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P. Muzio Ventrella SCJ

  

Il PADRE DEHON

NOMADE DELL'AMORE DI DIO

   

Commissione Generale pro Beatificazione di p. Dehon

Curia Generale SCJ

Roma - 2004

Il p. Dehon nomade dell'amore di Dio

  

Conferenza tenuta a Napoli il 14 marzo 2004

 

Per questa conversazione prendo spunto dall'esperienza dei primi Apostoli, soprattutto di Paolo, così come ci viene proposta dagli „Atti degli Apostoli”, un libro che racconta un lungo viaggio, anzi una serie di viaggi. Le diverse peregrinazioni si svolgono su precise coordinate geografiche, disposte lungo un asse preferenziale che da Gerusalemme giunge a Roma. Il dato geografico è però costruito sulle coordinate di un altro viaggio immateriale, che si svolge nelle regioni dello Spirito, nelle profondità di Dio.

S. Paolo, nel famoso discorso all'Areopago di Atene (Atti 17,22-34) sottolinea il continuo incrociarsi che l'uomo sperimenta nella vita tra la storicità del suo viaggio esistenziale e il viaggio verso Dio; ma afferma che la vera, importante avventura dell'uomo è proprio quella che porta a cercare e incontrare Dio. - Egli, Paolo, desiderava impiantare la Chiesa a Roma, ma quanti viaggi, predicazioni, arresti e condanne ci vollero per giungerci! Alla fine giunse a Roma, ma come un reo che doveva essere giudicato dal tribunale romano. Non lo avrebbe mai pensato in fase di programmazione! Quanta fede gli occorse per vedere in quelle tristi avventure un'operazione che Dio guidava!

Anche la storia dei grandi „camminatori”, molto più antica degli „Atti degli Apostoli”, si inserisce entro le trame di una storia più vasta che ha per protagonista l'intera umanità… Mi limiterò al campo della letteratura: ad esempio ricorderò il viaggio visto come uno dei miti più stimolanti e creativi nei secoli: dall'Ulisse di Omero (i cui presupposti risalirebbero a 1200 anni a.C.) all'Ulisse di James Joice del 1922 (tradotto soltanto nel 1960, perché ritenuto di contenuto pornografico).

Partire, camminare, superare distanze, inoltrarsi dentro mondi e popoli nuovi, ritrovare quello che sembrava perduto… sono momenti diversi di un unico ideale di vita che ha illuminato il p. Leone Dehon e vorrei che dessero un poco di luce nuova anche alla nostra vita.

Ogni viaggio assume una sua connotazione particolare: a volte l'enunziato stesso del viaggio contiene in sé una grande metafora. I teologi e i preti, ad esempio, hanno visto la maturazione nella fede come un viaggio avventuroso alla ricerca di un Dio che dia una risposta agli interrogativi personali dell'uomo. Hanno coniato per questa esperienza il titolo „itinerario di fede”. È necessario innanzi tutto che l'uomo decida di candidarsi a questo viaggio pieno di inquietudine; che si prefigga un ideale al cui culmine ci sia Dio e i Suoi progetti per l'uomo. Soltanto così l'esperienza di vita sarà l'occasione per sciogliere tanti nodi esistenziali, da cui dipende il senso o il non-senso del suo vivere.

La poesia di una ragazza quindicenne mi ha colpito:

„Partire per dove? Non so. / Perché? Neppure lo so. / Ma partire, si. /

Andarmene lontano, lontano da qui, / per capire altre cose e altre persone./

Io partirò”

Molti uomini famosi del secolo appena trascorso hanno coltivato il sogno adolescenziale di quella ragazzina: ricercare un „paese innocente” - come si esprimeva il poeta Giuseppe Ungaretti. Penso al grande esodo che si verificò 70 anni fa a Parigi, una città ritenuta, fino a quegli anni, ideale per una vita ricca di senso. Ma negli anni '30 Artaud, Gide, Argon, Michaux, Malraux, Levi-Strauss, Céline e tanti altri l'abbandonarono, attratti dal fascino degli sterminati paesaggi dell'Africa o dal misterioso Oriente. Molti artisti e letterati invece rimasero, tentati sì dall'avventura, ma ormai „adattati” a quell'ambiente, anche se non offriva più ispirazioni se non quella di „viaggiatori mancati”. Erano trattenuti da ragioni che neppur loro riuscivano a spiegarsi. Anche questa „non-scelta” ritennero degna di essere narrata.

In questa società ci siamo abituati a viaggiare, ma per lo più su percorsi predisposti da altri (ad es. dai villaggi turistici delle agenzie turistiche, preoccupati di suggerire per il cliente il maggior numero di emozioni gratificanti dagli euro versati). E la programmazione, delegata a estranei, toglie a noi la gioia di dare una risposta personale al desiderio profondo di scoprire un mondo nuovo, una vitalità nuova. L'uomo moderno chiama questi viaggi „ferie”, ma per lo più somigliano a „giorni di permesso di uscita dal carcere”. Una curiosità da annotare: secondo le credenze medioevali, esistevano invece le „ferie infernali”, un periodo dell'anno in cui le pene dei dannati venivano mitigate (non è stato precisato se per compassione per i dannati o per dare dei turni di riposo ai diavoli torturatori!)

Attraverso la parabola del viaggio ho voluto inquadrare l'esperienza di Dio compiuta dal p. Dehon: questa bellissima figura di „nomade instancabile”, di dolcissimo padre carismatico della nostra vita di fede e fondatore del nostro istituto. Ho usato i termini „dolcissimo padre” non solo per il motivo del mio profondo affetto filiale, ma perché riprendo la espressione con cui a lui si rivolgevano gli operai dalle filande di Val Bois: „le très bon père”!

