Omelia del Superiore Generale per l'apertura dell'incontro dei Formatori scj

(10 maggio 1999, Lunedì della VI settimana di Pasqua)

Atti 16, 11-15: all'annuncio dell'Apostolo, all'ascolto di Lidia, il Signore le apre il cuore…
Gv. 15, 26 &endash; 16, 4: Spirito da testimonianza di Gesù perché anche noi siamo testimoni …

Apriamo con questa celebrazione eucaristica il nostro "Incontro di Formatori SCJ". I testi dell'odierna Liturgia della Parola diventano per noi fonte di ispirazione per la Messa che stiamo celebrando e per il lavoro di questi giorni.

"Lo Spirito Santo, protagonista delle vicende ecclesiali riportate dagli Atti degli Apostoli, nella parola che abbiamo proclamato, appare in primo piano."

Nel vangelo ricopre una funzione unica: quella di testimone di Gesù, agendo nell'intimo degli apostoli, rischiarando le loro coscienze perché non si scandalizzino, confermando la loro fede, rendendoli, a sua volta, testimoni del Signore.

Nella prima lettura, oltre a ispirare e condurre l'azione missionaria degli Apostoli, esplica un'interiore attività nel cuore di chi ascolta la parola. L'apostolo impegna la sua voce a favore del Vangelo, ma lo Spirito Santo matura l'adesione nella fede.

Questo misterioso interscambio a tre punte, dove si intrecciano l'azione di Dio, il ministero della Chiesa e la disponibilità del credente, è il quadro appropriato per capire il dinamismo profondo della formazione, e collocare il servizio che siamo chiamati a prestare.

Alla luce della parola proclamata ed intorno a questi tre personaggi: lo Spirito Santo, il formando ed il formatore, vorrei riflettere sul "fatto formativo", contribuendo così all'impostazione di questo incontro.

Il primo agente della formazione è lo Spirito (cf. RFG 2.3.a).

La presenza attiva dello Spirito Santo nella vita della Chiesa è un dato innegabile; pervade tutte le pagine della sua storia. Lo troviamo in modo ben esplicito nei testi dell'odierna Liturgia della Parola. E' lo Spirito che conduce Paolo e Sila per le città della Macedonia; li fa uscire fuori porta, lungo il fiume, e suggerisce a Paolo di annunciare la buona novella alle donne radunate per la preghiera. E' lo Spirito che apre il cuore a Lidia per farla aderire alle parole di Paolo: lei e tutta la sua famiglia; ed è poi lo Spirito che inspira Lidia a offrire ospitalità a Paolo, in modo così persuasivo da costringerlo ad accettare. In questo modo il Vangelo entra in Europa e Lidia diventa la prima cristiana europea.

Nel brano del Vangelo che abbiamo letto, vediamo Gesù che rassicura i discepoli. La sua missione pubblica volgeva ormai alla fine. Prevedendo le future difficoltà e prevenendo i discepoli contro possibili scoraggiamenti, Egli osserva che spetterà allo Spirito Santo, lo Spirito di verità, rendere loro testimonianza di Lui e trasformarli, a loro volta, in suoi testimoni. E' sempre lo Spirito, il grande protagonista dell'annuncio e dell'efficacia del medesimo.

Di questo protagonismo parlano ripetutamente i Documenti del Magistero, quando si riferiscono all'azione della Chiesa, sia quella generica dell'evangelizzazione che quella specifica della formazione.

Lo Spirito Santo rimane il soggetto protagonista trascendente dell'opera salvifica affidata agli Apostoli e alla Chiesa (cf. Redemptoris Missio, 21); «Dio Padre, nel dono continuo di Cristo e dello Spirito, è il formatore per eccellenza di chi si consacra a Lui... E' lo Spirito che plasma nel cuore dei giovani... i sentimenti del Figlio» (Vita Consecrata, 66). Non c'è autentico lavoro formativo senza l'influsso dello Spirito di Cristo. «Ogni formatore umano deve rendersi pienamente conto di questo» (Pastores dabo vobis, 65).

Il capitolo secondo della Potissimum Institutioni inizia affermando che «è Dio stesso che chiama... E' lui, che lungo la vita del religioso, mantiene l'iniziativa. Come Gesù non si contentò di chiamare i suoi discepoli, ma pazientemente li formò durante la sua vita pubblica, così, dopo la risurrezione continuò per mezzo del suo Spirito a guidarli alla verità tutta intera». E prosegue: «Questo Spirito, la cui azione è di ordine diverso dai dati della psicologia o della storia visibile ma opera anche attraverso queste, agisce nell'intimo del cuore di ciascuno di noi per poi manifestarsi in frutti ben visibili: è lo Spirito di verità che insegna, richiama, guida; è l'unzione che fa gustare, apprezzare, giudicare, scegliere; è l'avvocato-consolatore che viene in aiuto alla nostra debolezza, sostiene e dona lo spirito filiale» è «presenza discreta, ma decisiva» (Potissimum Institutioni, 19).

