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P. Mario Panciera SCJ

P. DEHON E I DEHONIANI. UN PROFETA DEI TEMPI MODERNI

 

Curia Generale SCJ

Roma - 2004

PRESENTAZIONE

Di P. Leone Dehon (1843-1925) abbiamo molte biografie, alcune delle quali monumentali, ma in questo momento straordinario della sua beatificazione si sente la necessità di disporre delle brevi sintesi a livello divulgativo. Il presente opuscolo risponde a questa esigenza, tenendo presente soprattutto il pubblico italiano. La prima preoccupazione è quella di presentare una persona viva, mettendo in evidenza gli aspetti principali della sua eccezionale personalità di studioso, di sociologo, di fondatore della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù. Una vita spesa tutta per l'affermazione del „Regno del S. Cuore nei cuori e nelle società”. In una parola, un appassionato di Cristo e, proprio per questo, anche appassionato delle condizioni socio-politiche dell'uomo del suo tempo. Fedele al magistero pontificio, specialmente di Leone XIII, ma anche un profeta nell'incarnare il modo nuovo di essere preti nel nostro tempo. 

 P. Leone Giovanni Dehon (1843-1925), fondatore dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù (Dehoniani), era di origine francese, ma ha sempre considerato Roma come la sua seconda patria, non solo per gli studi filosofici e teologici che vi ha fatto in preparazione al Sacerdozio, ma anche per la lunga e amichevole consuetudine che egli ha potuto intrattenere con tutti i „suoi” papi: da Pio IX a Leone XIII, a Pio X, a Benedetto XV e a Pio XI e, non ultimo, per la passione con cui ha voluto sviluppare la sua congregazione in Italia.

È in questa luce che possiamo comprendere quanto ha scritto al momento di rientrare in Francia, dopo aver terminato gli studi:

„Sto per lasciare Roma con molto rimpianto. Vi ho trascorso anni veramente pieni, ben impiegati, grazie a Dio, e dei quali conoscerò il prezzo in cielo. Con mia consolazione riporto con me ricchi tesori: il sacerdozio, la scienza ecclesiastica, buone abitudini e santi ricordi”.

Questi i suoi sentimenti e le sue convinzioni, ma qual era il giudizio di coloro che lo avevano conosciuto? Nella cronaca del seminario francese in Roma si è trovata la preziosa testimonianza del rettore del tempo, P. Melchiorre Freyd, che del Dehon traccia il seguente profilo:

„Leone Dehon della diocesi di Soissons. Entrato il 25 ottobre 1865. Uscito il 1°agosto 1871.

Carattere: eccellente

Capacità: grandissima

Pietà e regolarità: perfette

Note aggiunte: Il Dehon, giovane dottore in diritto, avvocato alla Corte di Appello di Parigi, dopo un viaggio in Oriente che i suoi genitori gli fecero fare per provare la sua vocazione alla quale si opponevano, venne da noi nel 1865 per cominciare gli studi ecclesiastici. Ha fatto una buona filosofia al Collegio Romano, aggiungendo quelli di Diritto all'Apollinare. Al concilio Vaticano è stato uno dei nostri quattro stenografi. Il successo negli studi fu notevole. Più volte è stato premiato.

Dovette rimandare i suoi esami di laurea per il molto tempo che il concilio gli domandò. Ritornò nel 1871. Lavorò con il suo solito impegno e conseguì il dottorato in teologia al Collegio Romano e quello in diritto Canonico all'Apollinare. Tutto con molto successo.

Sotto ogni riguardo era uno dei migliori alunni. Pietà, modestia, gravità, regolarità, amore filiale per i suoi professori, applicazione energica; tutto ce lo rendeva caro.

Attualmente è cappellano a S. Quintino nella sua diocesi. Promette molto per l'avvenire”.

 I grandi tratti della sua fisionomia umana, intellettuale e spirituale sono già delineati. Il quadro può essere completato da una pennellata che risale a 20 anni dopo. P. Dehon è ormai un famoso sacerdote sociologo ed è chiamato a tenere una conferenza a Milano. Il cronista lo presenta brevemente: „Il P. Dehon è un uomo alto (m 1,92 n.n.), dall'aspetto nobile, dal volto intelligente, parla con esattezza e misura singolari e si rivela dottissimo degli argomenti più interessanti della vita moderna” (L'Osservatore cattolico, 11 maggio 1897).

 Con queste citazioni l'abbozzo del quadro è davanti a noi. Un abbozzo che sembra fatto apposta per stimolare la nostra curiosità di sapere qualcosa in più, non solo circa quella vocazione contrastata, ma ancor più di quella profezia del suo superiore romano circa il suo promettente futuro.

 

 Nasce il 14 marzo 1843 e viene battezzato il 24 marzo, vigilia della festa liturgica dell'Annunciazione, con i nomi di Leone Gustavo. Era il secondo di due figli maschi della famiglia di Giulio Dehon e Stefania Adele Vandelet. I Dehon erano tra i più notabili del paese La Capelle (vicino a S. Quintino), cospicui proprietari terrieri, disponevano anche di una scuderia di cavalli da corsa. La carica di sindaco passava dal nonno al padre e poi anche al suo fratello maggiore Enrico.

I due figli rivelarono subito tendenze completamente diverse. Mentre Enrico seguiva il padre Giulio in campagna e amava le scorribande in groppa ai cavalli, Leone preferiva stare in casa, vicino a sua madre e occuparsi di libri.

In quanto a religione, la linea maschile Dehon non era praticante. Era opinione diffusa nella zona, impregnata di idee scientiste e di strascichi della Rivoluzione francese, che la religione fosse cosa per donne e bambini, ma non doveva riguardare gli uomini. Invece la madre, detta familiarmente Fanny, era molto religiosa ed era particolarmente devota del S. Cuore di Gesù. Inevitabilmente il piccolo Leone apprese i tratti della sua religiosità.

 Leone era precoce, non solo di intelligenza, ma anche nella crescita fisica. Quasi all'improvviso scoppia la bufera adolescenziale. Andava alla scuola del paese, dove di religione c'era ben poco e vi dominava una ragazzaglia scatenata. Leone ne subisce l'influsso negativo. Per natura era di carattere mite e amabile, ma sui 10-11 anni diventa vanitoso, collerico, smidollato e pigro. Solo la sua viva intelligenza lo salvava dalle bocciature, ma per il resto era diventato il tormento dei suoi genitori, specialmente di sua madre.

Proprio allora viene ammesso alla prima comunione (4 giungo 1854). Ne parlerà più tardi come di un ricordo bellissimo, ma sul terreno pratico le cose rimasero come prima. A quel punto, i suoi genitori pensarono a una soluzione radicale: lui e suo fratello sono mandati in collegio nella cittadina di Hazebrouck.

Per Leone è stata la salvezza. L'aspetto della casa era piuttosto desolante e il regime era molto rigido: alzata presto, molto studio, pane nero, molto freddo e pochissime vacanze. Ma in compenso i professori erano eccellenti e seppero educarlo anche al gusto della preghiera e delle opere di carità. Esce dal collegio a 16 anni, con il diploma liceale. Dirà che vi trascorse anni bellissimi. Non è che tutto sia cambiato da oggi a domani. Per grazia di Dio, trovò l'aiuto necessario per superare la crisi morale, tipica di quell'età. Ma si deve ammettere che anche lui ce la mise tutta, se è vero che, talvolta, non esitò a usare il flagello e a dormire su una panca. C'è da dire che aveva appreso a fare sul serio!

 

 Un futuro luminoso è sempre il sogno di tutti i genitori per i loro figli. L'esito lusinghiero degli studi forniva buoni motivi al signor Dehon per sognare per suo figlio Leone una carriera brillante in magistratura o in diplomazia. Ma in collegio, la notte di Natale del 1856, Leone aveva fatto un'esperienza spirituale straordinaria. Mentre serviva la Messa, sentì una forte attrazione verso il Sacerdozio e, nello stesso momento, aveva detto di sì al Signore che lo chiamava. Non era frutto di emozione passeggera, perché negli anni successivi rimase saldo nella sua determinazione.

Ora il problema era come dirlo a suo padre. Urgeva ormai il tempo delle iscrizioni alla scuola e bisognava decidersi. Cercò il momento più favorevole, ma il colpo fu tremendo. Suo padre sbiancò in volto e rimase lì come annichilito, stravolto e piegato in due, come colpito da un fulmine. In quel momento si affacciò sua madre e comprese quello che stava accadendo, scoppiò in lacrime e uscì coprendosi il volto. Dalla bocca di suo padre uscì una parola sola: „Mai!”.

Nei giorni successivi si venne a un compromesso. Leone accettava di attendere la maggiore età. Mancavano ancora 5 anni e il padre poteva sperare che, nel frattempo, quell'idea strana gli passasse dalla testa. Leone dovette accettare di iscriversi al Politecnico, d'indirizzo totalmente diverso dalle sue inclinazioni. Oltretutto, per entrarvi doveva superare degli esami supplementari che prolungavano di un anno. L'intenzione del padre era evidente.

Leone obbedì e ottenne anche la maturità scientifica con enorme fatica. Evidentemente non era il suo campo. Infatti, testardo com'era, contemporaneamente si era iscritto anche alla facoltà di Legge, senza però poter frequentare molto e senza esami. Ottenne dal padre di continuare in Legge, ma se non voleva andare fuori corso, doveva ricuperare. Lo fece alla sua maniera: in sei mesi riuscì a dare tutti gli esami di due anni. Poi a 19 anni era avvocato e a 21 dottore in Legge alla Corte d'Appello di Parigi. Suo padre era felice, orgoglioso di questo suo giovanottone (m. 1,92), complimenti da ogni parte, viaggi premio.

