DALLE NOSTRE MISSIONI E DAL MONDO

L'IMPATTO DELLA GLOBALIZAZIONE DEI MEDIA
SULLA CULTURA LOCALE

Francesco de Vendite, scj

Con gli orecchini che pendono dagli orecchi, un gruppo di giovani cammina nella International Plaza, una delle più ampie di Palembang, Sumatra Meridionale (Indonesia). Siamo all'inizio di giugno del 1998 (stagione asciutta o estate), i giovani e gli adolescenti trovano in ampio spazio, con molti negozi, un posto adatto per rinfrescarsi. Anche se il tempo è caldo ed umido, essi indossano le loro Nike, Adidas, Reeboks, e Filas. Essi passeggiano tranquillamente.

Alcuni di loro hanno la testa rasata come Michael Jordan oppure O'Neal (due famosi giocatori di pallacanestro americani). I loro jeans corti (alcuni sono strappati) fanno rassomigliare i giovani indonesiani a molta gioventù americana che essi hanno visto alla televisione.

“Noi facciamo del nostro meglio,” ci dice uno degli adolescenti quando ci rivolgiamo al gruppo che è seduto su di una panca in mezzo alla piazza.

“Ho visto dei film americani che presentano giovani americani che portano dei jeans strappati. Mi sono sembrati più liberi. Mi sono piaciuti. Volevo essere come loro. È bello”, dice un altro che porta jeans strappati.

“Io ho visto Michel Jordan con le scarpe Nike sulla CNN. Vola in aria seguito dal logo di Nike ‘Just do it'. Penso che sia bello avere un paio di scarpe Nike. Mi piace anche portare una maglietta con su Michael Jordan" dice un ragazzo che porta scarpe Nike ed un jersey numero 23 (il numero di Michael Jordan).

In molte grandi città dell'Indonesia questo non si vedeva prima dell'inizio anni '80, quando il mondo era ancora diviso da varie ideologie e blocchi. John Fiske qualificherebbe questo fenomeno come ascesa della cultura popolare che lui descrive come un'espressione della classe subordinata. Portare jeans strappati è un'evasione o fuga dalla classe dominante. E dice anche che la mancanza della differenziazione nei jeans, dà la libertà di essere se stessi che arriva al paradosso rivelatore per cui il desiderio di essere se stessi conduce uno a portare gli stessi indumenti di tutti gli altri (Capire la Cultura Popolare, p. 2-3).

Giovani americani che indossano jeans strappati, visti in televisione dalla gioventù indonesiana, possono rappresentare un fenomeno di lotta o ribellione alla classe dominante come Fiske descrive nel suo libro. La gioventù americana è imitata dalla gioventù indonesiana che vede i jeans lacerati da una prospettiva diversa. Essi possono identificarsi come nuova generazione che deve gustare la vita moderna. C'è quindi, un significato simile nell'indossare jeans strappati.

Un altro esempio di come forte sia l'influsso della globalizzazione è Reebok. Quattro anni dopo la caduta del Muro di Berlino, che segnò la fine della Guerra Fredda, Reebok, una delle industrie più in crescita della storia degli Stati Uniti, decise che era giunto il tempo di esportare il suo marchio in Russia. Reebok aprì il suo primo negozio nel centro di Mosca nel luglio 1993. Una settimana dopo la grande apertura, i direttori del negozio descrissero vendite al di sopra di ogni aspettativa. Ms. Magazine descrisse i russi che avevano improvvisamente "la libertà" di spendere soldi su icone culturali Americane come le calzature sportive. La Reebok si rivolse poi ai giovani e ai bambini. Li persuase a costringere i loro genitori a spendere soldi per eleganti calzature Occidentali (Ms. Magazine, Marzo/Aprile 1995, p. 10). Quello che mi colpisce di più è il fatto che nel mondo d'oggi, che è guidato da un'era nuova ben conosciuta per la sua globalizzazione, persone di tutto sul mondo possano condividere i loro bisogni.

La potenza dell'immagine propagandistica di Reebok o Nike, Camel o Marlboro, McDonald o Kentucky Fried Chicken, Cola di Coca o Sprite, Levi-Strauss o Wrangler ha reso facile vendere questi prodotti in tutto il pianeta.

Questi prodotti usano i media globali che hanno un ruolo economico fondamentale. I media globali forniscono parte dell'infrastruttura globale per ditte di non-media. I media globali forniscono il veicolo principale per la propaganda, e, nello stesso tempo, facilitano l'espansione corporativa in nazioni, regioni, e mercati nuovi. Di conseguenza, noi vediamo, come i prodotti di necessità quotidiana ed i media globali lavorano insieme per occupare o colonizzare nuovi consumatori.