Il formando sotto l'azione dello Spirito nell'itinerario formativo (cf. RFG 2.1.3).

La prima lettura non è solo la narrazione di un evento. In essa viene descritto il processo spirituale di Lidia, autentico cammino di fede, realizzato sotto la guida dello Spirito Santo. I suoi elementi descrittivi sono altrettante tappe indicative di un processo formativo.

L'itinerario formativo si inserisce nello stesso itinerario della fede, in quanto coinvolge Dio e la persona, attraverso le mediazioni ecclesiali in un mondo che è il luogo della Storia della Salvezza. Ciò avviene nel dialogo vocazionale, poi nella configurazione con Cristo alla sua sequela ed, infine, nella partecipazione alla sua missione.

1. Vi è un punto di partenza, un clima, un contesto indispensabile: Lidia, definita come «adoratrice di Dio», inserita in una comunità di preghiera. Ma è anche una donna impegnata nel lavoro ("commerciante di porpora") e probabilmente sostegno della sua famiglia.

Anche la formazione ha i suoi presupposti umani e spirituali; non è una semplice aula di scuola. Parte da persone coinvolte responsabilmente nella vita quotidiana. Ha bisogno di un tempo, di un ambiente. Richiede che ci mettiamo in umile presenza davanti a Dio; richiede un clima speciale.

2. L'atteggiamento essenziale è quello dell'ascolto, quello del discepolato, che coglie la Parola di Dio, trasmessa attraverso la predicazione.

La formazione alla vita religiosa e sacerdotale è fondamentalmente un ascolto di Dio, che supera l'adeguatezza o meno degli strumenti umani. Il formando e il formatore sono mossi da una prospettiva di fede, che è la ricerca di Dio e della sua volontà salvifica, al di là dei propri interessi e capricci; una disponibilità verso Dio, che fa proprio l'Ecce venio (cf. Eb 10,7) e il «Non si faccia la mia volontà, ma la tua» (Lc 22,42).

3. Al centro di tutto vi è l'azione di Dio che si dirige al cuore di chi ascolta; c'è il suo intervento come protagonista nella formazione di una creatura nuova, che porta alla conversione, al cambio del cuore, a un nuovo orientamento della vita.

Non c'è vera formazione finché essa non arriva al cuore, non tocca la coscienze e sconvolge la vita. Non basta quindi un adattamento esterno della condotta; ci vogliono motivazioni profonde; è il costruire sulla roccia. Se ciò manca, si rimane in superficie; non basta che il formando si senta bene. A volte si ha l'impressione che si curano quasi esclusivamente gli aspetti psicologici e umani, trascurando il ruolo fondamentale della grazia e del protagonismo di Dio. Quando si opera così, la stessa vita di preghiera rimane superficiale ed epidermica; non viene toccato il cuore.

4. L'adesione della fede, il salto di qualità, Lidia l'ha fatto aderendo alle parole dette da Paolo, perché Parola di Dio.

Così, nella formazione, bisogna passare dalle parole alla Parola, arrivando all'obbedienza della fede (cf. Eb 5,9; Rom 1,5). In fondo, la vocazione, la consacrazione e la missione si spiegano soltanto a partire da una esperienza teologale, dove la vita è vista, misurata e sostenuta solo a partire dalla fede, dalla speranza e dalla carità. L'obiettivo della formazione, lo si può ritenere raggiunto soltanto se maturerà gente con una chiara e manifesta vita teologale.

5. Ne segue, come frutto immediato, l'apostolato e la vita morale. Lidia, interpellata dalla Parola di Dio e accogliendola, si fece battezzare assieme alla sua famiglia e costrinse Paolo e Sila ad accettare la sua ospitalità. Questo fatto marcherà i rapporti di Paolo con la comunità di Filippi; difatti solo a favore di essa Paolo derogherà alla sua regola di mantenersi col proprio lavoro.

