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„Ringrazio Nostro Signore perché ha benedetto la mia famiglia…„

 

PADRE DEHON E LA SUA FAMIGLIA. Dall'amore della famiglia all'amore per "Nostro Signore"

 

 

p. Andrea Perroux, scj

 

 

Queste pagine sono state preparate in primo luogo per essere presentate alla famiglia di Padre Dehon, ai suoi pronipoti e alle loro famiglie, in occasione di una riunione tenuta a La Capelle il 15 maggio 2004.

L'argomento è stato poi allargato dalla famiglia all'ambiente di vita, alla città, alla diocesi, alla regione… per proporre in conclusione un tracciato sul cammino spirituale dehoniano.

Padre Dehon è abbondantemente citato, nelle sue note e soprattutto nella sua corrispondenza, ancora poco conosciuta e molto ricca sulla relazione familiare: nell'intenzione prima di rendere in certo modo alla famiglia, e in misura molto parziale, una testimonianza che essa ci ha conservato e che le appartiene a primo titolo.

Queste citazioni sono trascritte in corsivo: si potranno facilmente individuare e sorvolare, se si desidera una lettura più rapida. Più di qualsiasi altro testo tuttavia introducono alla percezione della qualità dello scambio familiare, che è precisamente l'intenzione di questo studio.

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Il 6 luglio 1890 Padre Dehon riceve la visita di suo fratello Enrico a San Quintino. Questa visita lo riempie di gioia; ne raccoglie il ricordo nel diario. Ma ben presto è nella preghiera che la sua gioia trova tutta la sua dimensione: „Ringrazio Nostro Signore perché ha benedetto la mia famiglia…” (NQT V/1890, 8r).

Lo sorprendiamo nel riflesso abituale della sua vita più personale: gli eventi che si susseguono, giorno dopo giorno, lo portano quasi spontaneamente a raccogliersi sotto lo sguardo di Gesù, „Nostro Signore”, soprattutto per ringraziarlo. Poiché in tutto, ed il più concretamente possibile, egli desidera ritrovare la presenza di Colui che desidera servire con tutto ciò che egli è. E con lo stesso movimento di fede e di lode, questa presenza del Signore la coglie attraverso l'influenza di quelli e quelle che hanno segnato la sua vita: in primissimo luogo la famiglia.

Ora, di questo passaggio quasi spontaneo, come un respiro che esprime e mantiene la vita, di questo legame tra la gioia molto umana di appartenere ad una famiglia amata e la riconoscenza a Nostro Signore, ci dà molto spesso testimonianza nel corso della sua vita e nella sua opera scritta. Ne ha viva coscienza e ama riconoscerlo: tutti i doni che ha ricevuto da Dio, egli li ha ricevuti attraverso le numerose persone che hanno segnato la sua esistenza, in particolare attraverso i suoi genitori e le molteplici relazioni familiari attorno a lui. È precisamente questo legame che sarà oggetto della nostra conversazione: come tutta la sua personalità, perfino in ciò che la caratterizza religiosamente, si radica profondamente nel tessuto umano nel quale è nato ed è cresciuto, e che lo ha segnato definitivamente.

Naturalmente sfoglieremo soprattutto le sue note personali: le sue « Notes sur l'Histoire de ma vie » (Note sulla storia della mia vita: NHV, 15 quaderni) e le sue « Notes Quotidiennes » (Note quotidiane: NQT, 45 quaderni). Ma anche la sua corrispondenza, molto abbondante. Vi scopriremo un po' la diversità e la densità di questi legami familiari. Tenteremo di sottolinearne alcune caratteristiche più rivelatrici, a motivo della loro frequenza o del loro contenuto. D'altra parte non si potrebbe separare una famiglia dal suo ambiente di vita: la comunità della piccola città di La Capelle e di altri comuni vicini, in misura maggiore la regione e la patria: vedremo rapidamente quanto ciò conta per P. Dehon. E come tutta questa ricca esperienza umana fa realmente corpo con il suo modo di comprendere e di vivere l'adesione a Gesù secondo il vangelo.

 

È nella corrispondenza che, per cominciare, cercheremo la maggior parte delle informazioni. È superfluo ricordare che molte lettere sono andate smarrite definitivamente; altre forse dormono ancora in fondo ad una soffitta, ad un armadio di famiglia o di un ripostiglio di comunità!… Faccio menzione soltanto di ciò che gli archivi di Roma hanno conservato, ed è già molto… Sarebbe tuttavia fastidioso allineare soltanto delle cifre, anche se queste in sé stesse sono già una buona indicazione. Prenderò in considerazione dunque contemporaneamente alcuni particolari: per molti di voi essi faranno rivivere certamente persone molto care, evocheranno luoghi e situazioni che per voi contano molto. Vorrei farlo con il più grande rispetto, con tutta la stima per questa numerosa e bella famiglia che il Padre Fondatore ci ha dato; comunicando al meglio alla sua gratitudine e preservando allo stesso tempo una discrezione che sempre in lui accompagna la spontaneità e l'affetto.

Cominciamo dunque da un rapida scorsa sul „terreno”: cosa comporta la corrispondenza del Padre Dehon con la sua famiglia, come la si classifica? Sapete che nel 1992 P. Bourgeois ha pubblicato questa corrispondenza fino al 1871 compreso: le lettere che Padre Dehon ha inviato e quelle che ha ricevuto. Durante questi primi anni, cioè nel periodo 1864 - 1871, la famiglia ha di gran lunga il primo posto nella corrispondenza. L'insieme pubblicato costituisce un volume prezioso, arricchito di numerose note. Per questo periodo occorrerebbe completarlo con le lettere ritrovate successivamente. Soprattutto doveva essere il primo di una serie il cui seguito attende sempre ricercatori pazienti e perseveranti… Speriamo! In attesa del seguito della pubblicazione, per gli anni dopo il 1872, utilizzerò il testo manoscritto contenuto negli archivi e ripreso nell'edizione provvisoria.

Salvo errori nella mia indagine, non abbiamo alcuna lettera dei genitori di Padre Dehon al loro figlio. Tutto è andato perduto, ed è un peccato: non possiamo accedere al loro dialogo se non attraverso ciò che ne rivela Leone.

Invece di quest'ultimo abbiamo 233 lettere ai suoi genitori, padre e madre, alcune abbastanza lunghe: di queste 27 scritte durante il suo viaggio in Oriente (dal 23 agosto 1864 al 25 giugno 1865), e 114 che datano dai suoi anni di studi a Roma (ottobre 1865 - agosto 1871).

Del figlio al padre, più personalmente, abbiamo 14 lettere, 2 a sua madre, 9 al fratello Enrico, 10 alla nipote e figlioccia Marta. Non ci sono lettere conosciute ad Amelia, la sorellina di Marta, e neppure a Laura la loro mamma; ma troviamo molte allusioni a lettere perse, e soprattutto la corrispondenza ai genitori, a Enrico…, ci lascia intravedere il legame di un affetto profondo. Ci sono anche 4 lettere al nipotino Giovanni Malézieux - Dehon. A queste vengono ovviamente ad aggiungersi le numerosissime menzioni della famiglia insieme o a questa o quella persona in particolare, che costellano le lettere e le note del Padre Dehon.

È questo, essenzialmente, il materiale che si offre alla nostra indagine. È molto abbondante. Ci consente di partecipare ad uno scambio regolare, ci apre all'intimità di una famiglia viva e molto unita. Nel corso dei mesi e degli anni, sul filo degli eventi della famiglia e della società, diventiamo così i confidenti di una quantità di notizie e di reazioni che si incrociano, preoccupazioni, sentimenti, progetti. Viviamo, in un certo qual modo, con la famiglia, facciamo la conoscenza di molta gente… È impossibile rispecchiare tutto questo in poche parole, impossibile prendere in considerazione tutto ciò che ci confidano queste lettere e note. Sarebbe tuttavia appassionante: non è attraverso questo tessuto di relazioni che si lasciano un po' intravedere la profondità e la delicatezza del legame familiare, nella vita quotidiana più ordinaria?

Vorrei semplicemente condividere con voi la spontaneità e la cordialità di questi scambi, la densità di „presenza” e di reciproca attenzione, la comunione molto concreta a partire dalle „cose della vita”. Piuttosto che seguire la successione cronologica, poiché si tratta soprattutto di riafferrare l'esperienza di tutta una vita, vi propongo un percorso che, a partire dal più comune, andrà verso il più profondo. Cominciamo a raccogliere alcune espressioni più frequenti: sono le parole più semplici che ci si dicono tutti i giorni, talvolta le „parolette” della tenerezza. È attraverso ad esse che si precisa la relazione tra le persone. Con discrezione sono già molto evocatrici del legame che collega ciascuno a tutti gli altri, presenti e assenti, fin nell'intimità della loro esistenza comune. Danno in qualche modo la tonalità caratteristica del clima familiare. Ovviamente per semplificare devo raggruppare espressioni che possono variare nel particolare, nel corso degli anni…

 

Padre Dehon scrive spesso ai suoi genitori. Così durante i primi anni, quando deve vivere lontano dal focolare domestico, poi in particolare quando la sua scelta di diventare sacerdote lo conduce a studiare a Roma ed allo stesso tempo gli impone la prova di una incomprensione che impiegherà molto tempo a riassorbirsi. E questo anche durante i primi anni del suo sacerdozio come giovane vicario a San Quintino, mentre si dedica a fondo ai compiti di un ministero che sconcerta la sua famiglia, e diventa rapidamente una delle personalità più in vista, uno dei sacerdoti più richiesti della Diocesi di Soissons. È ormai molto vicino ai suoi cari, le visite tra La Capelle e San Quintino non sono rare. Soprattutto le gioie e le emozioni vissute insieme, nel momento ancora abbastanza vicino della ordinazione a Roma, quindi la presenza e l'influenza del giovane sacerdote nella Diocesi, hanno molto alleviato i timori e le incomprensioni, la famiglia ha ritrovato interamente il figlio, del quale è così fiera. Eppure fino alla morte dei genitori nel 1882 - 1883, la corrispondenza resta frequente. E ciò attesta l'importanza attribuita alla relazione familiare, la preoccupazione costante di mettere in comune i dettagli del quotidiano, di rendere concreta la comunione e la permanenza dell'attaccamento reciproco.

Leone comincia sempre le sue lettere con queste parole: „Cari genitori, caro padre, mia cara madre…” . Egli, che è di solito molto riservato nelle manifestazioni sensibili della suo affetto, termina generalmente: „Vi abbraccio di tutto cuore, abbracciate per me Enrico, Laura, mamma Dehon, Marta ed Amelia”. „Vi abbraccio di tutto cuore perché vi voglio bene, e vi prego di abbracciare per me Laura, Enrico, Marta e mamma Dehon” (12 novembre 1865). Scrivendo a suo padre: „Abbraccia per me la cara mamma e dille che penso tutto il giorno a lei come a te. Abbraccia anche per me Enrico, Laura, mamma Dehon e Marta” (6 aprile 1867): così praticamente in ciascuna delle sue lettere.

 

Con il fratello Enrico, „mio caro Enrico, mio caro amico…”, del tutto naturalmente la conversazione si fa più diretta, e resta sempre affettuosa. Di temperamento e di gusti molto diversi, sono sempre stati molto solidali. Sono felici di ritrovarsi, di farsi un piacere, di viaggiare e fare visite insieme: si tratti di visite professionali, come un'industria della birra a Vienna, o di turismo in Italia ed a Roma con Laura, dove saranno ricevuti in udienza da papa Pio X nel 1908; visite anche delle nostre Comunità in Belgio… Insieme piace loro ricordare i genitori, e numerosi sono i ricordi comuni che rinnovano il legame fraterno: „I ricordi di famiglia mi sono sempre di incoraggiamento e di edificazione”, nota dopo la sua partecipazione alla festa di Sant'Enrico a La Capelle (NQT XXIII/1907, 100). O ancora (nel maggio 1894): „Il 30, festa di famiglia a La Capelle. Mio fratello mi ha chiesto di andare a dirgli la santa messa per il 30esimo anniversario del suo matrimonio. Rievochiamo i nostri vecchi ricordi. Parliamo dei nostri buoni genitori, che speriamo di rivedere in cielo, e del bel viaggio che abbiamo fatto insieme, in occasione del suo matrimonio, nel 1864” (NQT X/1894, 119).

Fra i „vecchi ricordi”, ci sono certamente gli anni giovanili, la vita studentesca a Parigi. Ecco come Leone li ricorda: „Uscivo un po' con mio fratello. Devo qui rendere giustizia a mio fratello, egli mi ha sempre edificato, incoraggiato e protetto. Gli sono estremamente riconoscente. A Parigi come ad Hazebrouck è stato per me un Mentore [nell'Odissea, Mentor è il consigliere prudente ed esperto che accompagna il giovane figlio di Ulisse, Telemaco], o piuttosto un Raffaele [Raffaele: „l'angelo buono” che protegge il giovane Tobia e lo accompagna per il buon esito del suo viaggio]. Meno portato di me alla pietà ed alle opere e non avendo la stessa vocazione, gli piaceva vedermi pio e mi diede molti consigli utili per il lavoro e l'educazione…” (NHV I, 42 v - 43 r).

Con lo stesso affetto accoglierà Laura, sua cognata: la corrispondenza con lei è andata perduta, ed è spiacevole poiché con molta delicatezza la bella relazione che collega i due fratelli accorda rapidamente un ampio posto a Laura. A tutti due egli scrive molto semplicemente: „caro fratello e cara sorella”. Nelle lettere ai suoi genitori: „Ho trovato oggi la vostra lettera e quella di Laura, e questo mi ha restituito il buonumore che avevo perso da qualche giorno” (10 aprile 1865). O ancora, sempre ai genitori: „Abbracciate per me Laura ed Enrico; essi hanno certamente più tempo di me. Sarebbero molto gentili a non contare le mie lettere e a scrivermi più spesso” (25 giugno 1865). „Ringrazio Laura della sua bella lettera” (20 gennaio 1866). „Ho ricevuto la gentile lettera di Enrico e di Laura. Risponderò loro a viva voce tra dieci giorni” (31 luglio 1868)…

 

Certamente con tutto il suo affetto, fa la sua la gioia della nascita, nel focolare di Enrico-Laura, di Marta (1865), poi di Amelia (1868). Tutt'e due le volte l'attesa e la nascita sono state penose, egli se ne preoccupa, chiede notizie. Quindi si rallegra pensando a queste due piccole, le „mie care nipotine”: „mia piccola Marta”, che è anche sua figlioccia, „che sono impaziente di rivedere” (26 aprile 1866), Marta di cui „gli addii (ella ha allora 15 mesi) mi hanno fatto molta impressione” (17 ottobre 1866), Marta „alla quale pure penso spesso” (il 13 novembre successivo). Poi, quando arriva Amelia, dice la sua fretta „di trovarsi presto in mezzo alla famiglia ingrandita” (21 giugno 1868), in anticipo abbraccia la sua seconda nipotina, ed ormai non dimentica mai un buongiorno affettuoso per „le due bambine”: „abbracciate per me Enrico, Laura e le bimbe”.

Sarebbe divertente sorprendere così i frequenti segni d'affetto dello zio nei confronti delle sue due nipoti; si trovano praticamente in ogni lettera indirizzata alla sua famiglia. Così il 18 febbraio 1869: „Curate bene la piccola Marta per rimetterla in salute.” Abbracciatela per me, assieme alla sua sorella grande” (che ha 10 mesi!).” „Abbracciate per me Enrico, Laura, mamma Dehon, Marta ed Amelia, e date alle mie nipotine un confetto da parte mia” (26 ottobre 1869). Tre anni prima, quando Marta aveva 18 mesi, egli aveva tuttavia prudentemente consigliato: „Abbracciate per me la mia piccola Marta e ditele di non di mangiare zucchero perché abbia più tardi dei bei denti e che non ne soffra come capita a volte a suo zio”! (8 dicembre 1866).

Le sue due nipoti, con un pizzico di malizia le chiamerà presto „le due birichine” (18 agosto 1872). Esse crescono. Marta ha 7 anni quando scrive „una bella lettera” al suo zio e padrino; in risposta „egli invia un'immagine per lei ed un'altra per Amelia” (19 febbraio 1872). Si interessa alle domande che i loro genitori si pongono per la scelta della scuola (scuola domestica). Prepara accuratamente le loro strenne, invia loro immagini e libri di letture per bambini, come una copia illustrata di Fabiola per Marta ed un libro di figure per Amelia (27 dicembre 1873). Presto penserà di offrire loro dei libri che possano interessare anche i genitori ed i nonni: così tutta la famiglia ne approfitterà!

Mentre è in piena attività di lancio del suo „Patronato”, costruzioni, organizzazioni, feste…, per ciascuna di sue nipoti distintamente, compone un bel discorsetto, da recitare a Laura per la festa delle mamme (8 marzo 1873). Ecco quello che ha preparato per Amelia che ha cinque anni:

„Avevo imparato a memoria un discorsetto grazioso /

e correvo a recitarlo alla mia cara mamma /

ma quando sono arrivata ho dimenticato tutto /

'ti amo' è la sola parola che ho ricordato…”.

Sempre affettuosamente, all'occasione non trascura di stupirsi che abbiano dimenticato di segnare la festa di San Leone (13 aprile 1875)…

La qualità della relazione permette di collegare spontaneamente ed in modo molto felice il tono scherzoso e il tono serio, e per testimonianza di molti contemporanei questa sarà una caratteristica costante di Padre Dehon fino ai suoi ultimi giorni. Ascoltiamolo ad esempio rivolgersi a Marta, quando va per i 9 anni (per il nuovo anno 1874): „Mia cara piccola Marta, ti ringrazio dei tuoi buoni auguri, e spero che il buon Dio li realizzerà. Prega molto per questo. Le preghiere dei bambini sono molto gradite a Dio. Leggi con cura il tuo libro strenna. Vi troverai la vita dei santi del nostro tempo e prenderai la risoluzione di imitarli. Dovrai leggere anche quello di Amelia. Gliene farai la lettura in famiglia tutte le sere, poiché questa piccola pigrona non sa ancora leggere da sola. Quando verrò a trovarti, ti interrogherò sulla storia sacra per vedere se l'hai letta bene. Abbraccia Amelia per me e dille che se non si spiccia ad imparare a leggere, le riprenderò il suo bel libro. Ti abbraccio di tutto cuore. Il tuo caro zio”.

Due anni più tardi, come padrino attento che ha viva coscienza della sua responsabilità, scrive ancora a Marta, all'avvicinarsi della prima comunione. „Mia cara Marta, la tua graziosa letterina mi ha fatto il più grande piacere. I sentimenti che esprimi sono quelli di un cuore pio e buono. È ciò che attendevo da te. L'anno che comincia avrà su tutto il resto della vita un'influenza capitale. È l'anno della tua prima comunione. Ti ci devi preparare con ardore. Riforma poco a poco i difetti del tuo carattere. Reprimi tutte le tentazioni di testardaggine e di musoneria… Prega ogni giorno la santa Vergine. Gradirei che mi scrivessi tra un mese per dirmi come ti prepari alla prima comunione. Ti abbraccio affettuosamente ”.

Passano tre mesi ed arriva il „grande giorno”, la Pasqua 1876. Alla vigilia invia a sua nipote una lunga lettera: „Mia cara piccola Marta, il grande giorno si avvicina! Ti prepari all'azione più importante della tua vita ”. Ripete allora a sua figlioccia tutto l'amore di Gesù per lei, per noi, e le meraviglie dell'Eucaristia grazie alla quale quest'amore diventa il nostro cibo di vita. „Stai per essere ammessa per la prima volta a questa felicità. Nostro Signore non vuole privarne neppure i bambini della tua età. Non basterebbe una vita intera per prepararsi a ricevere così il buon Dio, che è così grande e così potente. Non potrai dunque fare nulla di troppo per preparartici. Segui per bene i consigli della mamma e della nonna… Chiederai anche a mamma Giulio(la nonna) di chiedere al signor Decano quale istruzione si aspetta da me [per la celebrazione della mattina, o quella del pomeriggio?]… Abbraccia per me il papà e la mamma, papà Giulio, mamma Giulio ed Amelia. Ti abbraccio di tutto cuore ”.

Con il suo matrimonio nel 1884, Marta entra nella famiglia Malézieux, una delle famiglie più influenti di San Quintino, molto presente nella regione grazie all'industria tessile. Il suocero di Marta, il signor Malézieux era deputato e vicepresidente della Camera di commercio di Soissons. Sarà fra i primi ed i più fedeli collaboratori e benefattori del patronato ed altre iniziative suscitate da P. Dehon. Quest'ultimo avrà una cura particolare verso la vecchiaia della signora Malézieux. Nel 1917 prima di raggiungere finalmente Roma, andrà visitarla a Braine-le-Comte, farà di tutto per riassicurarla dinanzi al disastro della guerra interminabile, delle morti fra i parenti e gli amici… Ella muore nel 1919, a 88 anni. Andrea Désiré Malézieux, marito di Marta, membro dei comitati direttivi delle opere, era morto nel 1893; aveva appartenuto agli aggregati, che si associavano alla grande „famiglia” spirituale del Padre Dehon, come altri parenti e in primissimo luogo la signora Dehon, sua madre.

Molto spesso fa allusione ai suoi grandi genitori, „papà Dehon” e „mamma Dehon”, che vivevano sotto lo stesso tetto della famiglia. Il nonno, Hippolyte Alexandre, morto nel 1863, era stato direttore delle Poste a La Capelle. Sindaco del comune nel 1843, aveva avuto la gioia di firmare l'atto di nascita di suo nipote. Quest'ultimo conserva una memoria commossa dell'ottimismo solido del nonno. Abilmente non trascura di ricordarlo ai genitori, quando sono troppo propensi a preoccuparsi di ogni cosa sul conto del loro figlio seminarista a Roma: „Mi piace molto cominciare le mie lettere con queste parole che piacevano a papà Dehon: Tutto va bene. Tutto va bene a Roma da quindici giorni: materialmente il calore è moderato ed il lavoro abbastanza facile; spiritualmente la mia gioia intima è sempre la stessa e sono sempre più felice di essere stato chiamato da Dio a questa carriera di dedizione e di apostolato” (19 giugno 1866).„

Ha voluto molto bene anche alla nonna, Enrichetta Esther Grincourt. È „mamma Dehon”, non dimentica di abbracciarla terminando ciascuna lettera ai genitori. Il 30 dicembre 1872: „Presentate i miei auguri di buon anno a mamma Dehon. Desidero che la conserviate in buona salute in mezzo a voi ”. Al momento della sua morte, nel maggio 1874: „Ringrazio il buon Dio di avere potuto rendere le ultime onoranze alla mamma Dehon… Ho detto più volte la messa secondo la sua intenzione” (10 maggio); e lo stesso giorno, ad un amico, don Desaire: „Mi sono recato in famiglia di recente in circostanze dolorose: mia nonna, che avete là incontrata, è morta alcuni giorni fa, lasciando un grande vuoto nella casa in cui viveva… ”. Da Roma, all'inizio dei suoi anni di seminario, sempre con abilità, ha cura di ricordare ai suoi genitori la raccomandazione piena di saggezza affettuosa e di profondo senso cristiano che la nonna aveva dato a suo riguardo, nel momento in cui la decisione della vocazione sacerdotale suscitava delusione e viva inquietudine: ”… So che la fonte delle vostre preoccupazioni è soltanto l'attaccamento che mi portate. Ebbene, non avete motivo di essere soddisfatto di sapermi qui felice e contento, e pieno di salute… Dite a mamma Dehon che aveva ben ragione quando diceva: Sarà felice se è la sua vocazione„(6 dicembre 1865).”

I nonni appartenevano a famiglie numerose, essi stessi hanno avuto molti figli oltre a Giulio Alessandro: ciò che fa tanti zii e zie, cugini e cugine! Lo stesso presso Le Nouvion, nella famiglia Vandelet, anche se le nostre informazioni qui si fanno meno precise. Di qui la quantità di nomi che ritornano molte volte e nelle circostanze più diverse: Vandelet, Longuet, Née, Penant, Lavisse, Foucamprez, etc…

Per aiutare la lettura della corrispondenza, ecco alcune citazioni che si incontrano più spesso: soprattutto una zia materna, Juliette - Augustine Vandelet, moglie di Félix Penant. È la madrina apprezzatissima. Affida al suo figlioccio molte commissioni (dell'acqua del Giordano da riportare dalla Palestina, degli oggetti pii di Roma, dei fotoritratti…), e gli trasmette intenzioni di messe. Con i suoi genitori, con suo zio e sua zia, Leone farà un commovente pellegrinaggio a Lourdes alla fine dell'agosto 1873: dei giorni di grandissima gioia, l'esperienza d'una intensa comunione spirituale. Alla morte di suo zio annota: „Funerali di mio zio Penant, morto a 86 anni, dopo una bella vita di pratica cristiana, di dignità familiare e sociale” (NQT XXXV/1913, 3). Poco tempo dopo, nell'aprile 1914, benedicendo nella stessa famiglia Penant il matrimonio di Paolo e di Margherita Rondaux, farà un commovente elogio di questo focolare cristiano. Evoca il ricordo molto personale del matrimonio dei loro nonni, la loro lunga vita benedetta da Dio in un'unione „tutta penetrata di spirito cristiano”. La propone come esempio ai futuri giovani sposi (Cf. Manuscrits divers, 6° quaderno, p. 572).

Un'altra zia materna è spesso citata: Giulietta - Matilde, sposa di Carlo Longuet: sono i genitori di Laura e di Aline. Per Padre Dehon, è di solito „la zia Vandelet di Le Nouvion”. Aline, sorella di Laura e cugina primo di Leone, sposa Gastone Née, quindi in seconde nozze Ernesto Lavisse,

di Nouvion, uno storico di grande fama e che sarà ricevuto all'Accademia di nel 1893: Padre Dehon ci terrà ad assistere alla cerimonia.

Uno zio paterno, Giuseppe Ippolito Dehon, aveva sposato la zia materna, Sofia Eleonora Vandelet. Stabilitisi a Parigi, precisamente a Montmartre, hanno spesso accolto Leone in occasione dei suoi numerosi passaggi nella capitale, in occasione dei suoi pellegrinaggi alla recentissima Basilica del Sacro Cuore. Il nipote è loro molto vicino con il cuore, tanto più che segue da vicino la prova della malattia della loro figlia Maria. Leone parla anche di un'altra zia a Parigi, Dorotea, sposa di Edoardo Gustavo Dehon.

Tutti questi nomi e molti altri ritornano spesso nelle note e nella corrispondenza. Fra le persone citate non tutte hanno potuto essere identificate, ma si percepisce quanto esse contano per lui, nel concerto delle relazioni multiple nell'ambito di una parentela molto unita. Ad esempio, nel maggio 1906: „Il 27, viaggio a La Capelle. Vedo a Fontaine, in casa di mio zio, una famiglia realmente patriarcale e benedetta” (NQT XX/1906, 48). Spesso anche, non potendo nominare ciascuno separatamente egli raggruppa tutto il suo mondo: „Abbracciate per me gli zii e le zie quando vi trovate riuniti insieme presso di loro…” (21 maggio 1868), o anche: „mamma Dehon ed i miei parenti di La Capelle, di Vervins, di Le Nouvion e di Dorengt”… E fra „gli amici del Sacro Cuore” che a partire dal 1880 si uniranno alla giovane congregazione in qualità di aggregati, si troveranno i nomi di molti membri della famiglia, a cominciare dalla signora Dehon: così le signore Penant e Malézieux, la signora Demont-Buffy cugina prima della signora Dehon e che diventerà superiora del terzo-Ordine…

Inoltre conserverà il ricordo commosso e riconoscente della domestica che serviva nella casa dei genitori. La ricorda in questi termini collegando, come fa spesso, la stima per la persona e il ringraziamento a Dio: „È stata uno strumento della provvidenza… Dio si è servito di lei per preparare le più grandi grazie della mia vita… Mise i miei genitori in contatto con il curato della sua parrocchia, don Boute. Quest'ultimo, divenuto professore ad Hazebrouck ci attirò là, mio fratello e me. Questa domestica è dunque stata l'occasione di tutte le grazie da me ricevute ad Hazebrouck e della grazia insigne della mia vocazione. Glie ne sono devotamente riconoscente e sono stato felice recentemente di mettere al riparo la sua vecchiaia nell'umile asilo delle Piccole Sorelle dei Poveri dove non trascuro di visitarla qualche volta. Le sue disposizioni cristiane sono per me una gioia ed una consolazione” (NHV I, 5v - 6r).

