e non solo “legislatore” come siamo soliti ricordare). Se questo si applica a Mosè, più ancora può essere attribuito al Cristo Trafitto, dalle cui piaghe siamo stati guariti (cfr. Is 53,5).

g. Un cuore per i giovani

In questo senso di guarigione/riconciliazione, due esperienze possono essere ricordate. Una è l’esercizio della meditazione - usato in certi ritiri - in cui, in un momento di preghiera diretta, l’orientatore propone lo “scambio dei cuori” con Cristo. Questo s’ispira a Ezechiele, dove Javhè promette di prendersi il nostro cuore indurito, mettendo nel nostro petto "un cuore nuovo e uno spirito nuovo”(Ez 36, 25-26). Seguendo una guida di preghiera - e meditando in clima celebrativo - molte persone testimoniano la grazia del perdono, della ripresa delle forze e del rifiorire dei carismi. Questo esercizio porta a un’accoglienza più esistenziale del sacramento della riconciliazione, con frutti che si estendono al quotidiano della persona.

La seconda esperienza che cito, è l’accampamento di giovani, formatosi presso la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, a Paray-le-Monial (dove visse S. Margherita Maria). Qui la comunità francese Emmanuel promuove incontri giovanili, con ampia partecipazione. I giovani si accampano intorno alla chiesa. Formano tende di preghiera, lettura della Parola e partecipazione. Uno dei punti forti è la ripresa della storia personale in chiave di perdono: accogliersi per essere trasformati da Dio, poiché la grazia tocca più efficacemente quello che assumiamo e gli presentiamo per essere toccato. Varie testimonianze narrano di un incontro con il Cuore di Gesù, chiamato “buono”, “comprensivo” e “misericordioso”.

Molti scoprono il suo Cuore nella figura del buon pastore o alla luce delle parabole della misericordia (Gv 10 e Lc 15). Così i giovani superano ferite, riscattano il senso delle proprie relazioni (non sempre sane) e si sentono più coinvolti con gli impegni pastorali e famigliari. Essi fanno un’esperienza di salute affettiva, nell’incontro con il Cuore di Cristo.

L’amore come oblazione

Altro valore della spiritualità del cuore è la costante memoria dell’amore di Cristo, inteso e proposto come “oblazione”. Focalizzare Cristo nell’ottica del cuore è risvegliare alla gratitudine e all’offerta che costituiscono l’oblatività tipica del vangelo.

a. Oblazione: semplicità e memoria dell’Alleanza

Nella Torah, l’oblazione è una delle offerte che si può presentare a Javhè:

Se qualcuno presenterà a Javhè un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, sulla quale verserà olio e porrà incenso. La porterà ai figli di Aronne, i sacerdoti; il sacerdote prenderà da essa una manciata di fior di farina e d’olio, con tutto l’incenso, e lo brucerà sull’altare come memoriale: è un sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per Javhè. Il resto dell’offerta di oblazione sarà per Aronne e per i suoi figli, cosa santissima, proveniente dai sacrifici consumati dal fuoco in onore di Javhè (Lv 2, 1-3).

Si tratta di un sacrificio non cruento, fatto di frutti della terra (fior di farina), unto (olio) e profumato (incenso). Oltre a questo, l’oblazione aveva un carattere di giustizia e di condivisione: era offerta a Javhè, in solidarietà con la tribù sacerdotale, che usava una parte dell’offerta per il suo sostentamento. Possiamo dire che si trattava di un’offerta di semplicità: offerta di cose accessibili, meno costosa di un sacrificio di tori e montoni. L’oblazione, così, è offerta dei semplici, e manifesta la semplicità di cuore di chi offre.