 

 Leone aveva in dono una innata curiosità intellettuale e spaziava per orizzonti infiniti. Le buone possibilità della sua famiglia potevano favorire la sua passione per i viaggi, per la conoscenza di lingue e culture diverse. Per lo studio della lingua era già stato un mese a Londra, poi c'era stato un viaggio attraverso la Germania, l'Austria, la Scandinavia, fino al Circolo Polare Artico. Il premio per la laurea fu un soggiorno in Belgio e in Olanda, accompagnato dall'amico Leone Palustre, ottimo professore di archeologia.

Tutto bene. Ma c'era quel famoso nodo da sciogliere, perché Leone aveva raggiunto la maggiore età. Il padre, s'illudeva che quella pazza idea gli fosse passata di testa. Ma invece, quell'idea era sempre là e Leone confermò al padre la sua determinazione, aggiungendo che, in caso di diniego, intendeva avvalersi della sua libertà di maggiorenne. Ancora una volta si ripeté la scena drammatica della volta precedente e, ancora una volta, l'unica parola: „Mai!”.

A questo punto, fu provvidenziale l'intervento dell'amico Palustre: Perché non tentare di distrarlo con un altro viaggio attraverso le terre dell'antichità classica? E seppe presentare così bene la sua idea che il padre, disposto ad aggrapparsi a qualunque speranza, finì per annuire.

 

 Al sig. Dehon andava bene la Grecia, l'Egitto, l'Asia Minore e, all'ultimo momento, accettò che fosse inserito anche il mondo della civiltà ebraica. Siamo nel 1864 e Leone ha esattamente 21 anni. Il viaggio si profila molto lungo, ma con l'amico archeologo sarà anche molto istruttivo.

Vale la pena fissare almeno le tappe principali di questo viaggio che sarà determinante. I due amici partono il 23 agosto, attraversano la Germania e la Svizzera, scendono in Italia fino a Bologna, poi risalgono a Venezia (allora sotto l'Austria), scendono in Grecia, passano in Turchia e finalmente arrivano in Palestina. Se si pensa ai viaggi di allora, non meraviglia che ci siano stati anche pericolosi incidenti di percorso, come incontri con i briganti o con pericolosi sciacalli. Per due volte Leone si è trovato nei guai e la Madonna lo ha soccorso. La prima volta a causa di una dolorosa piaga in un piede. Era sul Monte Carmelo, invoca la Madonna e il giorno dopo la piaga non c'era più. La seconda era più grave, quando a Troade lo colse la febbre che lo ridusse agli estremi. Anche questa volta la Madonna è intervenuta e insperabilmente guarì.

Dal giorno della loro partenza ne avevano fatto di strada, ma solo il 25 marzo dell'anno successivo i due pellegrini sono a Gerusalemme, dove visitano tutti i luoghi santi. Possiamo facilmente immaginare con quali sentimenti Leone abbia percorso la Via Crucis e abbia sostato lungamente al Santo Sepolcro. Del resto ci rimangono le sue fedeli annotazioni. A noi basti la certezza che tutto quel lunghissimo viaggio non riuscì a incrinare la sua vocazione, ma anzi ne confermò la determinazione. E lo vediamo subito, al suo ritorno.

I due amici non hanno fretta e ritornano passando da Cipro, Efeso, Costantinopoli, Vienna e poi Salisburgo. Qui le loro strade si dividono: il Palustre prosegue per la Francia, mentre Leone prende il treno per Roma dove giunge il 14 giugno 1865. Non è stata una decisione facile. Per lui Roma era l'approdo o, come lui stesso afferma, „il coronamento” del suo viaggio. Ma come l'avrebbero presa i suoi genitori?

A Roma si ferma 10 giorni. Si era premunito di alcune lettere di raccomandazione (in particolare una di mons. Dupanloup, arcivescovo di Orléans) che gli permettono di incontrare alcune personalità e soprattutto di ottenere un'udienza personale del papa Pio IX, il quale benedice la sua vocazione e gli consiglia di fare la sua preparazione al Sacerdozio a Roma, presso il seminario francese di S. Chiara.

I suoi genitori lo attendono con impazienza e lo accolgono con un abbraccio che non finiva più; poi arrivano i parenti, i cugini e tutti vogliono ascoltare il racconto delle cose meravigliose che aveva visto lungo gli otto mesi di viaggio in terre lontane e sconosciute. Ma nel sottofondo c'era sempre il nodo del suo futuro. La persistente opposizione familiare costrinse Leone ad assumere una posizione decisa. Ecco come lui stesso ne parla: „Ho dovuto indurire il mio cuore per resistere a tutti gli assalti che ebbi a subire. Sono stato a volte duro con i miei genitori. Ho detto loro che ero maggiorenne e che volevo essere libero. Fu convenuto che mi avrebbero lasciato partire, ma scene e lacrime si ripeterono spesso”.

 

 Il 25 ottobre 1865 Leone Dehon è a Roma, nel seminario francese di S. Chiara. La sua cameretta era su in cima al palazzo, piccola e buia, il letto duro, ma non importa, si sentiva felice, nel suo ambiente.

Gli studi andavano a gonfie vele: i primi premi erano suoi. Con alcuni amici forma un gruppetto che si mette a disposizione del parroco della Minerva per la catechesi e per opere di carità. Già al primo anno riceve la vestizione e, alle vacanze successive, i suoi familiari dovranno abituarsi a vederlo in veste talare. Dopo il terzo anno era diacono. Rientrando in famiglia non faceva altro che magnificare Roma antica e quella papale, così che anche i suoi genitori incominciarono a desiderare di visitarla. Effettivamente, a fine ottobre 1868, arrivò a Roma accompagnato dai suoi genitori. Per suo padre era la scoperta di un mondo nuovo che suo figlio sapeva illustrare da par suo. Ma la sorpresa avvenne qualche giorno dopo. Il rettore del seminario, P. Freyd, ebbe, infatti, un'idea fulminante:

„Perché non chiedere un'udienza dal Papa?”

„Dal Papa?” Disse il sig. Giulio.

„Sì, certo. E in tale occasione si potrebbe chiedere di poter anticipare l'ordinazione sacerdotale per permettere ai genitori di essere presenti.

„Ma sarà possibile? E come fare?”

„Semplice. Basta che il padre di Leone presenti una petizione scritta.”

Chiaramente P. Freyd aveva predisposto le sue pedine. E avvenne l'incredibile. L'udienza fu concessa per il 16 novembre e papà Giulio, commosso e tremante, presentò la petizione che fu subito concessa. La sacra Ordinazione avvenne il 19 dicembre 1868, nella basilica del Laterano, madre di tutte le chiese. Gli ordinandi erano 200, provenienti da ogni parte del mondo. Suo padre non distoglieva lo sguardo da suo figlio che emergeva su tutti. Non disse una parola e per tutto il giorno non toccò cibo. Si era confessato e, il giorno dopo, alla prima Messa in Santa Chiara, quando papà e mamma ricevettero la comunione dalle mani del figlio, nessuno nella cappella riusciva a trattenere le lacrime di commozione.

Dio è grande! Don Leone era fuori di sé dalla gioia: „Mi sono rialzato sacerdote, posseduto da Gesù, completamente riempito da lui, del suo amore per le anime, del suo spirito di preghiera e di sacrificio”. E che dire del ritorno alla fede di suo padre? Una frase dice tutto: „Fu il giorno più bello della mia vita”. E si può credergli!

 

 Gli studi sono ormai alla conclusione. Manca solo l'ultimo esame di „universa theologia”, il più vasto e difficile. Ma a complicare le cose viene l'indizione del concilio Vaticano primo. Occorro 24 stenografi e, tra i quattro scelti dal collegio S. Chiara, vi fu anche il Dehon. Era necessaria una preparazione apposita che portava via molto tempo. In conclusione l'esame dovette essere sospeso. Cosa, questa, che non dispiacque troppo a don Dehon, perché gli veniva offerta l'occasione unica di partecipare dal di dentro a un concilio e di conoscere direttamente il cuore della Chiesa.

A questo punto accade un fatto preoccupante. Quell'anno era stato sfibrante: visita dei genitori, l'ordinazione sacerdotale, lezioni di teologia al Collegio Romano e di diritto all'Apollinare e, inoltre, anche la preparazione come stenografo. In conclusione, a giugno si mette a letto con forte febbre, tosse insistente e sospetta, prostrazione generale delle forze. Il quadro della malattia polmonare era chiaro. Ma la Madonna vegliava su di lui. Non si saprà mai chi gli abbia inviato un pacchetto anonimo con una boccetta di acqua di Lourdes e un cingolo di S. Giuseppe. Beve l'acqua e si sente guarito. Dopo pochi giorni, può mettersi in viaggio e rientrare in famiglia, dove lo attendono i festeggiamenti delle prime sante Messe.

Agli inizi di ottobre deve rientrare per riprendere gli allenamenti stenografici. L'8 dicembre 1868 inizia il concilio con la partecipazione di 737 vescovi, sul numero globale di circa un migliaio. Sarà chiuso frettolosamente il 18 luglio, dopo la tormentata definizione sull'infallibilità pontificia, a causa dei rumori di guerra all'orizzonte.

Il gruppo degli stenografi è ricevuto da Pio IX e per ringraziarli aveva fatto allestire una specie di lotteria con premi predisposti. A don Leone toccheranno i quattro volumi del Breviario. Il 20 luglio è già di rientro in famiglia. Sul concilio lascerà delle note molto acute che sono di grande aiuto alla comprensione del clima e delle personalità emergenti.

 

 Don Dehon rientra subito in famiglia (20 luglio), evitando appena in tempo di trovarsi in viaggio allo scoppio della guerra tra Francia e Germania. Gli eserciti francesi sono annientati dalle truppe prussiane. Il 1° settembre il disastro di Sédan, cui segue la prigionia di Napoleone III e la proclamazione della Repubblica. I Piemontesi colgono l'occasione per invadere lo Stato Pontificio e il 20 settembre entrano in Roma.

La Capelle è invasa da truppe e feriti e il Dehon si prodiga per la loro assistenza spirituale. Nel tempo che gli rimane si dedica a letture di autori storici e filosofici che lo aiutino a comprendere il suo tempo, quasi a complemento degli studi ecclesiastici che aveva fatto. Questi studi gli saranno preziosi per il suo futuro ministero.