Il primo periodo della sua vita va dalla nascita, alla laurea in giurisprudenza, ai primi viaggi verso la Terra Santa, al seminario di S. Chiara in Roma, all'ordinazione sacerdotale, all'esperienza eccezionale di stenografo del Concilio Vaticano I (1869). Circa 30 anni di vita in cui si rileva un bambino, un adolescente e un giovane, normalissimo, che ha la fortuna di incontrare degli educatori capaci e pieni di amore; che esprime contraddizione ad esempio tra la sua vita di fede e quella del fratello Enrico.

La madre, Adele Stefania Vandelet, familiarmente chiamata Fanny, era una donna dal carattere dolce e pio. Lascerà una traccia indelebile nella formazione di Leone. Dal papà Giulio Alessandro, un allevatore-commerciante di cavalli di razza, apprese l'amore per la dignità e per la giustizia. Egli però un miscredente e anticlericale: Leone soffrirà molto per questo. Lo vedrà inginocchiato per ricevere la Comunione dalle sue mani il giorno della prima messa (20 dicembre 1868). Tra il 1855-59 Leone fu convittore nel collegio di Hazebrouck ed ebbe degli educatori che lasciarono anch'essi un segno nella sua esistenza: con alcuni di loro conserverà uno stretto legame per tutta la vita. Nel 1859, iscrittosi per il corso di laurea in giurisprudenza a Parigi, scopre la bellezza dell'assistenza ai poveri, attraverso le „Conferenze di S. Vincenzo” di Federico Ozanam. Le visite ai poveri lo esaltano e gli fanno vivere ore di felicità, ma anche qualche dispiacere, come l'incontro con una signora che non accettava che quel signorino, Leone Dehon, (che fosse „signorino” lo si notava dall'abito!) salisse alla mansarda a portare aiuto e conforto a due anziani. E un giorno la scampò brutta. „Leone - gli chiesero- sei scoraggiato? „Risposta: „Ma non ci penso neanche!”

Per Leone, viaggiatore nel mondo di Dio, si era formata dunque una bella équipe/agenzia di viaggio: la madre, in parte il padre, gli educatori di Hazebrouck e di Parigi. Leone conserverà una riconoscenza indelebile per tutti, ma un posto di predilezione avrà per sua madre. „Mia madre è stata per me uno dei più grandi doni del mio Dio e lo strumento di mille grazie. Che dignità di vita, che fede, che virtù, che cuore aveva!” (NHV I-3,1-4)

È interessante sottolineare come una sorta di spirituale cordone ombelicale abbia continuato a legare Leone Dehon a sua madre. Ad esempio il primo oratorio per i ragazzi di S. Quintino sarà intestato a S. Giuseppe come l'Opera di La Capelle fondata dalla signora Fanny. Sarebbe ugualmente interessante la cernita delle preghiere che il p. Dehon lasciò in eredità ai Dehoniani; verificarne l'origine confrontandole con il „Manuale di Preghiere” di S. Sofia Barat, su cui pregava la signora Fanny. Possiamo allora azzardare una affermazione: che gli educatori del giovane Dehon abbiano costituito una specie di „spirituale agenzia di viaggio” che di fatto lo hanno assistito nel suo „itinerario” verso Dio? Penso di si, ma è certo che l'ispirazione intima, l'azione dello Spirito, poco alla volta, ha avuto il sopravvento sulla agenzia. Leone Dehon appare sempre più l'uomo spirituale che programma e agisce illuminato da Dio! D'altra parte il suo viaggio ha avuto delle tappe inusitate per un prete di quell'epoca: l'incontro con gli operai, con i poveri e con i loro figli. E questo l'agenzia non lo poteva prevedere!

Un filosofo greco affermava: „Tutte le volte che mi avvicinai agli uomini tornai a casa meno uomo!” La parola del Signore è di avviso contrario: „Io, la Sapienza, sono uscita da Dio… ed è mia delizia restare con i figli dell'uomo!” (Prov. 8.22-31) Nelle „Annotazioni sulla Storia della Vita” il p. Dehon scriveva, riferendosi agli anni di formazione scolastica: „A me piacevano gli studi di economia sociale e politica.” (NHV 160,3,36) e ancora riferendosi al periodo del seminario „Alcune questioni occupavano il mio spirito: l'insegnamento, la predicazione, l'impegno sociale!” (NHV 26,3/172)

I suoi educatori che, visti nel loro insieme, mi sono permesso di qualificare „agenzia di viaggio”, lo hanno spinto alla magnifica avventura della scoperta dell'Amore di Dio, ma lo Spirito del Signore, attraverso gli incontri/tappa con gli uomini poveri, gli farà scoprire l'Amore-Misericordioso-di Dio incarnato nel Cuore di Gesù. Nella vita del pp. Dehon appare ricorrente una esperienza: quando il viaggio verso Dio lo conduce a una tappa di incontro con le necessità dell'uomo egli non si ritira mai indietro: con passione si dedica all'elevazione e alla promozione dell'uomo. Ma dopo un poco nel suo diario annota un sussulto di spirito: il timore che quella tappa di vita gli faccia smarrire il fine ultimo del viaggio. Ne derivano dispiacere e rimorso: „Il lavoro sta assorbendomi troppe energie… Devo ritornare a dare più tempo alla preghiera!” È la preoccupazione dell'operaio di lavorare alacremente ma confrontando il suo operato con i progetti dell'ingegnere! Anche nell'apostolo d'altronde l'eccessivo innamoramento della tappa umana nel viaggio verso Dio potrebbe declassarne lo „stato professionale”: da inviato di Dio a filantropo o, peggio, a operatore sociale interessato! L'interesse! Un profeta del tempo appena trascorso, don Primo Mazzolari, ha delle espressioni molto dure sui profittatori dei poveri. Prende lo spunto dal racconto evangelico di Zaccheo: „I poveri sono dappertutto e hanno il volto del Signore… ci si può arrampicare su un sicomòro per vedere il Cristo che passa, non sulle spalle della povera gente, come fa qualcuno, per darsi una statura che non ha.”