L’oblazione è anche “memoriale” dell’Alleanza tra il Popolo e Javhè. Perciò, quando l’oblazione era fatta con l’offerta del pane, mai si usava il lievito. Invece del lievito, si condiva la farina di frumento con sale, chiamato “sale dell’Alleanza” (Lv 2,11-13). L’assenza di lievito ricordava la prima Pasqua e invitava alla fedeltà. C’è un nesso tra Alleanza-oblazione-fedeltà. Solo così questa offerta sarà “gradita “ a Javhè.

Alleanza e fedeltà sono inseparabili. Questo esige coerenza tra l’altare (rituale) e cuore (di-sposizione interiore): “Sacrificio a Dio è uno spirito contrito, un cuore contrito e spezzato, o Dio, tu non disprezzi…Allora accetterai i sacrifici di giustizia sul tuo altare” (Sal 50, 19-21). L’oblazione, come qualunque altra offerta, deve essere fatta con atteggiamento di riconoscenza, fedeltà e gratitudine verso Dio. I salmisti e i profeti insistono in questa disposizione interiore di conversione. Solo così l’offerta rituale sarà legittima, perché è fondamentalmente offerta del cuore: “Chi salirà il monte del Signore? Chi starà nel suo luogo santo?… Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sal 25, 3-4). “Convertitevi e abbandonate le vostre trasgressioni! Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo!” (Ez 18, 30-31).

b. La kênosi del cuore

Gesù cammina sulla pista dei profeti e appare, nel Nuovo Testamento, come espressione massima della “oblazione del cuore”. In tutti i momenti Gesù emana questa attitudine personale di consegna e di obbedienza generosa. Vive senza riserve. Gesù è interamente per il Padre e i fratelli. Fin dall’incarnazione, scorrendo ogni parola, ogni gesto, troviamo un Cristo solidale con le persone, nella costante ricerca di fedeltà al Padre. Gesù vive in sé “cordialmente” l’oblazione, come disposizione permanente della sua vita. La lettera agli Ebrei riassume in una frase questa kênosis di Gesù: “Eccomi vengo, o Padre, per compiere la tua volontà” (Eb 10,7).

Questa oblazione feconda tutta la prassi di Gesù: la relazione filiale con Dio, la sensibilità e compassione verso gli altri, la solidarietà, i gesti di perdono e di guarigione. Da qui la pratica di un amore spoglio e gratuito, un “amore-senza-guadagno”, specialmente in rapporto agli ultimi: gli esclusi, deboli, infermi, miseri e peccatori, che nulla potrebbero offrire in cambio (a volte neppure la gratitudine: cfr. Lc 17, 11-19).

Gesù fa suo l’amore gratuito e senza frontiere come pratica autentica del Giudaismo. È così che egli valuta la Legge e le tradizioni, e si sforza nell’educare i discepoli alla stessa attitudine. Vuole vedere i suoi seguaci praticare l’amore con la stessa generosità (cfr. Gv 13,35). È quanto impariamo dalle “parabole della misericordia”: il buon samaritano (Lc 10, 29-37), il figlio prodigo (Lc 15, 11-32), la pecora smarrita (Lc 15, 4-7), la dramma perduta (Lc 15,8-10) e il buon pastore (Gv 10, 1-18). Da un lato queste parabole mostrano le dure esigenze della carità evangelica, dall’altro lato, i testi sono contrassegnati dalla festa e dalla gioia, esperienza felice di chi sa praticare l’amore con generosità: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora perduta!” (Lc 15,6). Senza dubbio, l’esperienza della carità sintetizza tutte le beatitudini: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica! (Gv 13,17).

c. La nostra oblazione nell’oblazione di Cristo

Paolo esalta il posto centrale della carità nella vita cristiana (cfr. 1Cor 13) e propone la “oblazione” come disposizione per la sequela di Cristo: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come oblazione viva, santa e gradita a Dio: questo è il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,5.7).