Sempre nell'intenzione di raccogliere al meglio la tonalità di questi scambi, e per avvicinarsi così alla personalità umanissima dei corrispondenti, vediamo ora alcune circostanze, alcuni eventi, le preoccupazioni che generalmente danno motivo a queste lettere. Poco importa l'ordine in quest'evocazione inevitabilmente rapida: si tratta soprattutto di lasciarsi invitare a partecipare alla semplice e concreta vita di una famiglia, seguendone il ritmo secondo le circostanze, nel susseguirsi delle stagioni e degli anni. È il giorno per giorno, spesso molto ordinario, quasi banale almeno in apparenza. Ma cessa di esserlo quando diventa l'alimento di cui si nutrono l'affetto e la coesione di una famiglia.

 

Ricordiamo anzitutto l'importanza attribuita a questo scambio, le visite ma soprattutto le lettere quando Leone si trova lontano dai suoi genitori. Così all'inizio del suo viaggio al Vicino-Oriente con l'amico Palustre, promette di scrivere ogni martedì e vi si atterrà il più possibile. Questo ci ha procurato delle lettere che sono allo stesso tempo un appassionante giornale di viaggio. Con entusiasmo descrive i luoghi visitati, narra le numerose sorprese ed avventure. L'umorismo non manca: Leone sa far divertire e distendere con alcuni aneddoti pittoreschi. Allo stesso tempo tiene molto a riassicurare. Ovviamente non dimentica di ricordare che attende anche l'indispensabile sostegno finanziario convenuto, in particolare le preziosissime lettere di credito che gli permettono di affrontare le spese previste ed impreviste…

Egli stesso sollecita notizie, spesso con insistenza. Qui ancora, egli rivela un tratto del suo carattere che ritroviamo costantemente: la precisione, il senso del particolare fino alla minuzia, al servizio di una sensibilità molto attenta. Conta di trovare la posta alle tappe programmate prima della partenza: „Ho fretta di arrivare ad Atene, spero di trovarvi numerose lettere” (15 novembre 1864). „Speravo di consolarmi ad Alessandria, ma non vi sono più tanto felice: non ci sono ancora delle lettere…” (9 dicembre 1864). „Questa corrispondenza è diventata per me un enigma. L'ultima lettera che ho ricevuto era datata 21 ottobre; da allora è la settima lettera [parola sottolineata] che vi scrivo. Le avete ricevute e non mi avete risposto?… Mai il tempo mi è sembrato così lungo e l'attesa così penosa…” (15 dicembre 1864). „Se credete di non avere il tempo di rispondermi a Gerusalemme, scrivetemi a Damasco…” (7 marzo 1865). E così via nel corso di questo viaggio, un viaggio offerto dal padre come ultima diversione, ma allo stesso tempo temuto dalla madre come un'avventura dai pericoli temibili: Leone lo sa, lo sente, e con le sue numerose lettere fa tutto ciò che può per dialogare, mantenere ed approfondire il legame, in previsione del futuro che non sarà facile in tutto… Egli sente molto vivamente il bisogno di questo scambio: la vita dei suoi fa realmente parte della sua vita.

Nell'ottobre 1865, una volta stabilitosi a Roma per cominciare il Seminario, - un soggiorno meno pericoloso ma che rinnova la separazione e rilancia la preoccupazione -, riappare il vivo desiderio di ricevere notizie: „Mi costa molto ricevere così poco di vostre notizie”. „Spero che mi scriverete spesso e con molti particolari. Ciò vi costa poco ed è per me un grande piacere. Attendo una lettera oggi o domani ”.„ „Mi dimenticate un po' e le vostre lettere si fanno rare”. „Scrivetemi sempre delle buone e lunghe lettere, e soprattutto niente più tristezze. Tutto vi sorride, i vostri figli sono felici, dovete ringraziare Dio tutti i giorni ”. „Continuate a fornirmi particolari su tutta la famiglia.” Le vostre lettere sono abbastanza rare, che almeno siano lunghe, è per me una grande gioia”. „Scrivetemi spesso, soprattutto tu, cara mamma, che hai tempo perché sei costretta a stare in camera…” . E sempre realistico arriva fino a precisare: „Vi prego di scrivermi un po' più spesso… Il bollo delle lettere, credo, sta per diminuire…” Difficilmente si può essere più insistente e più pratico!

Sin da quando alla fine del 1871 è nominato vicario a San Quintino le visite potranno essere più frequenti. Da una parte e dall'altra tuttavia le si trovano sempre troppo distanziate e troppo rapide. Questo ritrovarsi vale più di molte lettere e tuttavia ci si continua a scrivere molto. Sempre ai suoi genitori scrive (28 febbraio 1874): „Non mi lasciate troppo a lungo senza notizie. Siete meno occupati di me e siete in diversi a poter scrivere, dunque potete scrivermi abbastanza spesso…”

 

Perché questa „golosità” della posta? Perché l'affetto reciproco mantiene viva l'attenzione alla vita quotidiana di ciascuno, certamente. Ma più precisamente e con più insistenza è anzitutto la preoccupazione di rassicurare e rassicurarsi.

Leone sa quanto i suoi genitori, soprattutto sua madre, si fanno delle preoccupazioni a suo riguardo. Sulla sua salute, certo: la si sa tanto fragile, la si crede minacciata e non senza qualche giusta ragione, soprattutto quando il giovane Leone percorre le strade e le vie della Grecia e dell'Egitto, poi in Turchia, ma anche quando conduce una vita più sedentaria a Roma e fino a San Quintino! Leone sente di dover separare giudiziosamente le notizie, se del caso aggiungere un po'di colori su una realtà che a volte non manca di scuro o di grigio.

Gli occorre dire, e a tempo e fuori tempo ripetere che „tutto va bene”, e lo fa praticamente in tutte le sue lettere. In un poscritto alla fine di una lunga lettera che racconta il viaggio sul Nilo, scrive il 22 gennaio 1865: „Perché la mamma si preoccupa? Le prometto di essere prudente e le garantisco che non c'è nulla da temere. La supplico, abbracciandola ancora, che le sue lettere siano più confidenti e meno tristi”. Del Cairo, il 7 marzo seguente: „Vorrei persuadere la mia cara mamma che non corro il minimo pericolo e che con l'aiuto di Dio ritornerò a lei in buona salute”. Una settimana prima scendendo il Nilo „su un comodo battello” non esita ad esporre nei dettagli il menu quotidiano, e vi aggiunge un pizzico d'umorismo per distendere: „Non so se vi ho dato il menu dei nostri pasti. La mattina: the, uova, marmellata. A mezzogiorno: tre portate e dessert. La sera: minestra, cinque portate e dessert. Caffè, tre volte al giorno: è poco per l'oriente. Ecco la nostra quaresima. Crederete facilmente che tutti noi ingrassiamo…”(1 marzo 1865). Un po'più tardi: „Abbracciate anche mamma Dehon e ditele che mi sforzo di rotolare non come la pietra del torrente, ma come la palla di neve che ammassa ed ingrandisce…” (da Gerusalemme, 16 aprile 1865).

Alcune settimane dopo la sua sistemazione a Roma e dopo avere descritto in particolare la camera, il programma del giorno, l'organizzazione e il metodo del suo lavoro di studente ma anche il menu dei suoi pasti di seminarista, conclude (3 novembre 1865): „Credo che la salute si rinforzerà ancora con questo regime regolato che fa proprio al caso mio”. Per concretizzare la presenza oltre la separazione invia dei fotoritratti. Senza trascurare se è il caso, il particolare: „Vi invio la fotografia dei miei favoriti che ho poi tagliato” (ibid.). Soprattutto per convincere meglio, poiché la fotografia inizia a diffondersi come appoggio visivo a servizio della comunicazione: „Se volete, mi farò fotografare nuovamente per farvi vedere che ho un buon aspetto” (23 novembre 1865). La stessa preoccupazione quando comincia la sua missione a San Quintino, nel gennaio 1872: „La salute è eccellente, mi dicono che ingrasso. Lo attribuisco all'esercizio cui mi porta il ministero” . „Non sento alcuna stanchezza fuori dal comune, anzi mi sento meglio di quello che non mi sia sentito da due anni in qua” (10 novembre 1873)…

Ma attorno alla salute vengono ad innestarsi ben altri motivi di inquietudine! Per una madre, nella premura per suo figlio, tutto o quasi diventa presto soggetto di preoccupazione: la sistemazione della camera, il riscaldamento, la cucina, gli studi, il sovraccarico di lavoro, i rischi sulle strade della Calabria e di Sicilia, ma ancora le punture di zanzare, ed il colera; senza contare i tafferugli nelle vie in una Roma in piena turbolenza politica (attorno al 1867), ecc., ecc….

È dunque a qualsiasi proposito ed in ogni momento che occorre riassicurare, addirittura prevenire le preoccupazioni future. „Riprendete la gioia, che fa difetto nelle vostre ultime lettere, e non fatevi un tormento di inutili preoccupazioni” (6 maggio 1866). „Può succedere che nel corso dell'inverno, dopo la partenza delle truppe francesi, ci sia qualche sommossa parziale. Non vi preoccupate e siate certi che non ci sarà per noi nessun pericolo…” (8 dicembre 1866). Quindici giorni più tardi: „Comincio rassicurandovi sui pericoli che temete per me. Non c'è per niente il colera a Roma e la pace è tanto completa quanto sotto l'occupazione francese…” . Occorre anticipare, sventare le false preoccupazioni dovute alla disinformazione (di già!), denunciare le esagerazioni della stampa: „Diffidate dalle valutazioni dei giornali” (30 maggio 1870)…

 

Ma una preoccupazione ben più pesante sta per oscurare il cielo familiare per degli anni. Leone conosce la persistente difficoltà dei suoi ad accettare la decisione che ha risolutamente adottato per il suo futuro: diventare sacerdote, e prepararsi con i suoi studi a Roma.

Quando annuncia questa decisione ai genitori, nell'estate 1865, un dissenso penoso li divide, e li ferirà per lungo tempo. „Mia madre, sulla quale avevo contato pienamente per aiutarmi, mi abbandonò completamente. Era pia, mi voleva pio, ma il sacerdozio la spaventava. Le sembrava che non sarei stato più della famiglia, che io fossi perduto per lei ” (NHV IV, 101). Quanto al padre che „aveva grandi progetti” per suo figlio, „tutti i castelli in aria crollavano… Sognava per me una carriera secondo il mondo” „, politecnico, poi diplomazia o magistratura… (NHV I, 31r ed IV, 101). È dunque „come un colpo di fulmine” che scuote la famiglia. Al punto che il padre „doveva essere afferrato da una tristezza che non lo avrebbe più lasciato fino alla morte”; mentre il figlio, afflitto ma fermo e leale, tiene duro, „anche se dovessi attendere che la maggiore età mi desse la mia libertà” (NHV I, 31r).

Tutti soffrono molto questo grave disaccordo. Senza minimizzarlo, perché è troppo reale, eppure non è semplice apprezzarne correttamente la profondità. Il 5 maggio 1865, il sig. Boute, un amico di famiglia che ha consigliato Leone durante i suoi anni di collegio a Hazebrouck, gli scrive: „Ho trovato vostro padre molto ben disposto per i vostri futuri progetti, se vi persistete sempre: parla di Roma come se vi foste già. Tutta la famiglia pensa lo stesso…” . Il 2 dicembre 1866, conferma: „Ho trovato la famiglia molto ben disposta, a tal punto che considera la cosa [ricezione della tonsura e degli ordini minori] come già fatta, perché conosce la vostra fermezza di risoluzione. Quanto al vostro sig. padre, vi si abitua poco a poco… Dirà ancora di tanto in tanto: peccato! avrei voluto vederlo abbracciare un'altra carriera; ma le sue impressioni cambiano secondo i tempi e le circostanze. Una volta che sarete impegnato negli ordini sacri, si rassegnerà facilmente e non vi penserà più ”. È proprio ciò che Leone stesso scrive al suo direttore di Roma quando riferisce il suo arrivo a La Capelle, in veste talare: „Mio padre restò un po' emozionato ma lo lasciò appena vedere e dal giorno dopo ne aveva preso atto, chiedendo soltanto che la mia veste ecclesiastica fosse ben curata” (21 agosto 1867).

Ciò che risulta soprattutto alle lettere di Leone ai suoi genitori, è con tutti i mezzi, amore e fermezza, umorismo e serietà, tenta di convincerli che la sua scelta risponde al suo più profondo desiderio e colmerà allo stesso tempo la loro aspettativa. Che i suoi genitori lo sappiano, che se lo dicano e ridicano: sì veramente egli è felice, è interamente al suo posto e al suo lavoro. Possano capirlo e crederlo realmente! Da Roma, due settimane dopo il suo arrivo: „Questa vita pacifica e regolata, benché attiva, è precisamente quella che mi occorreva. Sono felice e gioioso di prepararmi con lo studio e la preghiera a rendere qualche servizio alla chiesa. Non crediate che ve lo dica per farvi piacere; viene dal più profondo del mio cuore. Dio mi ha chiamato qui per darmi la felicità” (3 novembre 1865). Poco dopo: ”Sono senza inquietudine, tutto preso dal mio compito e nella pace più perfetta. Era proprio la vita che mi conveniva e vorrei che ne foste persuasi quanto me„ (12 novembre 1865). Di nuovo un mese dopo, e perché i genitori insistono: ”Vorrei viaggiare insieme alla mia lettera… dissipare le preoccupazioni che affiorano nelle vostre lettere e rassicurarvi interamente. So che la fonte delle vostre preoccupazioni è soltanto l'affetto che nutrite per me; ebbene! non avete motivo di essere soddisfatti di sapermi qui felice e contento, e in piena salute?„ (6 dicembre 1865).”

Così ancora in numerose altre lettere. Poiché se non cessa di ripetere di essere pienamente rasserenato, da parte sua il seminarista si preoccupa… di alleviare la preoccupazione della famiglia, di dissipare soprattutto ogni ombra d'incomprensione. L'ammissione alla tonsura, nel dicembre 1866, era stato un momento di crisi, del resto superato abbastanza rapidamente come si è visto: il signor Dehon si rifiutava di veder suo figlio ritornare a La Capelle in abito diverso da quello civile. L'inizio dell'anno 1867 è più calmo, ed in marzo Leone conta molto sulle prossime vacanze perché tutto ridiventi realmente sereno. Non senza molto ottimismo annuncia: „Il mese di luglio verrà molto presto, ed avremo ancora la felicità di essere insieme per tre mesi. Queste vacanze saranno ancor migliori di quelle dell'anno scorso e degli anni precedenti, perché tutti saremo soddisfatti di aver seguito la volontà di Dio e non vi sarà più tra noi nessuna motivo di inquietudine, di dubbio, di divergenza d'opinione, ma una più grande confidenza ed una libertà più grande. Ringraziamo Dio di questa felicità e riconosciamo che il vero mezzo per essere felici, è quello di camminare secondo le sue vie… E se papà desidera farmi piacere, mi scriva che va alla messa tutte le domeniche quando può. Divento un po'un predicatore, non è vero? ma insomma, il migliore segno d'affetto che possa darvi, è di interessarmi molto alla vostra salvezza eterna…” (11 marzo 1867).

 

Qualche anno più tardi, la sua nomina a semplice vicario, il settimo vicario in una parrocchia a maggioranza operaia, rilancia l'inquietudine, e anche un certo disappunto. Di nuovo deve far di tutto per rassicurare e per convincere: „Mentre stavo per scrivervi, ricevo la lettera di mamma che si preoccupa troppo facilmente… Mi trovo felice a San Quintino” (6 febbraio 1872). „La vita di comunità mi è molto gradita…” (19 febbraio 1872). I genitori vedono malvolentieri il loro figlio dedicarsi a fondo a un ministero tutto sommato abbastanza ordinario e soprattutto che mette alla prova la sua salute. Molto presto allora si dilunga a descrivere loro i progetti e il loro avvio, le speranze così risvegliate. Non trascura di comunicare loro le sue prime gioie sacerdotali, e le relazioni che vanno allargandosi nella società della città, gli incoraggiamenti del suo vescovo, il successo e l'influenza crescente…

A proposito del lancio del „Patronato”, un'iniziativa che spaventa particolarmente i suoi genitori: „… I lavori volgono alla fine e spero che ci saremo interamente sistemati quando verrete, come l'anno scorso, a fare Pasqua a San Quintino. Non ho alcuna preoccupazione sul buon andamento dell'opera. Ringrazierete Dio con me del bon risultato che ho avuto in questa prima impresa. Ho constatato, nelle mie visite di nuovo anno, che questa fondazione contribuirebbe a darmi qui una certa influenza di cui potrò servirmi per far del bene. Monsignore mi ha molto incoraggiato…” (31 gennaio 1873).

La preoccupazione tuttavia non è solo dalla parte dei suoi genitori: Leone è ben loro figlio anche in questa sollecitudine per quelli che si amano. Non è semplicemente nella „logica” di una reciprocità autentica di sentimenti? Se chiede spesso notizie, e notizie precise, è perché ha bisogno di essere rassicurato. Oltre alle difficoltà momentanee di salute per questa o quella persona, è della salute di sua madre che si informa regolarmente. Così durante l'inverno di 1867: „Anche se vi ho scritto soltanto otto giorni fa, ho bisogno di intrattenermi un po' con voi per consolare la mia cara mamma della sua malattia, che non sarà lunga, spero…” (14 gennaio 1867). „Ringrazio Dio che la mia cara mamma non soffre più e che nel mese di luglio potremo rallegrarci di stare insieme, senza avere tanto bisogno di andar dal medico” (12 febbraio). „Sono felice che siate tutti in buona salute. La mia cara mamma continua a star bene” (11 marzo).

Nuova preoccupazione, nuova sollecitudine durante l'inverno seguente: „Mi dispiace molto che mamma sia costretta a restare in camera. Bisogna che si conformi esattamente alle prescrizioni mediche per guarire radicalmente…” (29 novembre 1867). „Sono felice, cara mamma, che la tua salute migliori, ti invito ad essere prudente per affrettare la guarigione…” (12 febbraio 1868). „Spero che tutte le saluti vacillanti della famiglia si rafforzeranno con l'estate” (5 maggio 1868). Nella primavera del 1872, da San Quintino: „Mamma ha potuto rimettersi dalla sua indisposizione nonostante la cattiva stagione? Qui abbiamo da quindici giorni un tempo umido e freddo. Speriamo che l'estate venga presto a mettere rimedio a tutto. Papà deve essere felice di vedere prosperare i suoi pascoli ed il suo giardino…” (16 maggio 1872).

Con tutta naturalezza quest'attenzione affettuosa si estende agli altri membri della famiglia: in particolare per Enrico e Laura, per Marta ed Amelia le sue nipoti. „Sono desideroso di sapere come sta Laura (che allora attendeva Amelia). Prego tutti i giorni la santa Vergine per lei” (28 maggio 1868). „Mi auguro che Laura sia già libera da questi momenti di sofferenza per i quali deve passare” (il 6 giugno seguente)… „Ho ricevuto la lettera di Enrico e di Laura ed ho detto messa per i bimbi, come Laura mi chiedeva. Spero che Marta sia presto guarita” (5 luglio 1871).„ Al suo amico Leone Palustre (qualche settimana dopo il ritorno a San Quintino): „La nostra piccola Amelia è in piena convalescenza dopo una malattia che ci ha preoccupati. La mia famiglia è felice di avermi così vicino” (26 novembre 1871).

 

E così via: dobbiamo limitarci a questi pochi esempi per illustrare abbastanza concretamente questa comunione a partire dalla vita… Occorre soprattutto sottolineare l'essenziale: è soprattutto alla pace del cuore, alla serenità che Leone non cessa di incoraggiare i suoi cari genitori. Li rispetta troppo, con tutta la sua tenerezza riconoscente e con tutta la sua obbedienza; allo stesso tempo è troppo fermo nella sua decisione di darsi interamente a Cristo, è troppo felice già fin dai primi passi sulla lunga strada che lo condurrà al sacerdozio, per non insistere a tempo ed anche fuori tempo se occorre: smettete di preoccuparvi a mio riguardo, e al contrario, lodate Dio con me!

 

Usa per ciò le risorse congiunte della delicatezza e della franchezza: comunicare la propria felicità sperando di farla condividere; convincere che la sua scelta di vocazione, lungi dallo sminuire l'affetto, lo aumenta e la approfondisce. E così ricevere al più presto l'assicurazione che il tempo della incomprensione è decisamente superato.

Ecco alcune citazioni. Sono un po'più lunghe, per suggerire meglio il tono ed il tenore di queste lettere commoventi, ma vi auguro di poter leggerle un giorno integralmente… : „Il mio affetto e la mia pietà filiale verso di voi crescono ogni giorno e spesso il pensiero della riconoscenza che vi devo riempie il mio cuore d'emozione. Mi chiedo allora cosa potrei fare per voi; io prego e mi sforzo di accontentarvi diventando, con un lavoro assiduo e con un grande raccoglimento, un sacerdote degno di questo nome. Attribuisco alla buona direzione che mi avete dato nell'infanzia la grazia della vocazione e dello zelo che Dio mi ha dato. Ne rendo grazie soprattutto alla mia cara mamma, che mi ha sempre dato allo stesso tempo il precetto e l'esempio della santità…” (20 dicembre 1866).

Due giorni dopo, riceve la tonsura: per lui è la porta che apre ufficialmente la preparazione al sacerdozio, ma per i genitori questa tappa riattiva le preoccupazioni. Siamo nel clima spirituale del Natale, il periodo dell'anno liturgico più caro al Padre Dehon; ed è anche santa Stefania, la festa di sua madre. Fa di tutto non solo per togliere l'incomprensione, ma anche per rinnovare il suo affetto ed invitare i suoi a condividere la riconoscenza e la fierezza. „Vi scrivo sotto l'impressione di felicità e di gioia che provo in questi giorni di grazia e di benedizione nei quali il Signore mi riempie dei suoi benefici… Benedite con me Iddio di tante grazie, onori e benedizioni e non vi rammaricate che di una cosa sola, e cioè che io ne sono davvero indegno. Ogni altro rimpianto è inutile e contrario alla volontà di Dio. È la verità.. trascurando la vostra preoccupazione del momento, io vi ho preparato per l'avvenire una grande felicità ed una grande gioia… Spero che ritroviate la gioia e la pace del cuore e supplico di unire per questo le vostre preghiere alle mie. Oggi è santo Stefano, in latino è lo stesso nome di Stefania. È dunque il tuo patrono, cara mamma, pregherò per te… e ti auguro allo stesso tempo una buona festa… La mia salute è ottima e non soffro neanche di mal di denti né di geloni come mi capitava a volte l'anno scorso…” (26 dicembre 1866).”

 

Il 14 gennaio 1867, ritorna ancora su questo profondo disagio che certamente gli pesa. Ci tiene a chiedere perdono a suo padre per la pena che gli ha appena inflitto con la sua scelta. Ed insiste: „Sapendo, caro papà, che tuo figlio è felice di una felicità più pura e più perfetta di quella che danno le ricchezze e gli onori del mondo, sarai felice anche tu e non rimpiangerai più che egli abbia seguito la via dove Dio gli ha fatto la grazia di chiamarlo. La pena che provi proviene da un errore, e quando l'avrai riconosciuto mi benedirai, renderai grazie a Dio e mi sarai grato d'aver agito contro il tuo desiderio…”. Con parole colle quali vorrebbe toccare le ragioni che spiegano la riserva di suo padre, dà una commovente lezione di teologia sulla dignità del ministero del sacerdote… Quindi è ancora con la lingua del cuore che si completa questa lunga lettera: „Quanto al mio affetto per voi, è più vivo e più vero che mai. Non avrò mai un'altra famiglia e sarò più completamente vostro… Benedite dunque Dio con me e ringraziatelo; dopo avere fatto una piccola concessione al mondo rattristandovi della mia vocazione, riconoscete che essa è invece un favore immenso del cielo e non mi togliete nulla del vostro affetto… Vi abbraccio di tutto cuore e a braccia aperte”.

Nel corso della sua vita troveremo sovente quest'atteggiamento: esso rivela la cordialità nella fermezza, l'equilibrio tra una volontà risoluta ed un'attenzione delicata alle persone. In occasione di conflitti, nella franchezza sa essere paziente, sa accettare che non tutto sia completamente e immediatamente chiaro, ma mantiene tutta la sua fiducia, continua a sperare e favorisce la comprensione. Così, quindici giorni dopo questa lettera insistente ai suoi genitori scrive loro di nuovo e a lungo: poiché la sua convinzione è forte ma con l'intelligenza del cuore sa che occorre tempo e molta finezza per lenire le pene e superare le resistenze intime senza nulla precipitare. Conta soprattutto sul dialogo, vuole renderlo possibile con la fiducia: „Se avete ancora qualche momento di pena e di contrarietà, invece di rinviare lo scrivermi, scrivete più spesso; una pena condivisa è a metà consolata. E poi non dimenticate mai che nessuno al mondo vi ama più di me. Abbracciate per me Enrico, Laura, mamma Dehon e Marta. Vi abbraccio di tutto cuore” (22 gennaio 1867).

Mi sono soffermato un po' su questi primi anni, quelli del seminario a Roma poi del vicariato a San Quintino. In un periodo di tensione, o anche di crisi, si manifesta più chiaramente ancora ciò che caratterizza la relazione di Padre Dehon con i suoi. In particolare, come dice spesso: la «pietà filiale», un'espressione ricca di senso. Essa unisce insieme la deferenza rispettosa e l'affetto più spontaneo; la gioia e il dono di essere in comunione sulle cose più concrete della vita; una viva e spontanea sensibilità, che tuttavia resta discreta e va di pari passo con la fermezza e con il coraggio della sincerità. Domina la fiducia, anzi la certezza che nei genitori il desiderio della vera felicità del figlio e il loro profondo senso cristiano, sapranno poco a poco alleviare le pene, ridimensionare le speranze e superare le delusioni, per giungere ad un'armonia ancora più profonda, perché maturata dalla prova. E di fatto è stato proprio così.

Tuttavia sbaglieremmo di molto se insistessimo troppo su questa tensione. In uno sguardo più rapido, ecco alcune delle cose della vita che costituiscono la sostanza dello scambio nel corso degli anni. Per non sovraccaricare questa presentazione citerò soltanto alcuni passaggi, salvo che per l'importante relazione con Marta ed Amelia. Ma a leggere tutta questa corrispondenza e queste note sono veramente la vita della famiglia, vicina e lontana, la vita della città e della regione, che prendono consistenza, sapore e colore…

 

Specialmente nelle occasioni più significative Padre Dehon esprime la solidarietà familiare: fidanzamenti, matrimoni e nascite ed anche malattie, lutti e funerali… Sono gli eventi della vita. Ma - e queste citazioni scelte fra molto altre lo dimostrano - Padre Dehon vi prende parte con tutta l'intensità della sua attenzione, più che con semplice e superficiale curiosità: „Attendo molti particolari sul matrimonio felice di Aline Dehon” (6 maggio 1866). „Scrivetemi presto. Ditemi come si chiama il pupo di Edmond Legrand” (5 maggio 1868). „Non sapevo della morte di Gabriel Lefèvre e benché abbia sempre avuto una cattiva salute, non posso abituarmi a quest'idea” (21 luglio 1866). „Il mio ottimo amico Perreau, con cui ero stato a Tréport, è morto santamente alcuni giorni fa a Chambéry… Lo raccomando alle vostre preghiere. Pregherà per noi in cielo, perché mi voleva molto bene” (3 febbraio 1870).„

Marta e suo marito si sono stabiliti a Parigi. Presto il giovane focolare è completato dalla nascita di Enrico quindi di Giovanni, ed di tutto cuore lo zio comunica alla loro gioia. Ormai assocerà regolarmente i due nipotini agli auguri indirizzati alla loro mamma per santa Marta: „Non dimentico che domani è la festa di una grande santa… La prego di benedire la sua protetta. Vorrei essere domani con tutti voi per condividere la gioia comune, ma sono trattenuto qui… Spero che i nostri due cari bambini siano la consolazione della loro mamma. Sono così gentili, quando vogliono [queste tre parole maliziosamente sottolineate]. Pregherò molto per tutti voi domani” (28 luglio 1892).