Nel 1859 dunque Leone Dehon è a Parigi per il corso di laurea in giurisprudenza. Entra a far parte delle „Conferenze di S. Vincenzo) di Federico Ozanam. Ozanam era morto soltanto da 6 anni. Si deve a Ozanam lo slogan che più volte utilizzerà il p. Dehon: „Fuori dalle sacrestie: andiamo al popolo!” (Una rilettura dell'„Andiamo ai barbari” del pp. Anastasio II (496-498) al momento di riconoscere Teodorico re d'Italia). Ma a Parigi il giovane Dehon conobbe anche il preside della Sorbona, mons. Henry Louis Charles Maret (1805-1884), l'ispiratore della politica ecclesiastica di Napoleone III, che spingeva il clero francese a conquistarsi una maggiore autonomia dalla S. Sede, il cosiddetto „gallicanesimo”. Il p. Dehon lo rincontrerà al Concilio Vaticano I fermo e tenace oppositore dell'infallibilità pontificia.

Il 21 aprile 1864 Leone Dehon (ha 21 anni), è dottore in diritto. Ma era maturata in lui la vocazione sacerdotale. Il padre, contrario al suo desiderio, gli sovvenzionò un viaggio-premio in terra santa. A Gerusalemme Leone maturò il suo piano e iniziò il suo lungo viaggio verso Roma.

Il 25 ottobre 1865 giunse al Seminario francese di S. Chiara in Roma. „La logica del mio spirito - scrive - mi diceva che l'acqua è più pura alla sorgente che nel ruscello… la dottrina e la pietà si attingono più facilmente e pienamente al Centro della Chiesa!” (NHV II, 66r-66v). Con buona pace di mons. Maret! Le coordinate geografiche del viaggio lo hanno condotto a Roma, e a Roma comincerà a tracciare le coordinate della scoperta dell'Amore di Dio. Suo consigliere è il p. Freyd, il direttore spirituale dei seminaristi di S. Chiara.

Terminerà i suoi studi a Roma conseguendo tre dottorati (filosofia, teologia e diritto canonico) da aggiungere alla laurea in diritto già conseguita a Parigi.

Il 18 dicembre 1868 è ordinato prete a Roma. Dal marzo 1869 inizia, sempre a Roma, un altro, inatteso compito: era stato prescelto come uno dei 23 stenografi del Concilio Vaticano I che il pp. Pio IX aveva indetto per il successivo 8 dicembre: doveva prepararsi!

Era un caso inaudito: che dopo 4 lauree e la partecipazione (a 26 anni!) a un Concilio un prete forse nominato soltanto „7° viceparroco a S. Quintino”! I suoi amici strabuzzarono gli occhi; un prete, il rev. D'Alzon, gli offrì una cattedra all'università di Lilla… Ma S. Quintino sarà una tappa fondamentale della vita del p. Dehon. Nel suo viaggio alla scoperta di Dio, scopre l'uomo povero e l'operaio bistrattato. Non si limita a visitare il povero portandogli dei piccoli regali (come faceva nella „Conferenza Vincenziana” di Parigi). No: questa volta egli vive nella stessa zona gli stessi avvenimenti quotidiani, intreccia pone con lui un rapporto stabile.

Desidero confidarvi un'esperienza personale. Da anni ricercavo l'origine del termine „MISERICORDIA”, anche per dare un significato più compiuto alla espressione „Dio Misericordioso” e al compito dei Dehoniani „apostoli dell'amore e servitori della riconciliazione” che ultimamente, anche il card. Renato R. Martino, ha voluto loro attribuire (cfr. Messis, 2/2004 pag. 7).

Per me il termine „misericordioso” sapeva di alterigia, di snobismo: soprattutto se attribuito a un uomo. Si trattava di scoprire i punti di riferimento cui il p. Dehon ricorreva non solo nell'agire, ma anche quando scriveva sui poveri e sugli operai.

Ultimamente ho scoperto il reportage di un Convegno presieduto due anni fa da uno dei più grandi studiosi e profeti della nostra epoca, mons. Ivan Illic. Egli pochi mesi prima di morire, a Oakland, California, aveva proposto all'uditorio uno studio sul tema „Ospitalità e Dolore”.

Quest'uomo aveva una quantità di lauree: in storia, teologia, economia, sociologia e linguistica, ma soprattutto era un vero credente. Si presentava in pubblico con il suo bellissimo volto, purtroppo imbruttito da un grosso tumore. Parlando del dolore come „compassione” e „misericordia” ne traccia la derivazione semiotica. Il termine biblico originale per indicare la misericordia - egli dice - è „RAHUM”, un termine ebraico che si riferisce al grembo femminile e a quello che in esso accade quando è eccitato dall'amore. L'evangelista Luca (15, 11-32) raccontando il ritorno del figlio prodigo, al versetto 20, attribuisce questa reazione fisiologica proprio di una donna (madre, fidanzata o sposa) al padre di quel ragazzo: „gli si commossero le viscere”. „I traduttori ellenisti - commenta mons. Illlic - hanno reso questo atteggiamento con la parola „eleós” o anche „eleomosyne” ritradotto in latino con il termine „misericordia”; ma così è stato tolto alla parola originaria il suo connotato carnale e appassionato. Così in latino RAHUM diventa „misericordia, pietas”, a evitare qualcosa che Platone e Aristotele consideravano un difetto passionato. ____________________________________________morale”. Successivamente „pietas” fu sostituito dai Cristiani con la parola „poena”, un sentimento che si usa quando si rapporta il dolore dell'uomo al corpo e alle sofferenze di Cristo.” (mons. Illic).