Il 26 febbraio 1871 è firmato l'armistizio che porterà alla pace. Ma l'Europa non è più la stessa. Anche Roma, in mano ai piemontesi e con il papa come prigioniero in Vaticano, è completamente cambiata. Il Dehon vi deve tornare per completare gli studi. Trova calma, ma gli invasori stanno diffondendo i principi laici e rivoluzionari. Nelle sue lettere ai genitori, il giudizio sui nuovi padroni è estremamente negativo ed esprime la speranza che questa „canaglia” venga presto spazzata via. Trapela in questi giudizi la sua sofferenza, perché l'attuale capitale d'Italia non è più la sua Roma della cristianità che conosceva.

Nonostante tutto, egli si prepara agli esami con la solita lena: il 2 giugno consegue il dottorato in teologia e il 23 luglio il dottorato in Diritto canonico. Con quattro lauree (Diritto civile e canonico, filosofia e teologia) si può dire che la sua preparazione intellettuale era eccezionale. Il suo futuro non poteva essere che nel campo degli studi e della scienza.

 

 Ma gli eventi vanno in altra direzione. Con grande stupore di tutti quelli che lo conoscevano, il suo vescovo lo nomina cappellano a S. Quintino, settimo e ultimo dei vicari parrocchiali. Giusta o sbagliata che fosse quella decisione, di fatto servì in modo provvidenziale a gettare il giovane prete intellettuale in mezzo ai problemi concreti, e spesso brucianti, della gente.

Per il giovane vicario non ci volle molto a rendersi conto della situazione sociale e religiosa che lo circondava. S. Quintino poteva dirsi una città industrializzata, ma gli operai, abbandonati a se stessi, soffrivano la pesante condizione operaia tipica della fine secolo XIX che tutti conosciamo. Il Dehon non si ferma ai palazzi, ma va a vedere le catapecchie, le bettole piene di operai che abbrutiscono con l'alcool, i ragazzi e i giovani sbandati per le strade; la chiesa è semideserta e molti evadono la frequenza scolastica.

Da dove incominciare?

Il Dehon comprende che la pastorale ordinaria non basta, perché non va oltre i soliti circuiti di persone per bene. Insieme all'azione religiosa occorre quella sociale. Bisogna togliere i ragazzi dalla strada, offrire sostegno agli operai e ai loro figli, fornire una sana informazione cristiana che controbatta il laicismo imperante. Egli non si limita alle constatazioni, ma passa immediatamente all'azione. In breve tempo, mette in piedi un patronato, che dedica a S. Giuseppe, per l'educazione dei giovani (1873), fa nascere un nuovo giornale cattolico: „Le conservateur de l'Aisne”, un titolo che rispecchia le idee del tempo. Sorgono, di seguito, il circolo per gli operai, il circolo per gli studenti e, cosa nuovissima, le riunioni degli industriali. Incomincia a partecipare a convegni a carattere sociale. Insomma, un'attività vorticosa che gli attirava l'applauso di tutti. Il vescovo è molto contento e lo nomina, a soli 33 anni, canonico onorario della cattedrale.

Da quanto andiamo dicendo, appare evidente che la sua idea del prete è ben lontana da quella allora corrente. Non può limitarsi alle cose spirituali, al culto o all'ambito della sacristia. Come Gesù, anche il prete non può rimanere estraneo ai problemi reali della gente.

Abbiamo già visto alcune sue realizzazioni sociali, dietro alle quali però vi è tutta una seria preparazione. Lo si vede presente ai congressi sociali e alle assemblee generali dei circoli operai e delle Opere sociali, viene a contatto con altre personalità operanti in questo campo, partecipa anche al congresso organizzato dal giornale cattolico La Croix, ai congressi della democrazia cristiana. Sempre più spesso viene chiamato a prendere la parola, diventa un nome conosciuto sul piano diocesano e, come vedremo, anche a livello nazionale.

Dunque, tutto bene?

Non proprio. Il giovane canonico non era contento di se stesso: le opere lo assorbivano talmente che non gli rimaneva abbastanza tempo per lo studio, poco per la preghiera e pochissimo per il necessario riposo. Quanto più si moltiplicavano le sue attività tanto più cresceva in lui una certa insoddisfazione profonda. Lentamente sorge nel suo cuore la nostalgia per la vita religiosa. Si tratta di un pesante problema esistenziale e religioso. Nel marzo 1876 si ferma per un ritiro spirituale in cui vuole cercare la volontà di Dio. Ne esce più convinto per una scelta di vita religiosa, ma molto incerto sulla via da prendere. Nella nebbia, però, c'è sempre un punto luminoso che lo attira: la devozione al S. Cuore di Gesù che aveva assorbito con il latte materno.

 

 La Provvidenza divina ha i suoi appuntamenti. Il suo vescovo, mons. Thibaudier, deve recarsi a Roma e chiede al suo giovane canonico che lo accompagni. Da Torino passano a Milano e allungano fino a Padova e a Venezia, poi scendono e fanno tappa a Loreto. Qui avviene qualcosa di imprevisto. Il Dehon chiede alla Madonna luce per le decisioni da prendere: entrare in qualche ordine religioso? E se sì, quale? Come risposta riceve una forte impressione, come se la Madonna gli dicesse: Perché non fondi tu l'istituto che invano cerchi altrove?

Tutto doveva essere ancora molto confuso, ma nel suo cuore era disposto a tutto. Quattordici anni dopo, in una lettera a un religioso, scrive: „È qui (nella Santa Casa) che nacque la Congregazione nel 1877” (3 aprile 1894). Fin d'allora, infatti, al centro della sua meditazione saranno le disposizioni interiori di Gesù e di Maria nel mistero dell'Incarnazione („Ecce venio” e „Ecce ancilla Domini”).

Ma quell'idea, nata nella Santa Casa di Loreto, non sarà forse tutta fantasia? Da uomo prudente, si mette in attesa degli eventi. Il viaggio prosegue per Roma dove andrà con il vescovo all'udienza del papa Pio IX. Il Papa dimostrò di ricordarsi bene di quel giovane avvocato che voleva farsi sacerdote e che poi aveva ricevuto con i suoi genitori e con il gruppo degli stenografi. Fu l'ultima udienza con Pio IX e il Dehon lo descrive come un santo.

Fondare un istituto non è cosa facile, tanto più che le opere messe in cantiere esigevano la sua presenza. Dopo molti ripensamenti, ottiene dal vescovo una proposta che gli permetteva di iniziare. Però doveva unificare due progetti: un collegio per l'educazione della gioventù, di cui c'era estremo bisogno e, in funzione di questo, il nuovo istituto dedicato al S. Cuore di Gesù. Il vescovo vedeva le due cose unite e gli scrive nei termini seguenti: „Il progetto della fondazione dell'istituto religioso gode tutte le mie simpatie. Per quanto mi riguarda, assicuro la mia collaborazione nella misura che mi sembrerà volontà di Dio. È mio desiderio che sia lei a realizzare quest'opera” (13 luglio 1877).

 Il Dehon non frappone indugi: il 16 luglio, tre giorni dopo quella lettera, inizia subito un ritiro per stendere la bozza del nuovo istituto. Il 31 luglio inizia, da solo, il noviziato che terminerà il 28 giugno 1878, data di nascita dell'istituto che inizialmente si denominerà: Oblati del S. Cuore di Gesù. Contemporaneamente avvia la pratica per acquistare un edificio per il collegio: vi impiega subito 500 franchi ai quali ne aggiungerà altri 20.000 quasi tutto di tasca sua. Alla fine del suo noviziato, emette i tre voti religiosi ai quali aggiunge quello di vittima per il S. Cuore. Quest'ultimo voto è difficile da capire, ma va inteso come offerta di se stessi in spirito di riparazione delle offese rivolte al Sacro Cuore di Gesù, come era stato chiesto a S. Margherita M. Alacoque. Sicuramente si tratta di un impegno che può richiedere l'eroismo, per cui, in seguito, sarà lasciato libero per coloro che si sentiranno chiamati a esprimerlo.

Era solo, ma dietro a lui, fino ai nostri giorni, seguiranno le sue orme quasi 10.000 dehoniani che attualmente nel mondo sono oltre 2.200.

 

 Nell'edificio acquistato avrà sede il collegio dedicato a San Giovanni. Si doveva procedere in fretta per essere pronti ad accogliere gli alunni per l'anno scolastico. Le fatiche per tutte queste imprese, che si aggiungevano a quelle già descritte, diedero il tracollo alla sua salute e ripresero gli sbocchi di sangue in forma gravissima. La sua fibra, già molto fragile, stava cedendo fino al punto che i medici gli contavano i mesi di vita.

Molto vicino a lui e alla sua opera erano le suore Ancelle del S. Cuore. Avvisate che al Padre, secondo i medici, non restavano che tre mesi di vita, subito iniziarono una gara di preghiere e di sacrifici che solo Dio conosce. Una giovane suora, Suor Maria di Gesù, il 25 novembre 1878 offrì la sua vita al posto di quella di P. Dehon, chiedendo al Signore 15 mesi per prepararsi. Si ammalò dello stesso male e, dopo 10 mesi, il Signore la chiamò al cielo. Coincidenza? Suor Maria era sorella minore della fondatrice delle Ancelle del S. Cuore, Madre Ulrich. Pochi giorni dopo la morte della sorella, madre Ulrich consegnò al Padre un plico dicendogli che lì dentro vi era la penna con la quale sua sorella aveva firmato l'atto di offerta della sua vita in cambio della sua. Appena firmato, una forza invisibile le strappò di mano la cannuccia di ferro e la contorse tutta quanta.

Quella penna esiste ancora e si può vedere a Roma nel museo della Congregazione.