I logo di Sprite "Obbedisci alla tua sete" (Obey your thirst) o di Nike "Fallo anche tu" (Just do it) e "La vita della gioventù americana" (The life of American youth) sono probabilmente i temi principali per la vita di ogni giorno di una generazione nuova. Essi hanno bisogno di gustare l'aria fresca del modernismo. Essi hanno bisogno di sentirsi come Jordan che vola agevolmente nell'aria con un paio di Nike e poi sorride quando plana sul pavimento. La realtà di Jordan rappresenta il sogno di milioni di giovani in tutto il mondo. Ciò che la propaganda fa a milioni di persone nel mondo di oggi è di colpirli e confermare che i prodotti che loro usano hanno una migliore qualità e, perciò, possono venire incontro alle loro necessità quotidiane.

La pressione dei media globali americani ha influito molto sugli altri media del mondo perché accettassero anch'essi pubblicità e gli spot televisivi. La Società di Radiodiffusione Britannica (BBC), che una volta aveva bandito la pubblicità e si appoggiava finanziariamente su di una tassa di licenza annuale pagata dagli ascoltatori, ha accettato infine di fare della pubblicità nella diffusione dei suoi nuovi programmi.

Nel trasmettere annunci pubblicitari in tutto il mondo, i grandi media inserirono anche le loro ideologie capitalistiche, perché esse sono un modo potente di vendere i prodotti dei loro inserzionisti. Tutto ciò stimola altri paesi ad aprire liberi mercati dove le società possono competere l'una con l'altra. L'accettazione a largo raggio e l'internazionalizzazione dell'ideologia globale corporativa influiscono grandemente sul potere economico e politico dei loro sponsor.

Nell'arena politica, gli interessi corporativi dominano anche le campagne elettorali con la loro abilità nel procurare aderenti. I grandi media e le corporazioni, in un paese, hanno bisogno anche di assicurarsi la stabilità per proteggere i loro affari. I media commerciali possono avere un ruolo centrale nel sistema politico. Essi diventano i "nuovi missionari" per promuovere le virtù del commercio sotto le quali i sistemi capitalistici possono svilupparsi. Inoltre, come Bagdikian dice nel suo libro Il Monopolio dei Media, i proprietari di media guadagnano nuovi adepti coi loro sistemi di conglomerazione. Essi hanno comprato ed ancora stanno tentando di comprare i media nel mondo per occupare i mercati con i loro prodotti. In questo senso, il sistema corporativo dei media, da una parte, è utile per immettere degli aspetti democratici nei sistemi politici dei paesi repressivi. In Indonesia, dove la teoria autoritaria dei media funzionò perfettamente, l'opera dei media corporativi fu di proteggere i media nazionali dalla sospensione delle loro licenze da parte del governo. Nel passato quando il Generale Suharto governava ancora in Indonesia, KOMPAS, un giornale nazionale indonesiano, ad esempio possedeva molti giornali metropolitani e periodici che avrebbero potuto pubblicare degli articoli di oppositori al governo del Presidente Suharto. Questi articoli non potevano essere pubblicati da KOMPAS stesso. Ma i giornali metropolitani e i periodici avevano più libertà di pubblicare articoli proibiti a causa del numero limitato dei loro lettori.

D'altra parte il sistema conglomerato provoca anche un controllo severo dei grandi media per ottenere maggiori profitti. Il controllo dei media costituisce una minaccia per la sfera pubblica per molte ragioni.

Primo, essi poggiano sul controllo della proprietà e, perciò, tenderanno a rappresentare l'interesse di una classe ristretta. Per aumentare i loro interessi su larga scala, i proprietari di media tendono a concentrarsi e ad allinearsi con corporazioni che hanno più larghi interessi.

Secondo, i possessori privati di media dipendono dai redditi pubblicitari e devono, perciò, entrare in competizione per attirare l'attenzione dei loro inserzionisti e servire gli interessi dei loro sponsor. In questo senso, il sistema conglomerato tende ad accaparrarsi gli inserzionisti per fare più profitti. Di fatto ciò che la gente si aspetta da loro nell'arena politica è che il sistema globale dei media, con il suo aspetto corporativo, possa influire sui leader di molti paesi repressivi per spingerli ad un sistema democratico che possa funzionare bene. Il loro interesse politico è di costituire più sistemi di libero mercato per guadagnare più profitti ed inserire il loro sistema capitalistico perché, quando la società è più capitalistica, il potere di acquisto delle persone è più alto che negli altri sistemi sociali. Nel fare ciò, essi spingono perché si crei una situazione più stabile in quei paesi senza tenere conto del sistema politico di quei paesi. Per essi, la cosa più importante è la garanzia del governo sulla presenza della loro corporazione.