Così ho compreso meglio la situazione intima del p. Dehon: dal 1871 al 1897 la sua spiritualità si perfeziona, a contatto con Dio e con i poveri:dalla commozione di una madre costretta ad assistere alle sofferenze di un figlio (per cui gli operai di Val de Bois lo chiamavano „le très bon père”) a quello di accostare la sofferenza di Cristo crocifisso alle sofferenze dei poveri. Perciò il p. Dehon poté affermare: „Riparare le offese a Cristo significa innanzi tutto riportare la giustizia nella società”!

Quanto era ricco di profondità il suo itinerario verso Dio e sconvolgenti le tappe del viaggio in mezzo agli uomini! Per lui aveva acquistato un profondo significato l'esortazione biblica: „Rivestitevi delle viscere di misericordia di Dio!”

Ma torniamo alla narrazione.

Il 7 novembre 1971 L. Dehon raggiunge S. Quintino per svolgere il compito di 7° cappellano in una parrocchia di 30 mila abitanti. Incontra per la prima volta l'arciprete don Gobaille e i 6 cappellani: sono tutti dediti alla preghiera e alle attività tradizionali di una parrocchia: messa, confessione, amministrazione di sacramenti, funerali…Rimane deluso nel constatare che non esistono rapporti extra-ufficiali con la gente. Due settimane dopo il suo arrivo scriveva nelle sue note: „A S. Quintino mancano come mezzi di azione un collegio ecclesiastico, un oratorio e un giornale.” (NHV IX, 82, 5, 91) Detto fatto: con uno stile ricco di dignità, di cultura e della praticità ereditata dai suoi genitori inizia con l'oratorio e fonda l' „Associazione S. Giuseppe”! Inizia a radunare i ragazzi nella sua stanza (marzo 1871); in luglio sono già 50, in settembre 150… Poco più di due anni dopo sono 206! Il p. Dehon allora li raduna ogni domenica per l'intera giornata nel cortile del signor Julien. Intanto chiede ai suoi un aiuto economico per costruire locali e strutture per le feste, le attività sportive e… una banda! Poco più che trentenne questo giovane prete pensa che la società possa cambiare. 3 sono gli elementi fondamentali nella sua attività:

- spingere i ragazzi oltre l'ambito del paesanismo fatalistico di S. Quintino;

- l'amore per la vita associativa e il desiderio di individuare fra i ragazzi dei futuri, validi compagni di viaggio nella scoperta di Dio;

- la tenacia e l'azione pratica in un ambiente di predominante indifferenza religiosa e di anticlericalismo.

L'Associazione S. Giuseppe si trasformò poi in „patronato” con nuovi locali ed educatori; i ragazzi potevano giocare, praticare sport, accedere alla biblioteca e farsi prestare dei libri… Per i ragazzi più grandi e per gli adulti creò il „Circolo S. Giuseppe”, che divenne subito noto in diocesi e nella Francia.

In seguito (15 agosto 1877) fondò il Collegio S. Giovanni, che permettesse ai ragazzi di continuare gli studi superiori. Sì, raccolse molte gioie, ma… quante delusioni a causa del diffuso anticlericalismo! Il p. Alfonso Rasset, anni dopo, diventerà vicario del p. Dehon nel governo dei Dehoniani. Ebbene egli attestava che ancora negli anni 1880 nella diocesi di Soissons erano molti gli anticlericali e gli indifferenti! Da altra fonte apprendiamo che a S. Quintino soltanto 3 abitanti su 700 frequentavano abitualmente la chiesa. Ma il p. Dehon organizzò con pazienza anche i locali del Collegio nel „Circolo S. Giuseppe”. I figli delle famiglie benestanti, specialmente dei padroni delle fabbriche, venivano accompagnati dal Padre in visita alle case degli operai. E qui accadeva loro di entrare in autentici fetidi tuguri, al cui centro spesso era collocato un grande tavolo da pranzo, da lavoro, da… tutto con sole tre gambe: la quarta era costituita da vecchie cassette d'imballaggio, accatastate alla bell'e meglio.

Erano i momenti in cui il p. Dehon scopriva i contenuti del dolore e della sofferenza dei poveri come erano stati descritti in maniera plastica nel famoso cap. 53 di Isaia: „Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno dinanzi al quale ci si copre il volto: era disprezzato e non ne avevamo stima… Noi lo giudicavamo castigato e percosso da Dio e umiliato. Egli è stato invece trafitto per i nostri delitti, schiacciato dalle nostre iniquità!”

Erano visite di provvidenziale sofferenza terapeutica anche per i figli di papà. Essi dovevano prendere conoscenza di chi pagava di persona la vita agiata che permetteva loro il benessere concesso dai papà.

In questo periodo nel Collegio di S. Giovanni il p. Dehon stabilì la prima sede della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore (1878), i Dehoniani. Egli voleva un gruppo di preti e di religiosi che assicurasse continuità alle sue attività.

Rimaneva il terzo elemento di quanto aveva programmato nel 1871 giungendo a S. Quintino: un giornale. E il p. Dehon con altri amici fondò e cominciò una regolare collaborazione al „Consérvateur de l'Aisne”, un giornale conservatore e di tendenze monarchiche: nel clero era ancora forte la nostalgia dell'imperatore Napoleone III che aveva concesso molti privilegi alla Chiesa cattolica. Nel 1889, Il centenario della presa della Bastiglia, fondò „Il Regno…”

Il 9 giugno 1887 accetta per i suoi preti il lavoro di cappellani di fabbrica nelle filande di Leone Harmel a Val de Bois. Vi mandò con compiti precisi un prete capace di ruggire in difesa degli operai, il p. Carlo Barnaba Charcesset, uno dei suoi discepoli più affezionati.