 

 P. Dehon si riprende dalla sua mortale malattia, e sappiamo a quale prezzo. Non lo dimenticherà mai. Era partito da solo e il suo stato di salute non prometteva molto futuro. Ma le vie di Dio sono sorprendenti. Mentre P. Dehon versava in pericolo di morte, arriva il primo (P. Alfonso Rasset) di un gruppetto di sacerdoti che subito subentreranno a sostenere il collegio San Giovanni che il Dehon guiderà fino al 1893.

Merita di essere notato il cambiamento di aria attorno al Fondatore. Il collegio, a differenza delle altre opere da lui avviate, era dichiaratamente di impostazione cattolica. A questo punto, lui che fino a ieri era quasi idolatrato, per i laicisti e i massoni diventa un nemico da combattere. Ad aggravare la situazione un incendio distrugge due piani del fabbricato (1881). C'era da scoraggiarsi. Ma anche qui non è mancato un segno provvidenziale: tutti poterono notare che le fiamme si erano fermate davanti alla statua del S. Cuore, rispettando completamente l'arcata che la proteggeva. Dunque, nel nome del S. Cuore, si poteva ricominciare!

Ricominciare, riparando i danni dell'incendio, ma anche allargando gli orizzonti, perché bisognava mettersi al sicuro, visto che il governo massonico della Terza Repubblica stava preparando leggi ostili alla religione che, di fatto, culmineranno nell'espulsione dei religiosi e la confisca dei loro beni (dapprima i „famigerati decreti di marzo 1880”, poi l'„anticlericalismo di Stato” perseguito dall'ex seminarista Emile Combes, 1902).

La strategia del momento non poteva essere altra che quella di aprire case fuori del territorio francese. Perciò P. Dehon fonda case in Belgio, in Lussemburgo, in Olanda e in Germania, con il vantaggio di acquistare dimensione internazionale e di darsi le strutture necessarie per tutto l'arco della formazione al Sacerdozio. Padri dehoniani, che nel frattempo erano cresciuti di numero, svolgevano il loro apostolato nelle parrocchie, nelle missioni al popolo e nell'educazione della gioventù. Molto importante fu anche il loro impegno sociale negli stabilimenti di Leone Harmel, a Val du Bois, vicino a Reims.

Il notissimo industriale Harmel aveva conosciuto P. Dehon nei congressi sociali e aveva fatto di tutto per avere i dehoniani come assistenti spirituali. Egli infatti aveva dato un'impostazione tutta nuova e rivoluzionaria nella sua fabbrica, mettendo a disposizione degli operai e delle loro famiglie case, chiesa, luoghi di accoglienza per i giovani e per gli operai. P. Dehon e i suoi preti, assecondati dall'Harmel, fecero di Val du Bois una fabbrica modello, ma anche un centro di formazione sociologica dei seminaristi e, poi, anche di preti e laici.

Gli inizi della Congregazione non sono stati sempre rose e fiori. Ci sono stati dei momenti molto difficili e dolorosi, dovuti non solo alle condizioni sociali e politiche del tempo, ma anche da errori, incomprensioni, persecuzioni. Ma il S. Cuore di Gesù voleva quest'Opera, perché sempre ne venne fuori più viva che mai. E lo si deve alla umiltà, alla fede e alla tenacia di P. Dehon. Ebbe anche l'incoraggiamento di don Bosco che incontrò a Parigi (maggio 1883). P. Dehon gli chiese una risposta in nome di Dio sulla sua Opera. Don Bosco lo fissò attentamente e lo rassicurò che quella era la volontà di Dio.

Chi conosceva il Dehon come un prete intellettuale plurilaureato in diritto e in scienze teologiche, non poteva certo immaginare che poi, sul piano concreto, si rivelasse un formidabile realizzatore sociale. Se si vuol capire il suo stile, bisogna risalire alla sua concezione della missione del prete. Proiettato in campo parrocchiale, comprese subito che la pastorale dell'ordinaria amministrazione (attendere le persone in chiesa o in sacrestia, distribuire i sacramenti, impartire la catechesi a chi viene, ecc.) non poteva che portare al fallimento, perché a circolo chiuso. Abbiamo già visto che la sua prima preoccupazione fu quella di comprendere la condizione umana e religiosa della sua gente e, poi, quella di agire di conseguenza, portando i rimedi possibili. Diede vita ai patronati per operai e per giovani, a circoli per le varie categorie di persone, attivò la Compagnia di S. Vincenzo, creò da zero un giornale, mandò i suoi religiosi nelle fabbriche di Leone Harmel a Val du Bois, partecipava ai congressi sociali e organizzava settimane di formazione sociale. A qualcuno di questi incontri partecipò anche don Ernesto Vercesi, eminente personalità del movimento sociale italiano, il quale parlò con entusiasmo di P. Dehon. Con tutte queste attività ben presto P. Dehon assurse a notorietà, non solo diocesana, ma anche nazionale.

 Nel 1893 viene chiamato a far parte della Commissione diocesana di studi sociali che si proponeva lo studio dell'enciclica Rerum novarum di Leone XIII, uscita nel 1891. Presiedeva la Commissione il marchese La Tour du Pin, il quale però passò quasi subito la presidenza a P. Dehon. Sotto la sua direzione e su sua proposta affrontarono lo studio dell'enciclica da vari punti di vista. In breve tempo si arrivò alla stesura del Manuale sociale cristiano (1894), un testo che ebbe grande accoglienza e fu tradotto in varie lingue (spagnolo, ungherese, perfino in arabo). La versione italiana fu curata e presentata dall'illustre sociologo e futuro beato Giuseppe Toniolo. Il Papa ne approvò verbalmente il contenuto e fu adottato come testo di studio da molti seminari lungo gli anni 1895-1910.

A questo primo volume a carattere sociale, negli anni successivi, ne seguiranno vari altri su temi specifici. Merita di essere nominato il Catechismo sociale (1898) che ebbe uguale successo del Manuale e l'edizione italiana fu ugualmente curata dal prof. Toniolo.

 

 Si può dire che l'ultimo decennio del secolo XIX vide una vera e propria esplosione di attività sociali da parte di P. Leone Dehon, in collegamento con Leone Harmel e con il sostegno di Leone XIII: tre Leoni, come si vede, un nome non solo simbolico, perché la battaglia sociale era durissima, dentro e fuori della Chiesa.

Per quanto riguarda P. Dehon, si è già detto delle pubblicazioni e si è accennato alla sua partecipazione ai grandi congressi, sempre a carattere sociale (come quelli di S. Quintino, Reims, Lilla, Digione, Lione), ai quali era sempre invitato come oratore di prestigio. È utile ricordare che a Digione (1890) si dava forma incipiente a una formazione politica dal nome „Democrazia cristiana” che avrà un seguito glorioso e che allora aveva come slogan: „Dare Cristo al lavoratore e il lavoratore a Cristo”.

Nel 1897 diede inizio a Roma alle conferenze sociali che ebbero una vasta risonanza e alle quali parteciparono cardinali, vescovi, sacerdoti, seminaristi dei vari collegi romani. Il papa Leone XIII le seguiva personalmente attraverso i resoconti de L'Osservatore Romano, ma anche inviando degli osservatori che gli riferivano dettagliatamente. Risale a quel tempo l'udienza che ebbe con il Papa insieme a Leone Harmel, al francescano P. Giulio e l'industriale Palomera che seguiva l'esempio di Harmel nelle sue fabbriche. L'udienza si prolungò 35 minuti durante i quali il Papa volle interessarsi delle conferenze sociali che il Dehon teneva a Roma ogni 15 giorni: „molto bene”, gli disse. Poi ascoltava con interesse la presentazione delle attività della Congregazione dando la sua benedizione alle opere e a tutti i membri (allora i religiosi erano 200 e altrettanti gli alunni nei seminari).

Alle conferenze romane non mancava mai l'amico mons. Giacomo Della Chiesa, il futuro cardinale di Bologna e papa Benedetto XV. Vi partecipava anche mons. Prunel, il futuro vice-rettore dell'Università cattolica di Parigi, il quale lasciò questa entusiasta descrizione:

„L'oratore entra in sala tra gli applausi dell'assemblea. Alto, secco, nervoso, aveva qualcosa di militare nel suo portamento e nel suo incedere. Fronte scoperta, sguardo indagatore, naso aquilino e un non so che di sicuro che manifestava la sua piena padronanza di se stesso e una convinzione ardente. Poteva avere cinquant'anni, ma li portava bene. L'oratore conquista sempre più l'uditorio. Sembra che anche i cardinali prendano parte all'entusiasmo generale….”.

Quel „sembra” riferito alle reazioni dei cardinali fa intravedere che in Curia non tutti erano entusiasti di quel coinvolgimento della Chiesa nel sociale. In quanto al Papa, è certo che, alla fine delle conferenze, voleva gratificare l'oratore con una prelatura, ma il Padre pregò di essere lasciato nella sua identità di religioso. Si ripiegò sulla nomina a consultore dell'Indice: un modo evidente per dimostrare l'approvazione del Papa, perché i consultori avevano il compito di esaminare l'ortodossia delle pubblicazioni. Questa nomina gli fu consegnata proprio dall'amico mons. Della Chiesa, il giorno del suo onomastico (11 aprile, S. Leone Magno).

Come si può immaginare, le conferenze romane gli conferirono una notorietà e un'autorità che gli moltiplicarono le chiamate ad ogni livello: diocesano, regionale e nazionale. Impossibile anche solo accennare all'attività frenetica di questi anni. Per restare in Italia, possiamo accennare almeno alla conferenza che tenne a Milano l'11 maggio 1897, nel salone dell'episcopio sul tema: „L'evoluzione sociale cristiana in Europa”. Ne abbiamo notizia da „L'Osservatore Cattolico”, giornale locale, che termina il pezzo dicendo: „Il Padre Dehon, che ebbe momenti felicissimi, al termine della sua bella conferenza riscosse applausi vivissimi dell'uditorio che lo aveva seguito con intensa attenzione e col più grande interesse”. Lo stesso giornale gli chiese un'intervista e lo presenta così: ” Ieri abbiamo avuto in redazione la visita preziosa del padre Leone Dehon, superiore dei preti del Sacro Cuore, il noto sociologo francese, reduce da Roma dove ha tenuto, come i nostri lettori sanno, un corso di conferenze sociali, che furono ammiratissime e nelle quali egli svolse ampiamente il programma della Democrazia cristiana. Il P. Dehon è un uomo alto, dall'aspetto nobile, dal volto intelligente; parla con esattezza e misura singolari e si rivela dottissimo degli argomenti più interessanti della vita moderna„.