Questa esortazione di Paolo ci sollecita per una esigenza molto attuale: oggi, in una cultura in crisi di gratuità, dove il culto del Capitale esige per sé una totale dedizione e obbedienza, provocando esclusione e miseria, è urgente ripensare temi come “oblazione”, “misericordia” e “gratuità”. Così come la Redenzione è efficace nella misura dell’oblazione di Cristo e della gratuità di Dio,8 anche l’evangelizzazione sarà tanto più efficace quanto più la vivremo oblativamente: libertà, donazione, obbedienza generosa, alla Parola; capacità di convivere con limiti, perdono, superamento di preconcetti; attenzione solidale con quelli che “non hanno valore” agli occhi del mondo, perché nulla valgono nella loro povertà.

Qui la spiritualità del Cuore di Gesù mostra il suo aspetto profetico. Infatti ci riconduce all’essenziale del vangelo, all’inizio e alla fine di tutta la sequela di Cristo: l’amore. Amore che sfida le nostre sicurezze; amore che, in questa missione concreta, si mette in questione e chiede nuove soluzioni di giustizia e carità; amore che orienta le nostre posizioni etiche e politiche; amore che si traduce in continua sollecitudine pastorale. L’amore evangelico è semplice come ispirazione, ma ha il potere di mettere in questione d’interrogarci circa la nostra prassi e i nostri valori. Quindi nulla che si riferisca all’amore può essere risolto superficialmente. Come disse Paolo: “la carità di Cristo ci spinge…” (2Cor 5,14).

Il trafitto: contemplazione e solidarietà

La spiritualità del cuore, oltre a quanto abbiamo visto, considera con molta attenzione il Cristo Trafitto. È una risposta all’appello di Giovanni: “guarderanno a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). L’evangelista vede nel Costato aperto di Cristo, da dove “uscì sangue e acqua” (19,34) un segno profetico: Gesù è l’Agnello della nuova pasqua che, con la sua offerta, rinnova l’Alleanza e compie la Redenzione. La letteratura patristica posteriore, così pure la mistica, si riferiscono con frequenza a questo segno.9

Per essere un’intuizione biblica, radicata nell’Alleanza e nei Profeti, la contemplazione del Trafitto e del Cuore aperto rimane qualcosa di tipico della spiritualità del cuore. Si tratta di un invito del vangelo, d’altronde molto significativo, quando lo rileggiamo nel contesto storico attuale. Viviamo un momento di globalizzazione e di nuovi impegni per l’umanità e per il pianeta. Inoltre, risorgono largamente i conflitti, le ingiustizie e le esclusioni, per motivi religiosi, etnici o economici. I nostri popoli sono continuamente colpiti dalla fame, dall'esilio e dalla violenza. La contemplazione del Trafitto - presente nei trafitti di oggi - è un’attitudine evangelica che comporta solidarietà e speranza.

Contemplazione profetica: riconoscere l’amore di Dio nei suoi segni

Già è venuta la sera. Qua e là scendono le ombre. Sul Calvario, tra due emarginati, sta esposto il Cristo Signore, sfigurato per le ferite. Dimenticato e ucciso. Uno dei soldati gli trafigge il costato. È la consuetudine romana di infliggere un colpo finale, garantendo la morte dei condannati. Lì, davanti al Trafitto, tra alcune donne, si trova Giovanni. Gli occhi si volgono verso quell’immagine scandalosa del Maestro crocifisso.

Quello che i suoi occhi contemplano è, al tempo stesso, tragico e rivelatore. Da una parte ci sono oscurità e tristezza; dall’altra c’è il significato occulto di quelle piaghe, segni dell’offerta redentrice del nuovo Agnello. Come in altri episodi - ora in modo sconcertante - Giovanni è sfidato a vedere, credere e annunciare (i verbi teologici di Giovanni):

"Uno dei soldati gli trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Colui che ha visto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è vera; e egli sa di dire il vero, perché anche voi crediate. Infatti tutto questo è accaduto perché si compisse la Scrittura, che dice: ‘Non gli sarà spezzato alcun osso’. E ancora in un’altra: ‘Guarderanno a Colui che hanno trafitto’" (Gv 19, 34-37).