In questo periodo egli, insieme con Leone Harmel, mette a punto un progetto di seminario assolutamente innovativo: per la preparazione di cappellani di fabbrica che „coltivassero gli studi sociali”. (Note Quotidiane il 27/10 e il 7/11 1890). Doveva sorgere a Roma e d'estate i seminaristi sarebbero venuti in Francia per gli stages. Il programma era ben articolato e fu presentato in Vaticano, alla fine degli anni '90. Per allora fu archiviato. Venne riesumato nel 1926, un anno dopo la morte del p. Dehon, e messo a disposizione di un gruppo di preti che, in Italia e poi all'estero, diedero vita all'ONARMO (opera nazionale di assistenza religiosa e morale agli operai). L'ONARMO fu poi sciolta nel 1973.

Il suo animo sensibile era rimasto affascinato dalle prime encicliche sociali di Leone XIII: „Immortale Dei” (1885) e „Libertas” (1888). Il 6 settembre 1888 il Papa aveva ricevuto in udienza il p. Dehon e lo aveva investito di un compito molto impegnativo: „Predicate le mie encicliche!” Il p. Dehon accolse l'invito come un impegno che caratterizzerà i suoi 20 anni successivi, finché un altro „ordine” del Vaticano del 1909 lo costringerà a tacere sui temi a lui tanto cari. È questo il ventennio più intenso della sua fervida produzione sociale (10 grossi volumi e un'infinità di articoli su giornali e riviste).

È un periodo ancora molto intenso dell'attività del p. Dehon, ma anche delle prove più gravi della sua vita. Gli anticlericali lo attaccano con forza fino ad assoldare ex alunni del Collegio S. Giovanni perché ne insozzassero la moralità. Parecchi Vescovi lo guardavano con sospetto per il suo strettissimo legame con la Chiesa di Roma. Finanche alcuni Dehoniani gli si schierarono contro.

Il 15 maggio 1891 Leone XIII emanò l'enciclica „Rerum Novarum”: era il tentativo di risanare quello che il pp. Pio XI alcuni decenni più tardi qualificherà come „lo scandalo più grave vissuto dalla Chiesa del XIX sec.: l'allontanamento del mondo operaio”.

Il p. Dehon impegna un'attività frenetica, ma nel frattempo inizia la pubblicazione di opere ascetiche, quasi a saggiare ancora una volta la validità e l'orientamento della sua attività (Anche le opere ascetiche sono state raccolte in una decina di grossi volumi; l'ultimo contiene pubblicazioni del 1922 - 23, la vigilia della sua morte).

Il lungo viaggio verso Dio comprende in questi anni delle brevi tappe intermedie nella società francese, italiana, europea, americana, asiatica. Usi, costumi, ingiustizie, espressioni di fede si imprimono nella mente e nello spirito del p. Dehon e lo aiutano ad approfondire meglio la sua vicinanza non soltanto con l'uomo della sua epoca, ma anche col Papa di Roma e col Padre Misericordioso che è nei cieli. L'ambiente sociale che si continua a creare intorno all'uomo continua a sconvolgerlo e gli fa comprendere che l'uomo povero non va soltanto assistito, ma amato come icona di Cristo sofferente. La posta in gioco decisiva non consiste soltanto nel risollevare le locali condizioni di vita dei poveri. Occorre preparare un progetto globale della società. Le iniziative di promozione fino a quel momento messe in opera „erano fragili e insufficienti, perché non andavano abbastanza alla radice delle cose!” (NHV. XI, 14,6 - 6,154) E il p. Dehon si affaccia lui stesso e poi spinge i suoi amici a entrare nella politica.

L'enciclica „Rerum Novarum” comunque aveva sconvolto non soltanto i sonni di parecchi ecclesiastici, ma anche dei cattolici liberali.

Ma alcuni passi dell'enciclica apparvero di controversa interpretazione.

Innanzi tutto il CONCETTO DI PROPRIETÀ . Il Papa afferma che la proprietà è di diritto naturale. Ma allora occorre scartare la funzione sociale della proprietà? Il conte di Kufstein, nell'Unione di Friburgo, negava ciò con determinazione. Rambaud al contrario si compiace del fatto che l'enciclica affermasse che la proprietà è di diritto naturale: dunque non è obbligatorio accettare la funzione sociale della proprietà. Di qui nasce un grosso dibattito sul rapporto tra „giustizia” e „carità”. Nel caso di necessità del povero c'è obbligo di aiutarlo, anche attingendo alla proprietà privata? Ad esempio, con la partecipazione agli utili della fabbrica? E ciò sì deve fare per giustizia? per carità? per un atto di beneficenza?

E la questione del GIUSTO SALARIO? E il dibattito sul SALARIO FAMILIARE?

Sotteso a questo dibattito sul salario si inserì la discussione sulla NATURA DEL CONTRATTO DI LAVORO e delle ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI (o sindacati).

E infine un problema di fondo: „l'enciclica è il programma sociale, magistralmente tracciato per i Cattolici? - come sosteneva Alberto de Mun (collaboratore del p. Dehon); o è addirittura un dogma sociale della Chiesa cattolica?” - come sosteneva Goyan. C'è insomma obbligo di coscienza di osservarne i dettami? Oppure l'Enciclica presenta soltanto una proposta da discutere? E allo Stato cosa tocca fare: difendere legalmente la giustizia o lasciare che questa trionfi per conto suo? I cattolici si divisero tra l'idea paternalistica delle concessioni ai poveri „per carità” e i sostenitori dell'obbligo di pretenderla per legge (democrazia cristiana).