Si leggono volentieri queste note laudative, perché vengono dall'Italia dove iniziava a muoversi quella sensibilità sociale che un po' ovunque, specialmente nel clero, destava contrasti e anche ostilità.

 

 Accanto all'apostolato sociale, P. Dehon ha amato anche quello della penna. Il catalogo delle sue opere non è ancora definito, ma la mole dei suoi scritti è immensa: opere sociali, scritti ascetici, scritti per la Congregazione, relazioni sui suoi viaggi e varie centinaia di brani di corrispondenza. Basti dire che solo il settore corrispondenza tra p. Dehon e Mère Marie du Coeur de Jésus riempie due volumi (oltre 1.300 pp. complessive) di recente pubblicazione (a cura di André Perroux, 2003).

Ovviamente il valore di ciascuna opera è variabile. Abbiamo già espresso l'apprezzamento che il ven. Giuseppe Toniolo aveva delle opere sociali. Egli ha curato la traduzione e la presentazione sia del Manuale sociale cristiano e sia del Catechismo sociale, a proposito del quale il sociologo italiano scrisse: „È vero che è molto più difficile ammannire il pane della verità in modo che tutti se ne possano cibare che spiegare ai dotti delle teorie scientifiche. Questa difficoltà non ha spaventato P. Dehon. La chiarezza dello spirito francese unita alla coerenza degli italiani, in mezzo ai quali è vissuto a lungo, contribuisce a imprimere a questa e ad altre opere un carattere popolare, spiccatamente originale”.

Grandissimo spazio occupano gli scritti ascetici, tutti incentrati sul culto e la devozione del Sacro Cuore. Non sono mancati gli scritti di tipo geografico e culturale, frutto dei suoi numerosi e, talvolta, lunghissimi viaggi. Per non parlare delle opere che riguardano direttamente la vita interna della Congregazione. Moltissimi sono anche gli articoli pubblicati su riviste e giornali. Rileggendoli oggi, si rimane stupiti della lucidità delle analisi e la modernità del linguaggio che ce li fa sentire tuttora attuali.

 

 Verso la fine della sua vita ebbe a dire che avrebbe voluto essere missionario, ma che, se non aveva potuto esserlo personalmente, lo era stato attraverso i suoi missionari. Si può aggiungere che il fine implicito di molti suoi viaggi era proprio quello di rendersi conto dello stato e delle possibilità di evangelizzazione.

La prima missione della sua Congregazione fu in Ecuador dal 1888 al 1896. Solo otto anni, perché il governo massonico espulse i missionari. Tra i primi tre vi era P. Gabriele Grison il quale, espulso dall'Ecuador, riparte per il Congo dove sarà il primo vescovo della Prefettura di Stanley-Falls. I primi anni di questa missione, tuttora viva e fiorente, sono stati molto difficili. I missionari dehoniani scrissero pagine stupende, lasciando sul terreno insalubre non poche vite giovanili (in 15 anni vi morirono ben 22 missionari, comprese alcune religiose).

Poi vennero altre missioni: Brasile del sud e poi del nord, Finlandia, Canada e Indonesia. P. Dehon si attirò molte critiche, anche dall'interno dell'Istituto, perché non si comprendeva questo suo lanciarsi verso missioni lontane, mentre i dehoniani erano ancora pochi e le difficoltà politiche ed economiche in casa erano enormi.

Il Padre era criticato come imprudente anche perché, con tanto attivismo, sembrava che non curasse abbastanza la formazione dei suoi religiosi. Queste critiche arrivarono anche al card. Gotti, prefetto dell'allora Propaganda Fide, il quale rispose: „Io non so se i Sacerdoti del S. Cuore sono dei veri religiosi, so però che sono degli ottimi missionari”. E volle presiedere lui stesso all'ordinazione episcopale di mons. Gabriele Grison (1908).

 

 Abbiamo già capito che P. Dehon amava Roma e aveva una particolare attrattiva per l'Italia. Innanzi tutto, era necessario stabilire una sede a Roma per le pratiche con la Santa Sede e per avere un piede a terra per gli studenti che dovevano specializzarsi nelle scienze teologiche. Non era facile, se si pensa alle continue trasmigrazioni dalla chiesa del Suffragio a via Giulia, a piazza Campitelli, a Monte Tarpeo. Specialmente in quest'ultima sede sostarono spesso ospiti di riguardo del mondo ecclesiastico. Di casa, si può dire, era mons. Giacomo Della Chiesa con il quale c'era una grandissima amicizia. Una volta, nel 1898, furono ospiti perfino tutta la famiglia di Leone Harmel. Fu in quell'occasione che i due Leone andarono ad ascoltare la „Risurrezione” di L. Perosi, presso la chiesa dei SS. Apostoli che era gremita. Il Dehon ha notato che i primi posti costavano 15 franchi e aggiunge che furono „due ore d'incanto”. Meno intensa fu, l'anno successivo, l'audizione della „Passione”, sempre del Perosi.

 Gli anni passavano e bisognava pensare a radicare in Italia la Congregazione. Dove mettere piede?

C'erano alcune proposte, ma il Padre si orientò per la provincia di Bergamo. Qui era vescovo mons. Radini-Tedeschi che aveva partecipato alle sue conferenze romane. Fu accolto molto cordialmente: mandò il suo segretario, don Angelo Roncalli, ad accoglierlo con la carrozza alla stazione e accompagnarlo dal vescovo. Era il 14 aprile 1906, l'anno in cui il papa Pio X ha approvato „ad experimentum”, per 10 anni, le Costituzioni della congregazione.

Fu ancora don Roncalli, su incarico del vescovo, ad accompagnare il Padre alla ricerca di una sede che fosse idonea, non solo ai fini, ma anche alla borsa scarseggiante di allora. Dopo la visita a varie località (Pontida, Nembro), si fermarono ad Albino, presso l'opera di don Gambarelli che, da famoso cantante era stato ordinato prete e aveva messo in piedi un piccolo santuario dedicato alla Madonna di Guadalupe. Mentre si spostavano da un luogo all'altro, il giovane Roncalli approfittava per informarsi circa le opere della Congregazione e sull'attività sociale del Padre. Egli infatti aveva letto il Manuale sociale e diceva che a Bergamo vi era una Scuola sociale fondata da Nicolò Rezzara, che aveva partecipato alle conferenze romane e, in seguito, fu di grande aiuto per la fondazione in Albino.

Nella casa del Gambarelli, personalità difficile, i quattro dehoniani inviati per iniziare l'opera durarono poco. Dopo un breve periodo trascorso in „casa Solari”, proprietà dei fratelli di mons. Solari che era nunzio apostolico a Madrid, furono acquistati il terreno e la casa, in luogo ameno sovrastante il paese, che è la sede attuale della Scuola Apostolca. All'inaugurazione della nuova casa, 2 maggio 1910, era presente P. Dehon, ma non volle mancare neppure il vescovo mons. Radini-Tedeschi, accompagnato dal suo fedele segretario, don Roncalli, il quale non nascondeva la sua soddisfazione notando che quella casa era anche un po' sua, perché effettivamente, si era prodigato molto per trovare il posto e per sciogliere varie complicazioni che erano sorte. Don Roncalli, con quel suo stile bonario che vedremo come sua caratteristica durante il suo Pontificato, aggiungeva che anche lui era un sacerdote del S. Cuore: apparteneva, infatti, all'associazione diocesana dei preti del S. Cuore.

Ogni volta che, da vescovo e da Papa, incontrava i Dehoniani, papa Giovanni XXIII non mancava mai di ricordare che aveva conosciuto il nostro santo Fondatore e come aveva aiutato la fondazione della casa di Albino.

In quei giorni P. Dehon ebbe modo di manifestare il suo buon cuore verso Massimo Carrara, un giovane che frequentava la casa di Albino e svolgeva piccole mansioni. Egli aveva perso tutto l'avambraccio sinistro per lo scoppio di una mina quando lavorava sul vicino Monte Misma. Un giorno il Padre lo fece chiamare e gli chiese se volesse accompagnarlo a Milano per acquistare una protesi del braccio. Il Carrara lo guardò sorpreso e confuso, perché non poteva permettersi una spesa del genere. Ma il Padre lo rassicurò subito dicendogli di non preoccuparsi per la spesa, perché avrebbe provveduto sua nipote. Si riferiva alla nipote Marta che, in seconde nozze, aveva sposato il conte Roberto de Bourboulon, e che aveva per lo zio una vera venerazione.

Si doveva trovare un'altra sede dove gli studenti di Albino, dopo i cinque anni di ginnasio (secondo l'ordinamento scolastico di allora), potessero continuare la loro formazione. Dove? P. Dehon si ricordò del suo amico Della Chiesa che, nel frattempo, era diventato arcivescovo di Bologna. Facendo tappa qui in un suo viaggio a Roma, espose al vescovo il suo problema. La risposta fu immediata: „Padre, Bologna è tua, il mio seminario è tuo”. La cosa era fatta, anche se solo provvisoriamente. Dopo qualche tempo, infatti, si aprì la casa in via Nosadella, presso la chiesa dedicata a S. Maria Regina dei cieli, ma detta dei poveri. La guida della comunità fu affidata al P. Ottavio Gasparri, uno dei primi di lingua italiana, un uomo di grandi capacità organizzative, che trasformò la chiesetta dei poveri in un centro di spiritualità cittadino incentrato sulla devozione al S. Cuore.