Ma presto la salute di Andrea, il marito di Marta, dà gravi preoccupazioni. Nella preghiera e nell'affetto lo zio si fa ancora più vicino. „Ho pregato molto per voi due a Lourdes. Continuo a chiedere alla santa Vergine che voglia ridare la salute ad Andrea… Soprattutto non ci scoraggiamo nelle prove che ci capitano…” (30 agosto 1892). Andrea muore l'8 giugno 1893. A sua madre, signora Malézieux, Padre Dehon scrive alla fine dell'anno: „Quest'anno vi ha portato una grande prova, ma la prova non è senza consolazione. Quando un'anima cuore lascia la vita nelle disposizioni cristiane, il rimpianto è molto addolcito. Non è che una separazione di alcuni anni e poi sarà la riunione per sempre…” (26 dicembre 1893).

Per incoraggiare la giovane vedova, all'emozione contenuta non trascura di unire un po' di umorismo: ”Ho ricevuto con piacere gli auguri della mammina e del suo figlio maggiore [che ha sette anni]. Manca lo stile del nostro caro Giovanni, ma certo non sa ancora fare molto più che delle aste. Quando sarà grande credo che sarà abbastanza fecondo. Prego Dio di benedirvi tutti e di darvi un anno più clemente di questo terribile anno 1893…„ (6 gennaio 1894). Poi da Roma si attarda a fornire numerosi particolari, pensando ai suoi due nipotini, ed aggiunge con qualche malizia: ”Penso spesso ai due piccoli birichini. Più tardi verranno anche a visitare l'Italia… Roma offre interesse soltanto a spiriti maturati dallo studio. Giovanni preferisce il bel teatrino dei burattini delle Tuileries alle grandi rovine del Colosseo. Sospetto inoltre che preferisca i monumenti alzati dagli eccellenti pasticceri di Parigi a quelli che hanno alzato gli architetti di Roma. Abbraccio forte forte questi due cari bimbi e invio a tutti i miei più cordiali saluti„ (10 marzo 1894).”

Nel luglio 1896, sempre a sua nipote Marta che iscriverà i due figli al liceo Stanislas: „…Hai avuto fino ad oggi molti giorni oscuri, il futuro sarà migliore… hai presso di te due piccoli esseri che sono molto interessanti. Occorrerà vegliare rigorosamente alla loro educazione… Il serio orientamento di Stanislas sarà loro necessario fino in fondo” (26 luglio 1896). Nel maggio dell'anno successivo egli fa tutto il possibile per essere presente alla prima comunione di Enrico a Parigi. E scrive: „Spero che il nostro piccolo birichino diventerà un piccolo santo” (16 maggio 1897).

Nel 1923, due anni prima della sua morte, in occasione della nascita del primo figlio nella famiglia del pronipote Giovanni, saprà dimostrare di nuovo tutta la sua attenzione e la sua tenerezza, la sua comunione attorno ai valori della famiglia: „Caro Giovanni, condivido la tua gioia in attesa dell'evento felice, ho fiducia che tutto andrà bene…I miei saluti a Germana” (24 aprile 1923). Il 17 giugno: „Ti invio le mie congratulazioni. Prego per il piccolo Giacomo [il signor Giacomo Malézieux-Dehon] e lo benedico, fallo battezzare presto. Mi piacciono molto i vecchi nomi degli apostoli, sono i migliori, ci danno patroni potenti in cielo. Questo piccolo Giacomo non manca di buoni protettori, il nonno di La Capelle, la zia Amelia, ecc., ecc. Si prega per lui in cielo. Consacralo alla santa Vergine ed al Sacro Cuore. Le mie congratulazioni alla sua felice mamma”. Ed il 2 gennaio 1924: „Caro Giovanni, mando i miei auguri e i miei saluti a te e a tua moglie e benedico il bambino. Questo piccolo Giacomo sembrava delicato, mi rallegro di apprendere che si rinforza. Tua nonna si rimette pian pianino… Coraggio! Diventa un banchiere abile e prudente ”.„

Quando nel 1899 Marta sposerà in seconde nozze il conte Roberto di Bourboulon (1861 - 1932), gran Ciambellano del re di Bulgaria, occorrerà un po' di tempo a Padre Dehon per sentirsi interamente all'unisono in questa famiglia aristocratica. Ma presto la semplicità trova tutto il suo posto: lettere, visite a Roma, pratiche in Vaticano, poi l'accoglienza del figlio Roberto, un viaggio con lui in Italia ed in Sicilia ed un'udienza speciale dal Papa.

Alla morte di Marta (9 febbraio 1925) Roberto di Bourboulon scriverà al Padre Dehon tutta la sua emozione e la sua riconoscenza: ”… Quanto a me, ringrazio Dio una volta di più, di avere messo sulla mia strada una famiglia che dà così begli esempi di pietà, di virtù, di spirito del dovere e d'unione familiare!… Essi si incarnano ormai in Voi, mio caro zio, con la superiorità di cui le aumenta la santità della vostra vita…„ (11 febbraio 1925). Egli stesso, che sente le forze declinare e si prepara al grande incontro del cielo, confida la sua emozione nelle sue note, pur avendo cura di correggere l'elogio del nipote: „Non vado da sconosciuto in cielo, è tutto uno mondo che mi attende. Il 9 febbraio è morta la mia pia cognata di La Capelle, tre anni dopo mio fratello. È sempre stata buona e pia ma aveva molto progredito in quest'ultimi anni. Era degna di sua madre e della mia. Inserisco qui il resoconto edificante della sua morte, scritto da mio nipote. Bisogna cancellare tuttavia ciò che è detto del „santo di Bruxelles”, è una pia esagerazione di una parente affettuosa e caritatevole…” (NQT XLV/1925, 42).”

 

Padre Dehon è anche molto vicino alla seconda nipote, Amelia, anche se nessuna lettera ci è stata conservata. Celebrerà la messa del suo matrimonio con il sig. Guérin, notaio a San Quintino (3 giugno 1889). Negli anni precedenti, Amelia aveva molto esitato sull'orientamento della sua vita, pensava ad una vocazione religiosa. Suo zio l'aveva accompagnata nel difficile discernimento. Conoscendo bene sua nipote, desiderava per lei la scelta di una vita dedicata a Dio, l'aveva raccomandata alla preghiera di molte comunità.

Amelia muore il 12 gennaio 1896, una morte molto precoce dopo un'ultima breve malattia. Padre Dehon scrive nelle sue note: „… Un telegramma mi richiama a San Quintino. Mia nipote è tornata a Dio, a 27 anni! Tutti i miei sono nella più grande desolazione. Era un'anima cristiana e naturalmente buona. Non aveva che amici. Aveva preso parte alla missione con fervore. Era associata a tutte le opere. Il suo cuore la portava verso le Piccole Suore dei Poveri, le Suore di Carità e le nostro Suore. Erano le sue relazioni preferite. Nostro Signore le farà grazia. Un grande concorso di amici assiste ai funerali a San Quintino ed a La Capelle. La deponiamo nella tomba di mio padre. È in questi due cimiteri di Le Nouvion e di La Capelle che si accumulano poco a poco tutti i membri della mia famiglia. I superstiti si fanno rari. Possiamo trovarci tutti presso Dio!” (NQT XI/1896, 48 r e v).„

 

Per il resto e rinunciando veramente ad un'evocazione ordinata e completa, che si trova ancora in questi scambi con la famiglia? Molte delle sue preoccupazioni riguardano delle persone: è un posto da trovare in una casa di riposo per persone anziane, o in una famiglia, o in una pensione per una giovane; sono informazioni che gli si chiedono in vista di matrimoni, o delle raccomandazioni per un impiego… Si fa anche portavoce di un domestico del vicariato per negoziare vantaggiosamente il riacquisto di un bene di famiglia a La Capelle. La corrispondenza abbonda di questi piccoli servizi ai quali dà tutta la sua attenzione.

Da parte sua il giovane vicario informa regolarmente i suoi genitori sulla vita della parrocchia e della città. Parla loro spesso della sua iniziativa del Patronato, a vantaggio della gioventù operaia di San Quintino. Confida a loro le sue preoccupazioni per degli acquisti di terreno, per l'avanzamento troppo lento e molto costoso dei lavori di costruzione e di sistemazione. Il successo c'è, evidente e rapido, e lo fa sapere non senza orgoglio: già 150 giovani nell'ottobre 1872, 200 a Natale mentre le costruzioni sono lungi dall'essere completate, 500 nel 1876. Le feste sono splendide, sono momenti che meglio delle parole esprimono il senso ed il clima della sua iniziativa: regolarmente vi invita i suoi genitori. Ma ci sono anche le spese, occorre dunque calcolare tutto esattamente, economizzare al massimo. Consulta i suoi genitori su contratti d'affitto ma anche fino al piccolo particolare: ad esempio il reimpiego degli elementi di ghisa, il calcolo dei migliori prezzi delle piastrelle.

Desidererebbe molto la presenza di suo padre per aiutarlo: „Ho infine trovato in affitto a buone condizioni un giardino nel quale costruiremo una bella sala. Mi dispiace di non avere papà a San Quintino, per dirigere e sorvegliare questa costruzione” (18 agosto 1872). Informa delle spese da prevedere, e anche dei debiti, senza tuttavia insistere troppo, perché si tratta di un argomento per il quale ci si preoccupa abbastanza a La Capelle: l'opera certamente non finisce di svilupparsi, fin dove arriverà? E attento ai debiti!

Indugia maggiormente a comunicare le iniziative prese per trovare le risorse: le lotterie e dunque la collocazione dei biglietti, e si fa allora più coinvolgente! „Vi invio 100 biglietti di lotteria da collocare. Non ne avrete certamente abbastanza, poiché lo zio Felice si propone di venderne 40 da solo. Datene qualcuno a Le Nouvion… Ne terrò altri a vostra disposizione quando vorrete” (23 settembre 1873). Quindi ne segnala la resa, invia accuratamente l'elenco dei premi vincenti… Il 29 dicembre 1881 una parte del collegio San Giovanni appena inaugurata è preda di un grave incendio: „Mio padre e mia madre erano malati, inviai loro la mattina dei telegrammi il più possibile riassicuranti” (NHV XIV, 85).

 

Padre Dehon parla anche della vita in comunità con i suoi confratelli sacerdoti. Informa del passaggio di ospiti di riguardo, soprattutto tiene a segnalare le visite del suo vescovo che infatti non nasconde la sua stima crescente. Nel maggio 1875 è nominato secondo vicario ed è incaricato della direzione del vicariato, „incarico pesante per il quale mi occorrerà l'aiuto del buon Dio che chiederete per me” (11 maggio 1875). Con discrezione, ma sempre con riguardo alla perdurante tendenza dei suoi genitori a preoccuparsi, evoca prospettive di futuro, come un possibile ministero d'insegnamento superiore a Lille - ed i suoi genitori lo desidererebbero vivamente, sarebbe per loro un onore ed un sollievo -, i Congressi ai quali partecipa, il lavoro di commissioni diocesane. Racconta i pellegrinaggi, ai quali partecipa con tutta la pietà che ha ereditato dei suoi. La presenza di suo padre e di suo fratello al pellegrinaggio per uomini (1873) a Liesse lo colma di gioia: fin dai suoi più giovani anni ha molto amato venire con la famiglia in questo luogo caro alla devozione di tutta la regione.

Portato dal suo zelo apostolico concepisce numerosi progetti, e se ne apre ai suoi genitori. Di fatto le iniziative si moltiplicano, ma presto appare un rischio di superlavoro. Ci si preoccupa a La Capelle: il patronato e la preoccupazione estenuante di trovare qualcuno per assisterlo sul posto, le riunioni di studenti e di proprietari, il lancio di un giornale e dunque… la ricerca di azionisti (1874), un'attività sociale che presto si estende in Diocesi ed oltre, i viaggi, i Congressi… Non può non aprirsene ai suoi genitori, pur cercando di risparmiarli e di interessarsi alle loro preoccupazioni. Commenta le elezioni di San Quintino come quelle di La Capelle, ha coscienza di ricongiungersi in ciò ad una autentica tradizione di famiglia, di condividere in particolare l'impegno del fratello: a partire dal 1871 fino al 1876Enrico è consigliere comunale a La Capelle; sarà Consigliere generale dell'Aisne (1886 - 1919), e Presidente del Comitato agricolo del circondario di Vervins, quindi sindaco di La Capelle (1892 - 1919).

Così va la vita, come la corrispondenza ce ne rende partecipi. Non dimentichiamo tuttavia i tempi forti come ad esempio le numerose visite, da La Capelle a San Quintino e viceversa. Il figlio è felice di accogliere i suoi genitori, suo fratello e la sua famiglia. „Attendo una lettera che mi annunci il vostro arrivo. Il clima è ritornato molto dolce, spero che mamma potrà fare facilmente questo viaggetto… Sarò abbastanza libero questa settimana per stare con voi…” (1 aprile 1872). „La visita di Laura e di Marta mi ha fatto molto piacere. Mi dispiace che Enrico non li abbia accompagnati, spero che riparerà al più presto” (3 giugno 1873).”

Queste incontri tanto preziosi sono sempre troppo brevi per i suoi gusti. Insiste affinché queste visite non siano un semplice andare e tornare, che si trovi il modo per restare almeno due o tre giorni, o di più: „Conto sulla vostra visita alla fine di marzo. Fate in modo di fermarvi due o tre giorni” (9 marzo 1874). L'invito si fa più insistente in occasione di una festa, di un'inaugurazione. Fa tutto il suo possibile per trovare in città amici che possano dare ospitalità con un po' più di comodità, e per liberare un po' del suo tempo, sempre molto impegnato, per essere più disponibile.

Il più spesso possibile va egli stesso a La Capelle: per le vacanze certamente, anche se non ne prende troppe e con molti imprevisti, ma anche per le feste o in occasione di un anniversario… In particolare in occasione di matrimoni: vi prende parte volentieri; e come abbiamo spesso l'occasione di sottolineare, questi momenti di gioia familiare lo portano quasi spontaneamente a pregare, a rallegrarsi della sua scelta di vita per Dio e a rinnovare il suo desiderio di fedeltà: „28 settembre. Le Nouvion. Matrimoni di famiglia. In simili circostanze, ringrazio sempre Dio della bella vocazione che mi ha dato. Ma questa vocazione richiede una grande fedeltà” (NQT VI/1892, 14v).

 

Ma lo sappiamo, è troppo realistico per trascurare „l'economia”! Regolarmente ricorda l'aggiornamento dei conti, a proposito dell'aiuto abituale convenuto dai genitori; quindi i „richiami”, le spese inattese di cui si scusa e che cerca di spiegare: ne parla molto sinceramente, sempre con grande rispetto ed una reale preoccupazione d'economia e di semplicità. Così scrive da Roma nel 1867: „Sono stato obbligato, in questi ultimi giorni, a comperare un breviario per cominciare ad imparare a recitarlo, e due opere teologiche. Questo, unito alle mie spese ordinarie mi ha quasi rovinato… Vi costo molto e non chiedo volentieri, ma conto sulla vostra generosità che non mi è mai mancata” (7 gennaio 1867).

Poco dopo gli inizi a San Quintino con molta delicatezza si arrischia a fare questa proposta: „Siccome non sono sicuro di vedervi presto, credo di dovervi esprimere in questa lettera un pensiero al quale rifletterete. Mi è sembrato di notare che troviate un po' pesante la pensione che mi date. Siccome non voglio darvi nessun dispiacere, e benché abbia bisogno di grandi risorse per fare molto bene qui, vi propongo di ridurre un po', se lo giudicate necessario, la somma che mi date… Lascio ciò alla vostra valutazione. Se potete fare di più senza mettervi a disagio, parteciperete ad opere importanti che ho in vista e che non si possono fare senza denaro” (1° dicembre 1873).

Ogni settimana o quasi la cassetta della biancheria da lavare fa il viaggio andata e ritorno tra San Quintino e La Capelle. Una lista, più precisa non si può, ne espone nei particolari il contenuto e che affare se viene a mancare un fazzoletto! Occorre regolare a volte problemi di colletti e di bottoni da aggiustare, persino di cordoni di campanello che disgraziatamente sono stati spediti ad un'altro indirizzo!

Altra preoccupazione economica che si trova, più discreta ma ripetuta: pensando ai suoi confratelli del vicariato, agli ospiti, ed anche alla sua salute, gli occorre fornire e rinnovare la cantina. „Ecco passati i forti calori, credo che potreste spedirmi presto un barile di vino [botte di circa 120 litri]. Forse sarebbe meglio inviarmi del vino di Bordeaux che abbia già qualche anno e che si possa bere subito” (11 settembre 1872). Ed un mese più tardi: „Ho fatto mettere il vino in bottiglia. Lo trovo buono. Desidererei che mi inviaste anche all'occasione due o tre litri di liquore”. In poscritto, più tardi: „Gradirei ricevere dei liquori” (23 giugno 1873). Ed ancora: „Grazie per le vostre buone pere” (25 gennaio 1875).

 

Come vediamo, egli associa la sua famiglia alle preoccupazioni più concrete, così ancora la sistemazione dell'ufficio e della sua camera, poi la sistemazione del suo piccolo appartamento, i mobili, le tende… Reciprocamente si interessa da vicino alle preoccupazioni pratiche dei suoi genitori: la sistemazione della casa di famiglia con la camera da letto al piano terra per evitare la fatica delle scale, la pittura del rivestimento in legno, le bocche di calore e il parafuoco… Ma ancora i lavori dei campi, il giardino e i pascoli, il ricovero dei raccolti, i rischi del tempo… Lo si trova sempre con lo stesso realismo, la preoccupazione della precisione di un uomo che ama l'ordine e che sa il prezzo di ogni cosa: „Vi raccomando di piantare con cura i bulbi di tulipano di Harlem che sono in una piccola credenza bassa vicino alla porta che va dalla camera degli ospiti al mio ufficio. Bisogna metterli in un miscuglio di sabbia e di concime di mucca, e notare il nome di ciascuno così come è sulla busta” (1 ottobre 1864). „Troverete, credo, in fondo all'armadio dei minerali o in una cassetta sui ripiani del granaio, delle pigne di cedro. Potrete romperne una per seminarne il seme. Spero che il giardino sarà ben fornito e più ombreggiato quest'anno e che avremo vacanze calme e felici” (19 marzo 1866).

Nel 1873 la primavera è eccezionalmente piovosa : „Non avete troppo da soffrire da voi per il cattivo tempo? I pascoli devono essere fradici. Devono tuttavia resistere meglio alla pioggia di quelli di Le Nouvion e di Landrecies che sono in gran parte inondati” (3 giugno 1873). L'anno successivo al contrario, è un'estate di canicola, „le piogge benefiche… hanno dovuto ridarvi la gioia”. Ma poiché suo padre „ha ricorso ai mezzi estremi” per nutrire i cavalli, „mi dispiace che papà non abbia atteso la pioggia dando dei panelli. Ha fatto per il meglio…” (agosto 1874). Più tardi: „spero di venire a sapere presto che vi siete liberati da qualsiasi preoccupazione per il bestiame. Non temete le conseguenze della siccità?” (21 aprile 1875). Le Corse infine, che già contano molto per la popolazione di La Capelle e per la sua famiglia in particolare: „Suppongo che le Corse abbiano risposto alle vostre attese. Il bel tempo vi ha favoriti” (18 agosto 1874).„

 

Non si manca di affidargli anche numerose commissioni, in particolare quando si reca a Roma. Egli le adempie con la più grande cura. „Edoardo vi chiederà dei francobolli romani. Credo ne abbiate di tutti i colori da dargli” (19 marzo 1866). Egli informa minuziosamente quando non trova esattamente ciò che è stato chiesto o quando il prezzo supera quello che era stato previsto. Chiede allora indicazioni più precise, dà le ragioni del ritardo…

Così ad esempio per un medaglione con mosaico, un crocifisso, l'acquisto di quadri, reliquie, coppe, monete antiche, ecc…. A proposito di un braccialetto non si esita ad andare fino alla sfumatura! : „Temo che la commissione del braccialetto sia difficile, perché non mi ricordo con precisione il colore ed il genere della parure di Berta” (30 maggio 1870). L'acquisto e la spedizione di una cassa di vasi in marmo toscano per i parenti di Vervins lo preoccupa, ed è alleviato di potere infine annunciare, il 7 agosto 1871: „Ho spedito a Vervins una cassa di coppe solide e ben imballate. Spero che arrivino senza rompersi”. È preoccupato per dei pettini che gli hanno chiesto per Laura: „I pettini di Laura non sono ancora terminati, potrò inviarglieli soltanto tra otto giorni con la mia cassa di biancheria” (4 aprile 1874).

Egli si compiace molto nel fare dei regali, in particolare per associare i parenti alla gioia delle sue scoperte di viaggiatore appassionato, soprattutto per unirli alla sua preghiera di fervente pellegrino. Così durante il suo viaggio in oriente con Palustre, alle guide ed agli oggetti personali che spedisce, unisce alcuni oggetti ricordo: „Vi spediremo una cassetta piena dei nostri libri sulla Grecia e di diversi minerali e curiosità…” (25 novembre 1864). Due settimane prima, attraversando la Grecia scrive piacevolmente a suo fratello: ”… gli animali che incontriamo più spesso sono tartarughe d'acqua dolce, che ritirano la testa sotto il loro carapace quando ci avviciniamo e che quindi si credono invisibili; vorrei portarne via qualcuna per popolare i tuoi giardini, ma vi rinuncio, ci sono troppi ostacoli„ (20 ottobre 1864). Più tardi: ”Spero che abbiate ricevuto i tre pacchi inviati del Cairo un mese fa„ (10 aprile 1865).”

La precisione è uno dei suoi tratti di carattere, non lo lascia mai. La mette al servizio dell'attenzione a ciascuno: generalmente i suoi regali sono la prova di un'intenzione molto personale, non trascura di ricordarlo se occorre. Di ritorno di un pellegrinaggio a La Salette, precisa: „Darei a mamma ed a Laura le piccole statuette in osso di Nostra Signora di La Salette. Le medaglie e le statuette che sono nell'astuccio sono per papà, per Enrico e per i bambini. Potrò inviarvi ancora due o tre statuette in astuccio e delle piccole croci” (9 settembre 1874).„ Tiene anche a rettificare: „Le reliquie che mamma ha dato a Simeone sono per una persona di Hazebrouck…” (23 giugno 1871).

 

Ritorniamo ancora un momento su alcuni aspetti della relazione tra i due fratelli, Enrico e Leone. Hanno in comune la preoccupazione di partecipare attivamente alla vita della società. Sul fondo di stima affettuosa che li avvicina, oltre alla gioia di evocare reciprocamente le memorie dei genitori e del passato familiare, si ritrovano di tempo in tempo per qualche sosta di riposo a Cannes. E condividono l'interesse per la storia della famiglia e dei suoi beni.

Nel febbraio 1901, da una signora venuta dall'America per visitarlo, Leone apprende l'esistenza di una famiglia Dehon a Boston: „una delle prime famiglie della città”, che discenderebbe da un Teodoro Dehon che nel 1750 a 16 anni è partito da Dunkerque come colono negli Stati Uniti. Ecco un'estensione completamente sconosciuta della famiglia! Questo lo interessa molto, ne informa immediatamente suo fratello Enrico: si tratterebbe della nostra famiglia? Vi è in tutti i casi una pista da esplorare. Non certo per interesse materiale: „Non ci sono eredità da aspettarne, ma c'è forse un altro interesse: è che essi [questi possibili lontani parenti] siano protestanti, e che le nostre relazioni potrebbero riportarli alla fede cattolica” (6 febbraio 1902). Nel 1912, Leone trova nelle sue „vecchie carte” una lettera del sig. Blake Dehon, inviata da Boston nel 1901, nella quale è consegnato la memoria „che un Dehon del Nord è stato ghigliottinato nel 1793. Questo aspetto non mi ha colpito quando ho ricevuto questa lettera, ma oggi sono impressionato rendendomene conto. Offro a Nostro Signore per la mia conversione quest'atto eroico di un parente” (NQT XXXIV/1912, 148 - 149).

Come molto spesso nell'ambito delle famiglie che da generazioni sono legate al patrimonio di una terra, Enrico e Leone manifestano la loro devozione alla famiglia in particolare prendendo cura dell'eredità ricevuta. Nel 1903 visiteranno insieme la proprietà di Bélièvre vicino a Chimay in Belgio, Leone non ne ritorna per nulla contento, a causa della condotta di quelli che se ne occupano (NQT XVIII/1903, 63 - 64). Alcuni anni prima, nel 1886 - 1887, si era verificato un disaccordo tra i due fratelli. Leone è allora gravato dai debiti contratti per sostenere le sue opere, - „queste angosce sono state di tutti i giorni quest'anno”. Egli „deve vendere la sua proprietà di La Haie-Maubecq al fratello per realizzare del denaro” (NHV XV, 56). „è ancora un sacrificio per questa cara opera, alla quale ho dato tanto” (NQT/1887, 97). Poco tempo dopo, per pagare un terreno che in partenza gli era stato offerto gratuitamente da un benefattore, deve dare in cambio un'altra proprietà che il signor Dehon padre aveva stimato a 72.000 franchi: „Ricevo una lettera molto dura di mio fratello sulla proprietà di Wignehies che ho venduto. Offro questa umiliazione per il regno del sacro Cuore” (ibid. 108).”

Per questa famiglia profondamente legata alla terra, la conservazione del patrimonio, la preoccupazione di vivere di ciò che si possiede senza lanciarsi in debiti pesanti, una gestione prudente ed economa sono valori profondamente ancorati nella tradizione familiare. Anche Leone ne vive, ma la sua situazione è molto diversa: direttamente o no, deve far fronte a spese importanti ed urgenti, non tutte sono completamente prevedibili. Conoscerà durante tutta la vita l'assillo dei debiti eccessivi, i solleciti di debitori non solvibili: „Dopo il pagamento dei miei debiti spirituali, quello dei miei debiti temporali è ciò che ho più a cuore” (1 dicembre 1897). Raccomanderà incessantemente ad alcuni dei suoi religiosi dallo zelo troppo intraprendente di non di spendere più quello di cui dispongono effettivamente. Ma su questo punto la sua famiglia non lo ha sempre capito facilmente. A questo riguardo di nuovo, un settore spesso delicato nelle famiglie, troviamo Marta, ed il suo intervento conferma come fino alla fine la nipote e lo zio siano stati profondamente in comunione sull'essenziale. „La mia famiglia viene a trovarmi il 21 [agosto 1924]; spiego loro che le mie opere hanno assorbito il mio patrimonio e che non hanno un'eredità importante da attendersi. Mia nipote mi risponde nobilmente che le mie opere valgono più di un'eredità per l'onore della famiglia e per meritarle le benedizioni divine” (NQT XLIV/1924, 113 - 114).