Piovvero sul p. Dehon gli inviti di partecipazione a Congressi e Dibattiti. Era abitualmente prescelto sia per la sua preparazione che per il suo senso di equilibrio e di moderazione. Ma cominciarono anche gli attacchi contro di lui, anche da parte di parecchi membri del clero francese, rimasti legati all'idea monarchica, malgrado che dal Vaticano si invitassero i vescovi francesi a un atteggiamento meno rigido verso il regime repubblicano costituito in Francia. Il p. Dehon ebbe a questo riguardo una posizione molto dura: disse chiaramente che il ritorno dei Bonaparte o degli Orléans sul trono di Francia passava in secondo ordine. Innanzi tutto importava che venissero riconosciuti i diritti dei poveri e degli operai.

In questi anni, era ultracinquantenne, il p. Dehon inizia a pubblicare la sintesi della maturazione culturale e religiosa del suo itinerario verso Dio e delle tappe del suo viaggio fra gli uomini.

1894 - Il p. Dehon pubblica il „Manuale Sociale Cristiano”: è la sintesi meravigliosa dell'eventuale progetto pastorale di una parrocchia (o di una diocesi), desiderosa di rimanere vicina alla gente e non relegata in sacrestia.

1893 - 1896 - È un periodo caratterizzato dalla sua attività diocesana a Soissons e interdiocesana a favore di un movimento ecclesiastico che si stava sviluppando nelle parrocchie e diocesi francesi. Doveva preparare i cattolici ad affrontare anche la vita politica. Il movimento si chiamava „democrazia cristiana”: non era un partito, ma un'associazione o movimento. Nei Congressi annuali di tutti i gruppi parrocchiali della „democrazia cristiana” il p. Dehon veniva eletto presidente del Congresso, per la sua preparazione e le sue posizioni moderate. Nel Congresso del 1895 il movimento decise di diventare partito: il p. Dehon decise allora di ritirarsi da quei Congressi perché „il partito ricerca il potere, io sono prete e il prete non può ricercare il potere!” In questo periodo rifiutò la sua candidatura a parlamentare.

1897 - È contrassegnato da conferenze, rimaste storiche, e tenute a Roma in varie sedi vicino a S. Andrea della Valle. Egli analizzava la situazione dei Cattolici in Europa e l'influsso che essi avevano sulla formulazione delle varie leggi nazionali. È interessante il suo modo di esaminare le leggi di parecchi stati europei, per giudicare se erano in condizione di entrare a far parte di un ipotetico e spirituale „Regno Sociale del S. Cuore”. Regno Sociale per lui significava un insieme di stati/nazione dove i diritti dei poveri e degli operai erano riconosciuti e dove i movimenti cattolici si muovevano alla luce di quanto formulato dalla enciclica di Leone XIII. È inaspettata questa visione con cui egli concepisce con anticipo l'Europa quale continente privilegiato a testimoniare la giustizia nel mondo.

„Il secolo che viene - il 1900 - sarà il secolo della democrazia - scriveva - una democrazia o è cristiana o non è democrazia. Alla società degli interessi economici bisogna opporre una civiltà dell'amore”. (Ho voluto condensare in una espressione densa quanto egli afferma in vari interventi)

In quell'anno 1897 il p. Dehon pubblica il „Catechismo Sociale”, una sorta di piccola enciclopedia che prospettava una società organizzata in modo da privilegiare i poveri e gli operai così come delineato dalle encicliche di Leone XIII.

Giuseppe Toniolo, alcuni anni dopo, propose che quell'opera, che intanto era stata tradotta nelle principali lingue del mondo, anche asiatico, venisse adottata nelle università italiane. È il momento in cui i grandi sociologi e politici italiani, compreso don Sturzo strinsero legami di amicizia con il p. Dehon. Il prossimo mese di Maggio il Pontificio Consiglio di „Justitia et pax” pubblicherà un „Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” (cfr. Messis 2/04). È un altro sogno del p. Dehon che si realizza.

Erano però gli anni della grande incomprensione da parte di parecchi vescovi e preti francesi.

Il pp. Leone XIII, ormai vecchio e stanco, ma soprattutto sfiduciato, non emanava più encicliche sociali, ma di argomenti prevalentemente devozionali. Anche sul p. Dehon a S. Quintino si abbatterono umiliazioni, tanto che il Vescovo di Soissons decise di togliere a lui e ai Dehoniani sia il Collegio S. Giovanni (che rimase però proprietà del p. Dehon) che l'Associazione e il Circolo „S. Giuseppe”!

Nel 1893 il p. Dehon intanto aveva inviato un gruppo di Missionari nel Nord-Brasile, a Recife, con il compito di realizzare lì quanto ormai stava franando in Francia. E i missionari, invece, di scegliersi una sede nei villaggi o in Amazzonia, collocano il centro della loro attività in una fabbrica di Camaragibe, vicino a Recife. Lì svolgono la stessa attività prima sviluppata a Val de Bois: cappellani di fabbrica. Quando nel 1906 il p. Dehon andrà in Brasile in visita canonica, quale superiore generale, proverà la gioia di chi al culmine della notorietà aveva visto quasi distrutto quanto costruito in tanti anni. Ma lì, in Brasile, si renderà conto che tutto era vero e giusto. E affida le sue impresisi nel volume „Mille Leghe nell'America del Sud.” È fantastico per lui - ad esempio - vedere gli indios lavorare alcuni giorni dell'anno gratuitamente (6 giorni) perché quei soldi aggiunti a una somma stanziata dai padroni servissero per la loro pensione. Per noi oggi si tratta di pratiche e usualità burocratiche, ma allora significava sfidare il futuro. Il p. Dehon nel suo libro si rallegra nel constatare che gli Indios hanno scoperto la protesta sociale dello sciopero… Ma era soprattutto orgoglioso del lavoro dei suoi religiosi!