La cordialità e l'amicizia di mons. Della Chiesa rimasero indelebili nella memoria dei dehoniani. Le cronache raccontano che ogni festa del S. Cuore l'arcivescovo dedicava a loro tutto il giorno, dalla messa e predica del mattino, cui seguiva l'àgape festosa e poi la funzione liturgica del pomeriggio. Non volle mancare neppure alla festa del 1914, freschissimo cardinale, che solo tre mesi dopo sarebbe stato eletto Papa (il 7 settembre) col nome di Benedetto XV.

Bologna resterà il centro principale della Congregazione in Italia e vi si svilupperanno opere molto significative, come lo Studentato, le Edizioni EDB, il Villaggio del fanciullo, la tipografia e gli spazi ricreativi, oltre alla parrocchia del Suffragio. Successivamente, ai dehoniani verranno affidate una quindicina di parrocchie in zone difficili dell'Appennino tosco-emiliano. Vennero poi molte altre case, sparse in altre regioni della Penisola.

Oggi il numero dei dehoniani italiani è di circa 360, ma quelli operanti in Italia sono solo circa 200, mentre gli altri, secondo lo stile dinamico del loro Fondatore, sono sparsi per il mondo. In questo ultimo mezzo secolo hanno fondato la Congregazione in altre nazioni (Portogallo, Argentina, Mozambico) e, anche in collaborazione con altre Province, stanno operando in varie missioni (Congo, Camerun, Indonesia, India, Madagascar).

 

 Travolto e quasi sommerso da mille attività, risulta un po' difficile per noi immaginare quale spazio P. Dehon sia riuscito a dare alla fondazione della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù. Eppure, non c'è dubbio che essa è sempre stata al primo posto delle sue occupazioni e tutto il resto era in funzione di questo o veniva dopo. Ma forse sarebbe più esatto dire che al primo posto stava il Cuore di Cristo, e tutto il resto era in funzione di questo.

Tutto ha concorso a centrare tutta la sua vita sul Cuore di Cristo, a incominciare dall'educazione religiosa appresa dalla madre. Cappellano a S. Quintino, entra in contatto con la fondatrice delle Ancelle del Cuore di Gesù, madre Maria Ulrich, che avrà un influsso decisivo nell'indurlo alla fondazione degli Oblati del S. Cuore. Mentre, poi, stava cercando di capire la volontà di Dio a suo riguardo, tra le varie vie che ebbe ad esplorare si rivolse anche alla fondatrice delle Suore Vittime del Cuore di Gesù (di Villeneuve-les-Avignon), madre Veronica (Carolina Lioger), attorno alla quale vi era anche un gruppetto di preti che ne seguivano la spiritualità. Tra di essi vi era P. Andrea Prévot, che seguirà p. Dehon, sarà una colonna portante del suo istituto e morirà in concetto di santità.

Abbiamo citato due fondatrici di congregazioni votate al S. Cuore, ma bisogna tener presente che tra il secolo XVII e la fine del XIX sono sorte ben 190 congregazioni sotto lo stesso titolo. Questo clima era dunque fortissimo nella Chiesa di allora e questo spiega che il Dehon, prima di decidersi a seguire la sua strada, ha voluto esplorare bene il terreno per non fare un doppione.

Siamo negli anni '70, quando il Dehon è sempre attratto dall'idea della vita religiosa e dalla riparazione verso il S. Cuore, secondo la spiritualità di S. Margherita M. Alacoque. Il suo ideale è S. Giovanni evangelista, il discepolo che, nell'ora del tradimento, posa il suo capo sul petto del Signore e sta ai piedi della croce, accanto a Maria, per accogliere il testamento di Gesù e il segno del Cuore trafitto.

Possiamo trovare una sintesi del pensiero di P. Dehon nelle seguenti parole: „Sacerdote del Sacro Cuore, sacerdote vittima, vero sacerdote, è un tutt'uno. È questo che bisogna essere. Questa grazia è necessario che io ottenga per tutto il mio mondo” (in data 16 febbraio 1886).

Leone XIII, oltre che il papa delle encicliche sociali, è anche il papa della devozione al Sacro Cuore. Anche in questo, sia pure su piani diversi, i „due Leoni” avevano le stesse idee. Infatti, nel 1899 in preparazione dell'anno santo di fine secolo, anche sollecitato dalle lettere della Beata Sr. Maria del Divin Cuore (appartenente alla nobile famiglia tedesca Droste zu Vischering), pubblicò l'enciclica Annum sacrum che intendeva predisporre gli animi all'Anno Santo di fine secolo, mediante la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù. Era quanto di meglio P. Dehon potesse desiderare. Nella notte di passaggio dal XIX al XX secolo, egli è a Roma e nella piccola casa della Postulazione celebra la santa Messa, alla quale fa seguire la recita delle litanie del S. Cuore che erano state appena approvate, e la preghiera di consacrazione proposta dal Papa stesso. A coronamento di tutto questo, il 6 gennaio 1900, festa dell'Epifania, il novantenne Leone XIII scende in S. Pietro e recita la preghiera di consacrazione del mondo al S. Cuore di Gesù.

P. Dehon, accanto ai suoi impegni in campo sociale, dedicherà gran parte delle sue energie nella composizione di numerose pubblicazioni dedicate al S. Cuore (sono non meno di una dozzina). Si può dire che il programma di tutta la sua vita stava nel frontespizio della rivista che fondò nel 1889: „Il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società”. Ma è tutta la sua vita e la sua spiritualità che sono incentrate nel culto di amore e di riparazione al Cuore di Gesù. Questa è la chiave interpretativa anche di tutte le sue opere che trovano il loro culmine nell'attuazione dell'ultimo sogno: edificare un tempio al Sacro Cuore in Roma, al quale dedicherà gli ultimi anni della sua vita.

 

 Il 1906 è un anno particolarmente importante, perché, su interessamento personale del papa S. Pio X, la Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore ottiene l'approvazione definitiva che diventa effettiva il 4 luglio. Raggiunto questo fondamentale traguardo, che permette di guardare verso il futuro con assoluta tranquillità, il Padre dedica gli ultimi sei mesi di quest'anno a un lungo viaggio in America Latina. Prima di tutto, si reca in Brasile dove già operavano i suoi religiosi, poi visita l'Uruguay e l'Argentina: tre nazioni dove la Congregazione prenderà un fiorente sviluppo. Come al solito, il Padre aveva riempito le sue agende di appunti che verranno a formare un libro dal titolo: Mille leghe nell'America del Sud.

Rientrato dal lungo viaggio, P. Dehon si dedica alla fondazione dell'Istituto in Italia, come abbiamo visto. Ma ci sarà spazio, ancora nel 1907, per visitare la Finlandia, includendo Prussia e Danimarca e rientrando passando per la Russia e la Cecoslovacchia. Il risultato sarà la fondazione dell'Opera a Helsinki.

P. Dehon è ormai quasi settantenne, ma i viaggi non sono finiti. Anzi, si accinge a intraprendere addirittura il giro del mondo. Per la verità, l'idea non era nata da lui e neppure, in partenza, si pensava a un viaggio così lungo. Le cose andarono così. Nel 1910 si celebrava a Montréal (Canada) il Congresso eucaristico internazionale e alcuni vescovi amici lo invitavano a parteciparvi. In particolare c'era mons. Thiberghien, un vecchio amico di Roma che ora era membro del consiglio dei congressi eucaristici, il quale lo invitava a fare il viaggio insieme. È chiaro che P. Dehon aveva di mira la possibile espansione della Congregazione anche in America del nord. In breve, ne venne fuori un itinerario su misura mondiale.

Partenza il 10 agosto e le tappe principali seguirono quest'ordine: New York, poi Montréal, da qui all'immensa regione dell'Alberta, scendono poi a S. Francisco, salpano per il Giappone, posteggiano in Corea, breve sosta a Pechino, scendono a Manila (Filippine), toccano Giava e Singapore, passano a Ceylon (Colombo), nel gennaio sono in India, si avvicinano alla Palestina passando per lo stretto di Suez (che aveva visto scavare nel 1865), breve sosta a Gerusalemme e, finalmente, il 2 marzo 1911 sbarco a Marsiglia. Un breve respiro, per riprendere il treno per Roma per ragguagliare il Papa Pio X circa le varie nazioni e missioni che aveva incontrato. Consegnerà un apprezzato resoconto anche alla congregazione di Propaganda Fide da cui riceve un vivo ringraziamento.

Un uomo instancabile, nonostante la perenne fragilità fisica che si trascinava dietro. Ma il peggio sta alle porte. Intanto, il 26 novembre 1913 gli viene a mancare in P. Andrea Prévot, il grande educatore della giovane Congregazione, per 20 anni maestro dei novizi, modello esemplare di vera santità e del quale è introdotta la causa di beatificazione. Poco più di dieci anni prima, P. Andrea si era ammalato molto gravemente e stava sul punto di morire. Perderlo in quel momento, sarebbe stato un disastro per l'Opera. P. Dehon accorre al suo capezzale e chiede al padre di domandare al Signore un prolungamento di vita. Tutti e due si mettono in preghiera e, dopo poco, P. Andrea si riprende e dice che la Madonna gli ha ottenuto il prolungamento di 10 anni. Era il 1899 e, quindi, l'aggiunta fu anche più abbondante. Quando i santi si mettono….Grazie a Dio!

Pochi mesi dopo è la grande guerra (1914-1918). Nell'agosto 1914 muore Pio X e l'8 settembre gli succede il card. Giacomo Della Chiesa, con il nome di Benedetto XV. Il 20 marzo 1917 muore madre Maria del S. Cuore, fondatrice delle Ancelle del S. Cuore che, come si è accennato, aveva avuto una parte importante agli inizi della nostra Congregazione.