Il disaccordo tra Enrico e Leone a proposito del patrimonio familiare non ha affatto intaccato la loro stima reciproca. Nell'ottobre 1898, Leone chiede al suo vescovo, monsignore Deramecourt, di sostenere un passo fatto a Roma perché Enrico sia nominato cavaliere di san Gregorio Magno. [Nel 1831, papa Gregorio XVI aveva creato quest' „Ordine”, una specie di legion d'onore per ricompensare i meriti civili e militari al servizio della Chiesa]. „Non è forse una buona politica quella di incoraggiare i cattolici che il governo massonico tiene lontano da tutte le sue onorificenze? Mio fratello con la sua influenza personale ha fatto cambiare l'opinione del cantone di La Capelle…” (30 ottobre 1898). Un mese più tardi è a Marta che ha la gioia di annunciare che la petizione per suo padre è stata accolta favorevolmente e che la nomina è imminente: Enrico potrà approfittarne fin dalle cerimonie del nuovo anno.

Citiamo infine questa bella testimonianza di Leone su suo fratello: „Domenica 19 mio fratello era molto malato a Parigi in casa dei suoi figli. Accorro ed assisto alle sue ultime ore. Fa una bella morte, molto cristiana, circondato da tutti i suoi cari… Era un uomo giusto. La sua vita è stata molto degna e molto caritatevole. Siamo sempre stati molto uniti. Funerali imponenti a La Capelle. Tutto il paese vi prende parte e si comporta bene… Mio fratello è stato apostolo con l'esempio di una vita seria e cristiana. I miei parenti ed amici se ne vanno, sono grandi lezioni di cui non approfitto abbastanza. Il mio turno si avvicina, ho sprecato molte grazie, mi umilio ed invoco la misericordia del buon Maestro” (NQT XLIV/1922, 42).

Potremmo continuare così, sempre con lo stesso interesse, a ricostruire del nostro meglio l'intenso scambio familiare, così come ce lo lasciano intravedere le lettere e le memorie del Padre Dehon. Molto spesso preparando queste pagine ho provato quanto questa evocazione sia un compito delicato, che inevitabilmente resterà imperfetto: come raccogliere con esattezza e rispetto questa testimonianza di vita, dove si annodano tanti legami, dove si lasciano intravedere tante sfumature, a partire da situazioni precise che ci restano però non perfettamente conosciute? Come scegliere, e bisogna ben farlo, senza distorcere, o anche senza troppo impoverire, senza irrigidire?

Tuttavia sono le persone che vengono prima di tutto, in particolare la personalità del Padre Dehon, che desideriamo meglio avvicinare, più che il dettaglio di eventi familiari che per una parte conserveranno il loro segreto. È per questo che a complemento di ciò che precede, vi propongo di ritornare ancora su questa testimonianza, per farne emergere ormai ciò che precisamente mi sembra più rivelatore delle personalità: l'affetto, la gioia profonda di viverlo fino alla condivisione della fede per prolungarlo nella vita presente e fino alla festa del cielo.

 

Il vivo affetto che unisce i genitori al figlio: direttamente o no, esso traspare in tutto ciò che precede. Ed ecco un nuovo segno, discreto ma non privo di senso: in ciascuna delle sue diverse residenze, e nonostante la pila di libri e di documenti che coprono la sua scrivania e che, a testimonianza dei suoi ospiti, nascondono quasi al loro sguardo la sua alta statura, sul suo tavolo di lavoro Padre Dehon tiene ad avere in bella vista la fotografia dei suoi genitori. Così essi gli sono presenti nello scorrere delle ore e dei giorni di lavoro al servizio di Nostro Signore, e lui è con loro nella comunione in Dio. E questo fino ai suoi ultimi giorni, sulla sua scrivania a Bruxelles.

Ma ritorniamo un momento ai primi anni che lo hanno tenuto lontano da La Capelle, durante il grande viaggio in Oriente e poi per gli studi a Roma. Mentre fa tutto il possibile per garantire i suoi della vicinanza di pensiero e di cuore, il giovane Leone non può tuttavia nascondere, a volte nella lettera stessa, la nostalgia di essere così lontano dal focolare, la sofferenza di essere privato del suo mondo familiare. Sì senza alcuno dubbio, è completamente felice ed in buona salute, non cessa di ripeterlo, chiede soltanto che gli credano e che smettano di preoccuparsi; tuttavia quanto gli costa attendere il tempo dell'incontro!

Da Gerusalemme, la città santa che desiderava tanto visitare, che parlerà tanto al suo cuore, riconosce: „Eccoci giunti alla meta del nostro pellegrinaggio, felici e in buona salute; ed ho bisogno di tutta l'attrattiva dei luoghi santi per non risentire troppo vivamente il disagio di una lunga assenza del nostro caro paese” (26 marzo 1865). Due settimane più tardi: „Se non fossi così lontano e se fosse facile ritornare qui, lascerei per un'altra volta ciò che mi resta da vedere, tanto ho fretta di tornare vicino a voi” (10 aprile 1865). Dopo un breve passaggio per Roma, una diversione che tuttavia desidera ardentemente e da cui si aspetta molto, „il 6 o il 7 luglio, vi stringerò nelle mie braccia, sarà il più bel giorno del mio viaggio” (30 maggio 1865). „Ho il più grande desiderio di porre fine alla nostra separazione…” (25 giugno 1865).„

Lo sappiamo, ma è sempre opportuno ricordarlo quando si cerca di conoscerlo meglio in verità, nella forza e coerenza del suo temperamento, Padre Dehon è un uomo tutto sfumature e contrasti. Ma quello che dissuade da un approccio troppo semplicistico è anche ciò che spiega la sua ricchezza e l'attrazione rinnovata che esercita… È troppo sensibile per essere uomo tagliato tutto di un pezzo, ed è troppo spontaneo e vero per voler dissimulare ciò che prova.

Così, benché resti del tutto risoluto nell'orientamento della sua vita ed appassionato per i suoi studi, gli inizi d'anno scolastico gli sono penosi. Se non nasconde la sua gioia di riprendere il lavoro, è „nonostante la tristezza che ho di essere separato di voi” (14 novembre 1867). La fine d'anno è ancora più pesante, è molto lenta a venire e vorrebbe accelerarla. Pregusta la gioia del ritorno: „Il momento della nostra riunione si avvicina e se ciò fosse possibile lo accelererei ancora, ma bisogna aver pazienza…” (3 luglio 1866).

Con il pensiero e come per facilitarsi questa pazienza, anticipa sulla gioia degli incontri, delle felici settimane di vacanze in famiglia: ”Da alcuni giorni sorprendevo spesso la mia immaginazione che mi rappresentava la casa paterna, e tuttavia avevo bisogno di tenere fissa tutta la mia attenzione sull'esame che preparavo… La separazione è stata lunga. Le vacanze saranno per questo più felici. Mi riprometto delle buone gioie…Papà mi troverà sempre pronto ad accompagnarlo nelle sue proprietà. Non rinuncio neppure a fare qualche passeggiata a cavallo con Enrico, se ha un cavallo docile da prestarmi„ (26 luglio 1866). „Sarò da voi nel mese di luglio e spero che passeremo insieme delle ottime vacanze…” (22 aprile 1867). Ed il 30 giugno seguente: ”Tra un mese circa, avremo la felicità di essere insieme„. „Appena mi sarà possibile lasciare Roma, partirò senza indugio… per essere al più presto con voi” (21 giugno 1868). „Avrò presto la felicità di trovarmi in mezzo a voi. Un mese sarà presto passato” (4 luglio 1868).”

In anticipo si vede già presente alle riunioni di famiglia, gli piace tanto parteciparvi: „Conto che i nostri parenti di Parigi possano trovarsi insieme a me a La Capelle. Le piccole riunioni di famiglie e le feste campestri che non trascureremo di fare sono i momenti più felici delle vacanze” (19 giugno 1866). Sono solo alcune citazioni: dicono abbastanza chiaramente ciò che la sua famiglia rappresenta per Leone, e quanto ne ha bisogno.

 

Più segreta, più tenace di questa prova della distanza fisica, un'altra sofferenza lo tormenta: quella dell'incomprensione a proposito della sua vocazione, cui abbiamo già fatto allusione. Essa gli fa tanto più male perché riguarda ciò che gli è più prezioso. Qui ancora, per attenersi a quanto ne lascia filtrare la sua testimonianza, dobbiamo sfumare, poiché molti aspetti si incrociano: dall'incrinatura introdotta nell'affetto reciproco, fino al timore che non possa rispondere interamente a Nostro Signore senza profondamente deludere e ciò stesso ferire quelli che lo amano.

Leone è triste della tristezza stessa di sentire sua madre dubitare del suo affetto. Appena dopo la sua partenza per l'Oriente, da Bologna con molta delicatezza e misura scrive: „La lettera che mi avete scritto a Louèche mi ha molto rattristato: perché mamma dubita del mio affetto? Non sa che ho intrapreso piangendo questo viaggio?… Sapete bene che se vi ho intrattenuto poco negli ultimi giorni, è perché l'avvicinarsi della nostra separazione ci rattristava. Solo l'eccesso della nostra tenerezza ha potuto portarvi a prendere il mio silenzio per freddezza… (6 settembre 1864)” . Una commovente confidenza che mostra quanto nella loro preoccupazione reciproca il figlio e i suoi genitori si fanno reciprocamente soffrire: „l'eccesso della nostra tenerezza”. Una settimana dopo scrive ancora: „Non mi rimproverate di essermi allontanato da voi. Lavoro per la vostra felicità e per la mia” (14 settembre). L'anno successivo, da Roma dove comincia la sua preparazione al sacerdozio: „Trovo qui quella felicità che si attribuisce generalmente alla vita di collegio…, nella pace più perfetta. Era davvero la vita che mi conveniva, e vorrei che ne foste persuasi come me, perché cessiate di preoccuparvi penosamente del mio avvenire” (12 novembre 1865).

Un mese prima era stato necessario lasciare La Capelle per raggiungere la Città eterna. Una intensa emozione ha unito i genitori e il figlio in un addio che allora sembra definitivo. Molti anni dopo il ricordo ne resta ancora molto sensibile, quando Padre Dehon redige le sue „Note sulla storia della mia vita”, un testo dove lo ritroviamo nella delicatezza e nelle sfumature di ciò che egli prova: „Questa partenza segna una tappa nella mia vita. Fu molto commovente e assai penosa. Era il 14 ottobre. I miei buoni genitori mi condussero fino a Nostra Signora di Liesse ed anche fino alla stazione di Saint-Erme. Costava loro tanto separarsi da me! Sembrava loro che mi perdessero per sempre… Diedi addio alla mia famiglia a Saint-Erme, e non fu senza lacrime amare. Mio padre e mia madre piangevano, come non avrei pianto anch'io? E poi, quest'addio confermava per me dei sacrifici che non si fanno senza una lacerazione, anche quando la parte superiore dell'anima ne prova una gioia sovrannaturale” (NHV IV, 102 - 103). È soltanto poco a poco che i genitori passeranno dalla tristezza alla rassegnazione: „Vi ho lasciato meno triste a Saint-Erme che a La Capelle, perché mi siete sembrati più rassegnati alla volontà di Dio… Vado con gioia a Roma perché credo di esservi chiamato dalla provvidenza; spero che non ne siate più rattristati di me” (16 e 20 ottobre 1865).

 

Egli dovrà insistere per degli anni per convincere che la sua scelta di vita che è causa di questa lacerazione, ben lungi dal significare un minore attaccamento ed una perdita per la famiglia, lo avvicina a loro ancor più profondamente. Di tutto cuore e con tutta la serietà della applicazione nella sua vita di seminarista, vorrebbe mostrare loro che questa scelta, che lo riempie di gioia ma che causa loro tanta pena, è effettivamente un beneficio autentico per i suoi, e che è in questo senso che essi stessi devono cercare di capirlo e di viverlo. „Chiedo ogni giorno al nostro Salvatore le sue grazie per voi… La religione non diminuisce l'amore della famiglia, ma lo rende più forte e più vero” (10 gennaio 1866). Un anno più tardi, più specialmente a suo padre la cui opposizione persiste dopo la celebrazione della tonsura: „Spero che tu mi abbia già perdonato e che tu riconosca ora che ho agito nel tuo stesso interesse ed in vista della tua felicità futura. Il mio amore per te non fa che aumentare, e poiché non posso offrirti null'altro che delle preghiere, non vi manco, per indegne che siano dinanzi a Dio” (inizio febbraio 1867).

 

In una lettera in cui si rivolge in particolare a suo padre, - lettera importante che abbiamo già utilizzato -, più sinceramente che può confida il fondo del suo cuore: „Ti rammarichi per me degli onori e le ricchezze e credi che il mio affetto per te sia diminuito. Ebbene! Ti sbagli. La dignità del sacerdote non priva degli onori, poiché è la più onorabile che si possa avere sulla terra… La dignità del sacerdote non priva neppure delle vere ricchezze… La nostra eredità supera quella di chiunque al mondo, poiché è Dio stesso… È un'eredità che non distruggono né gli incendi, né gli altri flagelli che rovinano gli uomini… Se il mondo giudica diversamente l'onore e la ricchezza, il mondo è cieco: perché lo dovresti ascoltare?… Quanto al mio affetto per voi, è più vivo e più vero che mai. Non avrò mai un'altra famiglia e sarò ancor di più per voi. Non ho mai pregato per voi con più ardore, né ho mai sentito meglio la riconoscenza che vi devo e tutto l'amore filiale che meritate. Benedite dunque Dio con me e ringraziatelo; dopo avere fatto una piccola concessione al mondo rattristandovi della mia vocazione, riconoscete che essa è invece un favore immenso del cielo e non toglietemi nulla del vostro affetto” (14 gennaio 1867).„

Della tristezza alla rassegnazione, dunque. Ed anche il desiderio di non precipitare nulla per riservare ancora l'avvenire, senza dubbio la segreta ma tenace speranza di un cambiamento di decisione… Il 22 marzo 1867 il signor Dehon scrive a padre Freyd, direttore di suo figlio a Roma: „Avete saputo del grande dolore che ho provato nell'apprendere la sua ordinazione; volevo attendere ancora, nel timore che mio figlio non abbia dei rimpianti. Questo solo pensiero disturba il mio riposo; speriamo con voi, Monsignore, che non avvenga così. Desidero che Leone prenda gli ordini maggiori soltanto più tardi il possibile e dopo una decisione presa in famiglia…”.

Presto, lentamente tuttavia, verrà il consenso, quindi sarà sinceramente la gioia: la continuazione risoluta del dialogo dove si incontrano il coraggio della franchezza e la delicatezza del cuore saprà ridurre un'opposizione dove, in fondo, sotto delle aspirazioni umane ben comprensibili, l'ammirazione, il desiderio di successo e di felicità, cova segretamente la cenere della generosità e dell'adesione a Dio. E l'affetto, che riunisce tutti questi sentimenti, ne sarà grandemente rafforzato. È questo che il giovane Leone desidera ardentemente, nella autenticità della sua scelta. Segue così il consiglio di amici, come questo, del suo stimatissimo direttore al collegio di Hazebrouck, Mons. Boute - che del resto scrive nello stesso senso alla famiglia -: „Non posso altro che lodarvi di scrivere ai vostri genitori, alla vostra buona mamma soprattutto, lettere che respirano il più profondo affetto filiale. Lo dovete per la soddisfazione del vostro cuore di figlio, e per l'onore ed il rispetto dovuti all'abito che portiamo. Nel mondo, come sapete, ci accusano così facilmente di aridità di cuore e d'egoismo, perché non abbiamo famiglie… da allevare” (6 febbraio 1867).”

 

Aridità di cuore, egoismo, che verrebbero a motivare una scelta di vita: evidentemente non è al Padre Dehon che si può indirizzare tale rimprovero. Abbondano le lettere, le note nelle quali accorda libero corso alla sua gioia „di ritrovare” in un certo qual modo pienamente i suoi genitori attorno alla sua ordinazione. Sono fra le più che commoventi che egli ci abbia lasciato. Le si leggeranno soprattutto attorno a „questi grandi giorni della ordinazione e delle prime messe”, nel dicembre 1868 (NHV VI, 78 - 84). Saprà farne un resoconto molto personale. Tuttavia ha cura di informare: „la carta non avrebbe potuto rendere le mie impressioni così profonde” (NQT I/1868, 130). Sono per lui, lo ripeterà sovente, „i migliori giorni della sua vita”.

Al rientro scolastico, fine ottobre 1868, i genitori si sono decisi ad accompagnare il figlio a Roma. Con lui, nel tempo che può liberare per loro dai suoi studi, scoprono Roma, ed avrebbero potuto desiderare una guida più entusiasta? „Mio padre era commosso del suo soggiorno a Roma. La sua fede si rinforzava di giorno in giorno. Quali prove eloquenti rendono alla fede le basiliche, le catacombe, le tombe dei martiri, le stanze dei santi! Occorrerebbe essere di marmo per restare insensibili a tante voci che parlano all'anima”. (NHV VI, 77).

Su proposta, in verità „una felice idea” (ibid.) del suo direttore di seminario padre Freyd, l'ordinazione sacerdotale di Leone è anticipata dal giugno 1869 al dicembre 1868: in questo modo i genitori potranno assistervi. „Mia madre colse questo pensiero con felicità. Mio padre, pur temendo emozioni profonde, lo accettò” (NHV VI, 77). Leone stesso partecipa la sua speranza e la sua gioia a Enrico ed a Laura: „Spero che la loro presenza [dei genitori] sia per me l'occasione di una grande grazia, quella di ricevere il sacerdozio sei mesi prima. Contiamo di avere prossimamente un'udienza del Santo Padre e gli chiederemo che io possa essere ordinato a Natale. Non oso credere di poter ottenere un così un grande favore” (15 novembre 1868). L'udienza ebbe luogo, Leone redasse la supplica ma fu suo padre che la rimise personalmente al papa. „Vivo il trionfo della grazia divina: mio padre che era stato così a lungo ostile alla mia vocazione rimise lui stesso al papa una petizione perché io potessi essere ordinato prima della fine della teologia” (NHV VI, 78).„

Alcuni giorni dopo, la domanda è esaudita: Leone è ordinato il 19 dicembre e celebra la prima messa il giorno dopo. „Che vivi ricordi e che impressioni profonde mi hanno lasciato questi due grandi giorni!… I miei buoni genitori erano dietro a me, versando lacrime senza fine. Mio padre non riuscì a prendere cibo quel giorno… Dopo la ordinazione … tornando, trovai mia madre inginocchiata dinanzi a me per ricevere la prima benedizione. Era troppo, io singhiozzai e rientrai al seminario, ricondotto dai miei buoni genitori, ma esaurito dalle emozioni. Mio padre era completamente conquistato, promise di comunicarsi il giorno dopo, alla mia prima messa… Il giorno del 20 fu per me ancor più commovente…” (ibid., 78 - 82).”

La Comunità del seminario francese di Santa Chiara, pur abituata a tali celebrazioni, è essa stessa molto solidale con ciò che il giovane sacerdote sta vivendo con i suoi genitori. Quindici anni più tardi un vecchio compagno gli scrive: „Gli anni del Santa Chiara di Roma mi sono restati troppo cari perché io possa mai dimenticare coloro che hanno condiviso più da vicino con me queste gioie così dolci e delle quali l'amicizia santa era la migliore fonte. Ricordo così bene la tua ordinazione, la tua prima messa, tua madre che mescola le sue lacrime alle tue nelle tue mani consacrate, durante il Magnificat che seguì questa prima messa solenne” (NHV XIV, 164 - 165).

Dovrà attendere sette mesi per potere, al termine di un anno scolastico che mette alla prova la sua salute, ritornare a La Capelle: saranno allora i grandi giorni delle prime messe nella sua parrocchia e nei dintorni. „I miei buoni genitori prepararono per il 19 luglio la festa che si fa a ogni sacerdote novello che torna a celebrare la messa in mezzo alla sua famiglia… La festa fu molto bella e commovente… Le emozioni di un giorno come quello non si possono ridire. La mia famiglia, i miei compaesani di La Capelle ne erano impressionati come me. Tutti piansero e questo giorno lasciò, penso, nei cuori un aumento di fede che deve aver contribuito alla salvezza di molti” (NHV VI, 140 - 141).

Per lui questa festa sacerdotale è la conclusione di una lunga fedeltà alla sua infanzia. In questo 19 luglio annota: „Messa solenne di famiglia a La Capelle. Quanti ricordi! Quante emozioni! in questo santuario del mio battesimo, della mia prima comunione e delle preghiere della mia infanzia. Predico con un po' di goffaggine. Eppure tutti i miei sono commossi…” (NQT II/1869, 3). L'emozione è tanto più viva in quanto la salute del giovane prete dà serie preoccupazioni: „A La Capelle…, assistendo alle mie prime messe della brava gente diceva: questo poveruomo non ne dirà molte di messe. Le forze ritornarono poco a poco e fui abbastanza in salute per 10 anni” (NHV VI, 139). In realtà ben più di 10 anni saranno passati quando ripeterà nelle sue „Note sulla storia della mia vita”: „Questi bei giorni passano rapidamente, ma lasciano un'impressione profonda che gli anni non cancellano” (ibid. 150).

 

Da parte sua rivivrà intensamente il ricordo di questi giorni indimenticabili molto spesso ed in particolare ad ogni anniversario: senz'ombra di dubbio segnano il momento più forte di ciò che vi proponevo come tema di questa conversazione: l' incontro in Padre Dehon tra il suo amore di Dio - di qui il dono tanto desiderato di dedicarsi interamente a lui - e l'affetto per la sua famiglia, un affetto ormai ritrovato e riconfortato.

Così alla fine di novembre 1869, nel momento in cui l'apertura del Concilio è imminente, non può dissociare i suoi genitori dalla sua personalissima riconoscenza a Dio. Scrive loro: „Aiutatemi a rendere grazie a Dio della grande grazia del mio sacerdozio, di cui si avvicina l'anniversario” (30 novembre). Due settimane dopo, nei giorni stessi dell'anniversario dell'ordinazione e della prima messa: „Vi ricordate come eravamo felici l'anno scorso in questo giorno?… Con quale felicità e quale emozione io ha celebrato la messa questa mattina! Mi sono immaginato come che ero in quel giorno e ciò che volevamo essere. Come eravamo penetrati nella grazia di Dio! Quale gioia! Quale buona volontà!” (19 dicembre). Dovremo presto riconoscere tuttavia che questo richiamo insistente non è senza una precisa intenzione… Venticinque anni più tardi, di Roma egli scrive a sua nipote Marta: „Faccio rivivere qui i miei ricordi di venticinque anni fa. Ogni giorno dirò la santa messa nei santuari in cui la dicevo allora in presenza dei miei buoni genitori. È così bello rinnovare le impressioni dei migliori giorni della nostra vita!” (10 marzo 1894).„

E così via, praticamente ogni anno, e sempre con un'emozione che non perde nulla della sua freschezza. Alla fine del 1917, un specialissimo intervento del suo grande amico il papa Benedetto XV viene a mettere infine un termine ai suoi „tre anni di prigionia” di guerra a San Quintino quindi a Bruxelles. Può raggiungere Roma in dicembre, al Seminario può pregare e celebrare l'Eucaristia all'altare dell'oratorio che gli richiama tanti ricordi. Nel dicembre 1918 ha la gioia immensa di potere celebrare il suo giubileo dei cinquant'anni d'ordinazione : „Ho celebrato il mio giubileo qui allo stesso altare dove avevo detto la mia prima messa nel 1868, con i miei cari genitori” (lettera ad una religiosa, 1 gennaio 1919).

Nel ricordo di queste giornate uniche ogni volta attinge „una gioia ed una forza” (NQT XVIII/1902, 38): la gioia che ringiovanisce il cuore, una forza di fedeltà rinnovata. È per lui „come un ritiro spirituale” dove ritempra il suo amore di Dio nella stessa comunione dei suoi genitori (NQT XLIV/1921, 31). „Tutti questi ricordi mi emozionano profondamente ed ogni anno vi trovo una fonte abbondante di grazie anche sensibili” (NQT XIX/1904, 45). O ancora, nel 1908, passando come sovente dalla gioia riconoscente all'umile riconoscimento della sua mancanza d'amore: „Quaranta anni fa, erano dei bei giorni a Roma, con tutte le gioie. Nostro Signore mi incoraggiava, mio padre ritornava a Dio, mia madre era profondamente commossa. Ero circondato di amici. Mio Dio, datemi il tempo e la grazia di piangere tutti i miei errori” (NQT XXIV/1908, 61 - 62).”

 

Tuttavia dalla comunione di nuovo pienamente ritrovata tra i genitori ed il figlio in occasione di questi memorabili giornate sacerdotali, sorgerà ben presto una nuova preoccupazione: il giovane sacerdote cerca, come dice lui stesso, di „provare a riportare suo padre alla pratica della vita cristiana” (NHV VII, 151), in particolare alla pratica domenicale specialmente durante il periodo di Pasqua.

 

In realtà questa preoccupazione è presente in lui già da prima. Nelle sue note del 1866, confessa la sua preoccupazione: „Piangevo spesso lo stato d'indifferenza religiosa di mio padre, ma dovevo tenermi questo dolore ancora per due anni…” (NHV V, 11). Nel marzo di questo stesso anno scrive ai suoi genitori: „Il tempo pasquale è cominciato, occorrerà che mio padre approfitti di un'occasione per mettersi in regola…” (19 marzo). Due settimane più tardi si rivolge direttamente al padre: „Domani è la tua festa… Forse avrai avuto la felice idea di scegliere questo giorno per fare la comunione pasquale, sono sicuro che non vi mancherai quest'anno ”.„ Lo supplica allo stesso tempo di permettergli di potere venire in „abito da chierico” durante le vacanze d'estate a La Capelle; ma per evitare di amareggiarlo e „poiché non è essenziale alla sua vocazione” saprà rinunciarvi e ritarderà la sua vestizione all'autunno: „Ti faccio volentieri questo sacrificio, sebbene mi costi molto” (11 aprile 1866).

Invece alcuni mesi dopo, ritorna sulla pratica sacramentale, è infatti una preoccupazione ben più importante ai suoi occhi. Nel febbraio 1867 scrive di nuovo a suo padre: „Potresti approfittare del tuo soggiorno a Parigi per rientrare in grazia di Dio… Questo non richiede da te un grande sacrificio poiché tu manchi soltanto all'osservanza della domenica… Il buon Dio non è realmente esigente e non siamo davvero così irragionevoli da rischiare per così poco la nostra salvezza eterna”. Nel novembre dello stesso anno, quando delle difficoltà di salute della signora Dehon e la morte di un vicino parente oscurano il cielo familiare, scrive ai suoi genitori: „Mi rallegro che abbiate Enrico, Laura e Marta per far da diversivo alla tristezza alla quale siete un po' incliniC'è soltanto un mezzo per avere il cuore libero da ogni timore e di aspettare in pace, è di chiedere al ministro di Dio il perdono dei propri peccati mortali e seguire esattamente la legge della chiesa che non è rigorosa. Prego papà di dire soltanto tutte le sere umilmente queste parole: Mio Dio, datemi la forza di riconciliarmi interamente con voi” (29 novembre 1867).”

Ma è soprattutto dopo le celebrazioni a Roma alla fine del 1868, dopo la „conversione” così fortemente emotiva di suo padre, che Leone crede di potersi fare più insistente. Certamente il signor Dehon aveva ripreso parzialmente la partecipazione alla messa ed alla comunione domenicale. Ma egli conserva „un po'di rispetto umano”, questa malattia sociale che ha paralizzato tanti cristiani a quest'epoca; ecco ciò che lo trattiene dal „fare la Pasqua”. Leone tuttavia, se parla ancora del „dovere” di „mettersi in regola”, invita soprattutto suo padre a fare tutto il possibile per restare nella pace del cuore e nella gioia riconoscente, in coerenza con ciò che hanno appena vissuto insieme a Roma.