Quanto cambiamento in 30 anni si sono verificati in questo viaggiatore, a volte sperduto e nomade, nel territorio di Dio e nei porti dell'uomo tanto pieni di insidie!

A questo è costretto un profeta capace della „lettura del segno dei tempi”, ricordato dal pp. Giovanni XXIII, un altro amico del p. Dehon. Ma la Bibbia indica nella lettura del „segno dei tempi” una delle principali caratteristiche dei „Poveri di spirito… che Gesù proclama „beati” (Matteo 5)

Il 1903 è un anno fondamentale non solo per il resto della vita dal p. Dehon, ma della Chiesa europea e francese in particolare. Muore Leone XIII, nel conclave un cardinale si fa ambasciatore del desiderio dell'imperatore Francesco Giuseppe d'Austria, erede del sacro romano impero. L'Imperatore aveva il potere di porre il veto alla elezione di un determinato cardinale a papa. Nei secoli gli imperatori avevano fatto ricorso raramente a questo diritto. Francesco Giuseppe lo fa riesumare e incarica il cardinale, arcivescovo di Cracovia, Puzyna di imporre il suo veto sulla elezione, ritenuta probabile, del card. Mariano Rampolla del Tindaro, un siciliano, a sommo pontefice. Il card. Puzyna usò per la comunicazione del veto un'espressione a dire poco infelice: „Ho l'onore di comunicare la volontà dell'imperatore Francesco Giuseppe di porre il suo veto per l'elezione a sommo pontefice del mio fratello, card. Mariano Rampolla del Tindaro!” Il card. Rampolla reagì da pari suo, un ecclesiastico pio e navigato in diplomazia: „Protesto contro questA ennesima prevaricazione inferta alla libertà della Chiesa. Quanto alla negata mia elezione a sommo pontefice: Deo gratis!”

E fu eletto papa Pio X, il card. patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto.

La S. Sede aveva un grosso problema fini dal 1870: avere uno stato europeo di riferimento, soprattutto perché i rapporti con la società civile e politica italiana erano condizionati dalla massoneria anticlericale. Il card. Rampolla aveva ripreso negli anni '90 i rapporti di amicizia con la Francia repubblicana (e sul piano politico la Francia, per tradizione, si considerava la „figlia primogenita della Chiesa). Aveva tentato anche di agganciare il governo italiano (1891) col marchese Rudini ma i rapporti erano rifiutati dalla massoneria italiana. Non rimase al nuovo Pontefice che legare con l'Austria. L'imperatore Francesco Giuseppe accettò di essere il garante/protettore della S. Sede, ma pose una condizione: che il Papa dichiarasse sciolti tutti i legami con i gruppi socio - politici di ispirazione cristiano-sociale. Così anche il p. Dehon nel 1909 fu convocato in vaticano perché promettesse di porre la parola fine alla sua attività sociale in Francia e in Italia.

(Prima di andare in udienza incontrò in piazza S. Pietro don Luigi Sturzo, che, pochi mesi prima di morire pubblicò la notizia sulla rivista „Orizzonti”).

Il p. Dehon, il grande viaggiatore, si trova nella necessità di ritornare in sé per verificare le coordinate di rotta del suo viaggio verso Dio. In Europa gli sono impedite altre tappe nel mondo degli uomini; i suoi discorsi rimangono ispirati all'alto insegnamento del pp. Leone XIII; la verifica storica attesta che in Brasile le idee di Leone XIII sono valide e cariche di profezia… Il Padre, a eccezione dei 9 mesi (10 agosto 1910-2 marzo 1911) impegnati „nel giro del mondo”, rimane a Bruxelles e scrive opere ascetiche che sono il racconto della sua esperienza di vita mista di incontri con Dio e incontri con l'uomo sofferente e martoriato della sua epoca. Dei suoi scritti acetici, raccolti in una decina di volumi, vorrei sottolinearne due: „Il Cuore Sacerdotale di Gesù” (1907), che è una consegna ai preti che vogliono continuare la sua esperienza pastorale, e „Studi sul S. Cuore, opera pubblicata in 2 volumi negli anni 1922-23.

In una pagina di questa sua ultima opera, il p. Dehon ci propone un quadretto nostalgico della comunità riunita intorno al suo prete, dopo la messa domenicale. Essi esaminavano gli avvenimenti sociopolitici della società e ne determinavano la conformità o la difformità con la Parola appena proclamata durante la messa. Era il suo sogno: una società più serena e a misura di un uomo libero.

 

Se si dà uno sguardo ai suoi diari (Note Quotidiane), si rimane commossi dinanzi all'ultima espressione scritta pochi giorni prima di morire, nel luglio 1925; „la mia attività sociale benedetta da Leone XIII.” Leone Dehon, Leone Harmel, Leone XIII: trinomio che ha provocato qualche scossone alla Chiesa francese e italiana e alla società politica europea. In occasione della morte del papa Leone, il p. Dehon scriveva: „Leone XIII ha mantenuto fino alla fine una fiducia incrollabile. Egli ci ha dato l'oroscopo del secolo appena iniziato (il 1900). Questo secolo sarà democratico. I popoli vogliono una grande libertà civile, politica, comunale… Gli operai vogliono una parte ragionevole del frutto del loro lavoro… Soltanto il Vangelo può far regnare insieme la giustizia e la carità… Le nazioni oscilleranno tra la tirannia di un solo uomo e quella di un gruppo di oligarchi… Soltanto l'Amore di Cristo può far superare l'egoismo… Non esiste una riforma sociale pratica, il cui germe non sia contenuto nel Vangelo!” („Le Règne. Cronaca agosto 1903 - cfr OS V/z p.666). Il racconto delle tappe della sua vita potrebbe indurvi a fraintendere l'esperienza del p. Dehon, quasi che le tappe gli abbiano fatto perdere di vista il suo approdo finale.