La guerra infuria con il seguito delle sue tragedie. S. Quintino e tutta la zona nord della Francia viene subito invasa dalle truppe tedesche. Le case dell'Istituto saranno distrutte quasi completamente. P. Dehon assiste i soldati, i prigionieri, i feriti. Ma la sua salute si incrina nuovamente e riprendono gli spurghi di sangue. Viene costretto all'esilio e, su un vagone per il bestiame, passa in Belgio. È ridotto a uno straccio. A Enghien, scendendo dal treno, cade a terra e si ferisce alla testa. Lo accolgono con grande delicatezza i padri Gesuiti e rimane tra loro, finché non riceve il lasciapassare per Bruxelles, finalmente di nuovo tra i suoi.

Su segnalazione di P. Gasparri, il papa Benedetto XV ottiene a P. Dehon il permesso di venire a Roma. Lascia Bruxelles il 12 dicembre 1917, arriva a Ginevra dove c'è l'incontro commovente e sorprendente con i suoi nipoti che erano riusciti a sapere che transitava di lì. A Roma giunge il 30 dicembre e il 3 gennaio 1918 è ricevuto dal Santo Padre con la cordialità che si può immaginare.

Il papa era l'amico di sempre e volle essere informato di tutto. Il Padre gli presenta confidenzialmente due proposte: la prima, permettere ai sacerdoti di celebrare tre Messe il giorno dei morti, tenendo conto di tanti soldati che muoiono senza che qualcuno preghi per loro. Effettivamente il Papa disporrà che, dal novembre successivo, i sacerdoti possano celebrare tre messe, dedicandone una per i soldati morti e una per tutte le anime del Purgatorio. La seconda proposta riguardava la festa del Cuore immacolato di Maria che nel breviario era stata dimenticata. Anche questo inconveniente verrà rimediato.

Nell'udienza di congedo dal Santo Padre del 25 aprile, P. Dehon gli confida un suo antico desiderio: che in S. Pietro ci fosse un altare dedicato al S. Cuore. L'idea al Papa piace moltissimo, ma rimane perplesso, perché ormai tutti gli altari hanno la loro dedicazione. Ma P. Dehon aveva previsto anche il posto possibile e indica un altare dove c'era una tela non molto importante. Il Santo Padre, che amava definirsi „il Papa del S. Cuore”, dispose ogni cosa e, non molto tempo dopo, apparve quel bellissimo mosaico che ritrae l'apparizione del S. Cuore di Gesù a S. Margherita M. Alacoque. Quel mosaico ci ricorda, certo, un'amicizia straordinaria, ma soprattutto che il Cuore di Cristo sta nel cuore della Chiesa.

 

 Terminata la „grande guerra”, non restavano che le rovine. Tutto era da ricostruire: le case, i collegamenti tra i dispersi dalla guerra, ma soprattutto gli spiriti e i cuori. Perché con la guerra muoiono anche gli ideali. Molti religiosi erano stati arruolati e, quindi, avevano militato in schieramenti opposti. Il Padre rientra in Francia che la guerra è ancora in corso, ma si ferma a Lione dove ha amici. Dopo l'armistizio dell'11 novembre 1918, riparte per Roma. Ma a Bologna c'è una tappa importante, perché non può essere passato sotto silenzio il suo 50° di Sacerdozio. Nonostante i tempi difficili, si può dire che la città si unisce alla piccola comunità dehoniana per fargli festa. Di quel giorno abbiamo una bella fotografia che, si può dire, fissa un ricordo di un'epoca. Infatti, in prima fila, al fianco del Padre si vedono i Padri della comunità e alcuni prelati della città, e poi ci sono gli studenti religiosi, alcuni dei quali sono ancora in divisa militare.

Proseguendo per Roma, è accompagnato da P. Gasparri e da altri tre confratelli. Alloggiano a S. Chiara e il 22 dicembre il Padre canta la Messa, sommerso nei ricordi dell'ormai lontano 1868. È in questa circostanza che, nell'immancabile udienza con Benedetto XV, il Padre espone il desiderio di costruire una chiesa in Roma e sarà il Papa stesso a indicargli la località più adatta.

Nell'aprile 1919, dopo un'assenza di 16 mesi, rimette piede a Bruxelles e la sua prima preoccupazione è quella di ristabilire il clima di fiducia e di speranza, poi verrà la ricostruzione delle case distrutte, davanti alle quali non riuscirà a trattenere le lacrime: „Ricostruiremo per la terza volta!”.

Si deve anche preparare il Capitolo generale, il primo dopo lo sconquasso della guerra. Ai capitolari offre due volumi sulla vita interiore e altri due sull'Anno del S. Cuore, frutto della forzata immobilità durante la guerra. Nell'ottobre dello stesso anno gli sarà data la gioia di partecipare alla consacrazione della basilica del S. Cuore di Montmartre, presenti un centinaio di vescovi.

 

 L'idea di P. Dehon sulla chiesa in Roma era grandiosa, perché doveva essere degna del centro del cristianesimo e del cuore della Congregazione e dovrà sorgere con il concorso di tutto il mondo per l'intronizzazione universale del Cuore di Cristo. È del 9 febbraio 1920 la lettera con cui il card. Gasparri, a nome del Santo Padre, accoglie l'idea della chiesa dedicata al S. Cuore di Cristo Re in Piazza d'Armi. Il nome di quella zona derivava dal fatto che era adibita per le esercitazioni militari. Anche per questo un tempio al S. Cuore ci andava proprio bene. Tanto più che gli anticlericali e i massoni avevano pensato che in quell'area doveva sorgere un quartiere senza presenze di segni religiosi.

Il Papa è molto deciso e, ricevendo il Dehon il 21 aprile, caldeggia la costruzione della chiesa e per primo apre le sottoscrizioni con l'offerta di 200.000 lire. L'impresa è gigantesca e irta di difficoltà, se si pensa ai problemi economici del dopoguerra. Il padre si mette subito al lavoro e prepara il lancio di una sottoscrizione in sette lingue che invia agli episcopati italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e di lingua latina. Il 18 maggio 1920 il card. Pompili benedice la prima pietra, alla presenza di amici cardinali e vescovi. Il Padre pronuncia un breve discorso in cui ricorda che lì vicino vi è il Ponte Milvio dove la croce apparve a Costantino come segno di vittoria sul paganesimo. Anche questo tempio segnerà visibilmente il Regno del S. Cuore, come aveva auspicato il papa Leone XIII, consacrando al Cuore di Cristo l'inizio del secolo XX. Concludeva augurando che il nuovo tempio sia sorgente di abbondanti grazie per la Chiesa e per le nazioni.

Da quel momento in poi, si può dire che quasi tutto il suo tempo sarà dedicato alla ricerca di finanziamenti: una fatica improba con risultati non molto entusiasmanti.

Ma, insieme alle fatiche, non mancano anche le gioie. Infatti proprio nello stesso anno 1920 ci sono stati due eventi che hanno sollevato il suo spirito: la canonizzazione di S. Margherita Maria Alacoque e, nella stessa circostanza, l'inaugurazione dell'altare del S. Cuore in S. Pietro.

 Per il Tempio fu messa in piedi una segreteria che lavorava a tempo pieno. A un Padre che si lamentava di essere ridotto a fare l'impiegato di ufficio, il Padre Dehon rispondeva che anche lui lo era diventato, ma che per il S. Cuore nulla è piccolo. Nel 1923 P. Dehon compiva gli 80 anni e soleva dire che nella sua vita aveva avviato molte opere, ma che la più difficile di tutte era quella di Roma. Concludeva però dicendo: „Il S. Cuore provvederà!”.

Infatti, 10 anni dopo, con il sacrificio di molti, il grande Tempio dedicato al Sacro Cuore di Cristo Re sarà inaugurato, nel 1934. Grande impegno vi profuse anche P. Ottavio Gasparri. Riuscì a coinvolgere perfino il famoso tenore Beniamino Gigli che diede dei concerti a beneficio del Tempio. Purtroppo, P. Gasparri morì prematuramente e giustamente ora riposa nell'attuale basilica.

 Quest'ultima fatica di P. Dehon è consistita soprattutto nello sforzo di coinvolgere, il più possibile, tutte le realtà ecclesiali nella costruzione di una realtà visibile che fosse fortemente significativa, nel cuore della cristianità, del Regno del Cuore di Cristo nei cuori e nelle società. In modo evidente, questo profeta dei tempi moderni, che aveva sempre lottato per la giustizia sociale e per la promozione del laicato, voleva che qui convenissero tutti coloro che si sentivano attratti all'amore e alla riparazione del Cuore di Cristo. Nel 1904, ricevuto in udienza dal Papa S. Pio X, poteva riferire che gli associati e aggregati all'Opera erano già 16.000. Era l'abbozzo di quella che oggi chiamiamo la „Famiglia Dehoniana” che raccoglie in un unico ideale, non solo i dehoniani, ma tutte quelle realtà (congregazioni, associazioni, comunità) e tutti coloro che, in qualche modo, vedono in P. Dehon un padre e una guida per vivere il Vangelo nella spiritualità del Cuore di Cristo.

 

 L'età del Padre avanzava, ma non poteva rallentarsi il lavoro per la Congregazione. Dopo la pubblicazione del Codice di Diritto Canonico, era necessario aggiornare le Costituzioni. La loro approvazione definitiva giunge in data 5 dicembre 1923, nel suo 80° compleanno. La firma non sarà di Benedetto XV, l'amico di sempre, che era mancato il 22 gennaio 1922, ma di Pio XI, il card. Ratti, arcivescovo di Milano, che ricordava di essere un antico benefattore della casa di Albino, alla quale invia una delle sue prime benedizioni apostoliche. Lo stesso Papa approverà la decisione capitolare che, in deroga al nuovo CDC, stabiliva che P. Dehon fosse riconosciuto superiore generale a vita.

La Congregazione allarga i suoi confini con nuove fondazioni in Spagna, Stati Uniti, Sud-Africa, Sumatra e Finlandia. In mezzo a tutte queste occupazioni, P. Dehon trova il tempo(1920) per scrivere la vita del primo dei suoi discepoli, P. Alfonso Rasset, che riteneva esemplare per chi lavora in campo pastorale, mentre negli anni successivi (1922-23) pubblica due volumi di „Studi del S. Cuore” che vede come un contributo a una somma dottrinale sul S. Cuore. Non si ferma mai: come non stupirsi che, a 80 anni suonati, il Padre si metta perfino a tradurre dall'italiano in francese una guida di Roma, perché sia pronta per i pellegrini del prossimo anno santo 1925?