Gli interventi si seguono ormai, numerosi; il rispetto e l'affetto tentano di addolcire al meglio un'insistenza che tuttavia non manca di sorprenderci oggi, e di cui rendono conto soltanto lo zelo ardente per il bene spirituale e la fiducia ormai rinforzata dal recente incontro. Più ancora, senza dirlo sempre ma con tutta la sua intuizione, il figlio sa trovare le parole per raggiungere le disposizioni profonde che si trovano nel cuore di suo padre: nel contesto dell'epoca e soprattutto nella società di una piccola città, il timore di „cosa dirà la gente” può pesare molto, ma non può soffocare completamente ciò che è stato ricevuto e vissuto da un uomo fondamentalmente buono e retto, unito ad una sposa che è una „santa”.

 

Ecco qualche testo, sono di nuovo frasi che dicono molto sulle persone, ma che non posso citare che molto parzialmente: „È a te che indirizzo la mia lettera in occasione della tua festa. Avrò la felicità quest'anno di celebrare la messa in onore di san Giulio tuo patrono e lo supplicherò con tutte le forze del mio cuore di proteggerti con la sua potente intercessione e di conservarti nella grazia di Dio… Questi ritorni annuali delle nostre feste e gli anniversari delle grazie che abbiamo ricevuto da Dio sono momenti favorevoli per fare l'inventario delle nostre anime e vedere a che punto sono i tesori che ammassiamo per il cielo. Riflettendo un po' sul passato, potrai vedere, caro papà, quale grande amore Nostro Signore Gesù Cristo ha per la tua anima… Quante grazie qui [a Roma], le più forti e le più commoventi, alle quali nessuno cuore saprebbe resistere! Ti aiuterò con il santo sacrificio a ringraziare Dio di tutto questo e a chiedergli di profittarne bene” (6 aprile 1869).

Una dopo l'altra nelle settimane successive invia due lettere ancora più nette. A suo padre: „La tua lettera è molto buona, ma mi aspettavo ancor di più. Speravo che mi avresti annunciato la tua perseveranza nella grazia di Dio ed il compimento del dovere pasquale. Ti avevo visto così felice qui, che avevo la fiducia che non ti saresti più esposto ad essere un solo istante della tua vita fuori di questo stato di pace e di gioia… Sei stato la prima conquista del mio sacerdozio ed ho messo tutto il mio zelo, e lo metterò sempre, per conservarla… Ma sono ancora pieno di fiducia e spero che presto ti metterai in regola… Non bisogna che un po'di rispetto umano ti faccia mancare al principale dovere del cristiano…” (22 aprile 1869). Ed ai suoi genitori: „Spero bene che papà mi annuncerà che avevo avuto torto di dubitare della sua perseveranza. Se non fosse così, muoverei il cielo e la terra fino a che non abbia ottenuto questo da lui…” (7 maggio 1869).

Duramente provato nella salute, Leone deve anticipare le vacanze estive in famiglia. È a La Capelle fin da inizio giugno, e dopo un po' di riposo vengono i giorni delle prime messe. In ottobre è di ritorno a Roma per un anno che si annuncia ancora sovraccarico, poiché dovrà continuare i suoi studi pur partecipando al Concilio come stenografo. In dicembre il primo anniversario delle ordinazione ravviva il ricordo di ciò che ha vissuto un anno prima con i suoi genitori. Per lui è l'occasione di un intervento ancora più caldo, quasi cocente.

Il giorno stesso dell'anniversario, 19 dicembre, scrive ai suoi „cari genitori” una lettera molto bella, che abbiamo già citato in parte, dove l'amore per i suoi genitori fa un tutt'uno con quello per Nostro Signore: „Vi ricordate come eravamo felici l'anno scorso in questo giorno?… Nostro Signore ci ha dato senza contare, si è dato lui stesso. Gli abbiamo promesso molto anche con l'aiuto della sua grazia. L'abbiamo mantenuto? Faccio tutti i giorni il mio mea culpa… Ma riprendo con la stessa fiducia del primo giorno… Ho bisogno, caro papà, di aprire a te più specialmente il mio cuore. Hai certamente sentito l'anno scorso quale gioia mi causavi. Ma questo è niente. Hai sentito anche quale gioia causavi al cielo, a Nostro Signore Gesù Cristo ed ai suoi santi. Ebbene, se non restassi negli stessi sentimenti, mentre strazieresti il cuore a me, rinnoveresti anche, se fosse possibile, le lacrime di sangue che Nostro Signore ha versato sulle nostre infedeltà. Questo per quanto riguarda il necessario. Ma c'è inoltre ciò che la Chiesa non esige e che è estremamente buono ed utile, e sarebbe fare la comunione nelle due o tre più grandi feste dell'anno. Pensa al Natale e se tu potessi rinnovare la nostra unione comune con Nostro Signore, di cui eravamo così felici l'anno scorso, non vi mancare. Tratteniamoci spesso in questi ricordi. Ci faranno del bene” (19 dicembre 1869).„

 

Alla primavera seguente la festa di San Giulio coincide con la prossimità di Pasqua. Prima ancora di dare notizie della sua salute e del Concilio, scrive a suo padre: „È a te che indirizzo questa lettera perché ti arriverà verso la festa di San Giulio… Conto molto che non ti lascerai trovare in ritardo quest'anno per la comunione pasquale. Quando si ha il giudizio retto che tu hai, non ci si può lasciar fermare dai piccoli ostacoli dell'imbarazzo e del rispetto umano. Sai bene che trascurare i doveri essenziali del cristiano, è rinunciare al proprio diritto di erede del cielo. È una follia. È non amare Dio, non amare i propri cari, non amare sé stessi. Non ci darai certo questo dispiacere quest'anno” (8 aprile). Alcuni giorni dopo ritorna alla carica: „Ti scrivo ancora, perché temo più del fulmine che tu resti in stato di peccato e che non ti metta in regola con Dio. Fremo a questo pensiero. È la sola cosa necessaria. Sai bene che sono pronto a dare tutto ciò che ho, la mia salute e la mia vita per assicurare la tua salvezza”.

La lettera continua sullo stesso tono appassionato. Diverse considerazioni convergono per sostenere l'esortazione: la preoccupazione della salvezza eterna, l'assillo di non di trovarsi tutti insieme per condividere la gioia, il profondo „strazio” che fin d'ora un rifiuto del padre causerebbe „al cuore di suo figlio”; ed anche la leggerezza, l'inconsistenza stessa, che nei confronti del figlio motivano l'atteggiamento di suo padre: in fondo, non è nulla di più che „imbarazzo, rispetto umano”.

Ma ecco il più grave: come una dolorosa ingratitudine un tale rifiuto ferirebbe l'amore di Nostro Signore: „C'è di più che i tuoi, c'è il tuo Dio che si è fatto uomo per te e che ha versato lacrime di sangue al pensiero che lo dimenticheresti…” . Inoltre ciò che il Salvatore domanda corrisponde talmente a ciò che il nostro cuore desidera! L'esperienza ancora fresca è lì ad attestarlo. „I suoi comandamenti [di Gesù] sono così dolci! Ci obbliga a sederci al suo banchetto e a ricevere le sue grazie. Quale onore e quale felicità è per noi! E lo hai ben provato, perché ti ho visto quasi trasfigurato quando hai ricevuto qui la santa comunione… Andiamo, scrivimi presto che è cosa fatta. Te ne prego, te ne supplico. Bisogna farlo”. Non manca neppure il richiamo del dovere di mostrare l'esempio: „Dà l'esempio a Enrico. Lo seguirà certamente” (14 aprile, giovedì santo 1870).

 

Il tempo passa, e sempre nessuna risposta! La preoccupazione, quella non passa, si approfondisce e diventa addirittura „ansietà”. Il 28 aprile, nuovo intervento di Leone, sempre direttamente a suo padre: „Caro papà, vai molto adagio ad annunciarmi la tua felicità. Attendo tutti i giorni la posta con ansietà e le buone notizie non arrivano. Se sapessi quanto soffro per questo ritardo, avresti forse pietà sia di te stesso che di me. Non so più cosa dire farti decidere. Avevo fino ad oggi una piena fiducia. Non mi sembrava che tu potessi resistere… Caro papà, vivi con noi nella grazia di Dio e nell'attesa del cielo e la santa gioia della speranza. Va al tuo Salvatore… Fatti coraggio… Guarda quest'immagine [un Cristo in croce] che ti mando e lasciati toccare da tanto amore… Scrivimi presto. Non promesse, non vani rimpianti o vane speranze. Dei fatti… Ti abbraccio e ti supplico di avere pietà di te stesso, pietà dei tuoi cari, pietà del Figlio di Dio che bussa alla porta del tuo cuore ed al quale non vuoi aprire…”.

Non è nulla meno di un ultimatum, molto sorprendente in verità: sappiamo ricollocarlo nell'atmosfera della relazione familiare, nell'intimità profonda e franca che collega Leone ai suoi genitori, nel suo amore entusiasta per il Cristo e nel vigore della sua convinzione cristiana, secondo la formazione della sua epoca, e dunque nella sua impossibilità di prevedere, fosse pure per un momento, una separazione eterna…

Infine, quattro giorni più tardi, le notizie felici tanto attese! : „Carissimo papà, che buona notizia mi ha portato il 1° giorno del mese di Maria! Come devi essere felice ora di avere vinto un lungo rispetto umano! Che gioia per noi di vivere tutti ora della stessa vita sinceramente cristiana, vita piena di speranza e che sarà seguita da una felicità eterna. Non lasciarti mai separare dalla grazia di Dio. Resta l'amico ed il coerede di tutti gli abitanti del cielo. Hai superato in coraggio la maggior parte degli abitanti di La Capelle. Quest'atto di generosa energia era ben degno di te. Tornerò in vacanza molto più felice dell'anno scorso perché andrò a vivere con degli amici di Dio…”.

Tuttavia non è ancora la piena serenità. La stessa sollecitudine insistente si rivolge ormai su Enrico, il fratello maggiore: „Non mi dici nulla di Enrico. Non avrebbe avuto il coraggio di accompagnarti? Ha forse dimenticato ciò che ti diceva qualche anno fa? Ti supplicava come me di fare il tuo dovere ed aggiungeva: 'Se non lo fai tu, autorizzi i tuoi figli a non farlo'. Mi ricordo molto bene. Ha detto questo. Non mancava né di fede, né di coraggio allora. Non dovrebbe ora rivolgere a sé stesso queste preghiere e queste buone argomentazioni? Sapeva molto bene allora che non bisogna vendere il cielo per un momento di pigrizia o di vanagloria… Che mi rassicuri presto e mi dica che la nostra gioia è completa e che la nostra famiglia è benedetta e amata da Dio” (2 maggio 1870). Quindi qualche settimana più tardi: „Abbracciate per me Enrico, e felicitatelo di avere riparato il suo ritardo” (30 maggio 1870).

 

Occorreva evocare con tanti particolari degli scambi così insistenti e che riguardano ciò che va a toccare il più segreto delle coscienze, della libertà delle persone: un ambito che richiede soprattutto ogni rispetto e grande discrezione? Ma questi sono i fatti, e servono molto, mi sembra, per caratterizzare la relazione tra Padre Dehon e la sua famiglia. Contribuiscono a farci conoscere le persone nel concreto del loro temperamento e fin nell'intimità della loro comunione, reinserendoli nel contesto della loro vita, nel loro ambiente e secondo il loro tempo. Egli stesso ha provato la necessità di citare a lungo queste lettere nelle sue „Note sulla storia della mia vita” (NHV VII, 163seg).

Senza minimizzare ciò che può sorprenderci a buon diritto oggi, intravediamo meglio quanto e come Padre Dehon ami i suoi genitori. Conosce l'attaccamento di cuore che portano insieme, benché diversamente, alla tradizione cristiana che li collega alle generazioni precedenti. Fin dalla sua prima infanzia è stato modellato dalla fede vissuta della madre, dalla rettitudine e dalla tolleranza di suo padre. Ha soprattutto sperimentato quanto, al di là legame esplicito alla Chiesa, al di là delle devozioni e delle pratiche, essi vivono la vita di un focolare fedelmente unito sotto lo sguardo di Dio.

La prova che ha seguito la sua scelta di vita è stata dura per tutti, ma allo stesso tempo ha finito per confermare e affinare l'affetto reciproco. Ed è su quest'affetto che si appoggia ancora, con una fiducia ormai rafforzata: secondo il suo temperamento, dove alla pietà filiale si associano la franchezza e la forza di convinzione. Sente bene che può farsi insistente, persino intransigente. Perché con il meglio di sé stesso, come queste riflessioni vorrebbero dimostrare, egli sa e professa che è dalla sua stessa famiglia che ha ricevuto tutto ciò che è, con la gioia dell'educazione nella fede: c'è un patrimonio spirituale che non può essersi perduto. È nella speranza della felicità presente e futura di ciascuno che egli ama la sua famiglia. Come dice egli stesso, amare Dio e amare i propri cari realizzando la propria vocazione e la propria pienezza, per lui è tutt'uno.

 

Eccoci dunque condotti a raccogliere ciò che c'è più di profondo e più di stabile, anche di più commovente, nei legami che Padre Dehon ha vissuto con la sua famiglia. Tutto quanto precede evidentemente lo suppone, spesso molto manifestamente. Eppure dobbiamo ritornarvi almeno brevemente, e per ciò ricordare alcune delle pagine dove ci racconta la sua infanzia, e poi quella che è stata la sua comunione con i genitori nei loro ultimi anni e dopo la loro morte. Di nuovo sono confidenze dove si manifesta interamente: impossibile riassumerle senza perdere molto del loro sapore, della loro ricchezza. Posso soltanto raccomandare di leggere in particolare le prime pagine del primo quaderno delle „Note sulla storia della mia vita”.

 

Come molto spesso succedeva in tante famiglie fino a poco tempo fa, i nomi che il piccolo battezzato riceve alla sua nascita, lo inseriscono in una solida tradizione cristiana. Il piccolo Dehon si chiamerà Leone Gustavo. Leone, lui stesso lo preciserà più tardi, sarà San Leone Magno. Oltre alla venerazione che avrà sempre per questo grande Pontefice e Dottore della Chiesa, questo nome rinvia su lui tutto l'affetto e la sofferenza di sua madre. „Mia madre amava il nome di Leone. Me lo diede in ricordo di un angioletto, mio fratello maggiore, morto all'età di 4 anni alcuni mesi prima della mia nascita. Questo angioletto era stato molto amato… Mia madre mi conduceva spesso presso la sua piccola tomba di marmo al vecchio cimitero. Non ho mai visto mia madre parlare di lui senza piangere…” (NHV I, 2v). „Il nome di Gustavo era quello del mio padrino, fratello di mio padre. Mia madrina fu la sorella più giovane di mia madre. Le sono riconoscente. Ha esercitato nella famiglia un'influenza felice con la sua fede solida, la sua devozione ardente…” (ibid. 2v et 3r). Aggiunge più oltre: „Potrei parlare dell'insieme della mia famiglia: vi trovavo particolarmente edificazione presso le sorelle di mia madre che avevano ricevuto la sua stessa educazione” (ibid. 12r).

Quindi ci parla ad abbondanza dei suoi genitori: di sua madre inizialmente, e molto a lungo. „Mia madre è stata per me uno dei più grandi doni di Dio e lo strumento di mille grazie. Che dignità di vita, quale fede, quale virtù, quale cuore essa aveva! Nostro Signore l' ha molto amata, perché le ha fatto molte grazie… La grande grazia di mia madre fu di essere educata al pensionato di Charleville… Era quasi una casa del Sacro Cuore…, lo spirito di questa casa era realmente lo spirito cristiano, lo spirito di Dio… Il ricordo di mia madre ritornerà spesso in queste note. Voglio soltanto ringraziare qui Nostro Signore di avermi dato una tale madre, di avermi iniziato per mezzo suo all'amore del suo divin Cuore…” (ibid. 3v - 4v).” A due giovani fidanzati di cui benedirà l'unione, è davvero la sua esperienza più segreta che affida: „Il miglior regalo” che possiamo ricevere da Dio, è quello „di una madre cristiana”. E quando può visitare alcune famiglie di allievi del collegio San Giovanni, è ancora il ricordo di sua madre che lo rallegra e lo porta alla preghiera: „Visite a delle buone famiglie di allievi, a Lehautcourt ed al Vergnier. Madri di famiglia degne e pie mi ricordano mia madre. Ti ringrazio ancora, mio Dio, di avermi dato mia madre, le devo tutto. Queste anime cristiane sono il frutto dell'educazione dei conventi” (NQT V/1890, 8v - 9r).

È soprattutto, questo, l'educazione cristiana, più precisamente l'amore del Cuore di Gesù, il gusto della preghiera, lo zelo della carità, la dolcezza ed il coraggio, e infine „l'apostolato potente dell'esempio”, è ciò che fin dalla sua infanzia resterà scolpito in lui quando richiamerà il ricordo della sua santa madre. „Subivo l'azione costante di mia madre e nonostante la mia sbadataggine, presi gusto poco a poco alla pietà ed alle cose religiose… Mia madre mi insegnò presto a pregare… La bella anima di mia madre passava così un po' nella mia, non abbastanza completamente a causa della mia leggerezza… [In chiesa] pregavo con lei o piuttosto lei pregava per me. Non sapevo bene cos'era pregare. Mi conduceva agli uffici della domenica ed a volte alle benedizioni della settimana” (ibid. 6r - 7v). È ancora ciò che prende in considerazione in primo luogo, dei suoi anni d'adolescenza, quando per le vacanze ritorna da Hazebrouck a La Capelle: „Amavo la mia vecchia chiesa, vi andavo volentieri. Mia madre mi faceva del bene, mi sosteneva, mi insegnava a pregare. Parlavamo insieme di pietà” (ibid. 29v).„

 

Ben diverso è il ricordo che Leone ci consegna di suo padre, ma è pur esso tutto pregno di affettuosa riconoscenza. Con il distacco del tempo il disaccordo, che ha fatto molto male, è nettamente ridimensionato. Resta la testimonianza di un uomo che nella comunione familiare ha saputo trasmettere un'eredità di valori umanissimi: Leone li riceve come „un ben grande contributo” per la sua stessa vita cristiana. Ecco una lunga citazione: tutta in toni sfumati, ma molto positiva e calorosa, è la rilettura di una vita. Vale più di qualsiasi commento.

„Mio padre non aveva avuto il beneficio di un'educazione completamente cristiana… Ha conservato della sua educazione di famiglia lo spirito d'equità e di bontà che ha caratterizzato tutta la sua vita. Ha perso in collegio la pratica della vita cristiana, ma ne ha conservato il rispetto e la stima. Ciò che gli restava di fede doveva sempre aumentare, grazie soprattutto all'influenza costante di mia madre, alle sue preghiere ed ai suoi sacrifici. Pregai per lui appena ebbi l'intelligenza delle cose della fede. Quante volte fin dal collegio e soprattutto a Roma, mi sorpresi a versare lacrime per la sua salvezza.

Fin dal collegio gli parlavo della fede e della pratica cristiana. Ritornò a Dio una prima volta in un pio pellegrinaggio a Nostra Signora di Liesse, quindi si lasciò nuovamente mettere in arretrato. Il soggiorno a Roma, la benedizione di Pio IX e le emozioni della mia prima messa dovevano completare l'opera della grazia in quest'anima che Nostro Signore ha tanto amato. I suoi tre mesi a Roma furono la grande grazia della sua vita. Rifece là tutta la sua educazione cristiana. La sua fede vi trovò aumenti quotidiani. Un pellegrinaggio a Lourdes gli lasciò pure un'impressione che non si cancellò più…

Dovevo trovare nella tenerezza del suo affetto paterno per me un grande contributo per tutto lo sviluppo della mia educazione ed anche per la mia vita cristiana. Non dovetti urtarmi con lui che per la mia vocazione. Lo ha messo alla prova. Nostro Signore lo ha permesso. Lo ha sostenuto e condotto al porto. - Vi rendo grazie, mio Dio, di avermelo dato. Mi sento più che mai unito a lui. Il suo ricordo mi è dolce, mi aiuta e mi conforta” (NHV I, 4v - 5v).”

 

Molti anni sono passati quando Leone scrive queste righe. Non prende in considerazione allora che quello che per lui, sotto lo sguardo di Dio, gli sembra ben essere più prezioso. Ma a seguirlo giorno per giorno negli scambi con i suoi cari si può vedere quanto questa profonda unione corrisponde effettivamente a ciò che è stato nel corso degli anni il loro incontro attorno all'essenziale.

Attraverso la sua famiglia Leone ha coscienza di beneficiare di una lunga tradizione cristiana, di cui si dice felice e fiero: „vi è una legittima soddisfazione a ritrovare nei propri antenati una vita onorata e cristiana” (NHV I, 93v). Benedicendo un matrimonio in famiglia (Paolo Penant - Margherita Rondeaux, il 22 aprile 1914), si congratula con i giovani sposi per questa celebrazione cristiana: „siamo della razza dei figli di Dio… È un matrimonio cristiano quello che state per contrarre, come i vostri genitori, come i vostri avi”.

Spesso, sempre con quella discrezione che lo preserva dell'effervescenza sentimentale, di tutto cuore ama ripetere ai suoi la gioia di ritrovarli spesso nella preghiera. Certamente attorno al ricordo dell'incontro a Roma, dei grandi momenti dell'ordinazione, l'abbiamo visto. Ma ben prima di quest'eventi, che sono un vertice, e soprattutto successivamente. A suo padre: „Domani prego il tuo patrono per te… Ringrazia Dio della felicità dei tuoi figli… Ti auguro la felicità e la pace del cuore e ti prego di abbracciare per me la mia cara mamma, e poi Enrico, Laura, Marta, mamma Dehon e Marta… . (11 aprile 1866). „Sarei felice di essere accanto a voi come Enrico, ma non è la volontà di Dio. Compenso questo pregando spesso per voi, molte volte al giorno. È il migliore modo in cui possa testimoniarvi il mio affetto” (28 febbraio 1867). A sua madre: „Conserva con la preghiera le grazie che hai ricevuto a Roma e domandane per i tuoi figli”…

Durante l'estate 1873, dopo l'importante Congresso dei direttori delle opere sociali a Nantes - il primo dei numerosi Congressi dove poco a poco il giovane sacerdote acquisterà una dimensione nazionale - con i suoi genitori, lo zio e la zia Penant-Vandelet di Vervins, fa il pellegrinaggio di Lourdes. Con loro vive di nuovo intensi giorni di fede e di pratica: „Mio padre ne fu particolarmente commosso. Passammo lunghi momenti dinanzi alla grotta, dove si prega sempre così bene. Avevo tante grazie da chiedere, per il mie opere, per la mia famiglia, per me stesso” (NHV X, 88). Quindi, al ritorno e sempre in famiglia, vi sono i pellegrinaggi a Nostra Signora della Guardia a Marsiglia, „dove abbiamo pregato con tutto il cuore”; a Nostra Signora di Fourvière a Lione, infine ad Ars e a Paray-le-Monial. „Abbiamo pregato molto là, ed abbiamo terminato con le più dolci emozioni questo bel viaggio di famiglia, che ha lasciato ai miei genitori tanti buoni e preziosi ricordi, e che ha tanto contribuito a rinforzare la fede di mio padre” (ibid. 95).

Sovente, si potrebbe quasi in ogni lettera, è nel ricordo dei famigliari defunti e dei suoi amici che attraverso la preghiera vive la sua comunione con tutti. Per il Natale 1865, ai suoi genitori: „Vorrei inviarvi… delle lettere per mamma Dehon, Enrico, Laura e mio zio… il pensiero va spesso verso ciascuno dei parenti, soprattutto in questi giorni di feste, e prego per la loro felicità temporale ed eterna. È il migliore augurio che io possa fare loro. Non dimentico neppure i morti. Non posso dirvi quale privazione sia per me il non essere con voi in questi giorni, in cui lo spirito di famiglia è in pieno vigore. Ma bisogna che si faccia la volontà di Dio” (27 dicembre 1865). All'inizio del gennaio 1868, inviando gli auguri: ”Non ero con voi il 1° gennaio; tuttavia il pensiero mi portava naturalmente verso voi, soprattutto nel santo sacrificio. Mi univo in spirito ai vostri santi patroni ed ai vostri buoni angeli per chiedere a Dio di benedirvi, e pregavo mio fratello Leone, che è un angelo in cielo e che vi esorto ad invocare spesso perché protegga la nostra famiglia „.

 

Gli anni 1880 - 1883 porteranno a Padre Dehon delle gravi preoccupazioni e delle croci pesanti. Vi ritornerà molto spesso, rievocando la storia della sua vita. Il decreto repubblicano della soppressione e dell'espulsione delle congregazioni non autorizzate, l'incendio di una parte del collegio San Giovanni, il sovraccarico di lavoro, le difficoltà interne alla sua giovanissima Congregazione e le conseguenze attorno a lui, in diocesi ed a Roma… : altrettante prove che di nuovo scuotono seriamente la sua salute costantemente fragile. E la morte dei suoi cari genitori. Seguirlo in questi momenti dolorosi - le lettere e le note sono abbondanti - ci permette di completare ciò che sappiamo del suo affetto riconoscente e della sua fede. Soprattutto qui, nulla può sostituire la sua testimonianza.

Il signor Dehon è morto l'11 febbraio 1882. „Nella sua ultima malattia, Nostro Signore, che lo amava, lo riempì visibilmente delle sue grazie. Fu ammirevole in pazienza, in dolcezza, discrezione, delicatezza e carità. Si spense in un atto di puro amor di Dio” (NHV I, 5r e v). Leone ha potuto accompagnarlo quasi fino al termine della sua agonia e si rammaricherà molto di non aver potuto assisterlo negli ultimi istanti.”

L'indomani, annunciando la notizia a molti corrispondenti, scrive: „Il mio povero padre è stato ammirevole per fede e carità fino alla fine. Ci consolava tutti e ci nascondeva le sue sofferenze per non darci pena. Le sue disposizioni sono state ammirevoli [sottolinea quest'ultima parola]. `Parto, diceva, con la fiducia che i miei figli conserveranno l'onore del mio nome'. Con quale atteggiamento nobile diceva ciò tendendoci le due mani. Ha fatto generosamente il suo sacrificio. `Vi amo molto, ma sono felice di andare a vedere Dio'. È la morte di un giusto. La benedizione di Dio era sensibile presso questo letto funebre”. Aggiunge: „Mia madre è molto coraggiosa. Ha tuttavia di tempo in tempo dei singhiozzi” (lettere del 12 febbraio 1882).

Da molti amici lo stesso Padre Dehon riceve una testimonianza di solidarietà e d'ammirazione che lo tocca profondamente.„ Da don Bougouin, un vecchio condiscepolo al Seminario di Roma: „Avevo intravisto il vostro Signor Padre in occasione della vostra ordinazione, e il ricordo della vostra prima messa me lo fa vedere ancora che si avanza con la Signora vostra Madre per inginocchiarsi dinanzi a voi. Mi avete parlato delle grazie di cui questo soggiorno a Roma era stato l'occasione per l'anima così cara che ci ha appena lasciato. Sarete stati consolato, non ne dubito, da una di quelle morti cristiane che sono il migliore pegno delle benedizioni di Dio sulle famiglie” (20 febbraio 1882).”

 

Ancor più sommariamente, ma sempre con il desiderio di conoscere meglio la personalità di Padre Dehon, occorre ora allargare un po' il nostro sguardo. Poiché da parte della famiglia, attraverso la successione delle generazioni, Padre Dehon si sa intimamente solidale con una città, con una regione, con una patria e finalmente col mondo, coll'umanità: altrettanti legami di cui ha una coscienza molto vigile. Essi fanno parte di quelle radici umane che ci segnano, tutti e ciascuno, anche se non tutti vi prestiamo uguale attenzione.