Gli effetti della Globalizzazione dei media

E.S. Herman e R.W. McChesney hanno sottolineato alcuni effetti globali dei media per il sistema del mondo di oggi.

Primo, i media globali tengono sotto pressione e minacciano i sistemi dei media, controllati dallo stato, che sono a volte compiacenti, pesanti, e con povertà di contenuti, per stimolarli ad estendere ed approfondire i loro servizi. Questo però io penso che accada solamente nei paesi occidentali dove il sistema politico è più democratico. È difficile dire che questa situazione possa accadere in paesi con sistemi oppressivi, dove la vita di molti giornalisti è minacciata. Il ruolo dei media in quei paesi, chiamati Terzo Mondo o paesi in via di sviluppo, è di servire i regimi oppressivi. Il ruolo dei media globali è molto limitato nel creare una situazione più democratica perché non possono spingere i governi a cambiare i loro sistemi politici. Se i media globali facessero così, certamente perderebbero i loro mercati.

La pressione dei media globali sui sistemi di radiodiffusione, controllati dallo stato, può accadere più facilmente in una società più democratica come gli Stati Uniti. Falliscono se cercano di spingere al cambiamento nei paesi a regime dittatoriale. Forse, attraverso la cultura popolare, come John Fiske suggerisce, il popolo può ottenere il cambiamento in una società che sia in via di sviluppo. Tuttavia, i media globali che trasmettono anche la cultura popolare possono imparare dalla metafora militare di De Certeau:

“Le tattiche di guerriglia sono l'arte dei deboli: essi non sfidano mai i potenti in campo aperto, perché questo porterebbe alla sconfitta, ma mantengono la loro opposizione dentro e contro l'ordine sociale, dominato dai potenti” (in Capire la Cultura Popolare, p. 19).

Il problema è: questa strategia può funzionare con successo in paesi dove i leader concentrano la loro attenzione solamente sul guadagnare più profitti?

Secondo: un effetto positivo della globalizzazione dei media è la diffusione rapida della cultura popolare, sviluppata nei centri commerciali dominanti, fino ai più lontani angoli della terra.

La sua accettazione universale indica che si è colto un bisogno e una domanda sentita da molti, e la sua portata globale costituisce un più grande collegamento fra i popoli e fa sorgere una specie di cultura globale. C'è anche qui un maggior flusso verso i centri culturali, e un flusso orizzontale in regioni che si aprono a nuove prospettive e possono meglio capire culture diverse piuttosto che all'interno di stati dominanti e subordinati (Herman & McChesney, p. 9).

Sono totalmente d'accordo con questi punti di vista che cioè la globalizzazione, diffusa dai media globali, aiuta le persone ad essere più vicine l'una all'altra. C'è un minor distacco fra nazioni, tribù, clan, razze, religioni, e culture.

Tuttavia, il dibattito in seno al New World Information and Communication Order (NWICO) degli anni settanta aveva la sua verità. Le Nazioni Non allineate criticavano i media globali per lo "squilibrio quantitativo e flagrante tra Nord e Sud" e la corrispondente ineguaglianza nel comunicare le informazioni. La diffusione dei programmi di divertimento nel Terzo Mondo fu criticata come imperialismo culturale che inculcava valori occidentali, alieni al pubblico. I media globali furono visti soprattutto a servizio della TNC e degli inserzionisti, mentre rinforzavano in tal modo le disuguaglianze della economia globale.

I media globali forniscono dei programmi che sono soprattutto una forma di comunicazione a senso unico. Solo l'espressione di un certo modo di vita, non una condivisione di esperienze culturali. I programmatori, che hanno le loro ideologie, le proiettano sul pubblico. Le persone che appartengono a culture, tribù, razze, religioni e nazioni diverse possono solo discutere i programmi, dopo che sono stati diffusi. Non possono rispondere direttamente, esprimendo le loro opinioni o impressioni, come in un teatro popolare, sui programmi che stanno guardando. Le persone sono di fronte ad un schermo. Sono spinte ad essere d'accordo coi programmi che sono diffusi attraverso i media globali.