Inserito nel dramma della condanna del suo Signore e Amico, Giovanni vola alto con il suo “guardare sacramentale”. In un’eco irresistibile degli antichi Profeti egli vede il Trafitto e conclude: questo uomo ingiuriato, annichilito fino alla morte, è l’Agnello perfetto e senza macchia, il cui sangue sgorga per la liberazione del Popolo (cfr. Es 12, 21-22.46; 24,8; Gv 19, 33-37). Sulla croce si compie la profezia di Zaccaria:

“In quel giorno ci sarà per la Casa di Davide e gli abitanti di Gerusalemme una fonte aperta, per lavare il peccato e la macchia” (Zc 13,1; tb. Ez 36, 24-26).

In quella immagine deturpata, Giovanni vede il segno più eloquente della misericordia di Dio. In quello che sembra non avere senso, il suo sguardo legge la Rivelazione. In colui che non esprimeva nessuna bellezza, Giovanni contempla la glorificazione del Figlio di Dio. Infatti è lì, nel Crocifisso-Trafitto che Dio manifesta l’insensatezza della sua agàpe, sorpassando la nostra logica con una misericordia senza limiti. Amore di “passione”. Amore debole e pazzo: manikós eros nel linguaggio della Chiesa bizantina. Amore che sorprende, perché è amore incondizionato, fedele fino alle ultime conseguenze: “…ci amò fino alla fine!” (Gv 13,1). Fino al punto di svuotare il Cuore.

Il Costato aperto e il Cuore trafitto sintetizzano la kênosis che Gesù visse lungo tutta la sua vita. Questi martyrion testimonia l’amore divino in modo chiaro e interpellante.

Con l’offerta del cuore l’Alleanza viene stipulata. Scritta con “sangue e acqua” (1Gv 5-6).

Nuova e definitiva: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Il Santuario chiuso del tempio di Gerusalemme non ha più senso. Al rompersi del cuore di Gesù, si strappano le cortine che nascondevano Dio: “allora il velo del Santuario si stracciò dall’alto in basso” (Mt 27,51).

Non ci sono più muri né veli. Ora i semplici e gli squalificati, quelli che prima vivevano esclusi dalla casa di Dio, possono entrare nell’intimità del Signore e sperimentare la sua tenerezza! Possono entrare nel cuore del Padre attraverso il cuore aperto del Figlio. “L’apertura del cuore è la consegna, fatta per uso pubblico, di quello che si considera più intimo e personale. Lo spazio aperto e libero può essere frequentato da tutti”.10

Una volta trafitto per il popolo (Is 53,5), questo Cuore accoglie tutti quelli che arrivano. È l’accesso verso il cuore della Trinità. Tutti possono entrare e permanervi, per sperimentare la bontà del Padre e le gioie del Consolatore.

Contemplazione solidale: i trafitti di oggi

Come abbiamo visto, il Cuore di Cristo si svuotò interamente. Il segno biblico del Costato aperto, pertanto, indica l’annichilamento interiore e totale. Annichilamento del “cuore”, nel senso antropologico, risultato di tutto un processo di liberazione e dedizione. La volontà, le attitudini, i sentimenti, le scelte e le speranze sono, ora, nel deserto della croce. Gesù ha una “anima crocifissa”.

È incompreso dalla moltitudine; tradito da un discepolo; rinnegato da un amico; svestito e umiliato pubblicamente. “Uomo dei dolori che ben consce il patire” - come profetizzò Isaia (Is 53,3). “Agnello che si conduce al macello” (Is 53,7). Una traduzione dice “familiarizzato con l’infermità”. Infatti il Trafitto ha le ferite dell’umanità addolorata, ossia non-salva, priva di redenzione. 11

La passione-amore di Gesù per il popolo terminò come passione-sofferenza dello stesso Cristo. Sulla croce le posizioni si invertono: Egli, che distribuì vita e misericordia, ora è carente di vita e misericordia. Egli, che accolse sofferenti e deboli, ora soffre una umiliazione senza difesa. Egli, che guarì tanti, è ora ferito e senza salute. Gesù scende nei sotterranei della debolezza. Nulla di quanto è umano gli sfugge (2Cor 5,21). E un poco prima di dare la vita e essere trafitto dalla lancia, egli fa l’esperienza del Salmista: “Dal più profondo, io grido!” (Sal 129,1).