Da parte sua Padre Dehon vi è molto sensibile. Sa che per le persone, le società, per la Chiesa di Cristo ed in primo luogo per sé stesso, questo ricorso al passato, questo passare per la storia, sono una chiave indispensabile per acquisire una migliore comprensione e disporsi ad un'azione innestata sul presente. L'ascolto della storia in tutte le sue dimensioni, ascolto mantenuto vivo nel cuore ed arricchito dallo studio, contribuisce a costruire una personalità con la percezione giusta dell'eredità ricevuta, delle influenze e dei condizionamenti che l'hanno segnata. È là in particolare che si nutre la coscienza dell'identità profonda, è là che si temprano le fedeltà tenaci che conferiscono unità e coerenza ad un'esistenza d'altra parte tutta in flessibilità, fertile in imprevisti e in iniziative le più varie. Un albero, - e Dio sa se Padre Dehon ha ammirato i grandi alberi delle nostre foreste! - si schiude tanto più in ampi rami, in foglie e frutti e per lunghi anni, quanto più affonda solide radici nel più profondo di una terra sana.

 

Quest'interesse per il passato familiare, Padre Dehon lo manifesta molto presto, in particolare attraverso ciò che al giorno d'oggi diventa un occupazione abbastanza corrente: la ricerca genealogica. „Credo che sia una curiosità che non ha nulla di biasimevole” (NQT XIII/1899, 121).

Durante le vacanze nell'estate 1861, „una visita di famiglia a Dorengt, nel cantone di Nouvion, desta in me il pensiero di fare qualche ricerca sull'origine della mia famiglia. „La chiesa di Dorengt contiene belle pietre tombali che dicono la pietà e la carità dei miei avi nel XVII e XVIII secolo. Ho esaminato i registri dello stato civile di Dorengt…” (NHV I, 92v). Raggiunge così qualche risultato, si rammarica di non potere chiarire maggiormente punti dubbi. E nota: „C'è una soddisfazione legittima ad incontrare nei propri antenati una vita onorata e cristiana” (ibid., 93v).

Molto più tardi, nell'estate 1896, egli si reca ad Albert nella Somme, quindi a Hon e Bavay nel Nord: „Desideravo da tempo andare pregare nel paese da cui è uscita la mia famiglia, ne ho così l'occasione” (NQT XI/1896, 64v). Come fa sempre, ciò che vede, il castello, l'abbazia di Lobbes…, egli lo collega al ricco passato della regione. Rileva dei nomi, prova a ricostruire le situazioni. E di nuovo conclude: „Desideravo pregare là da molto tempo. I nostri avi non sono degli amici e degli intercessori presso Dio?” (ibid. 65r).”

Nel 1899 fa menzione di una ricerca più approfondita (NQT XIII/1899, 121 - 127). A partire da informazioni ricevute da archivisti di Lille e di Mons, egli percorre la storia della famiglia dalla „piccola parrocchia, terra o signoria di Hon, Hon-Hargies, Tasnières sull'Hon vicino a Bavay” (ibid., 121 - 122). egli raccoglie le ortografie successive (Huoi, De Hon, Dehon…), ricostruisce lo stemma, descrive le alleanze e le funzioni (assessori, signori alla corte di Mons, crociati, esattori…), le migrazioni. Sa che per mancanza di tempo la sua ricerca resterà assai incompleta, ma ci tiene a condurla fino a suo padre, Giulio Alessandro Dehon. Osserva ancora: „La nobiltà d'origine non è nulla. Ciò che importa, è servire Dio e salvar l'anima” (ibid., 127).

Abbiamo visto il desiderio, comunicato anche al fratello Enrico, di essere meglio informato su una possibile estensione della famiglia Dehon negli Stati Uniti, verso il 1750. Sotto il titolo „probabilità”, egli intraprende anche la ricerca attorno alla famiglia di sua madre: la famiglia Van de Let, d'origine fiamminga o olandese, e la famiglia Fournier, di Compiègne. „Mia nonna Fournier, di grande pietà, mise le sue figlie in pensionato alla Provvidenza (poi Sacro Cuore) di Charleville. Preparò così la mia santa mamma, le tre sorelle di mia madre erano anche loro molto pie” (Manoscritti diversi, p. 1188).„

 

Nel XVII secolo i De Hon sono stabiliti a Dorengt vicino a Guise, sono amministratori della proprietà signorile di Ribeaufontaine. Quindi all'inizio del XVIII secolo, un ramo della famiglia arriva a La Capelle. Sotto la Rivoluzione, Adriano Giuseppe (1730 - 1823), il bisnonno di Leone, maître de poste [responsabile del servizio postale] a La Capelle, trasforma il nome in Dehon. Abbastanza rapidamente la famiglia è di conseguenza fra le più influenti della piccola città, che conta circa 2400 abitanti nel 1880. Per tutta la vita Leone Dehon, che vi nasce nel 1843, amerà riaffermare l'attaccamento alla sua terra d'origine.

Così ad esempio in occasione delle sue prime messe, nell'estate 1869 (cf. NHV VI, 140sq.). Su questi grandi giornate sappiamo già come, anni più tardi, annoterà delle impressioni anche se esse„sono indicibili”. All'inizio di un lungo sermone, nonostante la sua estrema stanchezza, e nello stile solenne di qualcuno che si riconosce da solo poco dotato per il genere oratorio, „ma le circostanze parlavano da sole”, evoca La Capelle. Attorno „all'altare della parrocchia dove è nato”, ricorda tutto ciò che lo radica in questi luoghi benedetti: il dono della fede e del battesimo, „quel primo abbraccio d'amore che Nostro Signore ci dà nella prima comunione e che rinnova in seguito con la tenerezza di una madre” - rileviamo ancora questo passaggio quasi spontaneo tra l'affetto umano e la comunione a Nostro Signore -. Poi il suo ricordo si porta verso le persone della città, le gioie e le pene comuni: soprattutto la gioia dell'unione nella preghiera e il desiderio di servire Dio, la pena non di amare abbastanza, di non essere abbastanza uniti. Evidentemente è molto commosso di ritrovarsi sacerdote di Gesù Cristo che celebra il Santo Sacrificio in mezzo ad una comunità umana di cui si sente molto solidale: „Parlate, o Signore, al Padre vostro, chiedete di benedire il suo indegno ministro, i suoi degni maestri e pastori, i suoi conterranei, i suoi amici, la sua famiglia. Chiedetegli di benedire questa pia assemblea e di riunirci tutti con voi nella felicità degli eletti”.

Nel corso di quella stessa estate 1869, celebra altre prime messe, a Sommeron, a Buironfosse…. Molte delle sue prime prediche ci sono state conservate: egli vi dà libero corso alla „sua gioia di cominciare il suo ministero in mezzo ai suoi”. In settembre pronuncia il panegirico di santa Grimonia. È per lui l'occasione di tracciare un ampio panorama di storia come piace a lui: attorno a questa giovane martire ricorda „la grande lotta tra il paganesimo ed il cristianesimo”, in particolare sulla terra benedetta della Francia, e nella regione del Nord. „Morire e vincere”, è il motto di questa santa, molto venerata a La Capelle e nella regione: commentandolo, il predicatore esorta i suoi conterranei ad ereditare la sua testimonianza di fedeltà con una vita cristiana coraggiosa e fervente.

L'attaccamento alla città delle sue origini, Padre Dehon amerà manifestarlo molto spesso e in molti modi. Così nell'autunno 1870, quando la rapida caduta di Sedan quindi di Metz e lo smantellamento del fronte disorganizzano l'esercito francese. La Capelle si arrende il 18 novembre, ma non sarà occupata dai vincitori. Un reggimento dell'esercito del Nord è acquartierato nella piccola città: il giovane sacerdote Dehon si prodiga presso questi soldati, smobilitati prima della loro partenza per partecipare ai combattimenti del Nord (cf.NHV VIII, 121). Nel gennaio 1871 segue attentamente l'evoluzione delle operazioni, Vervins, Guise, Leschelle, Laon; ma finalmente „a La Capelle siamo stati provvidenzialmente preservati. Mentre i paesi circostanti erano stati oberati di contributi, noi siamo sfuggiti a tutto” (lettera a Palustre, 24 marzo 1871).

Durante l'estate 1871, prima di prendere „la grande decisione” di mettersi al servizio del suo vescovo, aiuta il suo parroco a La Capelle. Incaricato di fare il discorso d'inaugurazione di una piccola cappella dedicata a Nostra Signora di La Salette, indirizza al suo uditorio un appello vigoroso alla conversione. Se ne ricorderà quando scriverà più tardi: „E vedevo che il mio uditorio era impressionato e commosso. Questo povero paese di La Capelle ha compiuto qualche sforzo. Il lavoro della domenica è diminuito, la chiesa è stata ricostruita ed è più frequentata” (NHV IX, 53 - 58).”

 

E così avanti nel corso degli anni, soprattutto attorno ai luoghi che hanno più segnato la sua infanzia. Con emozione si ricorda della vecchia chiesa, ben misera: „Era quasi una catapecchia, era triste e senza ornamento” (NHV I, 7v), ma era la chiesa del suo battesimo, la chiesa così spesso visitata durante i suoi giovani anni con la mamma, con le zie… Il 29 maggio 1886, partecipa alla cerimonia di consacrazione della nuova chiesa. „Cerimonia commovente in sé stessa e molto commovente per me, perché questo santuario succede a quello dove ho ricevuto il battesimo e la prima comunione e dove ho spesso pregato con mia madre. Prego per questa cara parrocchia dove il servizio di Nostro Signore è ben povero ed imperfetto per la maggior parte delle anime” (NHV XV, 58).

Nel giugno 1895 egli viene a predicarvi il ritiro ai bambini che si preparano alla prima comunione, che gli ricorda la sua. „Metto tutto il mio cuore in questo ritiro. Rientro un po' in comunicazione con questo popolo di La Capelle che mi dimenticava da quindici anni. Quanti ricordi si affollano nel mio cuore! È là che ho fatto la mia prima comunione, è là che ho pregato con mia madre… È ancora là che ho iniziato a predicare ed esercitare il ministero…” (NQT XI/1895, 27v). Il 2 agosto 1900 è il battesimo del suo pronipote Roberto de Bourboulon che lo chiama a La Capelle: nuova occasione di predicare in parrocchia. „I ricordi lieti e tristi affluivano nel mio spirito ed ho fatto fatica a contenere la mia emozione” (NQT XVI/1900, 16).

Dalle frequenti visite a La Capelle diverse volte ricorda qualche particolare che gli parla al cuore. Può essere l'evoluzione politica nella regione, un settore che ha a molto cuore: „Andai a trovare la mia famiglia. Mio fratello mi disse che le idee repubblicane hanno assolutamente conquistato il paese. Alle ultime elezioni per i consigli dipartimentali, tutti i comuni della regione hanno dato la maggioranza ad un giovane candidato che si dava come rappresentante delle nuove idee. Ciò prova ancora una volta la giustezza delle direttive politiche e sociali del Papa. Non si può più andare al popolo che con un programma repubblicano e democratico” (NQT XVII/1901, 7). O ancora: „Viaggio a La Capelle… Ceccaldi è stato eletto deputato in questa zona, che era buona. È il trionfo della canaglia” (NQT XX/1906, 48). Ma più spesso è ancora e sempre l'unione a partire dalla vita cristiana: „Il 15 [luglio 1908], visita a mio fratello a La Capelle per la festa di Sant'Enrico. In chiesa ricordo le grazie ricevute: battesimo, prima comunione, primizie del mio sacerdozio. Prego per i miei parenti ed in unione con loro” (NQT XXIV/1908, 31). „Il 3 [giugno 1912], visita di famiglia a La Capelle. È un pellegrinaggio al luogo di soggiorno ed alla tomba dei pii antenati” (NQT XXXIV/1912, 101).

La terribile prova della guerra del 1914 - 1918, con le sue conseguenze particolarmente drammatiche per tutta la regione, viene praticamente ad interrompere ogni relazione anche epistolare. Ma nel dicembre 1917, con la mediazione di Papa Benedetto XV, salta per lui il catenaccio dell'isolamento, da Bruxelles attraverso la Svizzera e Parigi, Padre Dehon si reca a La Capelle prima di raggiungere Roma: „Accoglienza piacevole nella mia famiglia dove sono felice di vedere i miei due ufficiali in buona salute” (NQT XLII/1918, 4); questi „due ufficiali” sono i suoi pronipoti Enrico e Giovanni di cui ama ricordare il patriottismo ed il coraggio sul fronte.

Gli anni del dopoguerra saranno sovraccarichi di pressanti preoccupazioni: tutto o quasi è da ricostruire, ed i mezzi sono del tutto insufficienti. E c'è ormai la vecchiaia. Ma i legami rimangono. Con tutto il suo amor di patria, con tutta la sua energia desidera che la Congregazione possa non appena possibile rinascere in Francia, cominciando dalla scuola apostolica di Fayet che aveva dovuto espatriare a Thieu in Belgio. Per questa nuova scuola aveva dapprima pensato alla città di Liesse, portato dal desiderio di metterla sotto la protezione della Vergine Maria, vicino a questo santuario al quale lo legano tanti ricordi. Ma infine è per La Capelle che si decide, - una decisione che purtroppo non potrà avere seguito -: „Si parla di mettere la scuola San Clemente a La Capelle, occorre rientrare in Francia per avere più vocazioni” (NQT XLIV/1923, 80). „Cominceremo a La Capelle. Ci ho pensato molto spesso, è ancora una grazia. Saremo vicino alle tombe della mia famiglia, accanto alla chiesa del mio battesimo e della mia prima comunione” (NQT XLIV/1923, 79).

 

Lo svolgersi dell'attività del Padre Dehon ci fa naturalmente passare da La Capelle a San Quintino: la città, la parrocchia dove nel novembre 1871 il suo vescovo lo „sistema”. Vi vivrà i migliori anni del suo ministero più attivo. Tuttavia con molti tempi d'assenza: oltre ai suoi numerosi ed a volte lunghi viaggi, verrà l'espulsione dei religiosi dalla Francia a partire dal 1901, quindi il trasferimento della sua residenza abituale a Roma ed a Bruxelles durante la guerra…

Seguendolo nella relazione con la sua famiglia, abbiamo potuto renderci conto di tutto ciò che questa città: - una città di circa 50.000 abitanti verso il 1885, una popolazione a forte maggioranza operaia - rappresenta per lui. Ne parla spesso: in particolare a partire dalla „sua” parrocchia e dalla Comunità di sacerdoti che la animano, ed attorno alla basilica. „Amavo molto la mia chiesa di San Quintino e ritengo come una delle grandi grazie della mia vita di essere stato associato per sette anni a questa chiesa” (NHV IX, 83). Secondo la sua abitudine ne illustra la storia gloriosa attraverso i secoli, dal martirio del giovane Romano Quintino nel III secolo fino agli abbellimenti ai tempi dei „re cristianissimi”. Cita la fama del suo Capitolo, „uno dei più belli di Francia”, e la presenza stimolante di molti ordini religiosi maschili e femminili.

Attorno alla basilica, la città: le corporazioni, il municipio. Per constatare non senza rammarico: „Non ci sono più capitoli, né corporazioni. Restano confraternite, devozioni ed una buona vita parrocchiale per l'elite della città. Tale era la mia chiesa. Vi ho pregato volentieri, l'ho amata, vi ho esercitato un po' l'apostolato, vi ho ricevuto molte grazie, e non vi entro senza emozione” (NHV IX, 87). Pur dando alla „élite” il servizio del suo ministero, è soprattutto verso la numerosa popolazione operaia che il giovane vicario porta la sua attenzione: una folla spesso misera più ancora che povera, ingiustamente schiacciata dallo sviluppo disumano di un'industria dominata dal capitalismo liberale, allora in piena estensione. In verità una società seriamente malata, „una società marcia” che egli paragona alle stalle di Augias, un popolo per il quale la Chiesa è troppo lontana e troppo compromessa con i ricchi, al punto che una buona parte della città „vive nel paganesimo” (NHV IX, 92 - 94).

 

Raccogliere le sue reazioni, capire le sue denunzie, seguirlo nelle sue numerose iniziative per la „elevazione delle masse popolari con il regno della giustizia e della carità cristiana” (Cf. le sue „Memorie”, nel marzo 1912), la sua azione d'istruzione e di coscientizzazione ecc…., non è l'oggetto della presente riflessione. Semplicemente non possiamo dimenticare che per una buona parte è questo „apostolato sociale” che molto rapidamente occuperà tanto posto nella sua vita, ed avrà tanta risonanza in Francia e fino a Roma, è questo impegno multiforme che trasformerà Padre Dehon in una figura significativa della Chiesa del suo tempo. L'originalità del suo contributo al risveglio della coscienza sociale nella Chiesa gli viene in particolare dalla sua esperienza molto concreta, molto localizzata. Ha certamente molto letto, molto studiato, ha confrontato le sue posizioni con altre nel corso di numerose commissioni e riunioni; ma sono soprattutto le persone con le quali ha vissuto il dramma della „questione sociale” che lo hanno formato sul terreno. Per questo giovane sacerdote appassionato di Gesù e del suo vangelo, ciò che è stata determinante è la scossa insopportabile della condizione ingiusta imposta a tanta povera gente, e l'urgenza di vivere autenticamente la missione di Colui che è venuto a proclamare le Buona Novella ai poveri. È in particolare nella prossimità di cuore e di vita con la popolazione operaia della sua città di San Quintino, per la lucidità ed il coraggio di un'azione efficace e continua, che Padre Dehon ha approfondito e sviluppato la sua vocazione d'apostolo del Regno del Cuore di Gesù fra noi.

È anche a partire dall'esperienza vissuta ad San Quintino che si rinforza la sua convinzione di una Chiesa comunità di vocazioni diverse e di iniziative in collaborazione, ciò che prolungherà più tardi in particolare desiderando associare i laici alla sua Opera. Fra alcune buone famiglie della società di San Quintino trova rapidamente l'aiuto che gli è indispensabile per cominciare ciò che per lui è una priorità, raggiungere ed aiutare la gioventù operaia. Niente di sorprendente se si rivolge inizialmente ad „alcune persone” della Conferenza di San Vincenzo de Paoli, vi si trova in un certo qual modo in famiglia. „Iniziai a legarmi con loro e farne i miei complici per il bene da fare a San Quintino”. Cita molti nomi, i signori Julien, Guillaume, Black, Vilfort, Lehoult, Basquin, Lecot, Santerre, ecc…. per lui sono molto più che dei nomi e degli aiuti, sono dei veri amici: conserverà loro per sempre la sua riconoscenza, ripeterà la sua gioia di avere collaborato con loro per l'opera del Vangelo (cf. NHV IX, 80 - 83).

Così ancora benefattori e benefattrici, in particolare per sostenere il patronato San Giuseppe: all'inizio la grande maggioranza di loro appartiene alla classe dirigente di San Quintino. Con le visite, con le feste „a porte aperte”, con pazienza e risolutezza il giovane vicario riunisce attorno alla sua opera un numero crescente di sottoscrittori, dopo il deputato Malézieux, il sindaco Mariolle, perfino fra i medici, gli insegnanti, gli industriali. „Si potrebbe presto dire che tutta la città era dell'opera, ed il bene si faceva largamente. Era l'età d'oro di questa cara opera. I nostri giovani si trasformavano…” (NHV X, 2). Il 29 aprile 1874: „La festa che abbiamo data ha conseguito lo scopo di farci conoscere e di conquistarci tutte le simpatie della città” (ibid., 49).

All'inizio di questo stesso anno, per il suo Patronato aveva potuto costituire un „comitato direttivo”, non può tacere la sua fierezza e la sua riconoscenza: „Questa riunione fu un vero evento politico e sociale. Tutti i notabili della città ne facevano parte… Tutta la città era guadagnata a quest'opera che sfidava la critica…” . Con molta attenzione declina i 46 nomi dei partecipanti, ed aggiunge quest'osservazione che ci riporta al tempo in cui redige le sue note, il tempo della persecuzione anticlericale: „Era un tempo di vera libertà di coscienza quello dove i sotto-prefetti, i procuratori, i magistrati osavano patrocinare ufficialmente un'opera cattolica” (NHV X, 137 - 138). Si potrebbe rilevare la stessa attenzione, lo stesso ricordo commosso, a proposito della collaborazione attorno al giornale „Il Conservatore dell'Aisne”, lanciato ugualmente all'inizio del 1874. Con il proprio amico e confidente, il signor Julien, Padre Dehon si occupa di nuovo attivamente di trovare azionisti, nella città e nel dipartimento. „C'era ovunque fiducia, incontrammo molta buona volontà ed un contributo abbastanza attivo” (ibid., 188).

 

È dunque la vita concreta che radica profondamente Padre Dehon alla città di San Quintino. La condivisione dei progetti apostolici e la loro realizzazione, la stima che nasce della generosità messa al servizio della stessa grande causa: con le persone e con i luoghi tutto questo tesse giorno per giorno dei legami che segneranno definitivamente una personalità della loro impronta, e la radicheranno in un terreno umano, per un arricchimento reciproco. Ma Padre Dehon non sarebbe quello che sappiamo se a partire da questa forte esperienza umana non allargasse il suo interesse anche alla storia della sua città. E sarà nuovamente in una preoccupazione pastorale: fare conoscere ai giovani la grande tradizione locale, comunicare loro qualcosa del suo amore per la regione che sarà, per molti tra loro come per lui, il terreno della loro vita civile e cristiana.

Il 30 luglio 1887 presiede alla cerimonia della distribuzione di premi all'Istituto San Giovanni di San Quintino. Lo fa ogni anno quando gli è possibile, perché è la festa che conclude il percorso scolastico, ma quest'anno riveste un significato particolare: è il „decimo anniversario dell'inizio dell'opera”. Con un'emozione sobria richiama l'inizio modesto, collegio e congregazione insieme, non può dimenticare le recenti prove di cui si attribuisce ancora la responsabilità. „Nel 1877 in questo stesso giorno, finivo il mio ritiro e la composizione delle regole. Signore, perdonami tutti i difetti che hanno ritardato la nostra opera” (NQT III/1887, 110). È anche l'anno nel quale il vescovo Monsignor Thibaudier, nel suo desiderio di affidare alla giovane congregazione la fondazione di una parrocchia al sobborgo San Martino, l'associa ancor maggiormente alla missione della Chiesa a San Quintino.

Padre Dehon pronuncia in occasione della festa al San Giovanni un importante discorso „sulla storia locale di San Quintino”. Un testo molto elaborato, sia per la documentazione che nella scrittura, e che tuttavia conserva tutta la spontaneità di qualcuno che evidentemente si sente a suo agio in un mondo che gli è familiare. Impossibile riassumerlo, si potrà leggerlo nel 4° volume delle „Opere Sociali”, (OSC IV, pp 397 - 423). Eccone soltanto le principali articolazioni.

L'oratore sorvola i secoli per fare rivivere dinanzi al suo giovane pubblico la lunga tradizione della città: la preistoria ai tempi dei Celti, la conquista romana, la presenza cristiana a partire dal martirio del giovane San Quintino, i vescovi ed i conti del Vermandois che hanno segnato della loro forte personalità la città e la regione, l'entusiasmo e l'eroismo al tempo delle crociate con Ugo il Grande „il famoso crociato”. Quindi la costruzione della Basilica e l'organizzazione della città a partire dalle libertà comunali, la vittoria di Bouvines (1214) che consolida la Francia nella sua unità nazionale e garantisce la sua indipendenza, il consolidamento della città al tempo di San Luigi e dei re cristiani: „I nostri re amavano San Quintino e la città amava il re e la patria”… Vengono in seguito il XV secolo e la costruzione del Palazzo Municipale, quindi il dramma dell'assedio del 1557, „data allo stesso tempo gloriosa e oscura come quella di un martirio”, „la carneficina ed il saccheggio” che distruggono allora la città. Una città tutta nuova rinasce delle ceneri nel corso dei secoli di Enrico IV, Luigi XIII e Luigi XIV, ed è il fiorire delle arti e del commercio. Quindi nuovamente „gli anni terribili” della rivoluzione, „quasi tanto funesta per San Quintino quanto lo era stato l'assedio devastatore del 1557”. Infine l'epoca napoleonica ed il XIX secolo: il benefico sviluppo della città, - in particolare l'inaugurazione della ferrovia „che colpì la mia immaginazione di bambino nel 1850” -, ma al prezzo di un'indifferenza insopportabile alla situazione di molti operai completamente lasciati a sé stessi.

Fra la gioventù del suo collegio, dove ovviamente si sente felice, in presenza del suo vescovo di cui ha ritrovato la fiducia - quindici giorni prima Monsignor Thibaudier ha appena affidato a Padre Dehon una importante predicazione agli ispettori dei Circoli cattolici della città -, dinanzi agli insegnanti e ai genitori, il direttore del San Giovanni rivela molto di sé stesso in quest'ampio panorama di storia locale: vi si esprimono le sue preferenze politiche e sociali, la sua fierezza patriottica, un legame viscerale per la sua terra, il suo desiderio di educare alla fedeltà nella responsabilità civica e cristiana. Egli stesso dice nell'esordio: „Quando divenni un abitante di San Quintino, sedici anni fa, mi legai con un affetto filiale alla nostra bella Basilica… Amai a San Quintino il profumo di pietà di una parte della parrocchia, lo spirito aperto, il cuore generoso, l'attività degli abitanti, il loro patriottismo ed un certo fierezza ed indipendenza di carattere che è un frutto delle vecchie libertà comunali. Studiai la storia della città, e mi sembra così di aver acquisito poco a poco la naturalizzazione dello spirito e del cuore che vale bene quella che danno le leggi”. Se propone questo discorso, è „per mantenere l'amore della religione e della patria”, come una „occasione di risvegliare nei nostri cuori e l'ardore della fede e l'amore della Francia”.

Padre Dehon ci ha lasciato molte testimonianze simili dell'interesse per la sua città, la sua storia, il suo presente, più spesso in collegamento con la storia della regione e della Francia: note di letture, preparazione di testi o di relazioni, cronache della Rivista, reazioni nel corso di visite di luoghi e di monumenti… Viaggiatore che ha molto visto e confrontato, si mostra severo sulla gestione recente di San Quintino: „Tutte le città della regione del Nord, Meaux, Compiègne, Amiens, Reims, ecc. sono meglio amministrate della nostra povera San Quintino. Manteniamo delle viuzze, dei vicoli ciechi, delle vie a zigzag. Non sappiamo aprire ampie vie e alberarle, tracciare un viale lungo la Somma, fare i ponti necessari, ecc. L'estetica è a livello della cultura morale” (NQT XXXIV/1912, 99).„

L'occupazione straniera durante la guerra, con tutte le sue penosissime conseguenze, la vede come una punizione di Dio sulla sua città: „San Quintino paga il suo debito alla giustizia divina… La città ha esaltato Voltaire e Renan, amici della Prussia e della critica luterana; il buono Dio le risponde: `per avere troppo amato quest'autori, darete alloggio ai loro amici per un anno fra le vostre mura'. La città che ha glorificato i capi del comunismo, Babeuf e Bianqui, dando i loro nomi alle sue vie, è punita da un regime comunista: tutti al pane nero, 180 grammi al giorno; poca carne; il lavoro in comune, i giovani di tutte le classi portati alle trincee… Il piccolo commercio che dimenticava la Chiesa per stare al banco, ha ora del tempo libero…” (NQT XXXVII, 1915, 52 - 54).”