Yves Poncelet riferendo il pensiero del p. Ledure scrive: „Il tratto essenziale, l'aspetto fondamentale che caratterizza meglio la sua personalità deve cercarsi nel suo sacerdozio. Egli è innanzi tutto un apostolo”. E continua: „Un sacerdozio che non accetta mai di trascurare l'unione tra Dio e l'uomo, realizzata nell'incarnazione; che ama il Cuore di Gesù perché Cristo è colui che ha amato di più sia Dio che l'umanità!” Il p. Dehon non fu un SOCIOLOGO, ma un prete abituato a leggere il „Segno dei tempi”.

Volendo riassumere in poche righe i principi ispiratori della vita e delle attività del p. Dehon così ci esprimeremmo:

1) Il Cuore di Cristo è il tesoro più prezioso dell'umanità: è la testimonianza storica che Dio ama gli uomini. Vale la pena ricordare il passo della lettura di S. Paolo a Tito (2,11) „È apparsa la grazia di Dio (cioè la gentilezza, l'affabilità, l'amore la misericordia di Cristo, n.d.t.), apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci si insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questa società.”

2) Coloro che hanno conosciuto il vero messaggio dell'apparizione del Cuore di Cristo a S. Margherita, devono anche sul piano dei rapporti sociali, testimoniarlo nella vita quotidiana col rispetto della giustizia e dell'amore per tutti. I rapporti mutui e vicendevoli devono ispirarsi all'Amore non all'interesse. La civiltà dell'Amore è l'unico antidoto alla società basata sull'interesse privato: E però da costruire dalle fondamenta!

3) È importante che i credenti „devoti del S. Cuore” diventino i difensori della civiltà dell'amore, entrando a far parte attiva anche delle cosiddette „cabine dei bottoni”, cioè nei centri decisionali della società. E perciò occorre che i credenti, preti e laici apportino anche una formazione tecnica.

4) La devozione privata al S. Cuore conduce al desiderio di impegnarsi a riparare le offese arrecate ai diritti dell'uomo, specialmente dei più poveri. Il p. Dehon a questo proposito è davvero innovatore nei confronti di certi manuali devozionali di preghiere al S. Cuore. Esistevano delle litanie che elencavano le offese che l'uomo commette contro Dio, cui le persone presenti assicuravano: „Noi ti consoleremo, Signore!” Il p. Dehon sul quaderno di uno dei suoi primi discepoli fa un'annotazione: non disprezza né mette in dubbio questa devozione, ma scrive deciso: „Riparare significa innanzitutto riportare la giustizia nella società!”

5) Nel caso in cui la propria attività non raggiungesse lo scopo prefisso non bisogna mai perdere la speranza/certezza nel futuro. Il presente viene affidato nelle mani di Cristo, quest'Uomo-Dio dal cuore immenso e profondamente buono, perché Egli lo conservi come apporto prezioso per i progetti futuri. Tutto questo il p. Leone Dehon ha raccolto e maturato nelle tappe del suo viaggio. Questo ha scoperto alla fine del suo itinerario avventuroso.

Nel suo testamento spirituale perciò scrisse: „Vi lascio il più meraviglioso dei tesori: il Cuore di Gesù!” E mette in guardia: non è da tutti capirlo e viverne il messaggio: è tanto impegnativo! Chi lo comprende è prescelto da Dio. Riecheggia l'Apostolo Paolo che scrive ai Cristiani di Efeso, dalla prigione di Roma: „A me che sono l'ultimo fra tutti i credenti (i santi) è stata concessa questa grazia: di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo e di farle risplendere agli occhi di tutti… Prego per non perdermi d'animo per le mie tribolazioni per voi (anche queste sono gloria nostra!) (Ef. 3,28-30).

L'itinerario di vita del p. Leone Dehon si chiude spiritualmente a Roma dove diede inizio all'ultima sua grande opera: la basilica di Cristo Re, l'attuale chiesa parrocchiale della RAI. Pochi anni prima aveva chiesto e ottenuto dal pp. Benedetto XV che in S. Pietro una cappella laterale fosse dedicata alle apparizioni del S. Cuore a S. Margherita Maria.

Sul letto di morte il primo pensiero è per i suoi religiosi dehoniani e poi per i suoi compagni di viaggio laici. L'antivigilia della morte ricorda l'onomastico del suo vicario, il p. Lorenzo Philippe, cui ricorda che il giorno 12 agosto ricorre l'onomastico della signora Chiara Baume. Lo prega di farle avere un fascio di fiori. Trovatosi solo con il confratello infermiere, al quale era morto da poco il padre, lo pregò di prendere da un cassetto della scrivania un rosario. Lo benedisse e glielo offrì: „Non dite nulla a nessuno. Fra poco andrò in cielo a salutare il vostro buon papà!”

Alle ore 12,00 del 12 agosto, sembrò avere un sussulto, alzò la mano verso un quadro del S. Cuore e bisbigliò: „Per Lui sono vissuto; per lui muoio!” Morì alle ore 12,10. Si concludeva così il suo viaggio di ricerca dell'Amore di Dio.

Per compiere un viaggio avventuroso come il suo al p. Leone Dehon oltre che la voce dello Spirito occorse una buona dose di amore per Dio e per l'uomo e un cuore puro, capace di stupirsi. Un Vangelo Apocrifo elencando le beatitudini del Discorso della Montagna ne aggiunge un'altra: „Beati quelli che sono capaci di stupirsi!”

Il Vangelo racconta che i discepoli di Gesù, di ritorno dalla prima loro esperienza evangelizzatrice erano stupiti: „Signore, è proprio vero: anche i demoni obbedivano ai nostri comandi!” E Gesù: „E ciò vi arreca stupore? Se avrete fede voi farete qualcosa di ancora più grande!”

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