Nel silenzio perplesso del Padre irrompe il grido del Figlio: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Un grido in tre dimensioni:

Gesù è presenza di un Dio non solo parola, ma di un Dio che assume la nostra carne e, così, la sua parola si converte in grido. Sulla croce non si può separare grido di Dio e grido del popolo. L’uno e l’altro sono crocifissi nella persona di Gesù. Gli evangeli lo dimostrano, con la frase: Eloi, Eloi, lemá sabacthani! (Mc 15,34). Questo grido è una trascrizione del Sal 22,2. Fatta, non in ebraico, ma in aramaico: la lingua non-ufficiale, pertanto non-liturgica, usata dalla gente semplice. Questo grido colloca Gesù tra gli ultimi, alla periferia del sistema e del potere. Gesù viene letteralmente escluso. Fuori dalle mura. Fuori dalla città. Il suo Regno non è di questo “sistema” (kosmos: Gv 18,36). Egli ha scelto di stare con quelli di fuori, i non-cittadini, sprovvisti di diritto e protezione. Gesù si colloca tra quelli che sono vittime e, con loro, grida al Dio delle Promesse.

Guardando il Trafitto, ricordiamo il grido appena emesso da lui. Lo stesso Gesù soffre una passione in due atti: primo, l’umiliazione, il dolore e il grido (crocifissione); dopo il silenzio, la morte e il Costato aperto (trasfissione). La contemplazione del Trafitto abilita i nostri occhi a vedere i trafitti di oggi; educa le nostre orecchie per udire i clamori di oggi. Gesù continua misteriosamente presente nei trafitti che gridano con voce quasi ammutolita, denunciando l’assenza di Dio, della dignità e del pane. Grida di molti che soffrono la morte prematura, condannati all’esecuzione sulla croce delle guerre, della denutrizione, delle politiche ingiuste e della miseria.

Discernere la croce del povero nella croce di Cristo - e la croce di Cristo nella croce del povero - preserva la contemplazione del Trafitto dall’alienazione. Se qualcuno sta lontano dalla periferia, in qualche palazzo comodo di Gerusalemme, banchettando con quelli “di dentro”, basta aprire le orecchie: ascolti il grido del Crocifisso e subito saprà dove si trova il Calvario. Allo stesso modo, bisogna ascoltare le urla della gente sofferente (quelli “di fuori”) e subito si saprà dove stanno i crocifissi della Storia. La realtà è ancora più esigente, quando l’ingiustizia oltrepassa la misura del sopportabile, ma i trafitti possono ancora gridare… E poi la debolezza e la disperazione li fa tacere.

Contemplazione pasquale: il Trafitto è risuscitato

Per la fede cristiana la croce è sempre stata un paradosso: dalla morte ci viene la Vita. Perciò la croce - come ogni male visto a partire dalla fede - sfida la nostra speranza. È necessario immergersi nel Mistero per ammettere questo paradosso morte-vita. Infatti, per quanto forti siano le sofferenze e l’esperienza del male, non facciamo professione di fede nella morte. Anche davanti al Crocifisso-Trafitto! La morte è una realtà bugiarda. Pretende di essere l’ultima, ma non lo è. Si dice forte e definitiva, ma è debole e nulla riesce a concludere. Scopriamo che il dramma di Gesù, sul palco della Storia, ha un terzo atto, escatologico e sorprendente: la Risurrezione.