Una volta allontanato il dramma della guerra, a prezzo di mille sacrifici e grazie alla sua tenacia ed al suo realismo abituali, in particolare per difendere i suoi diritti alle indennità ed assegnazione di riparazioni, Padre Dehon riesce a rilanciare l'Istituto San Giovanni. Certamente appartiene ormai alla diocesi, ma nonostante i grandi sforzi che deve affrontare per la sua congregazione, aiutato dal padre Falleur il suo rappresentante sul posto, fa l'impossibile per ridare vita a quest'opera che egli tiene a cuore e che considera vitale per la sua città. Il San Giovanni potrà riaprire fin dall'ottobre 1919. Il 20 ottobre Padre Dehon scritto alla Superiora delle Suore Ancelle: „Abbiamo riaperto l'Istituzione San Giovanni, ci sono cinquanta allievi, aumenteranno. Si dice che San Quintino ha ora 25.000 abitanti. L'aspetto della città è sempre molto triste, ci sono solo rovine ovunque” .

 

Potremmo così continuare a raccogliere i segni di quest'attaccamento del Padre Dehon alla „sua città”. Evocare ad esempio un altro momento forte il cui ricordo rivela bene la sua personalità: la preoccupazione sociale approfondita fra il giovane clero della Francia e sul posto, a San Quintino. Nel settembre 1895 organizza un'importante riunione di studi sociali. Doveva tenersi a Val-des-Bois nei pressi di Reims, nella fabbrica di Leone Harmel. I partecipanti sono troppo numerosi, duecento ecclesiastici di più di trenta diocesi francesi: è dunque all'Istituto San Giovanni che saranno accolti per sei giorni di intensi lavori. „Sono giorni grandi, ardenti, luminosi, indimenticabili. È un piccolo concilio, un concilio di giovani… Resta di queste riunioni un buon resoconto, ma ne deve restare di meglio: le convinzioni, lo zelo, l'ardore per il bene. Questo piccolo congresso deve pesare nella bilancia per il risveglio della vita sociale cristiana in Francia” (NQT XI/1895, 33r - 34v).

Nell'ottobre 1874, poco tempo prima della morte, il padre Freyd scrive un'ultima volta al suo vecchio e amatissimo discepolo del Seminario francese di Roma. Tiene a rassicurarlo ancora e ad incoraggiarlo in questo ministero parrocchiale che gli aveva consigliato in un momento di grande esitazione, e che ben presto si rivela molto pesante per l'intraprendente giovane vicario. „Vi ripeto la mia gioia e la mia soddisfazione di sapervi docile alle mie raccomandazioni, e per il momento fedelmente attaccato al lavoro che Dio stesso vi ha dato, o che vi ha ispirato di fare a San Quintino. Questa povera città aveva bisogno di voi. Dio benedirà il vostro lavoro ed i poveri giovani ve ne ringrazieranno nel tempo e nell'eternità” (lettera del 6 ottobre 1874). Non dubitiamo della benedizione di Dio, e ne vediamo già la manifestazione attraverso la riconoscenza che riceve, mescolata tuttavia a molte prove dolorose, da parte della popolazione della sua città e dalla voce che per lui è la più autorizzata, quella del suo vescovo.

Il 19 agosto 1925, in occasione dei funerali di Padre Dehon nella basilica di San Quintino, Monsignore Binet vescovo di Soissons pronuncia l'omelia funebre. Eccone alcuni estratti: „Una pagina di grande storia religiosa si è appena compiuta… Ad uno dei suoi figli più eminenti, fra i più illustri del XIX secolo, la diocesi di Soissons… porta per mio ministero le lacrime di lutto…, la gratitudine infinita, il tributo di preghiere soprattutto, che gli sono dovuti a tanti titoli… Amava troppo la Francia ed il dipartimento dell'Aisne dove la sua famiglia ha molto ben figurato, amava troppo questa città di San Quintino per non dire ai suoi figli, riuniti attorno al suo letto di morte: `Riunitemi al mio popolo'. San Quintino! Quale posto questa città ha tenuto nella vita del vegliardo, del grande cittadino francese, del sacerdote eminente che piangiamo! Quale posto Padre Dehon vi ha tenuto!…” .

 

Il vescovo lo ricorda: San Quintino è inseparabile dal dipartimento dell'Aisne, dalla diocesi di Soissons e Laon di cui è la città più importante. È anche secondo queste coordinate più ampie, civili e religiose, che Padre Dehon manifesta l'appartenenza alla sua regione. Anche in rapida allusione ci occorre prendere in considerazione questa nuova dimensione, che caratterizza anche la sua personalità.

Quando è nominato vicario a San Quintino nel novembre 1871, don Leone Dehon è abbastanza poco inserito nel clero della sua diocesi. Tutta la sua formazione, classica, professionale e quindi sacerdotale, l'ha un po' allontanato. Vi conta solo alcuni sacerdoti la cui amicizia gli sarà molto preziosa: don Demiselle curato di La Capelle, don Petit, curato di Buironfosse… Ma vi arriva, segnato dall'ascendente delle sue origini, dal prestigio dei suoi titoli e delle sue relazioni romane, della sua partecipazione al Concilio Vaticano. Eppure molto rapidamente, con l'ardore del suo zelo apostolico si fa conoscere oltre ai limiti della sua parrocchia e della sua città.

Quando nell'agosto 1874 il vescovo monsignore Dours crea un Ufficio diocesano per la diffusione delle opere, il giovane vicario, che ne aveva fatto la proposta, vi ricopre rapidamente un ruolo determinante, ne diventa il segretario e l'animatore. Immediatamente viene lanciata un'indagine sulla situazione religiosa della diocesi, le opere, i progetti, le difficoltà… Le risposte molto deludenti non scoraggiano lo zelo: l'Ufficio compie un servizio innegabile, in una situazione molto ingrata. Ricordiamo anche i Congressi diocesani, Liesse, San Quintino, Soissons: là ancora don Dehon è il vero factotum, vi comunica il suo zelo sostenuto dalla fede e dalla confidenza. Vi fa condividere la sua preoccupazione dominante di scuotere le inerzie, sensibilizzare il clero e le classi dirigenti all'urgenza della „questione sociale”. Don Adriano Rasset, uno dei suoi confratelli sacerdoti che diventerà il suo primo confratello religioso ed uno dei più assidui collaboratori, gli scrive dopo una riunione a Liesse alla quale si rammarica di non avere potuto partecipare: „Ho sentito parlare del vostro progetto per una nuova assemblea diocesana…: coraggio! E perseveranza! Ma non nascondetevi l'apatia della maggior parte dei nostri cristiani e lo scoraggiamento di quasi tutti i preti… Ma io resto conquistato alla vostra causa: ` Non si può fare nulla se non con l'Associazione' ” (22 agosto 1876).

Una iniziativa molto significativa di ciò che il giovane sacerdote vive, della comunione che desidera intensificare con i suoi confratelli della diocesi è la creazione, di nuovo nel 1874, di un „Oratorio diocesano”. Un piccolo gruppo di „alcuni buoni preti” si costituisce in libera associazione per aiutarsi nella vita spirituale. Decidono alcuni incontri e ritiri ed un regolamento di vita per la preghiera personale. Formano anche un progetto di vita comune, si danno un piccolo bollettino di collegamento. Il vescovo approva, anche qui don Dehon è nominato segretario, e degli amici come don Rasset, don Petit…, vi si impegnano. Ascoltiamo ancora don Adriano Rasset in una lettera al suo confratello Leone Dehon: „È una vera necessità che quest'opera, tanto necessaria per i poveri operai del vangelo quanto lo è l'opera dei Circoli per gli operai della fabbrica. Coraggio! Signore ed onorato confratello, provate a spingerci, come fate, ad ogni sorta di imprese pie e di risoluzioni coraggiose nell'unione e nella carità di Nostro Signore!” (lettera del 15 aprile 1875).

Il 12 giugno 1885, alla basilica di San Quintino ed in presenza del suo vescovo, Padre Dehon pronuncia un discorso sulla „devozione al Sacro Cuore di Gesù, dono del nostro tempo e grazia speciale della Francia” (cf. OSC IV, pp 377 - 394). È di nuovo un grande e solenne discorso. Il tema è frequente nel Padre Dehon, gli è molto caro. Ma qui l'oratore precisa bene la sua intenzione: intende mostrare che questo dono molto prezioso della devozione al Cuore di Gesù, è una grazia che Dio accorda in particolare alla Francia in risposta ad un bisogno particolarmente sentito dal nostro tempo. „È anche un dono tutto particolare di questa bella diocesi di Soissons e Laon, e di questa cara città di San Quintino… È sempre stata cara al Nostro Signore, questa bella diocesi di Soissons e di Laon…” . Dopo avere illustrato la grande storia cristiana locale, Padre Dehon esorta i suoi confratelli sacerdoti ed il popolo cristiano ad accogliere pienamente questa grazia. „Il Sacro Cuore è la necessità della nostra diocesi… È il fuoco di tutte le nostre opere…” . Quindi esprime l'augurio che la sua diocesi si regali un pellegrinaggio dedicato al Cuore di Gesù: „Nostro Signore, che ama tanto questa diocesi, lo vorrà, lo spero…Bisogna che la nostra diocesi sia specialmente benedetta dal Sacro Cuore… All'opera dunque!” .

 

 

È ancora con un discorso, pronunciato alla distribuzione dei premi al San Giovanni, il 29 luglio 1893 giusto prima della dispersione delle vacanze d'estate, che Padre Dehon invita i giovani del suo collegio a scoprire e ad amare il loro dipartimento: „Discorso sul dipartimento dell'Aisne. Descrizione, arte, storia” (cf. OSC 4, pp 459 - 520). L'introduzione rende bene la tonalità molto personale dell'insieme: calore e vivacità, entusiasmo e preoccupazione educativa.

„Miei cari figlioli, fra qualche istante prenderete il volo in tutte le direzioni. Il campo più ordinario delle vostre corse sarà questo bel dipartimento dell'Aisne, al quale appartenete quasi tutti. È il momento di ripetervi ciò che offre più di notevole, sarà come tracciarvi un programma di vacanze tanto attraente quanto istruttivo. Andiamo insieme, se volete, a sederci un momento in cima a una torre della cattedrale di Laon, e là, osserviamo passare sotto i nostri occhi le cose e i tempi. I nostri sguardi si spingeranno lontano, e per ciò che i nostri occhi non potranno raggiungere, suppliranno i nostri ricordi ”.

Bisogna percorrere queste pagine - non meno di 56 nell'edizione citata! - per comunicare realmente all'amore di Padre Dehon per la sua terra d'origine. Non esita a farsi poeta per cantarne la bellezza e la produttività. „Guardate al Nord, è la grande pianura, la terra del grano, il granaio della provincia: in primavera, mobili onde di verdi spighe; l'estate, messi dorate; paglie rase in autunno. È anche la terra delle radici che producono lo zucchero; la terra dell'orzo che dà la bevanda rinfrescante… A Mezzogiorno, tutto ciò che la natura ha di seducente si trova riunito… delle foreste immense, le più belle della Francia…”.

Più in particolare questa volta racconta la storia tormentata e gloriosa di questa regione attraverso i secoli fin dalla preistoria. Ne loda le ricchezze d'arte. „Questo dipartimento è il centro più ricco, e la fonte di questa arte ogivale che gli italiani chiamavano dal XIII secolo l'arte francese”. Fra i monumenti testimoni di epoche difficili evoca le numerose „chiese fortezze” costruite ai punti strategici delle pianure. Terra di passaggio per posizione geografica, da sempre crocevia di scambi culturali, è naturalmente un campo di molte battaglie: „Il nostro povero paese è sempre il primo a ricevere i colpi”. Ne illustra i drammi e le glorie, non può dimenticare il passaggio liberatore di Giovanna d'Arco: „È il segno dell'amicizia del Cristo per la Francia. È la nostra gloria, è la nostra speranza”.

La fede e la pietà cristiana hanno segnato questa terra di una forte impronta: le cattedrali, quella di Soissons, quella di Laon proposta dalla guida come belvedere immaginario per questo sorvolo „delle cose e dei tempi”; le abbazie dei monaci cistercensi e premostratensi, la cui irradiazione spirituale e culturale è stata immensa; le pie fondazioni per soccorrere i poveri e sostenere le scuole… La letteratura così vi ha trovato un ambiente propizio per la sua ispirazione: Racine, La Fontaine, Fénelon che a Soupir vicino a Soissons nella valle dell'Aisne, ha scritto gran parte del suo Telémaco. Gli anni del terrore (1792 - 1795) hanno affamato la Thiérache ed hanno moltiplicato le sofferenze: „Ne abbiamo inteso il resoconto desolante dalla bocca dei nostri avi”. E descrivendo lo sviluppo attuale, riassumendone le promesse e le sfide, è a condividere il suo ottimismo abituale che, per terminare, l'oratore invita il suo pubblico, certamente un po' assopito da un così un lungo discorso: „Dopo la fiducia in Dio, il migliore appoggio della nostra speranza sarebbe una gioventù cristiana, salda e pura, amica della giustizia e della carità. Ce la darete, lo speriamo, cari allievi, ed il Cristo, innamorato di questa giovinezza, benedirà la Francia! .

 

 

„Cristo benedirà la Francia!”. Questa certezza, ed è allo stesso tempo una speranza ardente, rivela perfettamente Padre Dehon: un'adesione indivisa al Cristo, ma ancorata in una tradizione, attaccata ad una terra, a partire da un popolo e da una patria molto amati. Lo abbiamo appena visto, è per lui una convinzione ferma: vi è come un incontro provvidenziale tra lo zelo nel promuovere la devozione al Cuore di Gesù e la preoccupazione per la Chiesa della sua diocesi. È nella stessa unità armoniosa, „l'amicizia del Cristo per la Francia”, che esprime il suo amore e la sua fierezza per il suo paese. „Noi Cattolici, che uniamo in un solo amore la nostra patria alla Chiesa, andiamo al Cuore di Gesù!”: è così che annuncia l'orientamento della sua rivista, „Il regno del Cuore di Gesù…” , nel febbraio 1889.

Quest'amore, questa fierezza, li eredita dalla lunga stirpe dei suoi antenati, molti dei quali hanno fatto per la patria il sacrificio della vita. Per essa, cioè per la Francia cristiana, la „nostra bella Francia che doveva essere la figlia primogenita della chiesa”, come ricorda facendo l'elogio di santa Grimonia a La Capelle (NHV VI, 163). Instancabilmente e lasciando libero corso al suo entusiasmo, generalmente egli si mostra anche critico severo. Giovane studente a Parigi, visita il Panthéon dichiarato „Tempio della Gloria” circa trenta anni prima, e nota: „è freddo, c'è un miscuglio di cristiano e di profano che fa male”. „Un carnaio ateo”, così più tardi qualificherà il Pantheon nella sua nuova trasformazione (NQT XI/1895, 4v). Ma fortunatamente „le reliquie di santa Genoveffa sono là, esse hanno un'attrattiva invincibile e poi questi affreschi, che rappresentano i grandi fatti storici della Francia cristiana fanno un'impressione profonda. La Francia tutta bella è là, essa ci mostra ciò che resterà della sua storia nel cielo, i suoi eroi cristiani e la sua vita cristiana” (NHV I, 38v).

Questo patriottismo che ha ricevuto e che cerca di trasmettere alla gioventù che gli è affidata, lo vive nel contesto di un'epoca in cui un po'ovunque i nazionalismi si inaspriscono: in Francia in particolare, soprattutto dopo la sconfitta del 1870 e la caduta di Napoleone III, la perdita della Alsazia - Lorena, la speranza e la preparazione di una rivalsa che covano per decenni e che conteranno qualcosa fra le cause della „Grande Guerra” nel 1914. È allo stesso tempo l'epoca nella quale il paese attraversa gravi turbolenze nell'incertezza attorno ad un restaurazione monarchica che non si realizza e per il consolidamento della Repubblica attraverso correnti sparse. Gli anni durante i quali il potere repubblicano si vuole ed effettivamente si mostra risolutamente anticlericale sono particolarmente difficili. Questa lacerazione, Padre Dehon lo vive tutt'al più viva dei suoi legami e delle sue convinzioni: il patriottismo ereditato della sua educazione, la sua preoccupazione di fedeltà alle direttive pontificie, il suo amore per il popolo, ma anche la fermezza per difendere il suo diritto, i beni della sua giovane congregazione, l'avvenire della sua opera. In innumerevoli occasioni egli proclama la sua sofferenza, senza sapere sempre staccarsi del partito preso e dell'aggressività che da tutte le parti abbondano a quel tempo nei dibattiti e nelle espressioni d'opinione.

Egli, che si tiene sempre molto vicino all'attualità, segue questi dibattiti con la più grande attenzione. Lo deplora spesso: la Francia, già molto malata dopo „l'ebbrezza rivoluzionaria”, sta diventando per davvero „la povera Francia”, „la povera nazione”. Così, in una lettera ad una religiosa nel 1903: ”… La povera Francia. È soprattutto per la Francia che bisogna offrire i vostri sacrifici, essa ha una così grande missione nella Chiesa! . Alla stessa epoca, da San Quintino, che si prepara a lasciare per andare „a stabilirsi a Bruxelles”: „Lotto qui contro tutte le giurisdizioni per salvare qualche briciola della libertà dei miei beni. La Francia non è più la Francia, è conquistata da una orda di barbari” (1 dicembre 1903). Nell'aprile 1906: „Pregate molto per la Francia… Passeremo certamente per una crisi profonda. I nostri borghesi hanno paura. Sono loro la causa del male… A Parigi ci si è ancora molto divertiti quest'inverno… I giornali parigini hanno una colonna per descrivere le catastrofi di Courières, del Vesuvio, di San Francisco ed un'altra per raccontare le serate e le corse. Come è leggero il nostro mondo! Il Papa ci dà buoni vescovi, ma occorrerà un secolo per rifarci”. „Aiutiamo molto la povera Francia” (20 dicembre 1911). Nel dicembre 1914 stigmatizza „i settari stupidi che oggi si sono impadroniti ovunque del potere in Francia… i consiglieri empi…” (NQT XXXV/1914, 181).

Nel giugno 1918, mentre la guerra non finisce di seminare la sofferenza e la morte, ad un vecchio allievo: „La povera Francia espia trentacinque anni di persecuzione, d'indifferenza religiosa e di mollezza… C'è già stata un'ecatombe infinita di giovani eccellenti, di eroi e di santi… Il Sacro Cuore li salverà… Un atto di fede del governo porrebbe fine a tutto, ma cosa ci si può attendere dai 300 o 400 furfanti che ci governano?” (25 giugno 1906). Due mesi più tardi, ad un confratello: „Ancora qualche mese di pazienza. Il Sacro Cuore ci aiuta, nonostante l'indurimento del nostro governo civile. Non sono loro la vera Francia” (21 agosto 1918).

E tuttavia questa tristezza, questa stessa amarezza dinanzi all'evoluzione del suo paese, - „Pregate per la Francia che è così mal governata”, scrive ancora il 14 marzo 1925 - non lo spinge mai fino al pessimismo ed allo scoraggiamento. E ciò, sempre a causa dell'amore incontestato per la sua patria, nutrito dalla fede cristiana. Pagine e pagine di note sulle sue letture ci sono stati conservati „sulla missione della Francia figlia primogenita della chiesa” (cf. Manoscritti diversi, 14° quaderno, pp 1397 - 1454). Prendiamo in considerazione soltanto un esempio, fra i più parlanti: la devozione a Giovanna d'Arco.

Dio, „che voleva conservare la Francia cattolica, per servirsi di essa nel mondo”, fra il „gran numero di santi, di ordini religiosi, e di missionari all'infinito” (NQT XXIV/1909, 72 - 73), si è degnato chiamare Giovanna dalla Lorena. Padre Dehon non può trattenere la gioia di poter partecipare a Roma alla beatificazione (18 aprile 1909) quindi alla canonizzazione (16 maggio 1920) di colei che ha reso al suo paese la libertà e la dignità. Gli piace dare risalto alla fiera dichiarazione: „La Francia: il regno di Gesù Cristo. Il più bel regno del mondo dopo il Paradiso!” (cf. Excerpta, p. 32, colonna 2).

„Sono sempre stato ottimista, morirò ottimista”: chi ci ha lasciato questa confidenza, e che d'altra parte chiama spesso alla penitenza ed al sacrificio, non cessa allo stesso tempo di rilevare i minimi segni di ripresa e di rinascita, anche nelle ore più scure degli anni interminabili della guerra 1914 - 1918, ed in seguito. Ma è tutto fuorché un ottimismo beato ed attendista: si sforza lui stesso, chiama la gioventù a mobilitarsi e formarsi per un servizio generoso e qualificato, e sono fra le migliori esortazioni che indirizza ai suoi cari ex allievi del San Giovanni.

 

È già in questo spirito che istruisce questi allievi fin dai primi inizi del suo collegio. Per la festa della distribuzione dei premi nell'agosto 1879, fa un discorso sul „patriottismo cristiano” (cf. OSC IV, pp 309 - 320). in quest'elogio infiammato del proprio paese si legge in particolare quest'appello: „Questa patria amata, cari figlioli, il vostro dovere è di servirla generosamente. Non è soltanto un entusiasmo finto e mutevole che essa attende da voi, è una nobile ed austera dedizione, è un lavoro costante ed assiduo”. E la conclusione: „Lo sento, il vostro cuore protesta contro l'ingratitudine e la vostra ragione ha colto la verità. Unite nel vostro ossequio e nel vostro amore la Chiesa e la patria. La patria francese senza la Chiesa sarebbe senza passato, senza storia, senza onore e senza speranza… : la Francia della Vergine Maria e del Cristo”.

Tali slanci patriottici infiorano tutta la sua opera, non senza sorprendere ed anche mettere a disagio lettori di nazioni diverse. Dobbiamo tanto più ricordare la gravità delle critiche che formula a riguardo del suo paese, dei suoi difetti. Non soltanto per deplorare i danni del protestantesimo e della Rivoluzione, ma ad esempio per denunciare l'incuria e l'individualismo, l'abitudine e la meschinità di spirito, la negligenza e la parzialità nella salvaguardia del patrimonio culturale… „Il patriottismo è una virtù naturale, un dovere primordiale. Quelli che disprezzano la patria, disprezzeranno anche la famiglia ed il Creatore”, scrive il 14 luglio 1915 (NQT XXXVIII/1915, 33). Ma poco prima aveva avvertito: „Il patriottismo è una virtù facilmente esagerata e sopraffatta dalla passione… Ovunque l'amore esagerato della patria produce la guerra e la violenza…” (NQT XXXVI/1915, 26).„

Con tutta la sua energia denuncia lo sciovinismo, e quel che è peggio ancora, il razzismo. Nella sua rivista Il Regno, nell'aprile 1900, scrive: „Si discute molto in questi tempi dei popoli e delle razze. Si paragonano i popoli latini con i popoli anglosassoni. Occorre una grande larghezza di spirito, una conoscenza abbastanza vasta della storia ed una profonda carità cristiana per non lasciarsi accecare, in questo studio e in questi raffronti, da quella gretta passione politica che si chiama sciovinismo” (cf. OSC V/2, p. 383). Quando nella sua Congregazione si moltiplicano le comunità composte da religiosi di nazionalità diverse, a rischio di non essere compreso completamente né approvato, egli combatte questo male che potrebbe rapidamente diventare la morte della vita comunitaria. A proposito di una di queste comunità nota: ”… Bisogna fare un'esecuzione e rinviare un soggetto che semina la zizzania con il suo eccesso di patriottismo…„” (NQT V/1890, 16 r e v). In occasione del processo in vista della beatificazione, nel 1952, un religioso riporta la reazione del suo superiore generale, nel corso della guerra del 1914 - 1918: „Se non possiamo prendere i nostri pasti senza essere offesi nei nostri sentimenti di patriottismo, mangerete in cucina!” (cf. „Positio”, vol. II, testimonianza di P. Pauly, p. 38, § 82). Scrivendo le sue Memorie nel marzo 1913, aveva concluso con queste parole: „Nessuna divisione tra noi. Passiamo sopra tutto per restare uniti… amiamo tutte le nazioni. Non ci saranno più nazioni in cielo. Siamo tutti fratelli del Salvatore e figli di Maria…” .

 

„La Francia è felice di avere in abbondanza il pane di frumento ed il vino forte, vivo o frizzante… Questi alimenti hanno il loro effetto sulla resistenza ed il carattere di un popolo. ` il buon vino rallegra il cuore dell'uomo ed il pane rinforza il suo cuore' [Ps 104, 15]. L'Eucaristia dà la forza, la santità, la carità. Un popolo senza Eucaristia ne soffre nella sua civilizzazione ”.„ Queste righe sono tratte dalle note preparate per un ritiro che dal 4 al 10 ottobre 1918 Padre Dehon predica ai seminaristi maggiori di Moulins, su invito del suo amico vescovo, Monsignor Penon. Siamo allora nelle ultime settimane della lunga prova della guerra. Non senza un'audacia che di nuovo bellamente ce lo rivela, il predicatore associa strettamente la forza santificante dell'Eucaristia e il vigore della sua nazione! Realismo umano e fede…

 

Al termine di questa lunga presentazione che ci ha fatto accostare Padre Dehon in un aspetto molto significativo della sua vita, quest'ultima citazione sottolinea ancora una volta l'intenzione che l'ha motivata: mettere in rilievo il realismo vigoroso che lo caratterizza nell'unità della sua personalità umana e cristiana. Realismo di un uomo molto sensibile, ricco di grandi qualità di cuore e d'azione, ed allo stesso tempo „colpito” da Nostro Signore al più profondo del suo essere.

Realismo che si rivela attraverso la qualità e la consistenza umana della sua presenza in tutto ciò che è, in tutto ciò che fa, con l'efficacia ed il carattere sempre pratico della sua condotta e dei suoi diversi interventi. E la sua sensibilità sempre attenta e ricettiva, quella nobiltà e delicatezza di cuore che si ritrova sempre nelle sue numerose relazioni, l'affetto per la famiglia, per gli amici ed i collaboratori, per il suo paese. Questo realismo e questa cordialità si verificano e si consolidano reciprocamente nell'adesione e nell'unione abituale a Nostro Signore „senza la quale non potrei vivere”: è là che attinge „la forza, la vita dell'intelligenza e del cuore”; per lui „essa è tutto, è la mia grazia, è la mia vita, è la mia salvezza e la mia sola gioia”.

È infatti un uomo fermamente attaccato ad una terra ben circoscritta: la cittadina dove è nato e quella dove ha condotto una grande parte della sua attività, quindi la sua diocesi, la sua regione, la sua patria amatissima. Un uomo dalle radici umane profondamente inserite in un ambiente sano e fertile: la sua famiglia che lo collega ad una grande tradizione cristiana che tante volte ha voluto esplorare e valorizzare. Un uomo che, se ha molto viaggiato attraverso il mondo, se ha molto combattuto per difendere e migliorare la condizione degli operai nella città allora in forte estensione, per molti aspetti è restato in verità un „rurale”, è stato un promotore assiduo della fedeltà alla „terra”: „il XIX secolo è stato il secolo dell'industria, bisogna che il XX sia quello della terra”. Con tutte le fibre del suo essere vorrebbe che la Francia salvasse a tutti i costi la sua popolazione contadina: „È l'agricoltura che conserva in un popolo il meglio della sua razza” (cf. OSC I, pp 409 e 535); e non trascurerà di raccomandarlo calorosamente in occasione di un matrimonio di due giovani nella sua famiglia… „Sapori e regioni” come propone l'insegna di un magazzino al centro di La Capelle.