Il frutto di un buona formazione si ritrova in una risposta matura, da persone impegnate: impegnate nell'annuncio e nella carità, e quindi capaci di fare cose nuove, talvolta operando contro le abitudini e la cultura ambientale. E' il caso dei santi e dei convertiti, alcuni dei quali apparsi stravaganti agli occhi dei contemporanei: Charles de Foucauld, Eva Lavallier, per citare appena due dell'inizio di questo secolo. Può capitare a noi formatori di mettere remore a questa singolarità. I convertiti spesso sono scomodi, difficili da gestire; esigono un lavoro formativo molto duro perché, nella loro vita, c'è stato il salto di qualità; bisogna sapere accompagnare una realtà di vita che esige dagli stessi formatori, a loro volta, salti di qualità. La conversione infatti non è un momento della vita, è l'inizio di un percorso che occorre sperimentare sulla propria carne per poter seguire e accompagnare gli altri.

Il formatore deve scoprire il suo ruolo e approfondire la sua missione ( cf. RFG 2.3.f).

Un servizio di questa natura suppone che il formatore sia in primo luogo - anche lui - un formando sotto l'azione dello Spirito. Il suo lavoro non è cattedratico; è anzitutto una testimonianza. Suppone che Egli pure faccia il cammino del discepolato. Egli incarna, realizza ed anticipa tutto ciò che poi, sotto la guida dello Spirito, quale suo strumento, dovrà proporre.

Alla luce delle Letture di oggi, possiamo quindi pensare in una spiritualità del formatore, che, schematicamente, può essere caratterizzata dai seguenti elementi:

1. Il formatore è chiamato a cogliere la testimonianza dello Spirito, a cui allude l'odierno brano del Vangelo. Ciò suppone che egli deve vivere una speciale familiarità con lo Spirito, in modo tale da permettergli di fare il cammino dello Spirito, di cogliere le sue novità, esigenze, «stranezze». Il formatore dovrà imparare l'apertura e la saggezza nel leggere i segni dei tempi ed avere la docilità richiesta, perché si lasci condurre dallo Spirito e possa incarnare la Parola che gli è rivolta. Egli è, anzitutto, uno spazio nuovo, che deve essere convertito e abitato dallo Spirito. Ciò non si ottiene con la sola formazione professionale, anche se necessaria; occorre configurarsi con il Divino Maestro; concepire il Verbo nella fede, come Maria, per poi darLo al mondo; rifare la propria storia, dandole un nuovo indirizzo, sulle orme di Gesù; noi Dehoniani diremo: «sullo stampo del Cuore di Cristo».

2. Il formatore diventa, sotto l'azione dello Spirito, testimone di Gesù risorto.

- Fedele all'azione dello Spirito, egli deve fare in modo che il suo protagonismo non faccia ombra al Maestro interiore; anzi deve sapere indirizzare a Lui, sapendo anche ritirarsi a tempo, perché Lui cresca ed egli diminuisca (cf. Gv 3,30).

- Deve sapere puntare il dito verso Gesù, come Giovanni Battista: «Ecco l'agnello di Dio» (Gv 1,36); sapere discernere ciò che invece è del Maligno: «va indietro, Satana» (Mc 8,33); sapere proporre delle scelte: «seguitemi» (Mt 4,19), «venite e vedete» (Gv 1,39); saper condividere la sua esperienza di Dio: ho trovato il Messia, Gesù di Nazareth (cf. Gv 1,41.45). Deve sapere identificare i momenti cruciali del confronto: «Anche voi volete andarvene?» (Gv 6,66); «chi vuol venire dietro a me... prenda la sua croce» (Mt 16,24). Deve insegnare a non guardare indietro: «lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9,60).

- Deve sapere accompagnare, come Gesù con i discepoli di Emmaus; sapere aspettare e ricavare insegnamento anche dalle esperienze traumatiche: «ora che ti sei alzato, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32).

- Deve aiutare a scoprire la centralità e l'attualità del mistero pasquale di Gesù, mistero di passione e di croce, di morte e di risurrezione: «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto» (Mc 8,31); «E disse loro... non bisognava che il Cristo sopportasse questa sofferenza per entrare nella sua gloria?» (Lc 24-26). Uno dei compiti, oggi più importanti ed ardui, è proporre il mistero della croce (cf. 1 Cor 2,1-5) ed un'ascesi che è associazione alla Pasqua di Cristo, fonte della gioia legata alle beatitudini (cf. Mt 5,1-12).

- Deve essere l'immagine del Divino Maestro, del Buon Pastore, del Buon Samaritano; quello che ci addita il cammino del servizio formativo.

- La testimonianza della sua vita impegnata, della sua scelta di vita religiosa, del carisma ricevuto, porterà

- lui e i formandi - a vivere e a proclamare, come Padre Dehon, la «bellezza della nostra vocazione», nella convinzione che la Congregazione è «un'opera di Dio».