Lo chiamavano „le très bon père”, ma rivela un carattere indomabile, fino all'ultimo.

 

 Ormai il Padre non viaggia più. Il suo cuore si protende sempre più verso il cielo, verso il Cuore di Cristo, con la Vergine Addolorata, in compagnia dei suoi Santi protettori, con i grandi penitenti che nomina: Adamo, Davide, Pietro, Agostino, ecc. Non dimentica quelli che gli sono stati vicini nella sua lunga vita: sr Maria di Gesù che ha offerto la sua vita per lui, madre Maria del S. Cuore, fondatrice delle Ancelle del S. Cuore, madre Veronica Lioger, fondatrice delle Suore Vittime del S. Cuore, e poi i padri Andrea Prévot, Rasset, Jean Guillaume, ecc.

L'8 dicembre scrive il suo testamento civile con il quale destina quel poco che gli rimaneva del suo cospicuo patrimonio, per le Missioni e per il Tempio di Roma. Ai suoi nipoti che vengono a trovarlo a Bruxelles, dice che alla sua morte, non troveranno ricchezze per loro. Ma sua nipote Marta, molto dignitosamente, tranquillizzò lo zio, dicendo che le opere da lui compiute, valevano più di qualunque eredità, perché onorano la famiglia e attirano la benedizione del cielo.

Nelle sue Note quotidiane, al primo gennaio 1925 leggiamo: „Questo è l'ultimo quaderno. Forse l'ultimo anno della mia vita. Fiat!”.

Presente vicina la fine. E noi vogliamo seguirne da vicino il declino, perché possiamo cogliere come un concentrato della bellezza e della grandezza di una vita votata al Cuore di Cristo.

Agli acciacchi dell'età, si aggiunge una brutta caduta che gli procura la lussazione di una spalla. Le notti passano percorrendo le stazioni della Via Crucis, unendosi spiritualmente alla celebrazione delle Messe che in quelle ore notturne si celebrano nel mondo. Passa in rassegna tutti i suoi santi. Alle 5 è in piedi e alle 6 celebra la santa Messa.

In estate si diffonde una pericolosa epidemia di gastro-interite e ne sono vittime anche alcuni Padri della Comunità. Il Padre, come può, li sostituisce, li assiste, ma viene colpito anche lui. Il 4 agosto, con estrema fatica, celebra la Messa in memoria di S. Domenico. È l'ultima. Dev'essere accompagnato in camera e messo a letto. Il 10 agosto è l'onomastico del P. Assistente, P. Lorenzo Philippe, e provvede che non manchino i fiori e che siano presenti tutti i superiori delle case vicine.

Offre le sue sofferenze „per l'Opera e per espiare i miei peccati”. Accorrono i suoi parenti: la nipote Marta con i tre figli. La nipote lo assiste con devozione: per lei lo zio è già santo.

L'11 agosto i medici costatano che la gastroenterite è guarita, ma che il cuore sta cedendo. Il Padre Assistente generale lo avverte e propone l'amministrazione dei sacramenti. Il Padre risponde: „Sì, sì, con tutto il cuore!”. E si mette a battere le mani dalla gioia. Alla presenza di tutta la comunità, gli viene portato il Viatico al mattino e gli viene amministrata l'Unzione degli intermi alla sera. Sono momenti di grandissima commozione, specialmente quando il Padre chiede perdono a tutti per tutte le sue colpe e P. Philippe, a nome di tutti, chiede perdono a lui per tutte le incomprensioni e le mancanze di amore filiale e chiede per tutti la sua benedizione. Nessuno riesce a trattenere la commozione e molte lacrime rigano i volti.

Entrano in stanza i suoi nipoti, impazienti di stare accanto al loro „santo zio”. Il Padre li guarda con grande gioia e pone la mano sul capo dei giovani figli.

Il giorno sembra non finire mai. Il Padre vuole vedere uno per uno i Padri della comunità: per ciascuno l'ultima parola e la sua benedizione. Non dimentica una persona, ma non si capisce il nome. Allora, con grandissimo sforzo, lo scrive su un foglio. È l'ultima parola che scrive. Raccomandava di inviare gli auguri di Buon Onomastico a Clara Baume, un'anima eletta, molto vicina al nostro spirito. Ricorda, poi, le comunità e le persone che lo hanno aiutato nella vita e nelle opere. Desidera rinnovare i voti religiosi e chiede che gli venga dato il crocifisso della sua Prima Professione: pronuncia lentamente la formula, ma ripete tre volte il „voto di immolazione”.

Scende la notte e lo veglia, come al solito, il fr. Justen, che era stato in missione e che era afflitto da una fortissima emicrania che gli impediva di prendere sonno. Il Padre lo vuol premiare con un bellissimo rosario, montato in argento. Il 12 mattina arriva da Roma P. Ottavio Gasparri e porta la benedizione del Santo Padre. Entra in agonia. Tutti pregano stretti attorno a lui, anche i suoi parenti. Per un istante si riprende, indica il quadro che rappresenta l'evangelista Giovanni che posa il suo capo sul petto del Signore e mormora: „Per lui sono vissuto, per lui muoio”. E spira dolcemente.

Era il mercoledì 12 agosto 1925, ore 12,10.

 

 Era appena spirato e Fr. Justen pensa alla sua terribile emicrania, ribelle ad ogni cura. Posa la testa sui piedi del Padre e prega: „Padre generale, sono certo che sei in paradiso. Però dammi una prova: guarisci questa mia povera testa dalla sua emicrania ribelle”. Rialza la testa guarito.

I solenni funerali sono celebrati a S. Quintino il 19 agosto 1925 e riposa nella chiesa di S. Martino che lui stesso aveva fatto costruire. Nell'orazione funebre l'arcivescovo mons. Binet disse: „La gioventù veniva a lui con entusiasmo…Bisogna essere grande, soprattutto di cuore, per essere tanto amato”. Tutti, infatti, lo chiamavano „il buonissimo Padre” (le très bon père).

Chi legge queste brevi pagine può avere una qualche idea dell'enorme attività che P. Dehon ha svolto nella sua vita. Ma, se si fermasse qui, avrebbe solo il guscio esterno e gli mancherebbe la sostanza. Egli è stato un uomo di Dio e ha speso tutta la sua esistenza per Dio.

L'idea centrale della sua spiritualità è stata l'amore e la riparazione per il Cuore di Cristo. L'ha bevuta dalla sua santa madre, si è alimentata alla scuola di S. Margherita Maria, delle Ancelle e delle Vittime del S. Cuore, per approdare finalmente, insieme a Maria e a S. Giovanni, alla contemplazione del Cuore trafitto sulla croce.

La documentazione raccolta per la sua beatificazione dimostra che ha vissuto in modo eroico le virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Non sono stati pochi, nella sua vita, i momenti nei quali solo la fede lo ha mantenuto saldo alla sua vocazione di fondatore, nei quali è stato spogliato di tutto e solo la speranza lo ha fatto vivere; momenti nei quali solo l'amore ha potuto alimentare il perdono anche a chi lo aveva odiato e osteggiato in tutti i modi.

L'amore e la riparazione per il Cuore di Cristo per lui era un tutt'uno e non poteva ridursi a pie preghiere e sante aspirazioni, ma doveva passare per l'edificazione del Regno del Cuore di Cristo nei cuori e nelle società. Da qui la sua passione insonne per la Chiesa, per la formazione del clero, per la giustizia sociale.

Era ben cosciente che la via della riparazione doveva passare per la croce, ma non ha mai seguito una via dolorista. Le croci non gli sono state risparmiate, anche durissime, ma sull'esempio di Gesù che si è lasciato mettere in croce, ha sempre nutrito la virtù dell'abbandono nelle mani del Padre.

Nel suo „testamento spirituale” per i suoi figli spirituali ha scritto: „Miei carissimi figli, vi lascio il più meraviglioso dei tesori: il Cuore di Gesù. Egli appartiene a tutti, ma ha delle tenerezze particolari per i sacerdoti che gli sono consacrati e sono completamente dediti al suo culto, al suo amore, alla riparazione che il sacro Cuore ha domandato, purché siano fedeli a questa bella vocazione”.

Come lui, anch'essi devono poter dire: „Per lui vivo, per lui muoio”.

Ma P. Dehon non è morto. Egli è vivo, non solo perché è viva la sua Congregazione attraverso l'opera dei suoi figli ed eredi spirituali, ma anche perché ci arrivano dappertutto notizie di grazie ottenute mediante la sua intercessione. Già 25 anni fa è stata pubblicata un'ampia raccolta di testimonianze di „grazie e favori” ottenuti per la sua intercessione. Un torrente di benedizioni che non è certamente cessato, come stanno testimoniando le nostre riviste che raggiungono i nostri benefattori e devoti del S. Cuore.

 Nel 1952 è stata introdotta la causa per la sua beatificazione. Con decreto dell'8 aprile 1997 è riconosciuta l'eroicità delle sue virtù. La commissione dei medici ha riconosciuto che la rapidissima guarigione di un malato brasiliano da una peritonite acuta generalizzata, dopo l'invocazione di P. Dehon e l'applicazione di una sua reliquia, non aveva spiegazione scientifica. È seguita l'approvazione dei teologi e della commissione dei cardinali per la causa dei santi che, in data 20 gennaio 2004, ha emesso il parere favorevole alla beatificazione del servo di Dio, P. Leone Giovanni Dehon. Non è, quindi, lontano il decreto definitivo di Giovanni Paolo II. Per l'occasione, nella basilica di Cristo Re, che egli ha voluto così tenacemente, sarà collocata una sua bella statua di bronzo.

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