Padre Dehon è qualcuno che, fin nella sua formazione intellettuale abbastanza privilegiata, attraverso un'attività intensa di conferenziere e di scrittore e nelle sue evidenti disposizioni „spirituali” e spesso mistiche, tiene sempre ben saldamente i piedi per terra. Ha il gusto della precisione, si occupa del particolare fino alla minuzia; misura il valore e il prezzo di ogni cosa. Ma sa allo stesso tempo portare il suo sguardo lontano, verso i vasti campi della storia e del mondo. Dalla sua famiglia ha ricevuto la pratica della prudenza, il senso dell'economia, ha l'ossessione dei debiti lasciati troppo a lungo in sospeso. La sua abbondante corrispondenza lo mostra bene: un vigoroso senso pratico caratterizza i suoi interventi, in frasi brevi e chiare va diritto allo scopo senza attardarsi a discorsi inutili. Ma allo stesso tempo sa essere flessibile e sfumato, sa che „ogni giorno ha la sua opportunità”, come insegna la natura dove si alleano la costanza e il rinnovamento. Con le persone su cui conta è paziente, ma anche tenace e perseverante nel suo proposito, poiché egli ha appreso che c'è un tempo per tutto, e che tra il tempo della semina e quello del raccolto si impone il ritmo delle stagioni, che non si guadagna nulla con la fretta. E dinanzi alle sorprese, alle delusioni, sopporta e perdona, come il contadino sa curvar la schiena dinanzi ai rischi imprevedibili del clima. Infine vive quasi spontaneamente questa complicità con la terra che caratterizza il cuore contadino, sia con l'ammirazione dinanzi alla bellezza dei paesaggi che con la preoccupazione attiva per un buon rendimento, fosse anche soltanto di un lotto di terreno erboso. Come ama ripetere a molti dei suoi corrispondenti: „Aiutati, che il ciel ti aiuta”!

 

È quest'uomo, Padre Dehon, che per parlarci di Dio non vuol partire che dal suo Figlio, che ci ha inviato come prova suprema del suo amore: il Verbo divenuto uno di noi nel realismo della nostra carne, condividendo il più autenticamente la nostra condizione in tutto, ad eccezione del peccato.

Sarebbe esagerato vedere come un'interdipendenza, implicita ma tanto più rivelatrice, tra il modo che ha Padre Dehon di accogliere la manifestazione di Gesù meditando e commentando il vangelo, e la sua esperienza personale nella relazione con la famiglia ed i legami alla sua terra, esperienza che abbiamo ripresa lungo la sua vita? Condurre la ricerca in questa direzione entrava in ogni caso nel progetto iniziale di questo studio, ma questo adesso ci porterebbe troppo lontano. Ed è soltanto un pista proposta, da esplorare: guardandosi bene da una sistematizzazione troppo rapida e troppo sicura che Padre Dehon non fa mai. Ma io credo realmente che nel suo approccio a Gesù secondo il Vangelo e nella Tradizione della Chiesa, egli sia segretamente portato da ciò che ha modellato la sua personalità attraverso l'insieme dei legami umani che abbiamo individuato.

Per concretizzare ciò che potrebbe essere oggetto di una ricerca ulteriore ecco alcune proposte per la riflessione a partire dall'opera di Padre Dehon. Le citazioni esplicite saranno ancora indicate in corsivo, ma eccetto per alcune più significative non ne do i riferimenti per non appesantire il testo. Sarebbe soprattutto la sua opera detto „spirituale” che bisognerebbe interrogare ormai; ma vedremmo ben presto che è sempre abbondantemente nutrita della rivelazione concreta di Gesù e che soprattutto riguarda l'azione, che vuole incoraggiare ad una vita cristiana bene incarnata.

 

Che significa, per Lui e per noi, questo punto capitale della nostra fede: il Verbo di Dio ha voluto partecipare realmente alla nostra umanità „nascendo da una donna”? È il mistero dell'Incarnazione, centrale nell'„obiettivo spirituale” di Padre Dehon. Nel modo più autentico e per sempre, il Figlio Unico del Padre diventa uno di noi. È nostro fratello, „appartenendo realmente alla famiglia del genere umano”. Per questo, Lui che è „il Verbo di vita” diventa il figlio di un popolo, radicato su una terra che è quella dei suoi antenati, la terra promessa e data da Dio. Partecipa ad una storia determinata ma che lo collega all'insieme della storia, eredita una cultura fra le altre possibili. Come ciascuno di noi prende posto in una „genealogia”: essa l'iscrive nella nostra umanità, che è benedetta da Dio, ma anche segnata dal peccato. „Il Verbo di Dio si è degnato, per riscattarci, di farsi nostro fratello. Il suo sangue ha attraversato tutte le generazioni per 4000 anni. Bisognava che appartenesse, secondo la carne, alla famiglia peccatrice di Adamo…” (NQT I/1868, 68).

Attento com'è alla portata della storia, Padre Dehon ama ricollocare Gesù nella continuità delle generazioni bibliche che legge nell'interpretazione letterale della sua epoca, dalla creazione del mondo fino „alla pienezza del tempo” decisa da Dio. Si realizza allora questo „ultimo tempo, in cui siamo”, nel quale „Dio ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio”. Esso dimostra la fedeltà di Dio nel compiere le sue promesse al ritmo della nostra storia, ed in Gesù la definitiva „manifestazione della sua bontà e del suo amore per gli uomini per la salvezza di tutti”. Salvezza che si dispiega sull'orizzonte illimitato dell'umanità e dell'universo, ma a partire da un punto molto determinato del nostro tempo, al tempo di „Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù detto il Cristo”. Padre Dehon sarebbe senza dubbio stato felice di seguire la ricerca storica attuale, che ricolloca chiaramente Gesù nell'appartenenza al popolo ebreo, erede della sua cultura, solidale alla sua vocazione.

 

Cosa significa il fatto che Gesù, l'umile figlio di Maria, abbia voluto conoscere le tappe di tutti e di ciascuno, „bambino piccolo, adolescente prima di essere un uomo fatto”; che in lui batta un cuore sensibilissimo di carne, infinitamente ricco in compassione ed in capacità d'amicizia, ma per questo fatto stesso quanto vulnerabile alla sofferenza, all'angoscia, alla morte… „un cuore vivo, amante, sofferente”, un ”vero cuore d'uomo„ che ci ha amati attraverso tutte le parole e i gesti, attraverso tutte le scelte e le fatiche nel corso della sua vita fra noi. Dio, Gesù il Figlio „lo è tutto intero; … ma per essere Dio non è meno uomo, al punto che prova tutto ciò che può provare un uomo, ama tutto ciò che può amare un uomo, eccetto il peccato… Ma per affettuoso che sia un uomo, lo supera infinitamente con la qualità del cuore” (Vita d'amore, 3a sezione, cf. Manoscritti diversi, p. 1040).

Un cuore che ha vibrato alle aspirazioni del suo popolo pur denunciandone le ambiguità. Un cuore che per vivere sulla nostra terra e lodare il padre nella bellezza della sua opera „ha scelto di nascere in uno dei punti più belli e più ricchi del mondo” e che egli ha amato appassionatamente. Un cuore „dolce ed umile” soprattutto, egli „conosce ciò che vi è nell'uomo”, conosce il nostro cuore ed infaticabilmente si rende accessibile a tutti i „poveri”: con la sua compassione straordinaria e con la sua misericordia ci ha rivelato umanamente la tenerezza del cuore di Dio. Un cuore come il nostro, in tutto ciò che questo significa, ma per purificarlo e trasformarlo: „Il Verbo di Dio prenderà un cuore di carne per divinizzare in certo qual modo la materia e riscattarla tanto come l'anima…” (Corone…, OSP, 200). E per associarci intimamente all' oblazione perfetta che presenta al Padre nel suo sacrificio, per toccare il nostro cuore e chiamarci ad una risposta da cuore a cuore.

 

Per ben comprendere il Cristo, dice ancora Padre Dehon, quale grazia il poterlo ricollocare nell'autenticità del suo ambiente umano! E ne dà lui stesso testimonianza, confidando l'emozione che ha provato durante la sua visita della Terrasanta „tutta piena dei ricordi della Bibbia”: „Si comprendono meglio il Cristo e tutte le scene della sua vita quando si è avuta la grazia di inginocchiarsi, di meditare e pregare a Betlemme, a Nazareth… ; lo si cerca là e sembra che si trovi qualcosa di lui…”. È per questo che spesso, per ridestare i suoi giovani ascoltatori all'amore di Gesù, o per rendere più parlante in verità umana questa o quella pagina del vangelo, si richiamerà a ricordi personali sui luoghi santi, la geografia, i paesaggi, i monumenti…

 

Non si può anche avvicinare, rispettate le proporzioni, quello che Padre Dehon riconosce d'avere ricevuto da Dio attraverso la sua famiglia umana con le numerose e belle pagine consacrate a Gesù nel suo ambiente familiare, a Betlemme ed a Nazareth: Maria e Giuseppe, la parentela, „fratelli e sorelle” secondo l'espressione evangelica. „Nazareth ci insegna la perfezione della vita di famiglia, famiglia naturale o famiglia religiosa…” . Una famiglia unita e solidale, nella povertà e nell'esilio, poi nel susseguirsi molto ordinario dei giorni e secondo la pietà ancestrale di un popolo. Una famiglia dove l'esempio dato e ricevuto, la fiducia condivisa, il contributo di ciascuno al suo posto, instaurano un clima di serenità, di complementarità nel lavoro ed il rispetto.

Una famiglia nell'ambito della quale si conciliano perfettamente il sentimento dell'affetto più vero ed un equilibrio solido in una vita semplice e sana. Si trova un'eco in queste righe, che ci sono date a proposito della devozione al Sacro Cuore: „È da notare che la devozione Sacro al Cuore preserva precisamente da questo sentimentalismo, vago e tutto d'immaginazione e di carne, che fa tante vittime oggi e che è all'opposto del sentimento vero che parte da un cuore soprannaturalizzato… Si oserebbe combattere l'amore di un bambino per suo padre, di una madre per i suoi bambini, col pretesto che quest'amore è basato soprattutto sul sentimento? È tutto ciò che vi è di più tenero e di più forte allo stesso tempo. E perché si vorrebbe privare colui che ci ha amati più di una madre, più di uno sposo, più di un amico, del nostro amore filiale, affettuoso, riconoscente, in una parola di sentimento?” (” Couronnes „cf. OSP 2, p. 387).

Poco a poco, il lavoro comune nell'officina di Nazareth farà conoscere il figlio di Maria come il figlio del carpentiere. Gesù dovrà contribuire alla vita del focolare domestico con il servizio di un lavoro semplice, ricco in relazioni umane, nel suo villaggio e nella sua regione: inserito tanto naturalmente nel tessuto umano vicino, che le persone della sua famiglia ed i suoi compaesani non lo sapranno riconoscere come l'Inviato di Dio: „Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, fra i suoi parenti e nella sua casa”. Ma così „il Figlio di Dio ci fece vedere nel lavoro, e nel lavoro più umile, il lavoro manuale… la condizione comune dell'umanità, una condizione degna e lodevole, ed un mezzo di perfezione proposto ad anime di elite che lo sceglierebbero… per riabilitare il lavoro sulla terra” (discorso agli „operai di san Francesco Saverio”, nel 1884).

 

Il „gioco” docile di una piena obbedienza con l'affetto e l'affermazione della legittima indipendenza. Ciò che per lui ha rappresentato tante gioie, ma anche tante lotte: il conflitto coi suoi, sulla sua decisione di vita, Padre Dehon ama approfondirlo meditando in particolare „la vita nascosta” di Gesù a Nazareth.

Egli che ha tanto e tanto insistito sull'umiltà e l'obbedienza, „un punto capitale, uno degli ineffabili privilegi della nostra vocazione”, senza sosta ci propone il modello dell'obbedienza affettuosa ed attenta di Gesù bambino a Maria e a Giuseppe: „è il migliore segno d'amore che si possa dare ad un padre”. Per Gesù è la sua „regola di vita”: in una sottomissione umana molto concreta, la manifestazione della sua comunione filiale al Padre nella Trinità, della disposizione che lo anima fin dal suo arrivo nel mondo: „compiere la volontà del Padre”, „Ecco, io vengo!” . Un'obbedienza che sarebbe molto povera, che ne sarebbe in verità una penosa contraffazione, se non fosse cordiale, intera, felice di fare „il beneplacito” di colei e di colui che si ama. Padre Dehon fa dire a Gesù: „La mia obbedienza a Nazareth era preveniente, premurosa, intera. Amavo obbedire; l'obbedienza era la gioia ed il tesoro del mio Cuore” (OSP 1, 182).”

Ma non sarebbe un'obbedienza umana se non fosse libera, educazione e consolidamento della libertà! Padre Dehon ritorna spesso sui versetti di San Luca (2,51 - 52) il brevissimo riassunto della vita di Gesù con Maria e Giuseppe a Nazareth: „Era loro soggetto, cresceva in saggezza ed in statura”. Si premura di precisarlo, e non è senza interesse quando si pensa ad alcune „immagini pie” dell'epoca: quest'obbedienza esclude „un puro sentimentalismo che non conduce a nulla”, come anche „qualsiasi mercanteggiamento”, essa sollecita tanto la volontà che il cuore.

Soprattutto egli tiene a sottolineare come alla soglia dell'adolescenza Gesù ha saputo, se non disobbedire, almeno affermare ciò che per lui è la piena dimensione del suo essere, „essere nel Padre, nelle cose del Padre suo” (Lc 2, 49). Per vivere questa fedeltà Gesù non transigerà mai. Per Maria e Giuseppe è un repentina e quasi folgorante apertura sul segreto misterioso del loro figliolo per altro così sottomesso, al punto che „non compresero ciò che diceva loro”. Non compresero, non immediatamente, e non hanno finito di non comprendere tutto. Ma sapranno rispettare il figlio nella sua verità e nella sua libertà, e al loro posto restare vicino a lui nella comunione più profonda, la nuova famiglia di quelli e quelle che al di là dei legami di sangue accolgono la parola e ne vivono.

Si troverebbero simili considerazioni, a proposito della scena di Cana, o dinanzi alla incomprensione della parentela secondo la quale Gesù ha semplicemente „perso la testa”! E più generalmente a proposito della libertà che Gesù, animato dallo Spirito nella sua fedeltà a rispondere all'aspettativa del Padre, sa imporre verso e contro ogni tentazione da qualunque parte venga: lascia la sua famiglia e poco a poco la sua regione, „indurì il suo volto volgendolo verso Gerusalemme” (Lc 9, 51) per compiere l'opera del Padre. Ed è questa decisione, il coraggio di una separazione anche dolorosa, anche non compresa, anche contrastata, che Gesù in modo provocante attende da quelli che sono chiamati: „Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!” (v. 60).

Le meditazioni che Padre Dehon da su questo argomento sono certamente improntate a misura e a sfumature. Sono molto chiare tuttavia. Traducono certamente qualcosa di ciò che ha vissuto, la sofferenza provata in proporzione all'affetto filiale, per tenere duro nella sua scelta di vita in risposta alla chiamata di Dio. Ecco alcuni passaggi: „I nostri amici o i nostri parenti si opporranno forse alla nostra vocazione o alle nostre opere.” Sapremo rispondere con Nostro Signore: Non bisogna che io compia l'opera che mio Padre del cielo mi chiede?„ (OSP 2, p. 263). „Viene il tempo nel quale il sacerdote e la sua famiglia devono fare il sacrificio di lasciarsi…” (ibid., p. 579). „I figli sono sotto la tutela dei genitori fino all'età adulta, ma c'è un punto nel quale non devono obbedire ai genitori ma a Dio, è la questione della vocazione…” (OSP 3, p. 160). Colui che dà questi orientamenti non manca di ricordarlo anche ai genitori, e anche qui come non fare un collegamento con la sua esperienza? Ad un padre che ritarda la vocazione religiosa della figlia: „Credo che resistiamo alla volontà di Dio ritardando il compimento di questa vocazione… Comprendo la vostra prova e vi compatisco, ma la volontà di Dio ben manifesta deve prevalere sugli affetti naturali. Fate generosamente il sacrificio. Sarete consolati quando vi scriverà che ha trovato la felicità” (lettera dell'11 aprile 1883).

Questa fermezza, che non si sottolinea forse abbastanza quando si evoca il „Très Bon Père” [Padre buonissimo], riflette la sua storia personale. Ma altrettanto la convinzione che ripete spesso: è molto presto, e specialmente nella famiglia, presso i genitori legati alla lunga tradizione antecedente, è con l'esempio di vita e nell'educazione ricevuta, che si prepara e si matura una vocazione sacerdotale e religiosa. „La vocazione sacerdotale è spesso preparata da pii antenati.” Ci sono spesso fra le cause determinanti della nostra vocazione gli esempi, le preghiere, i meriti di una madre, di una nonna o di altri parenti… Ritorniamo con il pensiero verso la nostra infanzia. Ringraziamo Dio delle grazie ricevute…” (OSP 2, pp 543 - 544).

 

Quest'ultima osservazione ci è dato nel corso di una meditazione su „la preparazione del sacerdozio di Gesù Cristo: la famiglia del Salvatore e la sua infanzia”. Ma soprattutto là, dove parla della nostra vocazione, Padre Dehon ci rinvia a ciò che gli sta più a cuore: il ricordo indimenticabile di sua madre, i suoi esempi, la sua preghiera, i suoi meriti.

Qui soprattutto vi sono numerosissime pagine, alcune fra le più commoventi, che occorrerebbe rileggere attentamente: Maria unita al Figlio di Dio che si è fatto figlio della sua carne; Maria che, in piedi, sta sotto la croce dove suo figlio muore terribilmente abbandonato e torturato; Maria che è al cuore della nascente Chiesa di suo Figlio quando su di essa è diffuso lo Spirito promesso… ; Maria che ormai condivide pienamente nel suo corpo la pienezza di vita che ha vissuto nel suo cuore e nella fede… Nostra Signora del Buon Consiglio: „è un'amica per tutti quelli che suo Figlio visita, per tutti coloro ai quali suo Figlio si interessa… Un bambino ben educato corre da sua madre appena ha qualche dubbio o qualche difficoltà. Sua madre è molto per lui. L'ascolta, la crede, ne ha fiducia. Nessuno lo convincerà che sua madre si sbagli. Essa è per lui l'organo della saggezza divina. Siate tutto questo per me, o Maria. Ho fiducia in voi” (OSP, 3, pp 481 - 482).

C'è nel Vangelo una prossimità, discreta e tuttavia manifesta e quanto meravigliosa, nelle parole e soprattutto nelle disposizioni di cuore e nella vita, tra Maria e Gesù suo figlio. Colei che risponde a Dio „Io sono la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola!”, è la madre ed allo stesso tempo la discepola di Colui che entrando nel mondo ha detto: „Ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Colui che per i suoi discepoli e per le folle umane proclama le Beatitudini del Regno è il figlio di Colei che nei primi giorni delle Buona Novella ha cantato la gioia dei „poveri” nel suo Magnificat…

Padre Dehon ama sottolinearlo, e come non richiamarci allora a ciò che ha voluto anche dirci della suo riconoscenza per sua madre? Maria è „l'angelo della famiglia”. Ricca di tutta la sua attenzione, della sua sollecitudine e della sua bontà (a proposito dell'intervento a Cana), è il modello della donna cristiana. Ricordandosi di sua madre e riferendosi anche al poema biblico sulla perfetta padrona di casa (Pr 31,10 sq.) Padre Dehon scrive: „La sua vita è stata una vita di lavoro, di pietà, di virtù. Vera donna forte, era sempre alzata per prima e teneva ammirevolmente la sua casa. È sempre stata dolce e paziente…” (NHV XIV, 148). Nell'omelia in occasione di un matrimonio celebrato precisamente nella sua famiglia, tiene ad esortare i due giovani coniugi: Più di ogni altra è la donna cristiana che porta le gioie e le preoccupazioni della famiglia, è lei soprattutto il cuore del focolare. Se d'altra parte ha raccolto con tanta fervente emozione le testimonianze del Vangelo, di San Luca soprattutto, sull'amore e la compassione del Cuore del Cristo per i poveri e per gli oppressi di qualsiasi tipo, non è anche perché in questa tenerezza, in questa compassione egli è stato educato, in particolare da sua madre?

E ricordiamo soprattutto questo: si sa con quale emozione trattenuta ritorna sui primissimi anni della sua infanzia, per dirci l'essenziale di ciò che è stata per lui questa educazione materna, una comunione cuore a cuore, anima ad anima… „Mia madre mi insegnò a pregare. I ricordi delle mie prime preghiere di bambino mi sono molto presenti. La mia buona madre non avrebbe trascurato di farmi pregare la mattina e la sera… La bell'anima di mia madre passava così un po' nella mia…” (NHV i, 6v et 7r). Lo stesso Padre Dehon scrive nelle sue note, ma questa volta parlando di Maria nel suo affetto materno e dell'educazione data a suo figlio, Gesù: „Il bambino non riceve soltanto il corpo ed il sangue da sua madre, ma la madre, per così dire, crea moralmente l'anima di suo figlio. Gli dà il suo sangue vivo, animato; conforma l'anima del bimbo alla sua; prosegue la sua formazione morale nell'educazione. Gesù si è degnato di ricevere da Maria l'educazione… Ma oltre il fatto che i baci teneri dell'infanzia lasciano un'impressione ineffabile, è certo che la maternità è una relazione reale che persevera nell'eternità. E Gesù rende grazie incessantemente con amore a Maria del sangue che ha ricevuto da lei e col quale egli ha riscattato i suoi fratelli e li inebria tutti i giorni all'altare” (NQT I/1868, 69 - 70).

„La madre crea moralmente l'anima di suo figlio”: si apprezzerà la forza quasi audace dell'affermazione, che suggerisce molto sul sentimento di colui dal quale la riceviamo. Di nuovo saremo sensibili allo stesso tempo allo „slittamento” tra la sua esperienza personale e lo sguardo che porta su Gesù. Il giovane Leone Dehon scrive queste righe nel 1868, nel momento in cui si chiarisce infine il conflitto con i genitori a proposito della sua scelta di vita. È anche il 18 marzo: come rammenta così spesso, è la vigilia della festa di San Giuseppe, così presente alla devozione di sua madre; 15 anni più tardi, il 19 marzo 1883: è proprio il giorno della sua festa che San Giuseppe „è venuto a prenderla. Lo aveva molto amato e servito…” .

Molto spesso ritorna su questa comunione tra la madre ed il figlio, di cui la realizzazione più perfetta unisce Maria e Gesù: Maria allora riceve tutto da suo Figlio, il Verbo che prende carne in lei, prima di darle a sua volta tutto ciò che la migliore delle madri può e desidera dare al suo bambino. „Quale intimità, quale comunione divina non si stabilisce allora tra la Madre e il Figlio!… Quale unione! Quale intimità! Non ce n'è di più grande nell'ordine della natura, né più di stretta nell'ordine della grazia… Le disposizioni, i sentimenti del Figlio passano nell'anima della Madre, e moralmente l'uno e l'altra non fanno che una medesima cosa…” (OSP 1, p. 327).

„C'è spesso una madre santa presso la culla dei santi”. Quest'osservazione Padre Dehon la fa parlando di Santo Stanislao. Ne medita la realizzazione più perfetta contemplando Maria sulla culla di Gesù. E a partire dalla sua testimonianza, potremo presto riprenderla pensando a lui: essa traduce tutto il suo affetto e la sua riconoscenza. C'era in effetti una madre santa che si chinava sulla sua culla nella casa in cui Leone Dehon è nato, nella casa di La Capelle.

 

Per concludere vi propongo di riprendere, completandole, due citazioni già utilizzate.

Il 5 aprile 1868, da Roma Leone scrive a suo padre presentando i suoi auguri di buona festa: „… È anche per me l'occasione di testimoniarti la mia riconoscenza per tutti i benefici che ho ricevuto da te, poiché dopo Dio, è a te ed alla mamma che sono debitore di tutto ciò che sono e di tutto ciò che ho”.

„Ringrazio Nostro Signore perché ha benedetto la mia famiglia. Mio padre era, alla fine della sua vita, un modello di fede e di pietà, mio fratello resta praticante, le mie nipoti hanno trovato dei mariti cristiani. Quanto a mia madre, è stata per tutta la sua vita una vero discepola del Sacro Cuore” (NQT V/1890, 8r).

Queste due citazioni illustrano bene ciò che è stato il filo conduttore di tutta la nostra riflessione: è nella forza e cordialità della sua relazione coi suoi che Padre Dehon incontra il suo Dio. È a partire dal terreno umano della sua famiglia e della sua terra, che ha conosciuto e che ha cominciato a vivere l'amore di Dio per lui e per tutti. Quest'amore, lo riconosce soprattutto in Gesù, il Figlio di Dio divenuto figlio di Maria. È dinanzi al presepio del suo collegio che, giovanissimo adolescente, decide di consacrare la sua vita ad accogliere e a servire in mezzo al mondo questa presenza inaudita, Buona Notizia per la gloria di Dio e per la gioia di tutto il popolo dei „poveri”.

Un mistero d'amore, certamente, ed Padre Dehon non cessa di nutrirsi di frasi come queste, inesauribili: „Dio ha tanto amato il mondo che ha dato suo Figlio… Ecco cos'è l'amore: non siamo noi che abbiamo amato Dio, è lui che ci ha amato e ci ha inviato suoi Figlio…”.

Ma oltre che il fatto di questa presenza, è su ciò che lo affascina di più che vuole attirare anche la nostra attenzione: la modalità, „l'Incarnazione”, che è tutt'altro che un termine molto astratto. È una presenza di „santa umanità”. Non dall'esterno e come di passaggio: una presenza a partire da ciò che noi siamo, e facendolo suo in modo completamente unico, una presenza dell'interno della nostra condizione comune, e per sempre: come la Resurrezione nella nostra carne lo afferma, e come l'Eucaristia a partire dal „frutto della terra e del lavoro dell'uomo” ce la dona come nutrimento quotidiani nel nostro cammino verso la vita.

Dunque una presenza le cui caratteristiche sono la piena autenticità, il realismo e la verità umana: sono gli „sponsali” del Verbo di vita con la nostra umanità, con la nostra terra ed il nostro universo, una presenza di piena ed intera solidarietà. E ciò, per tutto purificare e per tutto „divinizzare”, come Padre Dehon ama ripetere, a partire da un Padre della Chiesa che conta tanto per lui, Ireneo il santo vescovo e martire di Lione.

Qui ancora, i luoghi della parola di Dio dove raccoglie questa rivelazione, che illumina tutta la sua esistenza, sarebbero molto numerosi; essi nutrono indefinitamente la sua preghiera, ne cosparge tutta la sua opera. „Il Verbo si è fatto carne…” Si è spogliato, diventando simile agli uomini, obbediente fino alla morte… chi vede me, vede il Padre… Mi ha amato e ha dato se stesso per me… Venite a me, voi tutti gli oppressi, io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo, è facile da portare… Prendete, mangiate, bevete, è il mio corpo ed il mio sangue… Si tratta di conoscere lui e la potenza di sua resurrezione e la comunione alle sue sofferenze, di diventare simile a lui nella morte per giungere, se è possibile, alla resurrezione dei morti… Sono con tutti voi i giorni fino alla fine del mondo… Nulla potrà separarci dall'amore di Dio manifestato in Gesù Cristo Nostro Signore „.

E numerose e molto belle sarebbero anche le pagine dove riceviamo da Padre Dehon la sua meditazione costante su questo „mistero dell'amore” che è l'incarnazione. Ad esempio:

„Il mistero dell'Incarnazione è un mistero d'amore… È il mistero di un Dio che ama l'uomo fino a farsi uomo lui stesso… È l'amore umano divinizzato. La festa dell'Annunciazione è dunque la grande festa di quest'amore.

[E facendo parlare Gesù stesso] Facendomi carne, rivestendo una forma sensibile, visibile e tangibile, ho reso l'amore divino palpabile, percettibile ai sensi degli uomini. Ecco perché la contemplazione della mia santa umanità porta nei cuori che vi si dedicano il mio amore divino. Queste forme sensibili della mia umanità facilitano agli uomini la produzione di atti d'amore verso di me. L'oggetto del mio amore li divinizza. Amando la mia umanità, mi si ama, dunque si ama Dio poiché io sono Dio” („Via d'amore ”, OSP 1, pp 36 - 37).

Andrea Perroux, scj

5 luglio 2004

(traduzione: Piero Todesco scj - 12 ottobre 2004)

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