3. Il formatore però resterà sempre un semplice mediatore.

- Deve essere cosciente che la vita, le scelte, il futuro dei formandi rimangono un mistero da scoprire, da rispettare, da illuminare e da sostenere; un progetto divino, una proprietà di Dio, nella quale si è semplici amministratori.

- Deve cercare le forme, i mezzi, le strategie per proporre i valori essenziali della formazione, per farlo in maniera sistematica, con chiarezza, onestà e lealtà. La mancanza di forme, mezzi e strategie adeguate e attuali porta al fallimento tanti sforzi e risorse investite.

- Deve curare un rapporto sano con i propri formandi, perché questi maturino davvero e non si creino in loro delle dipendenze o dei vuoti incolmabili, con conseguenze per tutta la vita.

- Infine, deve dare una seria esperienza di Dio, di vita fraterna e della missione dell'Istituto, imparando a trovare il suo posto nella famiglia della Congregazione, partendo dall'identificazione con il suo spirito e dal senso di appartenenza ad essa.

4. La consapevolezza di questo suo ruolo di mediatore lo porterà a superare una serie di tentazioni:

- la tentazione di dare maggiore peso alle tecniche umane che alla grazia, anche se dovrà usare di quelle;

- la tentazione di scandalizzarsi, soccombendo per la debolezza della fede e per l'incapacità di leggere i segni dei tempi, o per la bramosia del plauso e del successo;

- la tentazione del timore di predicare Cristo crocifisso, la saggezza del Vangelo, il rischio delle beatitudini,

- la tentazione di allontanarsi dalla visione della Chiesa, credendo di più in se stesso che nel servizio del Magistero;

- la tentazione di confondere un'adesione epidermica, emotiva, e quindi superficiale e transitoria, con il salto di qualità, di cui sopra; gli potrà venire a mancare allora la capacità e l'avvedutezza di condurre a quelle esperienze di vita, dove davvero si «tocca il cuore» per arrivare all'obbedienza della fede;

- la tentazione di contentarsi di un insufficiente discernimento, per mancanza di un'esperienza profonda personale, essendo anche lui debole nell'ascolto e nella disponibilità, non mettendo la propria persona in clima di discernimento, sostituendosi al formando con direttive astratte o sbrigando le cose con domande generiche;

- infine, la tentazione di non coinvolgersi sufficientemente nel processo formativo, o per il poco tempo dato al dialogo pastorale (Evangelii Nuntiandi, 46) - quel contatto personale che è indispensabile e che deve essere fatto in un certo modo (cf. Vita Consacrata, 66) - o per la poca presenza fisica nella casa di formazione, attratto da altri apostolati.

 

5. Nel suo specifico servizio, il formatore dovrà associare costantemente: la preghiera, come esperienza viva del Signore risorto; l'accompagnamento, come il fare strada assieme al formando; il discernimento, per illuminare con la luce della Parola gli eventi personali e della storia; la testimonianza di vita, che, all'ombra delle cose umane, fa intravedere il divino e rivela la presenza viva del Divino Maestro; la capacità di ritirarsi nel momento opportuno perché la scelte del formando siano profondamente motivate e personali.

Conclusione

Ecco alcune conseguenze pratiche del protagonismo dello Spirito e della mediazione ecclesiale nella formazione; alcuni spunti che ho sentito il dovere di offrirvi, alla luce della Parola di Dio proclamata in questa celebrazione eucaristica.

Questa Messa ci aiuti, quindi, ad entrare nel clima dell'Incontro, che speriamo sia un «evento di vita» per noi, individualmente e come gruppo, e venga poi a traboccare sulle nostre case di formazione, sulle nostre Province e l'intera Congregazione, come da Lidia traboccò in tutta la sua famiglia.

L'Incontro non è un ritiro spirituale ma, per il suo contenuto ed obiettivi, è un evento di fede, un tempo, un luogo e un fatto teologale: un vero kairós.

Siamo qui non soltanto come formatori, ma anche come formandi. Vogliamo imparare, sotto la guida dello Spirito, ad essere mediatori della formazione che Lui stesso vuole operare nei giovani che il Padre ci ha affidati. In Lui abbia inizio, svolgimento e termine il nostro Incontro.

La Vergine Maria, Madre della Chiesa e modello di ogni crescita spirituale, ci assista, e in nostro favore intercedano presso Dio il venerabile Padre Fondatore e le preghiere dei confratelli, impegnati ovunque nell'avvento del Regno di Dio. Essi hanno gli occhi su di noi, nella speranza che il presente Incontro offra fecondità e futuro al loro impegno.

 

P.Virginio Bressanelli
Superiore Generale