Il potere dei media globali, con film e altri programmi, ha prodotto in tutto il mondo quello che Twitchel chiama il fallimento del gusto in America. I giganti dei media americani stanno esportando ogni genere di immondizia in tutti gli angoli della terra che automaticamente spinge le persone ad accettarla, come fanno molti americani. I media globali stanno persuadendo le persone della terra di quello che dice Twitchel,

“Noi viviamo in una cultura che ancora reagisce al cattivo gusto ma rifiuta di ammettere che sia tale. Se noi volessimo rimuovere il Richard Titled Arc, una stele di acciaio alta dodici piedi, dal suo posto di fronte all'Edificio Federale per collocarla in Foley Square, penseremmo che è una cosa piuttosto azzardata. Fino a poco tempo fa eravamo pronti a condannare il cattivo gusto. Adesso non solo diciamo “Chacun a son goût” ed il "De gustibus non est disputandum,” ma noi ci crediamo” (Twitchel, p. 16).

A proposito della violenza nei media, Ellen A. Wartella dice che la violenza è un tema dominante della televisione. Dice anche che, alla televisione, i trasgressori restano impuniti (Il Contesto della Violenza alla Televisione, p. 6). Anche questo genere di violenza è esportato dai media globali su tutta la terra. Se abbia un influsso diretto sulle persone negli altri paesi, noi non sappiamo. Ma per certo, c'è un collegamento tra la violenza dei media e la vera violenza nella società.

L'effetto positivo relativo della globalizzazione dei media è il passaggio oltre i confini di alcuni dei valori fondamentali dell'Ovest, come l'individualismo, lo scetticismo dell'autorità, e, in una certa misura, i diritti delle donne e delle minoranze. Questi aspetti erano quelli che i media promuovevano una volta: i diritti umani, i diritti delle donne e delle minoranze, delle tribù indigene e altri aspetti della giustizia sociale nel mondo. I media globali di oggi però sono manipolati. Essi non pubblicano i loro documenti secondo le necessità delle persone, ma preparano i loro palinsesti secondo i loro interessi ideologici.

A riguardo delle donne che lavorano, in paesi in via di sviluppo, in molte fabbriche di scarpe, che appartengono a paesi occidentali, Cynthia Enloe descrive questa ingiustizia. Afferma:

“Tutto l'‘Ordine del Mondo Nuovo' in realtà significa riunire in corporazioni le grandi industrie allo scopo di accelerare la produzione. Nei primi anni '80, i direttori di Reebok e Nike, che sono ambedue degli Stati Uniti, decisero di fabbricare la maggior parte dei loro sneakers nella Corea del Sud e a Taiwan, assumendo a lavorare donne locali. Ben presto altre come L.A. Gear, Adidas, Fila, ed Asics seguirono l'esempio. In breve tempo, la città litoranea di Pusan, Corea del Sud, divenne "la capitale degli sneakers nel mondo". Per di più, il governo militare della Corea del Sud aveva interesse nel sopprimere il lavoro organizzato dallo stato, ed aveva anche un'alleanza militare con gli USA. Le donne coreane inoltre sembravano accettare la filosofia confuciana che misura la moralità di una donna dalla sua volontà di lavorare sodo per il benessere della sua famiglia ed essere acquiescente ai dettami di suo padre e di suo marito. Con il loro dovere patriottico, le donne coreane sembrarono la forza di lavoro ideale per le fabbriche orientate all'esportazione” (Ms. Magazine, p. 12).

Molti sperano che i grandi media o i media globali possano fare qualche cosa per molte donne oppresse nel mondo e che sono considerate anche minoranze. Ma cosa possono fare se sanno che, dopo avere presentato una tale situazione terribile, possono perdere un gran mucchio di soldi dai loro sponsor?

L'internazionalizzazione dell'ideologia sociale e globale corporativistica si basa sull'enorme potere economico e politico dei suoi finanziatori. Herman e McChesney dicono che la situazione diventa peggiore quando “illustri pensatori, accademici, e agenzie di pubbliche relazioni si fanno propagatori significativi dell'ideologia corporativistica. La loro influenza è grande e crescente nel sistema dei media” (p. 37).

Enloe aggiunge che senza uno speciale controllo del posto di lavoro (i media globali, che hanno funzione di osservazione, dovrebbero fare di più per assicurare un controllo del posto di lavoro), che solamente un governo autoritario avrebbe potuto offrire, i dirigenti d'azienda degli sneakers seppero che era l'ora di trasferirsi. Ella afferma:

“Nel caso di Nike, il suo famoso motto pubblicitario - “Just do it” - si dimostrò più vero per la sua filosofia sociale che per la sua campagna di "dare potere" alle donne, presentando donne atletiche (e consumatori) che corrono. Il governo della Cina rimane nominalmente comunista; i generali che governano l'Indonesia sono fedelmente anti-comunisti. Ma ambedue gli stati sono governati da regimi autoritari che condividono il principio che le donne possono essere tenute schiave del lavoro, pagato poco e non organizzato. Esse possono servire come un magnete per gli investitori stranieri” (Ms. Magazine, p. 13).