Il processo ingiusto che culminò con la morte di Gesù non è l’orizzonte finale della fede e della prassi del cristiano. Nessuno si arrischierebbe a credere e vivere davanti a un Dio morto, sarebbe infatti un non-credere e un non-vivere. In verità, l’orizzonte ultimo della nostra fede è la Vita. Sia la vita occulta e nascosta sotto le ferite del Crocifisso-Trafitto, sia la Vita possibile e soffocata sotto il dolore di tanti altri trafitti, nostri fratelli. Con la certezza della Risurrezione sempre si avrà una fiamma di speranza lì dove la morte cerca di regnare, ma la Vita permane nella sua sete di essere suscitata e risuscitata. Dunque bisogna ricordare, e solo in questo orizzonte definitivo della Risurrezione che la Croce può essere ben compresa. Solo la Risurrezione è “definitiva”: perché definisce la croce (le dà limiti), definisce la nostra fede (in che cosa crediamo) e definisce la nostra prassi (quello che pratichiamo). È in questo quadro della Risurrezione che contempliamo, finalmente, il Trafitto.

Gesù Trafitto è l’agnello pasquale, preparato per 33 anni per restaurare la vita del popolo e l’Alleanza in Israele. La sua oblazione è una “offerta di semente” , destinata a produrre frutti di speranza e redenzione. Egli riscatta il popolo dalla morte e dà un senso nuovo alla storia umana. Questa “offerta per la vita” fa dell’oblazione di Cristo un evento pasquale, distinto dagli altri sacrifici dell’Antico Testamento. Gesù è morto come risultato della sua fedeltà al Dio dell’Alleanza, Padre suo.12

Essendo un sacrificio nuovo, distinto dagli altri, realizzato sopra l’altare della fedeltà e dell’alleanza, la morte redentrice di Gesù è pure “definitiva”: a partire da essa, nessun altro sacrificio umano, nessuna altra morte, può essere accettata. Il sacrificio di Cristo nega, supera e condanna tutte le forme sacrificali che l’ingiustizia potrà instaurare nel corso della Storia.

È la morte che sconfigge la morte. È un grande “no” escatologico, pronunciato con violenza contro tutte le altre morti.

La spiritualità del Cuore di Gesù scorge nel Trafitto-Risuscitato una luce nuova: la luce della risurrezione. Infatti la contemplazione del Cuore trafitto era molto accentuata dal dolorismo, esplicitando poco il senso pasquale che possiede la stessa trafittura. Tanto è vero che molti autori consideravano i Padri della Chiesa e i mistici medioevali come i primi esempi di contemplazione del Trafitto (i quali meditavano soprattutto la passione e morte di Gesù). Tuttavia, questo guardare verso il Trafitto incomincia prima, con i primi discepoli di Gesù, e è un’esperienza chiaramente di risurrezione.

"La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi'. Dopo aver detto questo alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi'" (Gv 20, 19-23).

Il Trafitto, qui, è il Cristo vivo e risuscitato. Le sue piaghe richiamano la croce, ma non si fissano in essa come se fosse l’ultimo atto del Mistero Pasquale. Il primo atto (morte) e il secondo (costato aperto) sono coronati da un terzo: la risurrezione.

Per Giovanni la ferita del Costato ricorda la croce; ma prova anche che il crocifisso è risuscitato!

Riconoscere nel Trafitto il Gesù che ora vive, è qualcosa di decisivo per la fede dei discepoli. È quanto dimostra Tommaso: assente dalla comunità in quel momento, si rifiutò di credere nella testimonianza degli altri e fu necessario farne personalmente l’esperienza. Anche a lui Gesù annunzia la pace e gli mostra le piaghe delle mani e del costato aperto. E così egli può riferirsi alla croce e ricuperare la sua fede nel Messia Gesù: "Metti qui il tuo dito, e vedi le mie mani! Stendi la tua mano e ponila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente! Gli rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!'" (Gv 20, 27-28).

La comunità dei discepoli fa la prima esperienza ecclesiale di contemplazione del Costato aperto (dopo l’esperienza personale di Giovanni). In questa esperienza la croce è interpretata alla luce della risurrezione e le promesse di Gesù sono pienamente compiute. Egli li fornisce dei doni pasquali che conforteranno la testimonianza della comunità: la pace, la gioia, lo Spirito, il perdono, la missione e la fede.

Inoltre, la scena ci aiuta a guardare indietro e a percepire che c’è un senso negli eventi vissuti prima, a partire dagli annunci della passione fino alla manifestazione del Trafitto agli apostoli. Nel vangelo di Giovanni, il Trafitto concede ai discepoli una “prima pentecoste”, anteriore a quella narrata da Luca. Anche sulla croce, Gesù non muore, ma “consegna (o dà) lo Spirito”. L’acqua che scaturisce dal suo cuore aperto è segno di questo Dono (cfr. Gv 19, 30-34). Questo viene chiarito dallo stesso evangelista: "Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, levatosi in piedi, esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato". (Gv 7,37-39).

Così la contemplazione del Cuore aperto è annunciata con segni, si colloca nella croce e si proietta fino alla risurrezione. Nel corso dei secoli questo passaggio segno-croce-risurrezione è fatto da Geltrude di Helfta, Margherita Maria e altri, in una esperienza coerente con la relazione di Gv 20, 19-23. Il Cristo, che queste donne contemplano, è allo stesso tempo il Trafitto e il Risorto. Cristo mostra ad esse le sue piaghe e il costato aperto. Non nasconde il realismo della croce, ma è una presenza viva e portatrice di speranza: Egli si avvicina, parla e mostra il suo Cuore palpitante (immagine di un amore vivo).

Oggi non usiamo più le stesse immagini di Geltrude o Margherita Maria. Tuttavia il Vangelo continua a invitarci a contemplare il Cuore del Risorto. Perciò, nulla di più ispirato dell’itinerario proposto dallo stesso Giovanni, il discepolo del Cuore di Gesù per eccellenza. È lui che fu presente al segno pasquale dell’Agnello trafitto, e si rallegrò nel riconoscerlo vivo nella comunità e, finalmente, profetizzò la sua manifestazione gloriosa: "Ecco, Egli viene, glorioso, sopra le nubi! E tutti lo vedranno, anche quelli che lo trafissero". (Ap 1,7).

Un significato che si rinnova

In queste pagine abbiamo parlato del “cuore”. Abbiamo considerato via via il suo mistero, fino a scorgerlo come Cuore Trafitto. Da un lato, segno di amore pazzo di Dio, che sconcerta e si offre alla contemplazione. Dall’altro, provocazione della misericordia del Padre, che ci rimanda ai trafitti della Storia, per guarirli e riscattarli, come ha fatto Gesù.

Così la spiritualità del cuore, tanto conosciuta nelle sue espressioni tradizionali, mostra il suo vigore evangelico e la sua permanente novità. Infatti non riguarda questioni periferiche della fede, ma ha il vantaggio di comunicarci quanto è essenziale al cristianesimo: l’amore-donazione di Dio, visibile nel Cuore del Figlio Gesù. Spiritualità, pertanto, piena di densità:

- Densità evangelica: essendo eminentemente cristologica, la spiritualità del cuore rivela quello che costituisce il “cuore” del Redentore: la sua oblazione amorosa, visibile nella fedeltà al Padre e nel servizio dei fratelli. Nella spiritualità del Cuore di Gesù troviamo una “summa” di tutto il vangelo.

- Densità mistica: che ci pone faccia a faccia con l’Amore divino, non perché sia speculato, ma per essere sperimentato. Questo è stato il marchio forte della spiritualità del cuore lungo la Storia: la testimonianza di molti uomini e donne, mistici, che vissero la carità nella sua bellezza e vigore, come amore sperimentato e amore condiviso. Oggi tentiamo di ricuperare questa esperienza. È questo che fa di una spiritualità qualcosa di genuino e storicamente significativo.