Alla luce di questo, devo dire che il ruolo dei media, come controllo, ha giovato solo ai loro interessi commerciali. La domanda è come le persone reagiscono al ruolo dei media che essi utilizzano quotidianamente.

Il terzo effetto positivo della globalizzazione dei media, che abbiamo menzionato, è l'individualismo come un aspetto che viene esportato in tutto il mondo. È vero che l'individualismo ha aiutato le persone a migliorare la vita. L'uso della televisione, per esempio, crea persone più individualistiche in società. La gente dà retta allo schermo. La gente capisce di più quello che deve comprare per le necessità quotidiane. La televisione soddisfa le necessità delle persone trasmettendo annunci pubblicitari. Facendo così, i media globali offrono un grande e svariato mercato per le grandi società che vogliono vendere i loro prodotti.

E.S. Herman e R.W. McChesney fanno un bel commento su questo punto:

“Il modello commerciale ha la sua propria logica interna e, siccome i proprietari sono privati e sono sostenuti dagli inserzionisti, tende ad erodere la sfera pubblica e creare una 'cultura del divertimento' che è incompatibile con l'ordine democratico. Le trasmissioni dei media sono manipolate e progettate per servire ai fini del mercato, non ai bisogni dei cittadini” (p. 9).

Conclusione

Questo articolo tende a vedere la globalizzazione in una prospettiva negativa. Ma mentre molte persone lodano la globalizzazione dei media come ‘i nuovi missionari', io credo che c'è un altro modo di guardare la globalizzazione dei media. Io penso che è necessario vedere la globalizzazione dei media da una prospettiva diversa che comprenda la giustizia sociale, i problemi economici che molti paesi sviluppati stanno affrontando oggi rispetto al potere dei media globali ed i diritti di donne che hanno sostenuto molte grandi compagnie a mantenere i loro profitti ma hanno fatto poco per i loro diritti. Per questo, noi possiamo contestare il significato sociale e la responsabilità del ruolo dei media globali verso le persone.

È impossibile fermare l'espansione dei media globali. La globalizzazione è già arrivata e sarà sempre qui. Nessuno può fermare l'espansione dei media globali. Quindi quello che noi dobbiamo fare ora è istruire le persone ad essere più critiche nei confronti di ciò che vedono alla televisione.

È interessante vedere come le persone di tutto il mondo stiano realizzando quanto dice Neil Postmant (dell'America):

“Oggi, noi dobbiamo guardare alla città di Las Vegas, Nevada, come ad una metafora del nostro carattere nazionale e delle nostre aspirazioni. Il suo simbolo è un grande cartellone pubblicitario, alto 30 piedi, che rappresenta una slot machine (macchina mangiasoldi) e una ragazza. Las Vegas infatti è una città completamente dedita al divertimento. La politica, la religione, l'informazione, lo sport, l'istruzione e il commercio, tutto è trasformato in semplice appendice all'industria dello spettacolo, in larga misura senza protesta e perfino senza che la gente se ne accorga. Il risultato è che noi siamo un popolo arrivato al limite del divertirci fino a morire” (p.3).

Io penso che è nostro dovere distogliere la gente da un orientamento al divertimento per una maggior presa di coscienza critica. Quello che realmente mi preoccupa oggi è che il dominio dei media globali, che impone le sue ideologie, arriverà a sopraffare le culture locali. Prima di tutto, perché le culture locali tendono a non essere così aggressive come la cultura globale che è sostenuta dai media globali. Poi perché le culture locali realmente perderanno la loro identità, non potendo competere con la cultura globale. Di fatto, la grande varietà delle culture nel mondo ha offerto molte buone cose alla qualità della vita umana. Potrà ora una cultura vincere la cultura del mondo?

Riferimenti bibliografici

Herman, E.S., & McChesney, R.W. (1997). The Global Media: the new missionaries of global capitalism. London: Cassel.

Fiske, John, (1989). Understanding Popular Culture. Boston: Unwin Hyman.

Twitchell, J.B. (1992). Carnival Culture: The Trashing of Taste in America. New York: Columbia University Press.

Enloe, Chintya (March/April, 1995). The Globetroting Sneaker. Ms. Magazine.

Postman, Neil (1986). Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business. New York: Penguin Books.

Wartella, Ellen A. (1996). The Context of Television Violence in The Carrol C. Arnold Distinguished Lecture - Speech Communication Association Annual Convention 1996, November 23, 1996, San Diego, California. Allyn and Bacon.

Bagdikian, B.H. (1992). The Media Monopoly. Boston: Beacon Press.