- Densità pasquale (litanie del Cuore di Gesù). Infine i trafitti del mondo possono sollevarsi dal loro dolore e ravvivare la speranza! Gesù realizza la vittoria della vita sopra la morte. Vittoria dell’irrefrenabile eros divino contro la thánatos assurda. E di questa vittoria partecipano tutti quelli che, fedeli come il Servo Sofferente, seppero resistere alla morte con la sua giustizia e la sua bontà.

- Densità, quindi, apostolica: ogni esperienza d’amore deve essere esperienza di partecipazione. L’amore esige di essere comunicato. La spiritualità del cuore ci fa vedere i deserti, dove la carità non è stata ancora seminata. Deserti che interpellano la nostra pratica e interferiscono nei nostri discernimenti. Soprattutto in una realtà di povertà radicale, dove, la mancanza di progetti storici e utopistici nega non solo il pane, ma anche la speranza.

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NOTE

1. Ricordando questi autori, cito: RAHNER, K.: Teologia del Cuore di Cristo, Roma, ADP, 1995; De La POTTERIE, I.: Il mistero del Cuore trafitto, , EDB, 1988; CARMINATI, A: È venuto nell’acqua e nel sangue, Bologna, EDB, 1979.

2. Cfr. Gaudium et spes, n. 22

3. Citato in AA. VV.: Coração de Jesus e espiritualidade de Reparação, S. Paulo, Loyola, 1989, p. 27.

4. Haurietis Haquas, ed. in portoghese, pp. 33-34 e 38. Cfr. AAS 48 (1956), p. 345 e 350.

5. Dives in misericordia, ed. in portoghese, n. 13. Cfr. AAS 72(1980), p. 1219.

6. Congregazione dei Sacerdoti del Cuore di Gesù (dehoniani): Costituzioni, n. 18

7. Cfr. DUMEIGE, G.: “Le Christ médecin”, in Dictionnaire de Spiritualitè, vol. X,c. 892-893, Paris, 1980.

8. Cfr. Lumen Gentium, n. 3.

9. Cfr. CARMINATI, A.: È venuto nell'acqua e nel sangue. Pubblicato in portoghese dalle Ed. Paoline.

10. BALTHASAR, H.U.: Mysterium salutis,III-6, Petrópolis, Vozes, 1974, p. 90.

11. Tanto salus (in latino), quanto yashá (in ebraico) significano al tempo stesso salvezza e salute. Quando Dio opera la salvezza, offre all’essere umano la grazia di essere libero, riscattato, rifatto e guarito. La persona ritorna così allo shalom originale: si incontra di nuovo con la bellezza e la pace della prima creazione. Perciò, ogni azione salvifica è anche ri-creazione per il potere di Dio, che fa nuove tutte le cose. Abbiamo qui una visione integrale della salvezza, che raggiunge l’interezza della persona: dalla sua psiche al suo corpo, dai suoi desideri alle sue relazioni, dalla sua dimensione individuale alla qualità di membro del Popolo eletto.

12. Nuovamente Lumen gentium.

Bibliografia

BERNARD; C.: Le Coeur du Christ et ses symboles, Paris, Tequi, 1981.

CARMINATI. A.: È venuto nell’acqua e nel sangue, EDB, 1979

DE LA POTTERIE, I.: Il mistero del Cuore trafitto, EDB, 1988.

DE MARGERIE, B.: Histoire doctrinale du culte au Coeur de Jésus, Paris, Mame, 1992.

GAIDON, M.: Un Dieu au Coeur transpercé, Paris, St.-Paul, 1980.

RAHNER, k.: Teologia del Cuore di Cristo, Roma, ADP. 1995.

TESSAROLO, A.: Theologia Cordis, EDB, 1993.